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Un’ambigua apertura a favore della finalità preventiva della

In questa c.d. “stagione del garantismo” la Corte iniziò ad esercitare il suo ruolo di interlocutore con il legislatore e non venne meno al

87 E. Marzaduri, voc. Custodia Cautelare nel diritto processuale penale, in Digesto

delle discipline penalistiche, 1989, Torino, p. 284.

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G. Amato, Individuo e Autorità nella disciplina della libertà personale, 1967, Milano, p. 438.

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tentativo di adeguare la disciplina del codice con quella della Carta Costituzionale89. Il primo importante intervento in materia di custodia preventiva fu indubbiamente la sent. n. 64 del 4 Maggio 1970, ma la Corte già da alcuni anni prima aveva iniziato a smantellare attraverso alcune pronunce di illegittimità costituzionale l’apparato autoritario del codice del 3090. L’istituto che destava più problematiche e su cui la legge 517/55 non aveva avuto il coraggio di intervenire era indubbiamente quello del mandato di cattura obbligatorio che, fondandosi su una presunzione assoluta di pericolosità sostanziale determinata dalla gravità del reato per cui si procede, ammetteva una custodia preventiva svincolata da qualsiasi finalità processuale. La Corte con questa sentenza esordisce in modo per niente rivoluzionario ed esclude che l’istituto del mandato di cattura obbligatorio di cui all’art. 253 sia radicalmente incompatibile con le norme della Costituzione91.

L’ordinanza di rimessione traeva origine dal fatto che l’imputato, dopo esser stato posto in libertà provvisoria durante la fase istruttoria, sarebbe dovuto esser sottoposto nuovamente a cattura dopo il rinvio a giudizio. Il giudice remittente tenne a precisare che l’istituto della custodia preventiva trovava la sua legittimazione nella finalità di garantire esigenze istruttorie e la presenza dell’imputato al processo e che il legislatore sembrava orientato a voler ridurre il più possibile l’utilizzo di tale misura mediante la previsione di una facoltà (anziché di un obbligo) di ordinare la cattura e concedere la libertà provvisoria. La previsione di un mandato di cattura obbligatorio, infatti,

89 G. Illuminati, Tutela della libertà personale ed esigenze processuali, in

Costituzione, diritto e processo penale, a cura di G. Giostra e G. Insolera, 1998, Milano, p. 110.

90 A tal proposito v. sent. Corte Cost. n. 2 e 11 del 1956, in Giur. Cost., 1956, con

cui la Corte affermò l’illegittimità di due misure di prevenzione disciplinate dal Testo di Pubblica Sicurezza del 1931, in quanto anche le leggi anteriori alla Costituzione erano soggette al suo sindacato e in quanto, non essendo l’art. 13 Cost. una norma meramente programmatica, era illegittima una privazione della libertà personale disposta dall’autorità amministrativa anziché da quella giudiziaria.

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M. Chiavario, La scarcerazione automatica tra la “scure” della Corte Costituzionale e la “restaurazione” legislativa, in Giur. Cost., 1970, p. 666.

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contrasterebbe con l’art. 27 II comma Costituzione e la sua ratio, afferma il giudice a quo, <<intesa ad imprimere un più vigoroso impulso alle indagini per gravi delitti e ad imporre, con la cattura, un provvedimento esemplare e rapido anche per prevenire ulteriori fatti delittuosi da parte dell’imputato, non troverebbe una sufficiente giustificazione, potendo le medesime finalità esser meglio raggiunte affidando la speditezza delle indagini e il giudizio sulla opportunità della cattura e della libertà provvisoria alla sensibilità del magistrato, anziché al riferimento alla pena in astratto comminata92>>. Nel giudizio interviene anche il Presidente del Consiglio dei Ministri tramite l’Avvocatura dello Stato, che ritiene la questione infondata, sostenendo che il Costituente nel prevedere le garanzie di cui all’art. 13 in tema di libertà personale voleva sì affidare al legislatore ordinario la previsione di limiti massimi della custodia preventiva, senza però escluderne la possibile obbligatorietà e senza dover scegliere tra vari criteri giustificativi dell’istituto, che potevano ben sostanziarsi di volta in volta nelle necessità di difesa sociale per la gravità del reato o per la pericolosità sociale dell’individuo, oppure nell’esigenza di impedire la fuga del soggetto o di assicurarne la disponibilità come fonte di prova. Inoltre, ad avviso dell’Avvocatura, lo stato di un necessario ed ulteriore tempo di carcerazione preventiva può trovare riscontro nella sentenza di rinvio a giudizio, che da sé esplica la permanenza degli elementi indizianti a carico del soggetto. La Corte esclude l’incompatibilità con l’art. 27 II comma sia della previsione di cui all’art. 253 sia di quella contenuta nell’art. 277 comma II, laddove impedisce la concessione della libertà provvisoria nelle ipotesi in cui la cattura fosse obbligatoria. La Consulta opera un ragionamento inverso a quello di buona parte della dottrina che sostiene l’incompatibilità di tali previsioni con la Carta Costituzionale, ma uniforme a quello della Giurisprudenza di merito che si era

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espressa in modo similare con la sent. 23 Giugno 196993. I dubbi della dottrina trovavano fondamento nel fatto che la privazione della libertà veniva fatta dipendere in modo automatico da un giudizio di colpevolezza che ancora non era consacrato in una sentenza definitiva di condanna94 e che, inoltre, la misura rimaneva priva di una finalità cautelare95. La Corte, tuttavia, riconosce l’importanza della presenza dell’art. 27 II comma Cost. nel quadro costituzionale ed afferma che l’istituto della custodia preventiva debba trovare una disciplina che non contrasti con la presunzione di non colpevolezza, garanzia che deve vincolare sia il legislatore sia le pubbliche autorità, affinché <<la detenzione in nessun caso possa avere la funzione di anticipare la pena>> ma venga <<predisposta unicamente in vista della soddisfazione di esigenze di carattere processuale o strettamente inerenti al processo96>>. La Consulta non vede alcun contrasto costituzionale con il fatto che la legge possa stabilire ipotesi nelle quali, in presenza di sufficienti indizi di colpevolezza, il magistrato abbia l’obbligo di emettere il mandato di cattura e ritiene che, nonostante una plausibile preferibilità di un sistema che dia la possibilità al giudice di fare una valutazione caso per caso, non si possa escludere che la legge <<(entro i limiti, non insindacabili, di ragionevolezza)>> presuma <<che la persona accusata di reato particolarmente grave e colpita da sufficienti indizi di colpevolezza sia in condizione di porre in pericolo quei beni a tutela dei quali la

93 Cass. 23 Giugno 1969 afferma che “Il provvedimento di cattura obbligatoria non

risponde alla finalità di anticipare gli effetti della pronuncia di condanna; esso, al pari del provvedimento di cattura facoltativo, risponde, invece, alla duplice esigenza di assicurare l’attuazione dell’eventuale sentenza di condanna dell’imputato e di evitare il pericolo di alterazione delle prove da parte dello stesso. L’unica differenza che corre tra i due istituti consiste, invero, nel fatto che la cattura obbligatoria trova il suo fondamento in una valutazione delle indicate esigenze operata dal legislatore, il quale utilizza come parametro la pericolosità dell’agente, desunta dalla pericolosità della azione delittuosa addebitatagli; la cattura facoltativa trova il suo fondamento in una valutazione discrezionale dell’ufficio” in Giust. Pen., 1970, III, p. 367.

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E. Amodio, La tutela della libertà personale dell’imputato nella Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1967, p. 865.

95 G. Amato, Individuo e Autorità nella disciplina della libertà personale, Milano,

1967, p. 423.

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detenzione preventiva possa esser predisposta>>. A sostegno della sua tesi la Corte adduce il fatto che la Costituzione all’art. 68 II comma, per la privazione della libertà del parlamentare, prevede espressamente dei casi in cui la legge renda obbligatoria la cattura. Pur trattandosi di un’argomentazione coerente, è evidente come questa possa semplicemente escludere un radicale contrasto di tali ipotesi di cattura obbligatoria con la presunzione di non colpevolezza, ma non riesca ad eliminare possibili discussioni in ordine alla legittimità costituzionale dell’istituto. Le problematiche maggiori non vengono infatti scalfite: la Corte non si preoccupa o, comunque, non riesce ad essere convincente del fatto che l’istituto di cui all’art. 253 codice Rocco assorba in sé una presunzione assoluta di pericolosità fondata soltanto sulla gravità astratta del reato e sufficienti indizi di colpevolezza, né che si tratti di una misura che viene applicata obbligatoriamente in presenza di determinati minimi e massimi edittali, nonostante la mancanza di una concreta finalità cautelare97. Sebbene non affronti il nocciolo della questione, la Corte attraverso questa sentenza sembra accogliere un’interpretazione volta a privilegiare un’impostazione della custodia preventiva in ottica di prevenzione della pericolosità processuale98 dell’imputato e non della sua <<pericolosità criminale99

>>, scegliendo come presupposto della custodia la possibilità che il soggetto possa andare a ledere quei beni “processuali” per cui la detenzione viene disposta e prevedendo che questa possa essere unicamente disposta in vista della soddisfazione di esigenze di carattere cautelare o strettamente inerenti al processo. La Corte avrebbe inteso con l’affermazione “esigenze di carattere cautelare” la finalità di cautela finale, mentre con “esigenze strettamente inerenti al processo” la finalità istruttoria, <<escludendo, quindi, la finalità di prevenzione

97 M. Chiavario, La scarcerazione automatica tra la “scure” della Corte

Costituzionale e la “restaurazione” legislativa, in Giur. Cost., 1970, p. 667.

98 G. Illuminati, Una discutibile interpretazione della presunzione di non

colpevolezza: la recente riforma della libertà provvisoria davanti alla Corte Costituzione, in Giur. Cost., 1976, p. 1672.

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speciale, nonché qualsiasi altra finalizzazione in chiave sostanzialistica100>>.

D’altra parte però la Corte consente un meccanismo di presunzione assoluta che permette di dedurre dalla gravità astratta del reato il pericolo per quei beni processuali: se questi <<“beni” si identificano nella salvaguardia di quelle “esigenze di carattere cautelare o strettamente inerenti al processo”>> non sembra né facile dimostrare <<che le esigenze in parola sorgano e si accendano in rapporto proporzionale alla gravità del reato per cui si procede101>>, né negare un’apertura della Corte a un utilizzo della custodia in chiave preventiva di una <<pericolosità sostanziale dell’imputato102>>. Se da un lato pare che la Corte abbia voluto porre l’accento sulle finalità istruttorie della carcerazione preventiva, dall’altro bisogna sottolineare come non lo abbia fatto in modo perentorio, dal momento che contestualmente negava l’illegittimità del mandato di cattura obbligatoria. La Consulta, attraverso questa pronuncia ambigua, non sembra affiancare totalmente quell’orientamento dottrinale che vorrebbe espungere dalla disciplina legislativa la possibilità di restringere in via preventiva la libertà personale per finalità di prevenzione speciale o generale, collegate alla presunta pericolosità dell’imputato, nonostante apra a un maggiore garantismo attraverso il richiamo al parametro dei “limiti insindacabili di ragionevolezza”. <<Si intravvede, a quanto pare, la preoccupazione di garantire un minimum di controllo, allo scopo di correggere gli aspetti più palesemente iniqui del regime fondato sulla cattura obbligatoria103>>. Al tempo stesso, tramite questa pronuncia, la Corte dichiara

100G. Illuminati, Tutela della Libertà personale ed esigenze processuali, p. 117, in

Costituzione, diritto e processo penale : i quarant’anni della Corte Costituzionale, a cura di G. Giostra e G. Insolera, Milano, 1998.

101

V. Grevi, Libertà personale dell’imputato e Costituzione, Varese, 1976, p. 133.

102G. Vassalli, Libertà personale dell’imputato e tutela della collettività, in Giust.

Pen, 1978, p.23

103M. Chiavario, La scarcerazione automatica tra le “scure” della Corte

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l’incostituzionalità dell’art. 272 comma I e III c.p.p. nella parte in cui restringevano alla fase istruttoria l’operatività delle ipotesi di scarcerazione per decorrenza dei termini, facendo sì che i termini dettati dall’art. 272 c.p.p. da quel momento in poi avrebbero limitato la durata massima della carcerazione preventiva, indipendentemente dalla fase del processo. Tra la decisione e la pubblicazione della sentenza intervenne il legislatore con il d.l. 1 Maggio 1970, poi convertito nella l. 1 Luglio 1970 n. 406 che, recependo la volontà dei giudici costituzionali, oltre a ridisegnare i termini massimi di carcerazione durante la fase istruttoria, sanciva al V comma <<che l’imputato venisse scarcerato se non è intervenuta sentenza irrevocabile allorquando la durata complessiva della custodia preventiva ha oltrepassato il doppio dei termini massimi stabiliti in rapporto all’istruzione formale, da computarsi, nel caso in cui già fosse stata pronunciata condanna (ovviamente non definitiva), con riferimento alla pena prevista per il reato ritenuto in sentenza104>>.