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«”Das sind die Favoriten”, avevano detto annunciando la pattuglia numero 31, quella del caporale Carlo Lanfranchi, alla partenza per la corsa di brigata alla Luziensteig nel 1952» mi racconta Nicola Cortesi, uno dei protagonisti di quella memorabile spedizione. «E noi siamo rimasti perplessi, perché l’anno precedente a Flims non avevano detto niente e quel silenzio ci aveva portato fortuna: ci eravamo classificati al secondo posto su 140 gruppi, uno più agguerrito dell’altro». Incuriosito gli feci alcune domande, e Nicola finì per raccontarmi come si erano svolte quelle gare, premettendo che ora aveva 83 anni, ne erano passati quasi 60, la memoria e le forze non erano più quelle di allora. Quindi poteva aver dimenticato qualche particolare e sbagliarsi in qualche punto. Comunque erano state esperienze indimenticabili.

C

orreva l’anno 1950 e il ricordo della guerra era fresco nella mente di tutti. I nostri soldati e ufficiali prendevano sul serio il servizio militare. Difendere la patria contro qualsiasi minaccia erano parole piene di significato, e non temevano alcun sacrificio per essere all’altezza del loro compito. Si aggiunga inoltre che a volte avevano l’impressione di non essere presi del tutto sul serio dai loro colleghi d’oltremonte, con i quali del resto intrattenevano ottimi rap-porti; coglievano sui loro volti anche qualche mal celato risolino a causa di certe particolarià nell’uso della lingua tedesca.

«Ah sì, gliela facciamo passare noi la voglia di ridere» si dissero alcuni fra i più prestanti soldati della III 93.

Fu così che tre o quattro gruppi di quattro militi della compagnia si iscrissero alla corsa di brigata del 1951. Si trattava di una gara di orientamento lunga 18 km con un dislivello di quasi tremila metri tra salita e discesa, da percorrere in divisa e scarponi, con fucile e munizioni, complicata da esercizi di lancio di granate e gara di tiro, nonché dal fatto che il percorso era sconosciuto e

quindi dovevano orientarsi per mezzo della carta geografica e della bussola. Bisognava prestare la massima attenzione per individuare tutti i posti di controllo. Bastava sbagliarne uno per essere squalificati. Tutte cose che non facevano paura a quei giovanotti. Ogni gruppo si preparò alla competizione per conto proprio con diverse cor-se di allenamento. Dopo una faticosa giornata di lavoro, il caporale Carlo Lanfranchi, l’appuntato Clemente Capelli, l’appuntato Nicola Cortesi e il fuciliere Giovanni Rampa partivano dalla vecchia palestra di Poschiavo, l’attuale piscina, passavano per Cologna, Prada, Cantone, Le Prese, Calchera, ponte di Fananco, S. Maria e tornavano alla palestra. Da principio ci metteva-no circa un’ora, col tempo memetteva-no di 55 minuti.

Venne il giorno della corsa di brigata. Le pat-tuglie della III 93 - scortate dal capitano Loris Mascioni e dal tenente Sergio Zala, fieri che la loro compagnia fosse così ben rappresentata - si recarono a Flims, il luogo della partenza.

Trovarono il villaggio invaso da molti ufficiali e da 140 pattuglie di giovani determinati a dimostrare il proprio valore. Fu annunciata la meta della corsa: Elm di là dal passo Segnes nel

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canton Glarona. Uno sguardo alla carta: con le montagne, i torrenti, i cascinali, i sentieri incon-fondibili era facile orientarsi nelle grandi linee.

La competizione ebbe inizio; ogni due minuti partiva una pattuglia. Era autunno, il tempo

mite. I nostri attesero ansiosi il via. Partirono un tantino frastornati, ma per strada ripresero lena. Su e su sempre più in alto, attraverso boschi folti, canaloni e balze, radure, pascoli, lasciando dietro di sé parecchie formazioni.

Più si alzavano e più gli alberi si diradavano. A un certo punto, dove meno se l’aspettavano, avvistarono una signo-ra. Avvicinandosi la vi-dero sorridente, disin-volta, affascinante: era la signora Giovanna, moglie del capitano, venuta chissà come fino lassù per infondere loro coraggio. Quando le passarono vicino, lei disse sempre sorridendo:

«Viaggiate a due gradi con la bussola». Così poterono continuare senza perdere un secondo.

Quell’apparizione infuse loro nuova energia.

E su e su. In un pascolo deserto incrociarono un ragazzetto di forse 12 anni con tanto di cappello e bastone. Gli chiesero dove fosse il passo. Ma lui, sia per timidezza sia perché non aveva capito la domanda, tirò innanzi senza rispondere. Via di nuovo. Superarono il limite del bosco. La configurazione geologica cambiò completamente. Pascoli un po’ pianeggianti e un po’ ripidi, qua e là rocce o sassaie. Arrivarono ai piedi di un erto costone interamente coperto di neve gelata, alto forse 200 m; sembrava invalicabile. Guardarono meglio. In un punto era stata praticata una scala che chiamavano

«a samba», non fatta di gradini ma di due file di buchi incavati nel ghiaccio gli uni sopra gli altri, per attaccarvisi con le mani e appoggiarvi i piedi. La presero d’assalto con gli schioppi alla schiena. A metà parete intopparono in un uomo dai capelli grigi, un maggiore, che da vero incosciente procedeva a stento e ostruiva loro il passo. Gli diedero una voce. Egli si fece da parte occupando solo metà della scala. Lo sorpassaro-no sorpassaro-non senza grandissima paura per la vita loro e dell’ufficiale, perché se qualcuno si fosse staccato

Gli uomini di tre pattuglie della III 93 con il capitano Loris Mascioni in occasione della corsa di brigata a Elm nel 1951

Da sinistra: i fucilieri Basilio Crameri e Giovanni Rampa, l’appuntato Nicola Cortesi e il caporale Carlo Lanfranchi nell’ultima volata sulla Luzien-teig nel 1952

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si sarebbe sfracellato sulla sassaia ai piedi della neve, dove non avevano messo nemmeno una balla di paglia per attutire un’eventuale caduta.

Una paura che si fece terrore guardando in giù nella parte più alta. Nicola la risente ancora oggi ogni volta che ci pensa.

Finalmente arrivarono sul filo, una striscia pianeggiante larga pochi metri: uno sguardo ai Grigioni e uno al Glarona, uno spettacolo ineffa-bile, breve come un lampo. Si trovarono davanti un banco fatto di neve gelata dalle dimensioni di un tavolo, sul quale erano disposti quattro bicchieri di cartone ben puliti, pieni di un buon tè caldo ma non troppo, messo lì apposta per loro. Con la sete che avevano lo tracannarono avidamente, ringraziando in cuor loro gli altru-isti che l’avevano preparato defilati dietro una roccia poco lontano; sicuramente continuavano a prepararne per tutti i gruppi che seguivano.

Rinfrancati si precipitarono come forsennati nella discesa sul terreno friabile e scosceso del versante glaronese, usando il fucile per frenare, tenere l’equilibrio e questionando se si doveva mettere il copricanna o meno per impedire che vi entrasse terra e fango ed evitare che si

rovinas-se l’arma sparando al bersaglio. Per non perdere tempo proposero di pulire la canna con la corda prima del tiro e proseguirono come frecce. E sarebbero corsi ancora più veloci, se uno di loro a un certo punto non fosse stato colto da un ter-ribile mal di pancia. Comunque individuarono tutti i posti di controllo e piazzarono le granate nel migliore dei modi. Al tiro al bersaglio, fatto di tegole marsigliesi poste a una distanza di 150 metri, dimenticarono di pulire la canna con la corda. Si sdraiarono, ognuno prese di mira il proprio oggetto da mandare in frantumi. Tira Capelli. «Getroffen» grida l’ufficiale che con-trolla dietro di loro. Tira Rampa. «Getroffen».

Tira Cortesi. «Nicht getroffen» grida ancora più forte l’ufficiale. «Come non colpito?» si ribella deciso Nicola. «Non ha visto quella nuvoletta di fumo sulla roccia dietro il bersaglio?». L’ufficiale controlla con il cannocchiale e infatti constata un buchino nel centro della tegola che, contra-riamente a ogni aspettativa, era stata perforata senza frantumarsi. «Getroffen, Entschuldigung, getroffen, getroffen» ripete varie volte l’ufficiale.

Restituirono tre cartucce su sei, ottenendo un abbuono di sei minuti.

I vincitori della corsa di brigata del 1952 – «Die Favoriten» – con la coppa ambulante

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Al traguardo si rifocillarono e si riposarono, mescolandosi alla folla presente in un clima di grande festa. Alla sera, quando nel silenzio ge-nerale all’altoparlante fu annunciata la classifica, credettero di sognare: la pattuglia Lanfranchi della III 93 fu proclamata seconda su 140 con un minimo distacco dalla prima. Per loro fu chiaro:

senza quell’infausto mal di ventre sarebbero arrivati primi. Presero in consegna il premio, una bottiglia di vino. Vennero festeggiati come eroi da tutti e in particolare dalle altre pattuglie poschiavine, dal capitano e dal tenente, che non stavano nella pelle dalla contentezza, poiché con quel piazzamento la pattuglia Lanfranchi avreb-be potuto partecipare di diritto alla corsa di ar-mata nel canton Argovia. La III 93, non sempre presa sul serio, avrebbe finalmente figurato fra il fior fiore delle compagnie in campo nazionale.

I nostri si allenarono e si presentarono alla corsa d’armata. Di nuovo c’erano i loro ufficiali. Le regole, le modalità di partenza, la durata, le gare di tiro erano simili a quelle della corsa di briga-ta. Ma siccome la gara si svolgeva in una zona pianeggiante, con tanto bosco, senza i punti di riferimento inconfondibili delle montagne e dei corsi d’acqua, ci si doveva orientare con la bussola, che faceva perdere tempo continuamen-te. C’era inoltre un esercizio di avvistamento del nemico e, invece delle salite e discese che permettevano di guadagnare preziosi minuti, c’erano chiazze di neve che rendevano disagevole il tragitto. Il caporale Lanfranchi e i suoi uomini capirono presto che le cose sarebbero andate diversamente che a Elm. Comunque fecero del loro meglio e si piazzarono circa nel mezzo della classifica, non senza una certa delusione da parte loro e degli ufficiali. I quali, seguendo a loro vol-ta il percorso, avevano studiato la dinamica della competizione e il comportamento delle altre pattuglie. Constatarono che erano avvantaggiate le formazioni pratiche del terreno e quindi non si poteva parlare di pari opportunità.

Il mediocre successo alla corsa d’armata nel canton Argovia non scoraggiò comunque il caporale Carlo Lanfranchi e i suoi. Per il 1952 si iscrissero di nuovo alla corsa di brigata, che avrebbe avuto luogo sulla Luziensteig. Era una giornata autunnale con il cielo nuvoloso, face-va già freddo. Al gruppo Lanfranchi toccò il

numero 31. Questa volta al posto di Clemente Capelli c’è Basilio Crameri, più determinato di tutti a far bella figura. Con l’incoraggiamento dell’altoparlante parte la prima pattuglia, poi un’altra ogni due minuti e il presentatore continua a commentare. Passa oltre un’ora in cui i nostri uomini, tesi al massimo, prendono un po’ di freddo e non si sentono a loro agio.

Finalmente vengono annunciati:

«Patrouille 31, III 93, das sind die Favoriten, hopp hopp hopp».

Per un attimo i nostri sono perplessi, temono che questo annuncio non sia di buon augurio.

Comunque partono a razzo, poi si ricordano che il regolamento prescrive - e i medici del battaglione raccomandano - di percorrere i pri-mi due chilometri in non meno di 12 pri-minuti.

Allora rallentano un po’, il cuore riduce i battiti, i muscoli si riscaldano e si sciolgono, la tensione sparisce. Il primo tratto è in discesa verso Fläsch.

Da lì affrontano come leoni la salita per valicare la vicina montagna. Qui la bussola non ci vuo-le. Serve la carta, che tengono d’occhio come sparvieri per non mancare alcuna postazione prescritta, superano altre pattuglie, lanciano le bombe a mano, raggiungono il filo della cresta.

Scendono a balzi come camosci frenando con il calcio dei fucili. Si sdraiano davanti ai bersagli, sparano alle solite tegole. Tutti colpiscono, restituiscono tre cartucce: 6 minuti di sconto.

Arrivano vicino al confine con il Lichtenstein.

Con i fucili spianati come clave sulla spalla, risal-gono come il vento la radura verso il traguardo sul passo. Sono salutati e incitati a gran voce da una marea di gente accorsa a vedere, in divisa e senza. Si sfamano, si riposano. La sera sono proclamati vincitori: i primi di 140 pattuglie.

Fra un delirio di acclamazioni i vincitori prendo-no in consegna la coppa itinerante, le coppette personali, la bottiglia di vino. Gli ufficiali e gli altri gruppi poschiavini sono al settimo cielo. La III 93 è la prima del battaglione, della brigata, è all’onore delle cronache in campo cantonale e oltre. Nell’euforia il capitano promette due giorni di congedo al prossimo corso di ripeti-zione. La pattuglia Lanfranchi viene iscritta alla corsa di armata, questa volta ad Allmend nel Canton Lucerna, ancora una volta su terreno pianeggiante.

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I nostri uomini si preparano di nuovo. Ad Allmend partono decisi a tutto, ma l’uso della bussola resta per loro sempre fastidioso. Ogni cento o duecento metri chi la consulta deve togliersi l’orologio, dare ai compagni il fucile e gli oggetti di metallo per liberarsi di ogni potenziale campo magnetico che possa deviare l’ago. Si tengono meticolosamente alle regole, ma a un certo punto sbagliano. Con grande dispendio di energie ritrovano il tracciato giusto.

Arrivano a una postazione dove si dovrebbe avvistare il nemico. Ma dove sarà. Laggiù nella piana, sporge dal bosco un tronco lavorato e due sagome dalla parvenza umana; sembra che stiano tirando il segone. «Ecco il nemico» dice Nicola.

«Ma che nemico» contraddice nervosamente un compagno. Qualcuno sostiene Nicola, qualcuno l’altro, e continuano a discutere rabbiosi causa tutto il tempo perso e le forze sprecate. In quel mentre notano un colonnello, ben piantato, oscuro in volto, che si avvicina a pochi passi e con voce potente dice in italiano: «Certo, quello è il nemico!».

Come per incanto torna la concordia. Segnano la postazione del nemico sul foglio apposito

Foto ricordo sulla Luziensteig nel 1952

e ripartono. Lanciano le bombe a mano. Ora Nicola è in testa, precede il suo gruppo di una ventina di metri. A un tratto si accorge che qualcuno sta per raggiungerlo a grandi falcate.

Si volta; è un ufficialetto che ha sì e no la sua età. Procede sicuro senza consultare la bussola distaccando il suo gruppo di almeno 30 metri.

«Ahà» si dice Nicola «questo conosce perfetta-mente il percorso; o ha potuto studiarlo prima, o ha addirittura aiutato a tracciarlo». Nicola gli si attacca alle calcagna, deciso a non mollarlo più, e gli domanda il nome. «Leutnant Suppiger!»

risponde sorridendo l’ufficiale, esilarato dalla gioviale confidenza che si prende l’interlocutore.

E non l’avrebbe più mollato, Nicola. Ma a un certo punto si guarda indietro e constata che i suoi uomini, affaticati per quel lungo giro fuori programma, non ce la fanno più a stargli dietro e perdono terreno. L’appuntato deve pertanto lasciarlo andare e aspettare i suoi commilitoni, mentre i rivali scompaiono nel bosco. Bacca-gliando con la bussola arrivano ai bersagli. Di nuovo tutti colpiscono e ottengono lo sconto di sei minuti.

Poi la pattuglia riprende di lena la corsa. A

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forse un chilometro dal traguardo risprofonda in un bosco e nella gran foga perde di nuovo la direzione giusta. I nostri sono scoraggiati; questa è la volta che stanno per essere squalificati dav-vero. In quella, sulla destra, sentono un fruscio in mezzo al fogliame e notano un ufficiale che senza proferir parola accenna loro di ripiegare a sinistra. È il tenente Zala. Non perdono tempo, si portano in quella direzione, scorgono una pat-tuglia filar via, la inseguono. Uscendo dal bosco, su un prato vedono una lunga fila di bandierine che porta dritto al traguardo. Qualificati.

Mentre attendono la proclamazione della graduatoria, il caporale Lanfranchi e i suoi uo-mini commentano l’impresa. Con loro, oltre al tenente Zala, c’è il capitano Mascioni, il quale si era preparato sulla sinistra; se sbandavano da quella parte provvedeva lui a rimetterli in car-reggiata. Ma chi era quel colonnello burbero che aveva riportato la pace fra loro e gli aveva fatto guadagnare un po’ di tempo? Il colonnello e futuro brigadiere Guido Rigonalli della Calanca.

Venne la sera, la fine delle corse e la proclama-zione della classifica: in testa a tutti la pattuglia del tenente Suppiger. Loro all’83.esimo posto su 150 pattuglie. Comunque un ottimo

piaz-zamento se si considera che l’alternativa poteva essere la squalifica.

L’anno seguente al corso di ripetizione a Salouf in Val Sursette, silenzio di tomba in merito al trionfo della Luziensteig. Il capitano sem-brava aver dimenticato la promessa dei due giorni di congedo. Una sera Nicola e Carlo lo affrontarono in camera sua mentre stava per coricarsi. «Siamo qui a chiederle quello che ci ha promesso» gli rammentò Nicola secco e deciso. «Potete partire subito» disse il capitano e aggiunse qualche raccomandazione. I quattro militi partirono quella sera stessa e si recarono a piedi a Tiefencastel per prendere il treno. Il giorno dopo ci fu quel tragico incidente per una granata difettosa dei lanciamine per cui persero la vita Daniele Costa, Mauro Lardi e un Gredig di Davos.

«Ormai sono morti anche Carlo e Giovanni e tanti altri soci di quei bei tempi» dice Nicola, e conclude: «Morti anche il capitano e il tenente, che era diventato a sua volta il comandante della compagnia. Per l’aiuto che ci hanno dato e in particolare per quella comparsa nel bosco ad Al-lmend, anche se non andavo sempre d’accordo, conservo di loro un grato ricordo».

L I R I C A