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Verso il realismo simbolico: Paesi tuoi.

intellettuale di Pavese.

Il 30 luglio 1934 il libro è pronto per la lettura ultima, anche se resta il problema della censura e di come possa difendersi dalla «sua peculiarità non fascista» 171 Nella

3.4 Verso il realismo simbolico: Paesi tuoi.

In una nota del ventiquattro ottobre 1938, pochissimo tempo prima della composizione de Il carcere, Pavese avverte come ormai superata la poetica naturalista di Lavorare stanca e sente la necessità di impegnarsi in un tipo di produzione che tenda a raccontare il pensiero del personaggio:

Ma ora succede che proprio il raccontare un fatto e un personaggio, è fare l’oziosa creazione fantastica, perché a questo raccontare si riduce il concetto tradizionale di poesia. Per scrivere mirando a qualche altro scopo, ora bisogna proprio lavorare

di stile, cercare cioè di creare un modo d’intendere la vita […] che sia una nuova conoscenza. In questo va accettata la mia antica mania di fare argomento della composizione l’immagine, di raccontare il pensiero, di uscire dal naturalismo.

Questo non è fantasticare; ma conoscere; conoscere che cosa siamo noi nella realtà. Ecco soddisfatta l’esigenza di credere avvenuto quello che stiamo per raccontare: rimane dunque vero che solo ciò che stimiamo realmente esistente (il nostro stile, il nostro tempo = l’oggetto della n/conoscenza) vale la pena di essere scritto. Se miriamo a insegnare un nuovo modo di vedere e quindi una nuova realtà, è evidente che il nostro stile va inteso come qualcosa di vero, di proiettabile al di qua della pagina scritta90.

«Raccontare il pensiero», ossia calarsi nel punto di vista del personaggio, significa per Pavese «conoscere che cosa siamo noi nella realtà», fare della propria opera «qualcosa di vero» e «proiettabile al di qua della pagina scritta». Esprimendo il pensiero del personaggio, il testo presenterà delle immagini che rifletteranno la sua visione del mondo e così l’opera letteraria si aggancerà all’esperienza di vita: in questo modo le battute dei personaggi e le ambientazioni in cui essi si muoveranno si faranno carichi di un significato ulteriore rispetto a quello letterale e comunicheranno al lettore i pensieri di colui che racconta. Ne Il carcere, le immagini naturali realizzano un linguaggio intessuto di espressioni ricorrenti, le quali non solo garantiscono l’unità dell’opera, ma rispecchiano anche la condizione interiore del personaggio; in Paesi tuoi Pavese fa un uso ancora più spiccato di questa tecnica e le immagini non indicano solo lo stato d’animo dell’autore, ma diventano anche simbolo di una realtà più vera e profonda sottostante quella superficiale.

A differenza del periodo del confino, quello della composizione di Paesi tuoi non è caratterizzato da un’intensa attività riflessiva affidata alle pagine del diario: durante la scrittura di questo romanzo si assiste a una sensibile diminuzione delle annotazioni diaristiche rispetto ai mesi precedenti, Pavese preferirà rinviare a dopo la stesura la discussione teorica relativa a Paesi tuoi, soprattutto nelle lettere inviate agli amici che avevano letto il manoscritto (rilevanti sono, infatti, le lettere inviate a Tullio Pinelli tra del novembre e del dicembre 1939). Questo dato deve far pensare al fatto che Pavese si senta ormai sicuro di sé, che sia convinto di aver finalmente trovato il suo stile e che abbia chiaro il progetto narrativo da realizzare; non a caso, tirando le somme del 1939, il primo gennaio 1940 scrive nel suo diario:

Di pensieri non mi sono più espanso su queste pagine, ma in compenso ne ho colti diversi maturi e ricchi e, più che tutto, mi sono allenato a viverci con agilità.

90 Ivi, pp. 126-127.

Chiudo il ’39 in uno stato di anelito ormai sicuro di sé, e di tensione come quella del gatto che aspetta la preda. Ho intellettualmente l’agilità e la forza contenuta del gatto. […]. È stato il primo anno della mia vita dignitoso, perché ho applicato un programma91.

In Paesi tuoi la volontà di «raccontare il pensiero» del personaggio è ancora più evidente rispetto a Il carcere, poiché la narrazione del secondo romanzo dell’autore aderisce completamente al punto di vista del protagonista Berto il quale, come afferma Pavese in una nota del quattordici ottobre 1939, è una sorta di alter ego del narratore e ha il compito di rivelare il significato recondito dell’esistenza:

Lo stile di Berto non va attribuito a Berto, ma assimilato a una terza persona. Da naturalistico deve diventare modo di pensare rivelatore. È questo che non si poteva fare nelle poesie, e che dovrebbe riuscire in prosa92.

Berto è dunque Pavese che attribuisce all’opera letteraria una funzione conoscitiva e che, attraverso questa, indaga il senso dell’esistenza umana, seppur limitando – per il momento – il suo campo di indagine al mondo contadino. Con Paesi tuoi Pavese torna al mondo contadino piemontese di cui si era già occupato in alcune poesie di Lavorare stanca, libro da cui l’autore riprende, per il suo secondo romanzo, anche la dialettica tra città e campagna. Il protagonista di Paesi tuoi, uscito dalla galera93, dopo qualche

esitazione, decide di lasciare la città e seguire il suo compagno di cella, Talino, nel paese di campagna di Monticello, dove quest’ultimo vive insieme alla famiglia. La decisione di Berto è dovuta, principalmente, all’impossibilità di riallacciare i rapporti interrotti durante la prigionia: al caffè, al suo ingresso, i vecchi amici Damiano e Nicola non posano nemmeno le stecche del biliardo per salutarlo94 e Michela è pronta a concedersi

a Berto solo per sostituirlo a Pieretto, il suo amante detenuto95. Non avendo più legami

che lo trattengono a Torino, Berto accetta di lavorare come macchinista per Vinverra, il padre di Talino.

Non appena giunge in campagna, Berto si trova davanti a un mondo dominato dalla violenza, dalla barbarie, dalla rozzezza e dalle passioni estreme che ignorano i tabù imposti dalla società civile. È il regno del selvaggio, del primitivo e dell’irrazionale e,

91 Ivi, p. 169. 92 Ivi, p. 159.

93 Anche in questo secondo romanzo è possibile la tematica della reclusione e il carcere si presenta da

subito come qualcosa di ben definito.

94 Cfr. CESARE PAVESE, Paesi tuoi, Torino, Einaudi, 2001, p. 8. 95 Cfr. Ivi, pp. 9-11.

infatti, il conflitto tra città e campagna in Paesi tuoi appare come il conflitto tra la logica razionalità, propria del cittadino Berto, e l’istintiva irrazionalità, propria di Talino e dei suoi parenti, i quali, anche solo nell’aspetto fisico, presentano delle caratteristiche ferine e vengono spesso paragonati agli animali96. La descrizione della prima cena a

casa di Vinverra offre un esempio della bestialità generalizzata della campagna che si estende anche agli esseri umani:

Poi mi portano a cena, e mi dànno il minestrone in una stanza che sembrava in cantina. Mangiavamo ch’era quasi scuro, e tra donne e bambini si masticava anche le mosche. I bambini facevano mucchio per terra con la scodella sulle ginocchia. La pietanza di noialtri era il vino.

Le ragazze bevevano meglio di me. Ce n’erano quattro. Sento che chiamano Miliota quella che aveva portato da bere alle bestie. Con vent’anni aveva la pelle di un uomo a quaranta, e faceva venire in mente il piatto dove spesso mangiavo. Erano quasi tutte scalze, e sotto la tavola pestavo dei piedi, ma loro non sentivano il male. Da mangiare ce ne dava una nonna ch’era la madre di tutte e di Talino e girava a riempire le scodelle dei nipoti, e le dicevano: – Sedetevi, Ma’, – perché chinandosi gemeva e aveva sempre qualcuno nelle gambe. Pareva impossibile, a vedere le figlie, che le fosse uscita di dosso tanta roba. Faceva spavento pensare che schiena e che gambe doveva aver avuto da sposa, e adesso com’era ammuffita. […]. Si alza un’altra ragazza dal fondo e dice: – Accendiamo il petrolio –. La vecchia borbotta di no perché tira mosche. – Tanto ci sono, – gridano le altre, e portano la lampada e io metto il cerino. Alla luce quelle facce diventano come i bagni al mare, più cotte e più larghe. Quella che aveva acceso si toglie il fazzoletto e si tocca i capelli; non l’avevo guardata prima, somigliava a Talino ma solo un’idea: era la meno manza e la meno nero, e si aggiustava i capelli di nascosto97.

Tra le figlie di Vinverra risalta Gisella che, aggiustandosi i capelli di nascosto e tradendo, così, una certa femminilità e sensualità, si distingue dalle sorelle-bestie e cattura l’attenzione di Berto. Proprio i tratti meno rustici della ragazza saranno la causa della sua tragica morte: nell’ambiente campagnolo dominato dalla violenza spietata, Gisella viene prima stuprata dal fratello Talino, un episodio che è avvenuto prima del tempo della narrazione; la ragazza porta adesso nel corpo i segni dell’abuso, ossia una cicatrice nel ventre; proprio Talino, a conclusione del romanzo, preso da un’ira improvvisa, la uccide brutalmente conficcandole un tridente nel collo perché si era rifiutata di farlo bere. Di fronte all’atroce morte di Gisella, i suoi parenti hanno delle reazioni che risultano incomprensibili a Berto: durante l’agonia della ragazza Vinverra

96 Talino ha gli «occhi da bue» (Ivi, p. 7), «quando non ride[va], face[va] degli occhi che sembra[va] lui

un caprone». (Ivi, p. 53.) Anche le sorelle di Talino vengono paragonate alle bestie: Miliota ha «la voce da toro» (ivi, p. 47) e Pina si confonde con una capra: «poi la Pina tornò la capra, e facevano il paio, nere e sporche tutte e due con quegli occhi spaventati». (Ivi, p. 55.)

impone di riprendere la trebbiatura98; il vecchio risponde soltanto alla dura legge della

sopravvivenza che non contempla i sentimenti umani, l’unica cosa che conta per lui è la produzione della terra ed è infatti per questo motivo che rimprovera la detenzione a Talino – perché è stato sottratto dal lavoro sui campi, non ne fa una questione morale – e finalizza il matrimonio delle figlie.

La logica della campagna sfugge a Berto che, non riuscendo a capirla, ne rimane escluso. Berto è un cittadino che si trova inserito in un ambiente che non gli è proprio e rispetto al quale si sente superiore, persuadendosi di appartenere a un mondo più evoluto, moderno e civile rispetto a quello contadino – aspetto che emerge dall’inizio del romanzo99. Paesi tuoi mette in scena lo scontro fra la presunta logica razionale del

cittadino Berto e la furbizia istintiva di Talino e degli altri rappresentanti del mondo contadino. Lo stesso Pavese sottolinea questo aspetto in una lettera a Pinelli del quattro dicembre 1939:

Personalmente, io ritengo che l’evocazione del mondo contadino non sia il fine definitivo di questo mio lavoretto. Motivo di questi Paesi tuoi è «un incontro con una buaggine così incarnita, che né la sottigliezza né l’umanità né la legittima difesa possono dirla con esso lei». Quest’incontro si dovrebbe esprimere, sul primo e più grossolano dei piani, nella contrapposizione di città e campagna e non importa se l’ambiente cittadino è rimasto nella penna, basta ci sia il cittadino sottile (convinto di questa sottigliezza) che si vede continuamente far fesso da un rustico tonto (e noto a tutti per tonto)100.

Berto è quindi l’uomo di città che gioca una «sorda gara di astuzie»101 con il mondo

contadino che è convinto di vincere ma rispetto alla quale, alla fine, si troverà costretto a soccombere; non appena prende consapevolezza della sconfitta, la città si trasforma in una sorta di paradiso perduto:

98 Mentre le donne della famiglia aspettano l’arrivo del prete che dia l’estrema unzione a Gisella, Vinverra

pensa al lavoro sui campi: «Vinverra, col cappello in testa, s’era seduto anche lui e fissava la polenta e sembrava ascoltasse quei tonfi che i piedi scalzi facevano sulla volta. Già prima si era alzato, era andato ai piedi della scala, e tornando aveva detto, non a me: – Donne che aspettano il prevosto.

– Così il grano è già bell’e battuto, – gli dico, – Vinverra. Come farete adesso? Vinverra mi dice: – No, che non è battuto. Attacchiamo domani.

Non mi aveva neanche guardato, perché ascoltava più lontano, fissando in terra la faccia. Che domani la macchina andasse piazzata, era vangelo per lui». Ivi, p. 101.

99 Appena uscito dal carcere insieme a Talino, Berto non riesce a liberarsi della presenza dell’ormai ex

compagno di cella e gli intima di andarsene ma Talino si rifiuta di obbedirgli: «Allora mi guardò con un occhio solo, come aveva fatto uscendo di lì dentro, e a me veniva la rabbia. Cosa credi di fare, goffo, con la gente civile? Volevo dirgli; ritorna nella tua stalla. Non è abbastanza stare un mese nella cella insieme con te, che non sai neanche parlare?» Ivi, p. 5.

100 CESARE PAVESE, Lettere (1924-1944), cit., p. 548. 101 Ibidem.

Allora torno a pensare ch’era domenica e che se fossi stato a Torino non erano le commedie di una ragazza che mi guastavano la giornata. Non avevo più letto un giornale da un mese e non sapevo neanche come andava il campionato. Chi sa quante belle partite giocavano dappertutto. Poi verso sera Pieretto prendeva Michela, e andavamo a ballare sotto la collina. Si vedeva da questo che qui era campagna: le due colline erano terra lavorata e basta, un sole d’inferno le scaldava; tutt’al contrario di quelle del Po che, anche nel forte dell’agosto, hanno qualcosa di fine, hanno l’aria più fresca e sembrano sempre coperte d’ombra, e fa piacere vederle anche soltanto in fondo a un corso102.

Al di là della trama, che è fondamentalmente povera di intreccio narrativo, Paesi tuoi costituisce un testo rilevante dell’opera pavesiana per la sua attenzione data all’elemento simbolico. Il romanzo mette in pratica le riflessioni teoriche elaborate fino al 1939 e soprattutto approfondisce, ben più de Il carcere, il concetto di legame fantastico. Il legame fantastico è il nesso che l’immaginazione di chi racconta istaura tra i diversi elementi della realtà; in Paesi tuoi chi racconta è Berto ed è a lui che Pavese affida il compito privilegiato di indicare al lettore il punto di vista secondo cui interpretare l’opera e di proporre l’architettura simbolica sottesa al racconto. Per esempio, si dirà in anticipo che proprio Berto associa ripetutamente l’immagine naturale della collina al seno femminile, indicando, così, il legame fantastico su cui si basa il romanzo e che lo tiene saldamente unito. È evidente che questa tecnica, oltre a garantire l’unità materiale dell’opera, permette di determinare un senso ulteriore sotteso al racconto; l’insistenza del legame fantastico genera, così, il simbolo, come si legge nella nota del dieci dicembre 1939 de Il mestiere di vivere:

Il simbolo […] è un legame fantastico che tende a una trama sotto al discorso. Si tratta di caposaldi ricorrenti («epiteti» come nell’esempio classico del 6 nov.) che additano in uno degli elementi materiali del racconto un persistente significato immaginoso (un racconto dentro il racconto) – una realtà segreta, che affiora. Esempio, la «mammella» dei Paesi tuoi – vero epiteto, che esprime la realtà sessuale di quella campagna.

Non più simbolo allegorico, ma simb.|immaginoso – un mezzo di più per esprimere la «fantasia» (il racconto). Di qui, il carattere dinamico di questi simboli; epiteti che ricompaiono nel racconto e ne sono persone e s’aggiungono alla piena materialità del discorso; non sostituzioni che spogliano la realtà di ogni sangue e respiro, come il simbolo statico (la Prudenza con tre occhi)103.

Chi narra può arricchire il racconto con ulteriori elementi rispetto al mero accaduto, proprio in questo consiste «il carattere dinamico» dei simboli i quali, veicolando il

102 CESARE PAVESE, Paesi tuoi, cit., p. 87.

messaggio del narratore, vengono ripetuti nel racconto per mostrarne il vero significato di cui essi sono indizi. La narrazione deve essere popolata di immagini e parole-chiave che non hanno il compito di annullare la dimensione oggettiva della realtà raccontata ma, superando la semplice lettura naturalistica, ne devono evidenziare il significato più profondo. L’opera d’arte deve nascere dal giusto bilanciamento tra la realtà e il simbolo, dal filtraggio della prima attraverso il secondo, come si legge in questa nota del ventidue marzo 1940:

L’equilibrio vivente di un’opera nasce dal contrasto fra la logica naturalistica dei fatti che si svolgono sotto la penna, e la nozione presupposta, e ricordata, di una logica interiore che domina come una meta. La prima si dibatte nelle strettoie della seconda, e vi si carica di sensi simbolici, o stilistici che si dica. Quanto più lontani i due modi d’essere, tanto più vivace e appassionante la stesura dell’opera.104

Come accennato, in Paesi tuoi il nesso simbolico tra la collina e il seno femminile è il più evidente e si impone durante il viaggio in treno a Monticello, quindi ancor ancora prima dell’arrivo di Berto alla casa di Vinverra:

C’era una collinaccia che sembrava una mammella, tutta annebbiata dal sole, e le gaggie della ferrata la nascondono, poi la fanno vedere un momento, poi entriamo in una galleria e fa fresco come in cantina ma si dimenticano di accendere la luce. […]. Mi volto e rivedo la collina del treno. Era cresciuta e sembrava proprio una poppa, tutta rotonda sulle coste e sol ciuffo di piante che la chiazzava in punta. E Talino rideva dentro la barba, da goffo, come se fosse proprio davanti a una donna che gli mostrasse la mammella105.

L’immagine della collina-mammella ritorna in quasi tutti i capitoli del romanzo e, man mano che si ripresenta, rende sempre più esplicito il significato simbolico che giace sotto il rapporto tra la terra e il desiderio sessuale106. La ripetizione di questo

104 Ivi, p. 181.

105 CESARE PAVESE, Paesi tuoi, cit., pp. 20-21.

106 Di seguito si forniscono alcuni esempi: dopo aver notato per la prima volta Gisella questi sono i

pensieri di Berto: «Un’occasione così doverla perdere, e una ragazza che si sta rivoltando non poterla portare in un prato […]. Guardo in su i pipistrelli che vedo che volano e vedo davanti, bella rosa, la collina del treno, col suo capezzolo sulla punta, e dei lumi sul fianco, e mi volto, ma la casa nasconde quell’altra che si vede dall’aia. Siamo in mezzo a due mammelle, dico; qui nessuno ci pensa, ma siamo in mezzo a due mammelle». Ivi, pp. 29-30. Mentre Berto aspetta Gisella vicino al pozzo non può fare a meno di sottolineare la similitudine tra il seno femminile e la collina: «Allora mi metto a pensa che cosa voleva dirmi Gisella e che cosa mi avrebbe lasciato fare.

– Qui sotto la luna, non vorrà, – dicevo; – e se volesse soltanto parlare? – Ma ridevo perché, raccontandole della collina che sembrava una mammella, sarei venuto sul discorso». Ivi, pp. 50-51. Berto e Gisella dopo il rapporto: «Poi colla testa sulle mammelle ci riposiamo, e le sentivo il cuore battere. Batteva anche il mio ma lei non poteva sentirlo. Eravamo in una conca che le foglie toccavano l’erba, e faceva quasi buio, tanto era il sole sulle piante. Ascoltando si sentiva il rumore dell’acqua». Ivi, p. 60.

nesso si fa tuttavia talvolta ossessiva e ridondante: Pavese non è ancora approdato alla stagione più matura del realismo simbolico della quale il romanzo La luna e i falò è il più alto rappresentante, un’opera, quest’ultima, nella quale il simbolismo è sapientemente alluso e in buona parte affidato all’intuito del lettore. In Paesi tuoi il meccanismo simbolico è il seguente: attraverso il punto di vista di Berto, l’autore istituisce un nesso tra la «collina» e la «mammella» per sottolineare che la prima, al di là dell’immediato significato naturalistico, contiene una componente sessuale. Il legame fantastico tra la collina e il seno femminile ne genera un altro, ossia quello tra la donna e la terra: un reticolato simbolico evidente anche nel passo sopracitato in cui Talino davanti alla collina sembra ridere «dentro la barba» come «davanti a una donna che gli mostrasse la mammella».

La donna, per la sua carica sessuale, diventa l’epicentro di questo mondo rurale dominato dalle pulsioni più violente e istintive; si arriva così al personaggio centrale del romanzo, Gisella. Come sottolinea Catalfamo, la ragazza

occupa una dimensione intermedia: la componente selvaggia, che pure alberga in lei, la fa apparire, agli occhi di Berto, come strumento di comunicazione col mondo rurale, mentre la sua finezza, che richiama la donna di città, fa sperare di innalzarla al livello della società civile. […]. L’«ambivalenza» della ragazza, innanzitutto, fa sì ch’ella sia oggetto di desiderio per Berto, uomo di città, e, nel