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Leone Ginzburg: tra impegno politico e editoria

L’età delle traduzioni e Lavorare stanca

2.1 Leone Ginzburg: tra impegno politico e editoria

Nel 1931, dopo aver raggiunto la maggiore età, Leone Ginzburg chiede e ottiene la cittadinanza italiana perché originario di un’agiata famiglia ebrea di Odessa. Un anno dopo la sua nascita, nell’estate del 1910, viene portato a Viareggio, per trascorrere le vacanze. Anche nel 1914 si trova nella cittadina versiliana per la villeggiatura e, dopo lo scoppio della Prima guerra mondiale, la madre torna in Russia con i due figli maggiori, ma decide di lasciare Leone in Italia perché teme che per il bambino sia troppo rischioso affrontare il viaggio per mare. Nel 1919 l’intera famiglia si trasferisce a Torino, nel 1920 si sposta a Berlino, pur mantenendo i rapporti con l’Italia dove torna nuovamente nel 1923.

Fin da bambino Ginzburg dimostra doti eccezionali: a soli sei anni compila dei Ricordi di un giornalista in erba; a dodici tiene una lezione pubblica di cui sono rimasti degli appunti e schemi preparatori; a tredici anni scrive una lettera al «Corriere della Sera» in cui rileva delle imprecisioni in un articolo di Angelo Gatti, il quale, dallo stile della missiva, ritiene che il suo interlocutore sia un esperto in materia politico e militare1. Quando, nell’autunno del 1924, entra al liceo D’Azeglio, i suoi compagni di

classe capiscono subito di trovarsi davanti «a una specie di fenomeno»2:

pur avendo poco più di quindici anni, non era più un ragazzo come tutti gli altri […] metteva soggezione e incuteva rispetto […]. Aveva una buona pronuncia, assai migliore della nostra, come aveva subito osservato l’insegnante di italiano Umberto Cosmo […]. Leone parlava lentamente, pacatamente con un certo sforzo, quasi dovesse cercare le parole, ma trovava sempre quella esatta; le sue frasi erano composte, compiute, lunghe ma non mai tortuose; non perdeva il filo anche nei discorsi più difficili; parlava adagio, ma era come se scrivesse; parlava, insomma, noi dicevamo, come un libro stampato. Quando Cosmo, che lo rivelò e ne fece il capoclasse, rivolgeva qualche domanda a tutta la scolaresca, sapevamo

1 Cfr. ANGELO D’ORSI, Un suscitatore di cultura, in L’itinerario di Leone Ginzburg, a cura di NICOLA

TRANFAGLIA, Torino, Bollati Boringhieri, 1996, pp. 72-73.

benissimo che Leone ci avrebbe tolto l’imbarazzo: alzava la mano, e rispondeva per tutti, quasi sempre con una precisione che suscitava il compiaciuto consenso del professore e l’ammirato stupore dei compagni. Componeva con estrema facilità: appena dettato il tema, si chinava sul foglio e cominciava a scrivere, una riga dopo l’altra, quasi senza pentimenti, con una scrittura nitida, ben disegnata, regolare, piccola e larga, che rimase, passando gli anni, sempre eguale […]. Ricordo ancora la nostra impressione alla lettura, cui Cosmo lo aveva invitato, del primo tema sulle Ricordanze del Settembrini, quale appariva dal ritratto apposto all’edizione scolastica del Morano: un vero e proprio piccolo brano letterario3.

Pur evidenziando le capacità fuori dall’ordinario del giovanissimo Ginzburg, Angelo D’Orsi sostiene che per lui furono decisivi gli incontri con gli insegnanti del liceo Umberto Cosmo e Zino Zini e altrettanto fondamentali furono gli scambi di idee e di opinioni con i suoi coetanei e compagni del D’Azeglio:

Nondimeno, oltre all’incontro con i maestri, diretti e indiretti del D’Azeglio, conta, nell’alunnato di Leone, quello con i suoi coetanei: oggi possiamo ben dire che si trattò di una concentrazione di giovinetti di valore del tutto fuori dall’usuale4.

Ma D’Orsi non può fare a meno di sottolineare la differenza che separa «quella» pur «straordinaria covata di giovani talenti» dal giovinetto russo:

Per quella straordinaria covata di giovani talenti l’avventura liceale va senz’altro considerata il punto di partenza delle rispettive carriere intellettuali o (politico- intellettuali), mentre costituisce già, per il quindicenne di Odessa, un punto di arrivo pur provvisorio, della sua formazione5.

Grazie al suo ingegno brillante e precoce, Ginzburg si è costruito, autonomamente e parallelamente alla scuola, una cultura vasta e solida, per cui il suo percorso formativo si configura come un’esperienza già conclusa al termine del liceo. Finita la scuola, aderisce alle iniziative della confraternita del D’Azeglio della quale è un membro importante e attivo; pur avendo approfondito interessi per la politica – già da studente liceale conosce lo spessore intellettuale di Piero Gobetti6 e tra l’ultimo anno del liceo

3 NORBERTO BOBBIO, Introduzione, in LEONE GINZBURG, Scritti, cit., pp. XLVIII-XLIX. 4 ANGELO D’ORSI, Un suscitatore di cultura, cit., p. 74.

5 Ibidem.

6 Bobbio ricorda che in classe, alla morte di Gobetti, Ginzburg è l’unico a conoscerlo: «Cosmo entrando

in classe col giornale spiegato, ci disse con voce accorata di aver appreso la notizia della morte di uno dei suoi migliori allievi, Piero Gobetti: un’impressione che non mi si è più cancellata dalla memoria. Eppure allora non sapevo chi fosse Gobetti, forse non l’avevo mai sentito nominare. Solo Ginzburg lo sapeva e alla fine della lezione ce ne parlò.» NORBERTO BOBBIO, Introduzione, in LEONE GINZBURG, Scritti, cit., p. LIX.

ed il primo anno dell’università scrive un romanzo sullo squadrismo toscano, Vita eroica di Lucio Sabatini – non si impegna nella militanza e all’interno confraternita degli allievi del D’Azeglio, almeno nella sua fase iniziale, preferisce abbandonarsi in discussioni su arte e letteratura.

Si afferma nella vita culturale della città nel 1927, con uno scritto su Anna Karenina comparso su «Il Baretti»; allo stesso anno risale il suo esordio come traduttore dal russo, traduce infatti Taras Bul’ba di Gogol e l’anno seguente porta a termine la traduzione di Anna Karenina, romanzo pubblicato presso la casa editrice Slavia. Inizia così la collaborazione di Leone Ginzburg con Antonio Polledro; oltre ai due volumi indicati sopra, in questi anni traduce inoltre per lo stesso editore Sonata a Kreutzer di Tostoj, La dama di picche e La figlia del capitano di Puškin e Nido di nobili di Turgenev. Grazie a questa attività Ginzburg «ha l’opportunità di mettere a frutto la propria “russità”, rivelando un autentico talento di cultore della letteratura russa»7; Angelo

Ripellino sottolinea che la novità e particolarità di Ginzburg traduttore e studioso di letteratura russa consiste nell’interpretare la letteratura russa «come un fatto europeo, togliendole quegli attributi di scitismo asiatico che alcuni male informati sono propensi a darle»8. Questa prima esperienza presso la casa editrice Slavia è molto importante per

Ginzburg perché gli permette di «gettare le basi per quella sua intensissima carriera di editor che troverà coronamento nella fondazione e nella sostanziale direzione di casa Einaudi, tra il 1933 e il 1944»9. Nell’aprile del 1928 in casa di Oreste Rossi, cognato di

Benedetto Croce, Ginzburg ha la possibilità di conoscere personalmente il filosofo napoletano con il quale, per tutta vita, intratterrà una sincera amicizia; questo incontro è molto importante per il giovanissimo Ginzburg, tanto che D’Orsi sostiene che dietro alla decisione di passare dalla facoltà di legge a quella di lettere molto devono aver influito i dialoghi con l’illustre studioso10.

Oltre all’attività di traduttore Ginzburg porta avanti quelle di saggista, giornalista ed editore: nel 1929 si avvicina alla redazione de «La Cultura», diretta da Arrigo Cajumi, nella quale pubblica saggi e recensioni di letteratura russa e francese; negli anni la sua collaborazione presso questa rivista diventa sempre più assidua e vi introduce anche alcuni suoi amici come Cesare Pavese, il quale, proprio in questo periodico, esordisce

7 ANGELO D’ORSI, Un suscitatore di cultura, cit., p. 77.

8 ANGELO RIPELLINO, Scrittori russi, Ritratto di Ginzburg, in «L’Unità», 4 maggio 1948. 9 Cfr. ANGELO D’ORSI, Un suscitatore di cultura, cit., p. 77.

in qualità di esperto di letteratura americana col il saggio Un romanziere americano, Sinclair Lewis. All’inizio del 1931 Ginzburg interviene, inoltre, in due riviste sorte nel solco dell’era fascista, «La Nuova Italia» di Ernesto Codignola e «Pegaso» di Ugo Ojetti11, e

in entrambe si occupa prevalentemente din letteratura russa.

Nel dicembre del 1931 Ginzburg discute con Ferdinando Neri12 una tesi in

letteratura francese su Maupassant; la laurea e la scelta di Neri producono risultati tangibili su Leone perché, tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta, accanto agli studi di letteratura russa si affiancano quelli di letteratura francese che comprendono articoli, traduzioni e saggi. Gli anni Trenta per Ginzburg si aprono con delle iniziative importanti, una di esse è la collaborazione, nata sul calare del 1931, con la casa editrice Frassinelli – dalla breve ma intensa durata – gestita dal tipografo Carlo Frassinelli e Franco Antonicelli. Anche Antonicelli si era laureato in letteratura francese con Neri; in seguito aveva insegnato nei licei di Torino – dove, sostituendo Cosmo, aveva conosciuto Ginzburg come alunno ed era rimasto stupito dalle sue doti – e nel frattempo, non più sicuro della sua vocazione da insegnante e letterato, aveva preso una seconda laurea in giurisprudenza, discutendo la tesi con Gioele Solari. Frassinelli era un tipografo, ricorda Bobbio,

che aveva fama di intelligente innovatore, di curioso sperimentatore, di uomo di immagine e di gusto: volitivo, energico, intraprendente, si era fatto da sé, e l’essere diventato un buon tipografo non bastava a soddisfare la sua ambizione, a mettere in movimento e in mostra tutte le sue capacità13.

11 Il vero direttore di «Pegaso» era in realtà Piero Pancrazi, Ojetti, infatti, nome dell’establishment fascista

– nel 1925 era stato tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali fascisti e nel 1930 era stato nominato membro dell’Accademia d’Italia – si limitava al ruolo di rappresentanza.

12 Ferdinando Neri era un docente fascista dichiarato ma rispettato dagli antifascisti. Nei suoi studi si

pose fuori dalla sfera crociana, collocandosi piuttosto nel solco della linea storico-filologica torinese, che tentava di far coesistere interpretazione e filologia. Per quanto riguarda il rapporto Croce-Ginzburg, D’Orsi sottolinea che «l’influsso di Croce è assai forte sull’intellettuale in formazione, naturalmente, mentre lo studioso – nel caso, di letteratura – non tarda a rivelare, anche sul piano del metodo, orientamenti che si distaccano nettamente da quelli dell’estetica crociana». ANGELO D’ORSI, Un

suscitatore di cultura, cit., p. 85. In Ginzburg si registra, dunque, da un lato l’ammirazione per il Croce

filosofo e interprete della storia, dall’altro una divergenza dal Croce critico-letterario: si spiega così la scelta di Neri come relatore di tesi. Dietro a questa decisione di Ginzburg si cela tuttavia un’altra motivazione, cioè l’attenzione del professore per le letterature straniere per cui «appare uno dei punti focali» dell’«europeismo culturale torinese tra le due guerre» e uno dei primi comparatisti in Italia. Ibidem.

Antonicelli si occupava di scegliere gli autori e i traduttori ma insieme a Frassinelli discuteva riguardo le copertine, il formato e i caratteri; le edizioni erano molto curate ed ogni volume doveva essere diverso dall’altro e presentare una particolarità.

Nel 1932 prende avvio il progetto della «Biblioteca europea», «la collana-vetrina delle edizioni Frassinelli» che, per i suoi titoli e per i suoi orientamenti, «rivela una diretta filiazione da quella atmosfera antiprovinciale e da quella giovanile ansia di europeismo, di apertura extranazionale, che anima i “gobettiani”»14. A questo progetto

Ginzburg contribuisce traducendo romanzi e suggerendo dei titoli da pubblicare: è, per esempio, lui a segnalare il primo romanzo della collana, L’armata a cavallo di Isaak Babel’, tradotto da Renato Poggioli con una copertina disegnata da Mario Sturani. Un altro importante collaboratore della casa editrice Frassinelli è Cesare Pavese, «coetaneo e quasi alter ego di Ginzburg»15, tra le cui traduzioni spicca Moby Dick di Melville, il vero

capolavoro della «Biblioteca europea», uscito nel 1932 con una copertina, anche in questa occasione, opera della mano di Sturani. Nella collana, tra le traduzioni di Pavese, compaiono inoltre Riso nero di Sherwood Anderson, edito sempre nel 1932, e, l’anno seguente, Dedalus di James Joyce.16 La collaborazione di Pavese e Ginzburg, nel

progetto culturale della «Biblioteca europea», ha portato giustamente D’Orsi a sostenere «che nasca qui, nell’intensa avventura del tipografo-editore Frassinelli, quello straordinario duo di editors, che sarà di lì a poco l’asse portante della casa Einaudi»17.

Gli anni a cavallo tra gli anni Venti e gli anni Trenta vedono dunque Ginzburg impegnato dal punto di vista culturale ed editoriale: stende articoli e saggi di letteratura

14 ANGELO D’ORSI, Un suscitatore di cultura, cit., p. 85. «La fuggevole apparizione della “Biblioteca

europea” è un bel capitolo della storia di una Torino cosmopolitica ben diversa dalla “stanca” Torino di cui aveva parlato Gobetti, o della Torino gozzaniana che l’aveva preceduta, e che per ciò stesso ignorava il fascismo e addirittura lo sfidava. Era la Torino, del resto, che aveva ospitato qualche anno prima nel vecchio teatro Scribe, rifatto a nuovo e battezzato teatro di Torino, gli spettacoli promossi e finanziati da Riccardo Gualino: memorabili stagioni di opere, a cominciare da una trionfale Italiana in

Algeri, con cui il 25 novembre 1925 il teatro era stato inaugurato, seguita dall’Arianna a Nasso di Richard

Strauss, dall’Alceste di Gluck, da Così fan tutte di Mozart; i concerti diretti dall’ancor giovane ma già celebre maestro Vittorio Gui: i balletti di Loïe Fuller e di Djagilev, le danze dei Sacharov; la compagnia russo- francese dei Pitoëff, che recitava Čechov, Tostoj, Pirandello, e dedicava la serata in onore di Ludmilla alla Santa Giovanna di Shaw; la compagnia di Jacques Coupeau; il teatro Kamerny di Mosca diretto da Tairov.» NORBERTO BOBBIO, Trent’anni di storia della cultura a Torino, cit., p. 70.

15 ANGELO D’ORSI, Un suscitatore di cultura, cit., p. 86.

16 Gli altri volumi pubblicati dalla casa editrice Frassinelli furono La luna dei Caraibi e altri drammi marini

di Eugene O’Neil, tradotti da Ada Prospero nel 1932; Il processo di Franz Kafka, tradotto da Alberto Spaini nel 1933; Le avventure di Huckleberry Finn, tradotto da Luigi Berti nel 1934.

17 ANGELO D’ORSI, Un suscitatore di cultura, cit., p. 86. D’Orsi inoltre nella famosa fotografia che «ritrae

quelli che saranno i dioscuri della casa dello Struzzo per il primo decennio, seduti su di un muricciolo davanti alle colline della Langa» accanto a Carlo Frassinelli e Franco Antonicelli vede un «significativo documento del passaggio verso l’Einaudi». Ivi, pp. 86-87.

russa e francese per alcune delle maggiori riviste letterarie del paese e collabora con prestigiose case editrici interessate alle novità provenienti dall’estero. In questi anni di fermento intellettuale Ginzburg si avvicina, inoltre, alla politica attiva; fino ad ora non se ne era dimostrato indifferente18 ma non aveva mai preso parte a movimenti o a

manifestazioni. Dopo aver discusso la tesi nel dicembre del 1931, nei primi mesi dell’anno successivo ottiene una borsa di studio a Parigi per completare le sue ricerche su Maupassant; nella capitale francese incontra nuovamente Benedetto Croce e frequenta l’ambiente degli emigrati antifascisti: rivede Aldo Garosci che ha lasciato l’Italia all’inizio del 1932 e conosce Carlo Rosselli e Gaetano Salvemini. In questo periodo matura la scelta di Leone Ginzburg di aderire all’attività politica clandestina. Gli effetti di questa decisione si rifletteranno negli anni a seguire nei progetti culturali del gruppo di amici del D’Azeglio. Già nel 1929, con l’arresto di Mila e Geymonat, la confraternita si era timidamente esposta contro il fascismo, ma quando Ginzburg, «il più autorevole del gruppo»19, si avvicina alla politica attiva, gli interessi della compagnia

stessa si ampliano e si indirizzano verso due direzioni: da un lato nel progetto di costituire una casa editrice, un’idea sulla quale Ginzburg aveva riflettuto a lungo ed infatti «cercava da tempo di passare dalle parole ai fatti, dalle riunioni al caffè o in case amiche alla produzione di carta stampata»20; dall’altro nell’adesione al gruppo

clandestino antifascista «Giustizia e Libertà».

Nell’aprile del 1932 si era svolto un processo nei confronti di Aldo Garosci, Luigi Scala e Mario Andreis colpevoli di aver dato vita ad un’organizzazione di operai e studenti, di aver divulgato il periodico clandestino «Voci d’Officina» e di essere stati

18 Bobbio infatti ricorda che già nei banchi di scuola aveva chiare idee antifasciste: «L’antifascismo di

Ginzburg fu sin dall’inizio una manifestazione spontanea e conseguente alle sue convinzioni morali. Quando ci conoscemmo, tra i quindici e i sedici anni, egli era già antifascista convinto e irriducibile. Ricordo una delle prime volte che venne a casa mia, nell’inverno del ’25: gettando lo sguardo su una rivista illustrata ove era riprodotto un ritratto di Mussolini, pronunciò una frase sprezzante. Rimasi colpito per la sicurezza e la decisione con cui furono pronunciate quelle parole […]. Non saprei dire quale fosse stato il primo ambiente in cui era maturata la sua passione antifascista: certamente, quando venne a Torino, il suo giudizio sul regime era già dato e scontato. L’ambiente torinese, in cui si trovò a vivere e con cui prese a poco a poco contatto, contribuì a rafforzarlo o a precisarlo.» NORBERTO

BOBBIO, Introduzione, in LEONE GINZBURG, Scritti, cit., pp. LVIII-LIX.

19 NORBERTO BOBBIO, Trent’anni di storia della cultura a Torino, cit., p. 73. Bobbio torna spesso sulla

centralità di Ginzburg nel gruppo di amici: «Tra i compagni, Ginzburg godeva di particolare prestigio non solo culturale ma anche morale. La sua sicurezza era frutto non soltanto di una cultura più ampia e più solida, più agguerrita di fronte alle tentazioni della buona figura a buon mercato, ma anche di una consapevolezza del proprio compito, già pienamente conquistata nell’età dei conflitti, delle lacerazioni, dei cedimenti.» ID., Introduzione, in LEONE GINZBURG, Scritti, cit., p. LII.

promotori delle attività antifasciste e sovversive di «Giustizia e Libertà» a Torino. Mario Andreis e Luigi Scala vengono condannati a otto anni di reclusione, Ginzburg decide, allora, di riorganizzare nel capoluogo piemontese il gruppo di «Giustizia e Libertà» prendendo contatti con gli antifascisti; a questo progetto aderiscono, inoltre, Augusto Monti, Barbara Allason, Massimo Mila, Michele Giua e il figlio Renzo, Carletto Mussa- Ivaldi e infine Carlo Levi, con il quale Ginzburg fin dal suo viaggio a Parigi è in stretto rapporto. Il soggiorno all’estero si rivela determinante per la maturazione politica di Ginzburg perché nella capitale francese il giovane intellettuale ha la possibilità di approfondire la sua conoscenza del pensiero gobettiano e di avvicinarsi a concetti come la teorizzazione dei consigli di fabbrica e dell’autonomia operaia, che sono al centro del suo primo scritto Il concetto di autonomia nel programma di G. L. (firmato M. S. come Ginzburg era solito fare negli scritti clandestini), pubblicato sul numero del quattro settembre 1932 dei «Quaderni di Giustizia e Libertà».

In effetti molti sono gli aspetti che legano la personalità di Leone Ginzburg a quella di Piero Gobetti; si tratta di un argomento di cui la critica si è copiosamente occupata e doveva essere evidente anche a Augusto Monti che, vent’anni dopo la morte di Ginzburg, lo ricorda in un articolo nel quale definisce Gobetti come il «predecessore maestro ed esemplare»21 dell’intellettuale italo-russo. L’affinità con Gobetti è

certamente di natura politica ed ideologica, ma tra i due esistono anche analogie nella concezione della cultura: D’Orsi infatti sostiene che «sicuramente gobettiano è il modello del lavoro culturale ginzburghiano» poiché si rifanno entrambi al modello vociano22. Nel campo strettamente politico, Ginzburg riprende da Gobetti l’amore per

le autonomie locali, per la sovranità dal basso, cui segue «la critica ai vecchi partiti diventati macchine troppo pesanti, manovrate da oligarchie ristrette» e «la preferenza data ai sindacati come strumenti di lotta politica e la speranza riposta nei consigli operai». Dell’insegnamento gobettiano è erede anche

l’intransigenza antifascista, la resistenza al fascismo come fatto morale prima che politico, come valore culturale oltre che politico. […] . Era un antifascismo fatto di disdegno, di fierezza di essere dalla parte giusta, senza risentimenti o acredini per fatti personali […], ricco della tradizione risorgimentale e della lunga pratica delle civili libertà che al Risorgimento era seguita23.

21 AUGUSTO MONTI, Ricordo di Leone Ginzburg, in «L’Astrolabio», 25 gennaio 1964. 22 Cfr. ANGELO D’ORSI, Un suscitatore di cultura, cit., pp. 69-70.

Da Gobetti Ginzburg recupera, inoltre, il modo di intendere la cultura, nel senso