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2.3. L A STAGIONE DEL NUOVO CODICE DI PROCEDURA PENALE

2.3.6. La sent n 265/ 2010: un ritorno alle garanzie?

Fino al d.l. del 2009, motivato con riferimento alla <<straordinaria necessità ed urgenza di introdurre misure per assicurare una maggiore tutela della sicurezza della collettività>>, seppur fossero <<anni nei quali non sembra esserci stata particolare attenzione all’esigenza di rispetto dei principi costituzionali..la consapevolezza dell’importanza del bene tutelato nell’art. 13 Cost. aveva finito per costituire un freno efficace alla tentazione di ridurre il margine di verifica giudiziale delle

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situazioni legittimanti in concreto la restrizione della libertà personale215>>.

La Corte Costituzionale così, in seguito a tale intervento normativo, fu chiamata a pronunciarsi nuovamente in ordine alla nuova formulazione dell’art. 275 comma III c.p.p.: il giudice a quo sosteneva che tale disposizione, nella parte in cui imponeva di applicare la misura della custodia in carcere alla persona raggiunta da gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all’art. 609 bis e 609 quater c.p., contrastasse con gli art. 3, 13, 27 comma II e 117 comma I Cost. Il legislatore del 2009, contrariamente alla ratio originaria di tutela della collettività, ha infatti esteso l’operatività di tale norma anche a reati che <<pur nella loro gravità ed odiosità presentano una meno spiccata caratterizzazione pubblicistica, essendo offensivi di un bene giuridico prettamente individuale (la libertà sessuale)216>>. Secondo il difensore dell’imputato inoltre l’estensione della disciplina originariamente prevista solo per i delitti a stampo mafioso ai reati sessuali ha inteso far fronte a un forte e generico bisogno di giustizia, suscitata da vicende che erano stata ampiamente accresciute dai mass-media, senza inoltre tener conto del diverso spirito a cui si rifaceva la norma originaria. La Corte ha un approccio molto garantista ed esplica, a chiare lettere, che la presunzione di non colpevolezza è il limite attorno a cui ruotare la disciplina della limitazione della libertà personale: <<il principio enunciato dall’art. 27 II comma, Cost., rappresenta, in altre parole, uno sbarramento insuperabile ad ogni ipotesi di assimilazione della coercizione processuale penale alla coercizione propria del diritto penale sostanziale, malgrado gli elementi che le accomunano217>>. In tal senso, l’applicazione di una misura cautelare non potrà mai corrispondere a finalità proprie della sanzione penale, né restare

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E. Marzaduri, Disciplina delle misure cautelari personali e presunzioni di pericolosità: un passo avanti nella direzione di una soluzione costituzionalmente accettabile, in Lgs. Pen., 2010, p. 499.

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Corte Cost., sent. n. 265 del 21 Luglio 2010, in Giur. Cost., 2010, p. 3174.

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indifferente ad un preciso scopo né potrà comportare un sacrificio maggiore di quello necessario. La corte già in passato nella sent. n. 299 del 2005 aveva elaborato il criterio del “minimo sacrificio necessario”, secondo cui la custodia cautelare in carcere deve ritenersi l’ extrema

ratio per poter soddisfare esigenze cautelari per cui le altre misure non

si rivelano idonee. La legge delega n. 81 del 1987, nonché il testo definitivo del codice del 1988 si erano distinti per non voler comprendere né automatismi né presunzioni: le condizioni che legittimano la misura restrittiva della libertà personale devono esser apprezzati e motivati dal giudice sulla base della situazione concreta, tenendo fede ai principi di adeguatezza, proporzionalità e minor sacrificio necessario, in modo da realizzare una piena individualizzazione della misura. La Consulta ritiene che <<le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di uguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali, cioè se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell’ id quod plerumque accidit218>>: se ne

può ben cogliere una irragionevolezza ogniqualvolta sia semplice formulare un’ipotesi contraria a quella posta alla base della presunzione stessa. Rispetto alle fattispecie a stampo mafioso il legislatore può operare una presunzione assoluta, dal momento che la custodia cautelare in carcere appare come l’unica misura idonea a spezzare il sodalizio criminoso, posto alla base di tutti questi reati, ma non si può fare analoga generalizzazione per i delitti sessuali. <<La debolezza, rectius l’irragionevolezza della presunzione assoluta così constatata, non può essere validamente contrastata dal riferimento all’elevato rango dell’interesse tutelato od all’entità della sanzione prevista219>>: in primo luogo l’interesse tutelato penalmente è generalmente primario, cosicché si potrebbe allargare infinitamente il

218 Corte Cost., sent. n. 265 del 21 Luglio 2010, in Giur. Cost.., 2010, p. 3189. 219 E. Marzaduri, Disciplina delle misure cautelari personali e presunzioni di

pericolosità: un passo avanti nella direzione di una soluzione costituzionalmente accettabile, in Lgs. Pen., 2010, p. 503.

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novero delle fattispecie soggette alla presunzione assoluta di custodia in carcere e, in secondo luogo, se si avesse attenzione riguardo alla misura edittale della pena potremmo qualificare la scelta del legislatore come arbitraria visto che ha escluso da tale regime alcune fattispecie gravissime, punite con l’ergastolo. La modifica dell’art. 275 comma III, operata dalla disciplina del 2009, fu generata dall’esigenza di contrastare situazioni causa di allarme sociale, determinato dall’incremento di reati attinenti alla sfera sessuale: il legislatore riteneva che non si potesse più applicare misure “attenuate” per i delitti in questione e che l’inasprimento del regime cautelare sarebbe stata l’adeguata risposta alle esigenze dell’opinione pubblica. Risulta indubbiamente preoccupante come anche a distanza di più di 30 anni di storia si riaffacci sul palcoscenico dell’ordinamento l’esigenza di allarme sociale, che, a chiara voce, già al momento della stesura della prima delega del 1974 era stata dichiarata incompatibile con i parametri costituzionali. La Corte non poteva non rispondere a un chiaro intento provocatorio da parte del legislatore e ribadì che <<la eliminazione o riduzione dell’allarme sociale cagionato dal reato del quale l’imputato è accusato, o dal diffondersi di reati dello stesso tipo, o dalla situazione generale nel campo della criminalità più odiosa o più pericolosa, non può essere peraltro annoverata tra le finalità della custodia preventiva e non può esser considerata una sua funzione. La funzione di rimuovere l’allarme sociale cagionato dal reato è una funzione istituzionale della pena perché presuppone, ovviamente, la certezza circa il responsabile del delitto che ha provocato l’allarme e la reazione della società220>>. Forte e chiaro è il messaggio della Corte Costituzionale che dichiara l’illegittimità costituzionale della norma in quanto presuppone un uso della custodia cautelare in carcere non in funzione preventiva, ma per placare l’allarme sociale.

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Dal momento che, in base all’art. 275 c.p.p. la misura da applicare deve essere adeguata alle esigenze cautelari del caso concreto, proporzionata alla gravità del fatto e graduata in modo tale da relegare la custodia cautelare ad extrema ratio, non possono essere ammessi né automatismi né presunzioni, che sono al massimo accettabili in casi espressione di massime di esperienza generali. Nel caso dei delitti di criminalità mafiosa la Consulta ritiene razionale la scelta del legislatore, perché l’adesione sine tempore ad un sodalizio criminoso, dotato di particolare efferatezza, fa ritenere che solo la custodia in carcere sia in grado di spezzarlo e di neutralizzare la pericolosità del soggetto. <<Viene>> in tal modo <<da pensare che il Giudice delle leggi abbia tratto dalla nuova concezione della scienza il principio della “falsificabilità dell’ipotesi” e lo abbia applicato alla materia della custodia cautelare221>>, nonostante sia difficile escludere a priori, anche nel caso di reati di associazione mafiosa, una possibilità di smentita. Tuttavia, <<alla debolezza del fondamento conoscitivo sopperisce, probabilmente, la necessità di soddisfare l’urgenza “cautelare” che connota le ipotesi criminose in oggetto222

>>.

A partire dal 2010 la Corte Costituzionale ha continuato il suo arduo compito, espungendo, in linea con le potenzialità espansive delle logiche sulla cui base è pervenuta a tale declaratoria di illegittimità, la legittimità costituzionale dell’art. 275 comma III in riferimento agli altri reati che non fossero quelli di associazione a stampo mafioso, in modo da ridare credibilità a un costrutto garantista come quello del codice dell’88 che relegava la custodia cautelare in carcere a extrema

ratio e che, pur legittimando una finalità preventiva in chiave di tutela

della collettività, riteneva che andasse circoscritta a limiti e a condizioni adeguate, da valutare nella concretezza e nella individualità delle situazioni. L’attenzione mostrata in questa occasione dalla Corte

221 P. Tonini, La Consulta pone limiti alla presunzione di adeguatezza della custodia

cautelare in carcere, in Dir. Pen. E proc., n. 8/2010, p. 953.

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P. Tonini, La Consulta pone limiti alla presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, in Dir. Pen. E proc., n. 8/2010, p. 953.

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nei confronti dell’importante ruolo svolto dall’art. 13 e 27 II comma Cost. in tema di libertà personale creava infatti perplessità in merito al mantenimento della doppia presunzione: <<ove si voglia>> infatti <<effettivamente riconoscere il valore dell’inviolabilità della libertà personale ed evitare il rischio di una coercizione processuale avente i tratti funzionali tipici della pena, non si potrà non imporre al giudice una verifica della sussistenza delle esigenze cautelari223>>.

223 E. Marzaduri, Disciplina delle misure cautelari personali e presunzioni di

pericolosità: un passo avanti nella direzione di una soluzione costituzionalmente accettabile, in Lgs. Pen., 2010, p. 507.

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