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Il confino e Il mestiere di vivere

intellettuale di Pavese.

Il 30 luglio 1934 il libro è pronto per la lettura ultima, anche se resta il problema della censura e di come possa difendersi dalla «sua peculiarità non fascista» 171 Nella

3.1 Il confino e Il mestiere di vivere

In seguito all’arresto del quindici maggio del 1935, Pavese viene dapprima incarcerato presso le Carceri Nuove di Torino e, nel giugno dello stesso anno, viene tradotto al Regina Coeli di Roma; a luglio gli viene comminato il confino per tre anni da scontare a Brancaleone Calabro, dove giunge il 3 agosto. Il periodo trascorso nell’Italia meridionale non ha ricevuto la giusta attenzione della critica, che spesso lo ha considerato negativamente, come un periodo di stasi creativa, appellandosi soprattutto ad alcune dichiarazioni contenute nel diario dell’autore, Il mestiere di vivere. È stato sottolineato che Pavese si sentisse estraneo alla Calabria, che la sua mente fosse rivolta ai ricordi della vita torinese e che la fonte di ispirazione per la sua opera non potesse che provenire dal suo passato, dalle sue origini e quindi dal Piemonte cittadino e campagnolo a cui era intimamente legato. Secondo buona parte della critica pavesiana, tra l’autore e il paesaggio calabrese – per quanto affascinante, mitico e selvaggio – non si sarebbe formato un dialogo profondo e poietico; come accennato, una base solida a queste affermazioni è costituita da alcuni passi del diario nei quali Pavese confessa l’impossibilità di comporre poesia su soggetti che avrebbero anche un notevole potenziale lirico ma che sono purtroppo troppo lontani dal suo mito personale, come si legge in questa nota del dieci ottobre 1935 nella quale si sente incapace di poetare sulle «rocce rosse lunari»:

Questa sera, sotto le rocce rosse lunari, pensavo come sarebbe di una grande poesia mostrare il dio incarnato in questo luogo, con tutte le allusioni d’immagini che simile tratto consentirebbe. Subito mi sorprese la coscienza che questo dio non c’è, che io lo so, ne sono convinto, e quindi altri avrebbe potuto fare questa poesia, non io. Di qui ho pensato come dovrà essere allusivo e all-pervading la fede nel dio incarnato nelle rocce rosse, se un poeta se ne fosse servito.

Perché non posso trattare io delle rocce rosse lunari? Ma perché esse non riflettono nulla di mio, tranne uno scarno turbamento paesistico, quale non dovrebbe mai giustificare una poesia. Se queste rocce fossero in Piemonte, saprei bene però assorbirle in un’immagine e dar loro un significato. […].

Certamente deve essere possibile, anche per me, far poesia su materia non piemontese di sfondo. Dev’essere, ma sinora non è stato quasi mai1.

Attenendosi a note come questa, parrebbe evidente pensare che l’unico progresso dell’arte di Pavese sia collegato indissolubilmente a Torino, alle Langhe e alle riflessioni sulle propria gente e sulla propria lingua. La critica ha tuttavia trascurato un aspetto importante del soggiorno a Brancaleone Calabro: pur lamentando di aver perso la vena artistica, in questo periodo Pavese compone ben sedici poesie – cinque delle quali verranno inserite nell’edizione solariana del 1936 grazie ai ritardi dovuti alla pubblicazione della stessa2 – e inoltre è opportuno sottolineare che durante il confino

l’autore intraprende la stesura del diario che, proprio in questa fase iniziale, registra un numero cospicuo di annotazioni estremamente significative in quanto pongono i presupposti teorici ed estetici per il passaggio dalla poesia alla prosa.

Se in alcuni passi de Il mestiere di vivere, come in quello del dieci ottobre del 1935, Pavese afferma di sentirsi estraneo all’ambiente circostante e quindi impossibilitato a coglierne la liricità, è altresì vero che, nelle lettere dello stesso periodo indirizzate a familiari e amici, mostra un interesse e una partecipazione reali per le usanze e gli abitanti del posto – come si avrà occasione di evidenziare in seguito – e pertanto occorre accogliere con la dovuta cautela le dichiarazioni contenute ne Il mestiere di vivere, anche perché è opportuno tener conto della tipologia di questo diario. Il mestiere di vivere non rispetta il codice tipico del memoriale romantico in cui l’autore si confessa o racconta dettagliatamente quello che gli succede, anzi, nel diario Pavese non riporta mai episodi interi ma vi allude senza mai rendere troppo espliciti i riferimenti a fatti o persone. Dato il carattere di questo diario, che non presenta una trattazione giorno per giorno propria dello stile cronachistico-autobiografico, ma privilegia, invece, una speculazione filosofica e raziocinante esposta attraverso aforismi sentenziosi, Il mestiere di vivere è stato associato ad altri due diari della letteratura europea: lo Zibaldone di Giacomo Leopardi e Mon cœur mis à nu di Charles Baudelaire3. In ogni modo, trovare

1 CESARE PAVESE, Il mestiere di vivere, cit., pp. 10-11.

2 Le poesie composte a partire dal quindici agosto 1935 sono Donne appassionate, Luna d’agosto, Terre

bruciate, Paesaggio VI, Poggio reale (che vengono pubblicate già nella prima edizione di Lavorare stanca) Parole del politico, Altri tempi, Poetica, Mito, Semplicità, Un ricordo, Paternità, Alter ego, L’istinto, Tolleranza e Lo steddazzu. Rimangono inedite Altri tempi, Poetica e Alter ego; Parole del politico, Mito, Semplicità, Un ricordo, Paternità, L’istinto, Tolleranza, Lo steddazzu compaiono nell’edizione di Lavorare stanca accresciuta del 1943

pubblicata da Einaudi.

3 Per l’accostamento a Leopardi si rimanda a LEONE PICCIONI, Vita di Pavese, in ID., Sui contemporanei,

un parallelo perfetto del diario pavesiano sarebbe un’operazione sterile e infruttuosa perché, a causa della sua particolarità e della sua complessità, esso esula da qualsiasi tipo di classificazione del genere diaristico e, in generale, da una definizione letteraria precisa e si configura, infatti, più in negativo che in positivo4, come sostiene María de

las Nieves Muñiz Muñiz, in quanto non è «né confessione, né “mémoire”, né “brouillon”, né “essai”, né “manuale di filosofia pratica”, né agenda»5.

Specialmente nella prima fase Il mestiere di vivere, sulla scorta de Il mestiere di poeta – la continuità del diario con lo scritto del 1934 è evidente anche nel nome, tanto che, come sostiene Guglielminetti, l’appendice alla prima edizione di Lavorare stanca può essere definita «l’antecedente immediato di alcune tesi sostenute»6 nel diario – è avvertito da

Pavese come uno strumento di riflessione autocritica, infatti già la prima nota presenta un giudizio sulla sua attività poetica in confino. Il mestiere di vivere non tratta tuttavia esclusivamente questioni di teoria letteraria, esso infatti può anche essere considerato una vera e propria opera di letteratura, come fa Mutterle che divide il diario in tre sezioni distinte – il Secretum professionale, ossia i mesi del confino, gli anni dal 1936 al 1944 e quelli che vanno dal 1945 al 1950 – e propone un’efficace schedatura degli accorgimenti stilistici utilizzati da Pavese nello sviluppo del suo diario7. A conferire un

notevole grado di letterarietà a Il mestiere di vivere è il suo carattere potenzialmente unitario8: l’opera è, infatti, tenuta saldamente legata attraverso richiami e riscontri tra

Literatur, Wien-Stuttgart, Universitäts Verlagsbuch-Handlung, 1971; MICHELA RUSI, Le malvagie analisi.

Sulla memoria leopardiana di Cesare Pavese, Longo, Ravenna, 1988. Per quanto riguarda possibili analogie

con Mon cœur mis à nu si legga SERGIO SOLMI, Il diario di Pavese, in ID., La letteratura italiana contemporanea,

Scrittori negli anni, III, I, a cura di GIOVANNI PACCHIANO, Milano, Adelphi, 1992, pp. 316-333; LINO

PERTILE, Pavese lettore di Baudelaire, in «Revue de littérature comparée», XLIV, 1970, n. 3, pp. 333-355.

4 Sottolinea, infatti, Sergio Solmi che «non si tratta […] di un vero e proprio “diario”, ove si tengano

presenti i due tipi classici del genere: quello in cui l’autore tenta di oggettivare la propria durata vitale, di dare un significato di continuità intellegibile al vano vortice che chiamiamo “vita interiore”, e all’altro, che si esprime in un seguito di riflessioni “au jour le jour” sulla vita e sul mondo circostante, con cui l’autore aspira tendenzialmente a trasformarsi in un anonimo punto di osservazione. In questa serie di “colpi di sonda” gettati qua e là nelle sue giornate, sembra piuttosto che Pavese si adoperi a isolare alcune giunture, a seguire alcuni filoni, trascurando deliberatamente il loro rapporto con l’intera dimensione, anche soltanto supposta, d’una esistenza.» SERGIO SOLMI, Il diario di Pavese, cit., pp. 317-

318.

5 MARÌA DE LAS NIEVES MUÑIZ MUÑIZ, La vita come mestiere: il diario di Pavese, in ANNA DOLFI (a cura

di), “Journal intime” e letteratura moderna, Roma, Bulzoni, 1989, p. 242.

6 MARZIANO GUGLIEMINETTI, Attraverso «Il mestiere di vivere», in CESARE PAVESE, Il mestiere di vivere, cit.,

p. XXXV. Il mestiere di poeta nasce infatti con l’intento di fornire una spiegazione della storia letteraria e della poetica dell’autore.

7 ANCO MARZIO MUTTERLE, Contributo per una lettura del «Mestiere di vivere», in AA.VV., Profili linguistici di

prosatori contemporanei, Padova, Liviana, 1973, pp. 307-446.

le annotazioni del diario che si susseguono, come ammette lo stesso autore in questa nota del ventidue febbraio 1940:

L’interesse di questo giornale sarebbe il ripullulare imprevisto di pensieri, di stati concettuali, che di per sé, meccanicamente, segna i grandi filoni della tua vita interna. Di volta in volta cerchi di intendere che cosa pensi, e solo après coup vai a riscontrarne gli addentellati con i giorni antichi.

È l’originalità di queste pagine: lasciare che la costruzione si faccia da sé, e metterti innanzi oggettivamente il tuo spirito.

C’è una fiducia metafisica in questo sperare che la successione psicologica dei tuoi pensieri si configuri a costruzione.

È così che si fanno i canzonieri, l’hai detto nelle Certe poesie non ancora scritte. Sarebbe quindi illusoria la differenza tra «poesie» e «pensieri»? Basta dire che i pensieri sono tentativi di chiarire a te un problema, uno stato, e le poesie tentativi di creare un’immagine universale?9

I «pensieri» e gli «stati concettuali» che improvvisamente balzano nella mente di Pavese vengono prima approfonditi e annotati nella pagina scritta e, a questo punto, confrontati con le precedenti registrazioni: «la diacronia è continuamente riportata a una superiore sincronia»10. L’originalità del proprio diario, sostiene Pavese, consiste

nell’osservare lo sviluppo dei pensieri e da esso trarne una costruzione: «lasciare che la costruzione si faccia da sé», così che l’autore legga i prodotti del proprio «spirito» come fenomeni oggettivi. In questo aspetto si riconosce lo sviluppo di «una struttura immanente, di [una] costruzione, messa a punto attraverso il tempo, di cui pensieri e stati concettuali sono la provvisoria manifestazione»11: da qui il carattere fondamentalmente

letterario di questo scritto, che è costruito secondo una disposizione organica ed oggettiva di conferme e riscontri. Non solo: a sancire ancora di più la natura letteraria de Il mestiere di vivere è lo stesso Pavese quando associa il procedimento compositivo del diario a quello dei canzonieri – «è così che si fanno i canzonieri» – e quando ipotizza che non possa essere definita illusoria la differenza tra «poesie» e «pensieri». Non è solo dunque innegabile una dimensione e costruzione letteraria del diario pavesiano, ma si può anche supporre che l’autore avesse intenzione di proporne, almeno parzialmente, la lettura a un terzo – più precisamente alla donna amata – come risulta da alcune

9 CESARE PAVESE, Il mestiere di vivere, cit., p. 175.

10 CESARE SEGRE, Introduzione, in CESARE PAVESE, Il mestiere di vivere, cit., p. VI. 11 Ibidem.

note12: un’ulteriore conferma, questa, per poter considerare Il mestiere di vivere un

prodotto letterario.

Con queste affermazioni non si vuole ridimensionare la componente prettamente diaristica di questo scritto e valutarne solo quella meramente letteraria: come suggerisce Mutterle13, col passare del tempo, e in maniera sempre più evidente, negli anni che

vanno dal 1945 al 1950, Il mestiere di vivere assume spesso dei tratti che lo rendono molto più simile ad un diario nel senso tradizionale del termine, poiché in questo periodo di fanno più frequenti le annotazioni in cui Pavese registra i momenti di delusione, angoscia e sconforto e lotta per vincere questa disperazione. Non si può tuttavia dimenticare un dato importante, ossia il fatto che Pavese sia soprattutto uno scrittore, per cui nella composizione di questo diario sente, intensamente «lo sdoppiamento, a volte la specularità fra vita (propria) e narrazione, che implica anche il mutamento di se stesso, e degli altri, in personaggi»14. Ne Il mestiere di vivere Pavese tende spesso a

trasfigurarsi in un personaggio letterario, come si legge in questa nota del quattordici ottobre 1939 (da integrare con quella del nove ottobre 193815):

Si pensano pensieri quando, scossi da un urto della vita, si diventa, davanti a se stessi, personaggi proprio come avviene quando, creando un racconto, con le scene nascono pensieri e problemi. I pensieri che valgono, nascono perciò quando ci si atteggia in posa, cioè si falsifica se stessi, cioè si guarda vivere secondo un atteggiamento scelto.

12 Molte di esse sono incentrate sulla tematica dell’amore che, assieme alla letteratura, è quella più

presente ne Il mestiere di vivere; si legga, per esempio, questa nota del ventisei gennaio 1938: «Perché scrivere queste cose, che lei leggerà e magari la decideranno a intervenire e darti il giro? Che altra vita faresti in questo caso se non ottobre ’37?» Ivi, p. 86; o questa del ventisette maggio 1950: «Dilemma. Devo essere un assoluto amico, che fa tutto per il suo bene, o un risoluto indemoniato che si scatena? Inutile domanda – è già deciso da tutto il mio passato, dal destino: sarò un amico indemoniato che non otterrà nulla – ma forse avrà il coraggio. Il coraggio. Tutto sarà nell’averlo al momento buono – quando non le nuocerò – ma che lo sappia, che lo sappia. A questo si può rinunciare?» Ivi, pp. 396-397; o, questa, una delle ultime, datata sedici agosto 1950: «Cara, forse tu sei davvero la migliore – quella vera. Ma non ho più il tempo di dirtelo, di fartelo sapere – e poi, se anche potessi, resta la prova, la prova, il fallimento».

Ivi, p. 398.

13 «Certo, è assai difficile sostenere, anche in base a ragioni contenutistiche, che fino al 1945, il Mestiere

di vivere sia un diario in senso stretto […]; una forma esternalmente diaristica, […], e con essa tutta una

serie di forme di scrittura ben precise (come lo stile nominale) verranno assunte solo negli ultimi cinque o sei anni. Che il punto di divaricazione tenda a configurarsi negli anni attorno al 1945 non è per nulla casuale: si tratta di una data che implica una mutazione storica nel rapporto dello scrittore con il pubblico, una nuova impostazione “politica” del discorso che viene proposta non solo a Pavese ma ad ogni intellettuale avvertito dell’epoca». Ivi, p. 311.

14 CESARE SEGRE, Introduzione, in Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, cit., p. IX.

15 «L’arte di guardare in faccia la gente, compresi noi stessi, come fossero personaggi di una nostra

L’arte invocata il 9 ott. ’38 di guardare «noi stessi come fossimo personaggi di una nostra novella» è intesa quindi anche a metterci in grado di pensare pensieri e goderli. 16

«Lo scrittore come eroe della propria scrittura, e perciò anche come personaggio»17.

È impossibile negare l’esistenza di un aspetto più strettamente intimo e autobiografico de Il mestiere di vivere; in questa sede si vuole soltanto dare maggior risalto alla sua componente letteraria e metaletteraria, indispensabile per comprendere questo periodo transitorio della poetica di Pavese che comporta il passaggio dalla poesia alla prosa. Definire la natura di uno scritto così complesso come Il mestiere di vivere pone, dunque, non poche difficoltà; sulla scorta del saggio di Béatrice Didier18, Maria de las Nieves

Muñiz Muñiz inserisce il diario pavesiano all’interno del filone del «journal intime», un diario personale nel quale si riconosce una volontà sistematica di rispecchiare la vita interiore dell’autore, e ne fa «il polo magnetico di tutta l’opera e di tutta la vita»19 di

Pavese, anche se, prendendo sempre le mosse dal saggio della studiosa francese, più che di «journal intime», in merito a Il mestiere di vivere, si può piuttosto parlare di un diario intellettuale, di un «journal de l’œuvre»:

Pour certains, le journal constitue une sorte d’exercise moral. Et c’est là encore que l’on voit à quel point il est tributaire, par ses origins et par son fonctionnement, de l’examen de conscience et de toute une technique spirituelle que le christianisme a développée systématiquement. C’est un contrôle que l’auteur s’impose à lui-même. Mais la nature de ce contrôle varie: l’écrivain peut s’interroger aussi bien sur son attitude morale que sur les progrès de l’œuvre qu’il est en train d’écrire et c’est pourquoi chez l’écrivain, le passage du «journal intime» au «journal d’une œuvre» s’opère tout spontanément.20

16 Ivi, p. 159.

17 CESARE SEGRE, Introduzione, in Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, cit., p. X.

18 BÉATRICE DIDIER, Le journal intime, Paris, Presses Universitaires de France, 1976.

19 MARÌA DE LAS NIEVES MUÑIZ MUÑIZ, La vita come mestiere: il diario di Pavese, cit.,p. 242. «Anziché

essere un non-testo valido solo in quanto “génèse” di altri testi», il diario diventa «il polo magnetico di tutta l’opera e di tutta la vita di Pavese, il teatro dove esse, giorno per giorno, vagliano – in modo simultaneo, completare e reciproco – la loro legittimità. Talché fin dalle prime pagine il lettore ha l’impressione che la vita (e l’opera) dell’autore sia la posta in gioco, il conto in sospeso, la questione da risolvere teoricamente e da “decidere” praticamente (magari con il suicidio) in capo a una riga, e non solo l’esperienza da rispecchiare e da conservare a fini memorialistici, conoscitivi, o artistici.» Ibidem. Vita e opera arriverebbe così a coincidere e, continua la studiosa, «Pavese imposta il suo diario sulla base di un assunto-doppiamente contraddittorio: da un lato, trasformare la casualità in destino, dall’altro il destino in volontà […]; ma facendo sì che l’arte, identificata sempre più con la tecnica costruttiva capace di dare ordine al caos e significato al caso […] assurga a modello della vita votandola a una continua disciplina di autocontrollo e di rilettura che a sua volta diventerà condizione sine qua non della capacità creativa». Ivi, p. 245.

Quando si accinge alla stesura del diario, Pavese sente il bisogno di sistemare sulla pagina bianca alcune riflessioni teoriche legate alle sue ultime composizioni e le mette in relazione ai suoi stati d’animo, come si evince già dalla prima nota del diario, a proposito delle poesie scritte dall’arrivo a Brancaleone Calabro fino a quel momento. Con la stesura del diario Pavese non si trova per la prima volta davanti ad un esercizio di riflessione sulla propria produzione: non si fa riferimento esclusivamente al già citato Il mestiere di poeta, ma anche, per esempio, agli appunti preparatori del progetto narrativo del Romanzo della gioventù precedentemente ricordato, nei quali ad abbozzi di trama e dialoghi – in parte confluiti nel racconto Lotte di giovani – il giovane autore inserisce momenti di autoanalisi letteraria, e all’apprendistato poetico della corrispondenza adolescenziale con Mario Sturani. Si tratta dunque di una sorta di vocazione alla confessione sulla pagina scritta, attraverso la quale Pavese oggettiva i suoi pensieri per approdare ad un risultato e, eventualmente, per autorappresentarsi come personaggio letterario.

Un altro aspetto particolare de Il mestiere di vivere è la «claustrofilia»21, ossia la

mancanza di riferimenti precisi alla realtà, un dato che colpisce soprattutto se viene confrontato con il crescente interesse storico-sociologico, dimostrato negli anni precedenti alla stesura del diario, specialmente negli articoli di letteratura americana nei quali Pavese sottolinea l’importanza che i romanzi d’oltreoceano attribuiscono al cambiamento delle strutture politiche e sociali del paese e ammira la capacità dei loro autori di trarre, da queste trasformazioni, materiale letterario. Ne Il mestiere di vivere non è possibile rinvenire alcun riferimento a eventi storici – un elemento significativo, soprattutto se si considera che venne composto nel corso di quindici anni densi di avvenimenti determinanti della Storia del Novecento; non solo ma, come sottolinea Segre22, non viene registrato nessun incontro con le donne amate, un altro aspetto che

lo scosta dalla diaristica tipica del journal intime. Lo stesso meccanismo di reticenza viene applicato all’esperienza del confino: di Brancaleone Calabro e dei suoi abitanti nel diario Pavese non fa nessun cenno, ma, come già ricordato, nelle lettere a familiari e amici dimostra, da subito, una grandissima curiosità nei confronti del villaggio