• Non ci sono risultati.

a tu per tu con Dio: il racconto della creazione (Gn 2,4b-24)

Introduzione

Avete mai provato a immaginare un mondo senza nomi propri? O una storia in cui i personaggi non abbiano un nome? Per noi è difficile immaginare un mondo o una storia senza nomi. I nomi propri mettono ordine nel nostro mondo e nelle nostre storie. Permettono di riconoscere una persona, di nominarla, di identificarla, di chiamarla. Il nome è stretta-mente legato alla nostra identità: è ciò con cui ci presentiamo agli altri e con cui gli altri ci interpellano. Noi siamo dunque abituati a dare un nome a tutto: persone, luoghi, oggetti.

Eppure la Bibbia incomincia a raccontarci la storia di un essere umano che non ha ancora un nome proprio. Nel secondo racconto della creazione (Gn 2,4b-24) – come d’altronde nel primo – non compare nessun nome proprio.

Adamo non è ancora Adamo ed Eva non è ancora Eva. Noi siamo talmente abituati a pensare al primo uomo come Adamo e alla prima donna come Eva che quasi non ce ne accorgiamo. Eppure, in questo racconto, i loro nomi non ci sono ancora. Il primo uomo e la prima donna vengono al mondo senza un nome proprio. Ne riceveranno uno solo più tardi.

I primi sostantivi con cui viene designato l’es-sere umano non sono nomi propri ma nomi

comuni, nomi che possono indicare qualsiasi essere umano. Per parlare dell’essere umano il racconto utilizza due nomi generici che hanno una particolarità importante, quella di espri-mere una relazione. Come a dire che l’identità dell’essere umano si esprime attraverso una relazione prima ancora che attraverso un nome proprio. Alla radice dell’identità umana, se-condo il racconto biblico, c’è una relazione, o meglio una triplice relazione. Tre sono infatti le relazioni che fanno dell’essere umano una creatura veramente e pienamente umana.

1. la relazione con la terra

Se volessimo tradurre alla lettera il testo ebrai-co, laddove le nostre traduzioni dicono «Dio il Signore formò l’uomo» dovremmo dire piuttosto

«Dio il Signore formò il terroso (o il terrestre)».

Né Adamo, né l’uomo, ma il terroso. Il termine utilizzato in ebraico, «adam», deriva infatti da «adamah», parola che in ebraico significa appunto terra. Noi abbiamo fatto di Adamo un nome proprio, perdendo così il riferimento semantico alla terra. Ma nel racconto di Genesi 2 il nome «adam» non è ancora utilizzato come nome proprio. «Dio il Signore formò il terroso».

Il primo nome che l’essere umano riceve de-scrive una relazione. Il suo nome dice poco o

39 niente di lui, ma parla innanzitutto della sua

relazione con la terra.

L’uomo è estratto dalla terra, è formato con la polvere della terra. Non si tratta tanto di una descrizione fisica o anatomica – noi sappiamo oggi che il nostro corpo più che di terra è formato da acqua – ma piuttosto di un’affer-mazione di carattere teologico sulla natura dell’essere umano. Il riferimento alla terra sta a indicare la fragilità, la mortalità, la finitezza dell’esistenza umana.

Ma se la vita dell’essere umano è legata alla terra è vero anche il contrario. Anche la vita della terra è legata all’uomo. Il loro rispettivo nome, «adam» e «adamah», esprime proprio il legame stretto e vitale che esiste tra di loro. La terra non è terra – viva, fertile, feconda – finché non c’è l’uomo che la lavori, che la coltivi, che si prenda cura di lei. Il giardino posto da Dio non è una semplice scenografia che fa da sfondo allo svolgersi della vita umana. Né tanto meno è una riserva di risorse a disposizione dell’uomo. Il giardino è creato per la vita, è creato in vista di una relazione armoniosa tra l’essere umano e la natura. La vita dell’essere umano è chiamata a crescere in relazione a quel giardino e nello stesso tempo la bellezza del giardino nasce dalla relazione armoniosa con l’essere umano. Questa relazione implica due cose: lavoro e cura. Il lavoro senza la cura ha portato alla realtà che si presenta oggi ai nostri occhi, una situazione di sfruttamento, di dominio, di distruzione e di spreco.

Tra la terra e l’umanità esiste dunque un lega-me di dipendenza reciproca. Il lega-messaggio del secondo capitolo del libro della Genesi rivolge una pesante accusa al nostro modo di vivere odierno. Se anche oggi è chiaro che la terra di-pende dall’essere umano, quest’ultimo ha però perso quasi completamente la consapevolezza di dipendere dalla terra. Il rapporto di dipen-denza reciproco si è trasformato in un rapporto a senso unico, il rapporto armonioso voluto da Dio è diventato un rapporto di sfruttamento, di razzia, di rapina.

Il primo nome dell’essere umano esprime un legame stretto e vitale con la terra. Questa è la prima relazione che definisce l’essere umano.

Una relazione che siamo chiamati a riscoprire

affinché il legame tra l’essere umano e la terra possa ritrovare l’armonia voluta in origine da Dio.Ma benché la relazione tra l’essere umano e la terra sia una relazione intima e vitale, questa non è sufficiente per fare del terroso un uomo.

Ci vorrà una seconda relazione per completare l’opera di creazione dell’essere umano.

2. la relazione con un vis-à-vis

«Il Signore disse: Non è bene che l’uomo sia solo».

La solitudine non è conforme al progetto crea-tore di Dio. Non è bene: queste parole ricordano per contrasto le parole che ritmano il primo racconto della creazione (Dio vide che questo era buono). «Non è bene che l’uomo sia solo».

L’uomo solo non è ancora creatura di Dio. Ci vuole un altro legame, un’altra relazione, che farà di questo terroso un uomo. Ci vuole un vis-à-vis. Ci vuole qualcuno che gli corrispon-da. Ci vuole qualcuno che gli stia di fronte, qualcuno che gli parli e con cui possa parlare.

Il secondo nome comune che il racconto utilizza per parlare del primo essere umano è

«isch», che in italiano traduciamo con uomo.

Questo secondo sostantivo appare in un momento ben preciso, alla fine del racconto, quando Dio crea la donna. Colui che fin lì era chiamato il terroso diventa ora l’uomo. An-che questo secondo sostantivo sottolinea una relazione, perché in ebraico l’uomo è «isch» e la donna è «ischah». Due nomi simili ma non identici, come se in italiano dicessimo uomo e uoma. Con la creazione degli animali l’essere umano non cambia, rimane il terroso che è fin dall’inizio. Ma quando incontra un vis-à-vis il terroso cambia nome, cioè non è più lo stesso, diventa finalmente la creatura umana conforme al progetto creatore di Dio. Mentre nella scena precedente l’uomo aveva dato un nome agli animali, qui è lui stesso a riceverne uno. Dio conduce all’essere umano gli animali affinché egli dia loro un nome, ma conduce a lui la donna affinché lui stesso riceva un nome nuovo, il suo vero nome, la sua vera identità.

Il terroso in relazione alla donna diventa uomo.

Finché non ha qualcuno di fronte l’uomo non è ancora uomo (e la donna non è ancora donna).

40

Il racconto avrebbe potuto soffermarsi su dati anatomici, su caratteristiche fisiche, e invece sottolinea una cosa fondamentale: l’essere umano è un essere in relazione con gli altri, è un essere in dialogo, è una creatura che diventa tale nella relazione con un vis-à-vis, con un tu a cui può rivolgersi. Quando ha un vis-a-vis l’uomo è finalmente la creatura che Dio ha voluto creare. L’essere umano non è creato per essere solo. Questo è ciò che spesso cercherà di diventare non solo nella storia biblica, ma an-che nella storia dell’umanità: solo, autonomo, indipendente, autosufficiente. L’essere umano cercherà di fare a meno degli altri e di fare a meno persino di Dio. Ma è creato per essere un interlocutore di Dio e un essere solidale con gli altri.

La relazione con l’altro è dunque costitutiva della creatura umana. L’altro, colui che è di-verso ma simile a me, colui che sta di fronte a me, è colui che mi rivela la mia vera identità.

Insieme al suo vis-à-vis il terroso forma qual-cosa di nuovo, qualqual-cosa che fin lì non esisteva ancora. L’essere umano è creato da Dio per vi-vere non nella solitudine ma nella condivisione, nella solidarietà, nella comunione e nell’amore per il prossimo. Uomo e donna – ma potrem-mo dire anche bianco e nero, sano e malato, giovane e anziano, forte e debole – non sono il frutto di volontà distinte, di progetti diversi.

L’amore di Dio è rivolto insieme all’uno e all’altro. Questo è ciò che li unisce. Questo è il fondamento di qualsiasi relazione umana.

3. la relazione con Dio

Le due relazioni attraverso cui il secondo rac-conto della creazione descrive l’essere umano hanno entrambe come fondamento la relazione con Dio. Uomo e donna sono chiamati ad abitare la terra, a stare uno di fonte all’altra e a stare insieme davanti a Dio. Queste tre relazio-ni sono ciò che costituisce, secondo il racconto biblico, la loro identità piena e autentica.

La terza relazione costitutiva dell’identità dell’essere umano, quella con Dio, è ciò che rende possibili le altre due. L’essere umano è terra in cui Dio mette il suo soffio di vita. Senza quel soffio il corpo non sta in piedi, è inerte,

è un corpo senza vita. Da una parte la terra, dall’altra il soffio di Dio. Da una parte la fra-gilità, dall’altra la potenza del soffio creatore di Dio. L’essere umano nasce da questo incontro, porta in sé i segni della fragilità ma anche una vitalità che gli è donata direttamente da Dio.

Senza il soffio di Dio la nostra vita è una vita affannata, un vita a cui manca il respiro. Senza il soffio di Dio tutti i nostri gesti, le nostre parole, le nostre azioni mancano del respiro, cioè rimangono parole, gesti, azioni inerti, incapaci di dare vita all’umanità voluta da Dio, incapaci di dare vita a rapporti d’amore, di pace, di giustizia, di fraternità.

Ma Dio non si limita a formare l’essere umano con la terra e a dargli vita con il suo soffio. Egli interpella personalmente la sua creatura, le par-la, la chiama a diventare una creatura umana.

E lo fa attraverso tre elementi: una vocazione, un permesso e una proibizione.

L’essere umano riceve una vocazione ben preci-sa: è chiamato a lavorare e a prendere cura del giardino e a riconoscere nell’altro un vis-à-vis.

L’essere umano non solo è una creatura di Dio ma è anche chiamato a diventare pienamente una sua creatura, cioè a corrispondere al pro-getto creatore di Dio, a vivere nel mondo che Dio ha predisposto secondo la vocazione che Dio gli rivolge. Essere una creatura non è solo un dato di fatto ma anche una vocazione.

Oltre che attraverso una vocazione, la volontà di Dio si manifesta anche attraverso un permes-so – Mangia pure da ogni albero del giardino – e un divieto – ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare. La volontà di Dio per l’essere umano si esprime attraverso un permesso e una proibizione insieme. Non solo attraverso un divieto, ma nemmeno solo attraverso un permesso. Una vocazione, un per-messo e un divieto: queste sono le coordinate della libertà umana.

Conclusione

Prima di avere un nome proprio, un nome tutto suo, l’essere umano è descritto attraverso nomi generici che lo descrivono all’interno di una relazione. Nella prospettiva biblica la no-stra identità, che noi spesso rinchiudiamo in un

41 nome proprio – sia esso un nome di persona,

o un nome di popolo, di nazione, di razza – si costruisce nella relazione con l’altro, con colui o colei che pur essendo simile è diverso da me.

La nostra identità non è qualcosa da difendere contro l’altro, ma qualcosa da ricevere nell’in-contro con l’altro.

Dio continua a condurci anche oggi gli uni verso gli altri. Affinché possiamo diventare un

vis-à-vis gli uni per gli altri. Affinché l’uno e l’altro possano diventare ciò che sono chiamati da Dio ad essere. Affinché nell’incontro con l’altro riceviamo un nome nuovo, un’identità nuova, quella di creature di Dio.

*Teologa evangelica e pastora a Vicosoprano

L I R I C A