• Non ci sono risultati.

poi la radio annunciava il segnale orario da neuchatel con la voce inconfondibile tranquilla e calda di mario Casanova, al terzo tocco sono esattamente le ore 12 e 30 minuti, da Berna il notiziario dell’agenzia telegrafica svizzera: “sul fronte orientale l’armata del Generale Von Paulus, che da giorni ha attaccato leningrado sembra incontrare grande resistenza… In nord africa il maresciallo Rommel ha subito grandis-sime perdite dovendosi ritirare di fronte ai carri armati di montgomery - ecc…- ecc..”.

Questi nomi - notizie - a me che avevo 9-10 anni, facevano un brutto effetto: vedendo la preoccupazione dei miei genitori, anche se un po’ confuse mi ronzavano nella mente, pensavo,

100

ma chi era quel Rommel, cosa ci faceva in africa, ma dov’era l’africa,… e leningrado sarà più grande di Bellinzona?...

ma quello che mi metteva piu in ansia, la sera, l’oscuramento, tutte le aperture della casa chiuse e oscurate con una carta blu scura sulle finestre.

I pochi lampioni delle stradine acciottolate del paese spenti. Poi la notte, svegliati da quel sor-dido -Wuu-Wuu-Wuu degli aerei bombardieri americani o inglesi che passavano a quota relati-vamente bassa. a scuola la maestra non parlava mai di guerra. noi eravamo nelle prime classi, aveva semplicemente aumentato le preghiere al mattino all’inizio delle lezioni. a me mancava anche mio padre, che arrivava in congedo e dopo qualche settimana doveva ripartire sotto le armi.

Per me la cosa difficile da accettare era non poter correre tutte le sere, il dopo cena, dalla mia casa alla casa di mia nonna, che distava un tiro di schioppo. e mia zia margheritin che preparava spesso, le caldarroste, o la torta di pane e verdura: detta “smeazza”, o una pera di quelle dolcissime, erano dell’albero grande vicino alla stalla, dall’altra parte della “carà”.

la nonna già in là con gli anni, mi accoglieva con un “te se scià neno”, “ te se miga borlò giu’! sì perché il più delle volte, correndo per la “carà’”

con l’acciottolato sconnesso mi capitava d’in-ciampare, maltrattando gomiti e ginocchia. Poi c’era di mezzo la Blessa, la cavalla del “Ceserin”, grande tutta nera, con solo una striscia bianca sulla testa, dalla fronte alle froce… - mi faceva una paura boia… - Davanti a quella stalla era obbligatorio passare e lì facevo la freccia! “Cos la dic la radio de la guera neno”? Domandava la nonna! “Ma..., el pà el dis che l’è miga amò finida e che la narà a mò a la longa”! “Ma car Signor per chela pora gent!” Cosi concludeva la nonna facendo il segno della Croce.

Quella sera dal treno delle 21.30 era sceso a lostallo il sodato marco. la sua compagnia di mitraglieri era stanziata sul san Gottardo.

aveva 3 settimane di congedo perché dalla fine del 1938 dopo aver assolto la scuola reclute, aveva fatto due mesi a casa, ma in seguito, all’aggravarsi della situazione; era stato messo subito sotto le armi. In tempi cosi perniciosi per tutti, i militi ogni sei mesi di servizio continuato ottenevano 3 settimane di congedo.

marco che in quel periodo aveva 24 anni, a suo carico aveva sua madre e un fratello che poverino faceva quel che poteva. ma lui aveva dalla sua parte un paio di cose molto importanti. si dava da fare con intelligenza e con l’innata simpatia;

sapeva cavarsela benissimo in ogni situazione. In quelle tre settimane di congedo doveva mettere in stalla il terzo fieno; sempre che il bel tempo lo aiutasse, per le due mucche: e anche la legna per l’inverno.

ma la cosa che faceva più volentieri l’aveva appresa dallo zio Carlo, sin da ragazzo; mettere in solaio per l’inverno della carne a essiccare.

Ciò significava caccia. la carne più adatta era di camoscio! marco in quel tipo di esercizio non era secondo a nessuno. Conosceva la montagna come le sue tasche, avendo già da giovinetto fat-to il pasfat-tore nei diversi alpi del nostro paese. Per ingannare la malinconia nelle lunghe giornate estive, suonava l’organino a bocca. attorniato da mucche e capre, già da quei tempi aveva capito che la vita per lui sarebbe stata sempre un po’

in salita. lo zio Carlo gli faceva da padre; lui il padre non l’aveva. Da suo zio aveva imparato un sacco di cose semplici ma utili.

Così quella sera prima di andare a casa, si recò molto in fretta dal signor Commissario di polizia che lui conosceva molto bene, anche se l’orario non era il più adatto a staccare la patente di caccia alta. la caccia iniziava come sempre il 9 settembre, ossia il mattino dopo.

Il Pep della Posta sbrigò la faccenda delle patenti in pochi minuti, anche perché conosceva molto bene la situazione del marco. Cercava di aiutarlo il più possibile. non voleva, il “commissari”, fare torto a sua figlia, studentessa a Coira, che dimostrava una grande simpatia per il marco.

arrivato nella sua piccola casa in quel di Pa-squé, dopo i soliti convenevoli con la madre e il fratello, preparò tutto l’occorrente, il sacco da montagna il fucile e il resto, l’indomani mattina di buon’ora sarebbe partito per la Val Gamba.

marco non era alto di statura, ma ben piantato in terra, robusto con quel particolare petto di pollo, sinonimo di resistenza e forza fisica.

seguendo il sentiero del “Cran - Val sabbion - scalot - Portèla - bosc de montogn, entrò in Val Gamba che era ormai giorno.

Il suo programma, era cacciare sul “Cost de la

101

lavinèta”. Quel posto così chiamato perché in inverno con neve abbondante scorreva a valle la “slavina” o valanga portando a fondo valle sassi e legname. aveva però il pregio, se così si può dire, che puliva la valletta e la primavera seguente cresceva un’erbetta tutta nuova che ai camosci piaceva un sacco!

In cima al coste, verso settaggio, c’era il passag-gio detto “la senda della lavinetta”. sono zone di camosci ma anche per cacciatori che con la montagna hanno una certa pratica. Per chi vuol fare una passeggiata in montagna quello non e’

il posto ideale.

marco che a quel punto aveva già fatto una notevole sgambata, stava facendo una possa. In un posto dove aveva una buona visuale sul coste di fronte; quello verso “ Padion “.

stava mangiando un boccone. si godeva il si-lenzio e la tranquillità insieme alla bellezza della montagna, anche la giornata era buona. Di nega-tivo per un cacciatore era l’aria che tirava verso l’alto, portava il suo odore ai camosci sopra di lui. Quindi quelli se c’erano, l’avrebbero di certo avvertita! marco era seduto tranquillo, aveva deciso di prendersela con calma. Con più il sole

scendeva, meno l’aria lo avrebbe danneggiato.

D’un tratto, sopra di lui, forse un duecento metri proprio dove sperava di trovare i camosci, dentro quella gagnetta, partì una cannonata che sortì l’effetto di dargli uno scossone, da seduto si ritrovò in piedi! - “non e’ possibile”

disse fra sè, “nessuno mi ha preceduto”. Per tutto il cammino non ho visto nessuna traccia di scarpe, scarponi o quant’altro. ma chi potrà mai essere su da queste parti a quest’ora? e per di più armato?

Cercò di scrutare su per quelle cenge; niente, ascoltò, nessun suono, nessun rumore, tutto tranquillo.

si decise, prese il sacco e il fucile - il suo “ 102

“ schmid Rubin 1998 - e incominciò a salire il costone facendo la massima all’erta.

Camminava da circa una mezz’ora, un fischio lo fermò. si accasciò e aspettò! Da dietro una piccola gronda sulla sua destra spuntò a poco a poco una canna a fusto completo di un fucile, comparve anche un cappello grigio verde come da militare. Poi un secco: “Chi sei?” marco non rispose: - puntò il suo fucile e fece il mo-vimento di carica. a quello sferragliamento,

Veduta di Val Gamba

102

la canna dietro il “crap” che aveva visto prima si ritirò pian piano. stette fermo e in ascolto.

la situazione incominciava ad essere pesante.

si domandava tra la tensione e la curiosità;

“Riuscirò a cavarmela?” sentì due fischi poi più niente! Quella situazione durò una decina di minuti.

Quando avvertì dei piccoli rumori dietro di sé, girò la testa pian…piano; un uomo alto vestito da militare, mal messo con una divisa che non era una vera divisa militare e nemmeno quella di un “ finanziere” per dirla alla “Varisto”

con un’espressione decisa ma non aggressiva gli disse secco! –“non abbia paura, siamo in guerra, ma lei non centra!”-.

aveva nella mano destra, lasciata penzolare con il braccio sul fianco, una pistola. marco a quella vista era sbiancato in volto, ma poi sì rimise un po’. Pensava.. “se questi non mi fregano, gli suono la marcia trionfale dell’aida con l’organino a bocca”. l’uomo gli si avvici-nò con passo lento, poi lì a due passi gli disse:

-“Buon giorno .., bella giornata di caccia vero?”- si curvò e gli tese la mano: -“sono max!”-.

In quella mezz’ora che marco e max sedettero uno vicino all’altro, si parlarono e si chiarirono.

marco, che quando mi raccontò il fatto erano passati vent’anni, non era al cento per cento sicuro di com’erano andate le cose, e di tutto quello che si dissero in quel momento.

era troppo stressato e coinvolto, non dalla paura ma dall’emozione. era sicuro però che quel max era un comandante di grado; un gentiluomo.

Quando seppe la situazione di marco, fece un fischio, il partigiano lodi, cosi lo chiamava il co-mandante, sbucò da dietro il “crap”. Imbracciava un fucile con puntamento a cannocchiale, (dalla descrizione di marco, un’arma semi automatica springfield Garand 30-06, americano-. arma da guerra ad alta precisione). Il max gli disse:

-“Quando lo hai messo a posto portalo qui”-.

–“e’ già a posto!”; -“allora va a prenderlo!”-.

marco non capiva, finché lodi arrivò trascinan-do un bel becco di camoscio. –“Questo e’ per te per tua madre e per tuo fratello, a condizione, come hai promesso, di dimenticare quello che hai visto oggi”-. max fece ancora due fischi, da su in cima al coste un luccichio di metallo attirò la sua attenzione. max gli spiegò che quello

era il mitragliere di vedetta. lui era stato sotto tiro da quando aveva attraversato il riale già in fondo alla valle. Quella notizia non tranquillizzò marco.

Parlando prima con max, gli aveva confidato che loro cinque Partigiani si erano salvati entrando dalla bocchetta di settaggio, portando con loro un compagno ferito.

erano riusciti in extremis a evitare lo scontro a fuoco ravvicinato con Tedeschi e Fascisti.

Quelli avevano scatenato un rastrellamento, impegnando uno schieramento di uomini e mezzi di grande portata.

Cercavano partigiani e disertori, nella Valle del lario e Chiavenna. Dovevano stanziare oltre il confine solo pochi giorni, fintanto che Fascisti e Tedeschi si fossero ritirati.

Questa la prima parte della storia.

molti anni dopo, finita la stramaledetta guerra, l’alpe di Val Gamba era caricato di mucche e capre come sempre. Un uomo di sorte e sua moglie, erano i casari, il loro figlio adottivo di sedici anni il pastorello.

andando in cerca di capre sul coste della “la-vinetta” oltrepassando la senda, il pastorello s’imbatte’ su una cengia in un anfratto, un qual-cosa come una piccola caverna, con uno spiazzo sul davanti abbastanza grande da poterci stare seduti senza il pericolo di volare di sotto. C’era ancora del legname lavorato ma ormai marcio, doveva servire a tenere in piedi un riparo, un tetto. I segni che si era acceso il fuoco erano ancora visibili.

Tutto questo testimoniava che lì delle persone c’erano state, magari anche per lungo tempo!

Quando il marino, che da pastorello è diven-tato un mio caro vicino di casa e compagno di caccia, su in quel di “Bon”, mi raccontò questo episodio, ne rimasi stralunato. mi disse che su una “pioda” appoggiata alla gronda erano incise delle parole ancora abbastanza leggibili e una data! - 1944 - a perenne ricordo! –“ma va?”- risposi. –“ne sei sicuro?”. –“e si!”-. e poi il marino non è certamente un uomo da raccontar “fanapole”. Poco tempo fa ebbi un ulteriore conferma, l’amico e cacciatore di Val Gamba Paolo, mi confermò la stessa cosa! “a perenne ricordo”. la scritta così concisa lascia

103 una blanda sensazione di cimitero, di

testimo-nianza funebre.

la persona che ha operato l’incisione, finita in poche parole, forse non ha avuto il tempo di completarla o non era in possesso di dati precisi?

nessuno ormai potrà testimoniare cosa è vera-mente avvenuto su in quel rifugio di Partigiani.

ma il racconto di max fatto a marco; e cioè che si erano portati un compagno ferito, lascia molti dubbi!

Come mai il max, che secondo il racconto di marco, era un capo partigiano (doveva essere

un dritto), non domandò a quante ore di cam-mino c’era un dottore, medico o un ospedale da poter curare il ferito? o forse lo stesso max era un medico?...

Chissà se con una ricerca mirata si potrà saperne di più su questo triste episodio!

Il marco, nella sua non lunga vita, ha avuto la fortuna di una brava moglie e una bella nidiata di figli. lui ora riposa nel piccolo cimitero di Cabbiolo. Chissà se di lassù vede che tutti i cit-tadini del paese che lo hanno conosciuto bene lo ricordano sempre con tanto affetto!

Bruni Rizzi nel riparo

o preso la patente di caccia nel 1989. Già allora, i soci cacciatori che battevano la Val Gamba, menzionavano che nella zona c’era un rifugio usato dai Par-tigiani durante l’ultima guerra. lo si diceva situato sulle ripide cengie sul versante di fronte all’alpe di setagg, ma nessuno lo aveva loca-lizzato. Con la Val d’arbola, la Val Gamba è una delle due ampie valli che da lostallo-Cabbiolo, si apro-no a ventaglio fiapro-no allo spartiacque

di confine verso la Valchiavenna. Dopo alcuni anni, sollecitato dal desiderio di scoperta, sono andato alla ricerca del menzionato rifugio.

mi sono perciò recato fino in cima alla valle cercando un passaggio per arrivare alle cengie.

Il pendio è impervio, però sono giunto nella zona dove, secondo i resoconti, doveva esserci il rifugio. mi sono trovato a un grosso abete sotto le cui radici si vedevano delle piode. Io stavo scendendo il ripido pendio e non ho potuto

avere visione se sotto le radici dell’abete e le piode ci fosse qualcosa di particolare. Perciò ho continuato a girare cercando. Poi sono di nuovo arrivato all’abete, ma dal di sotto.

Ho visto allora un piccolo pertugio, di circa 80 centimetri per 60, che s’intrufolava sotto all’abete. sono entrato nel pertugio e mi sono trovato nel tanto decantato riparo.

Il riparo, mi sembra più giusto chiamarlo così che non rifugio, è un vano di circa metri 1,80

H