• Non ci sono risultati.

La confraternita: primo esperimento culturale collettivo

Monti riveste comunque una funzione estremamente stimolante per Pavese; l’alunno è infatti da subito attratto dal professore – la fascinazione è, come già detto, reciproca – e, pochissimo tempo dopo aver conseguito la maturità, nell’agosto del 1926, Pavese scrive una lettera a Monti dove gli propone di diventare amici, rispondendo come segue alla sollecitazione che lo stesso professore ha rivolto ai suoi studenti di tenerlo aggiornato sulle loro vite e sui loro studi:

Ho ricevuto la Sua lettera: uno di questi giorni le ricapiterò in casa e spero che sarò più fortunato dell’altra volta. Mi ci incaponisco così perché quella lettera me ne incoraggia. In essa ho trovato espresso in poche parole tutto ciò che io da un bel po’ di tempo in qua andavo rimuginando come venirle a dire appena finita la

116 In questo passo di una lettera indirizzata a Monti dell’agosto del 1926 Pavese esprime chiaramente

l’azione di affinamento e comprensione delle opere compiuta dal professore nei suoi confronti: «Quattro anni fa io cominciavo ad aver per le mani le loro opere e mi esaltavo confusamente senza capirne il perché. Ora dopo quattro anni di fatiche e dopo che lei ci ha insegnato a leggere, a poco a poco, credo di essere giunto a capire qual è la loro magia», CESARE PAVESE, Lettere (1924-1944), cit., p. 26.

117 LORENZO MONDO, Cesare Pavese: Il mestiere di poeta, «Cuadernos de Filologìa Italiana»,

n°extraordinario, 2011, p. 257.

scuola. «Per voi la scuola nostra comincia ora… venite a parlarmi dei vostri studi, delle vostre opere, dei vostri giorni…». Questo intendevo io e già una certa frasaccia l’avevo trovata, che mi andava sì e no. «Quest’estate che sarò libero dei miei atti, del Prof. Monti mi voglio fare amico». Se il mio modo di dire le parrà troppo spiccio si consoli pensando che il mio sentimento era ed è proprio questo e quindi sarebbe stato contro i nostri principi vestirlo di un bello stile più letterario, ma meno schietto119.

Dal canto suo, Monti accoglie di buon grado la richiesta del suo ex alunno al quale, nel corso di quell’estate, permette di venirgli a far visita a La Sala, un paesino della Val Sangone, nei pressi di Giaveno, dove il professore trascorre le sue vacanze alloggiando nella casa del parroco.

L’invito di Monti non è stato accolto solo da Pavese ma anche da altri studenti cui egli non è stato propriamente insegnante ma con i quali è venuto in contatto attraverso la biblioteca della scuola di cui è direttore. L’intenzione di Monti è quella di vigilare su tutte le menti promettenti del D’Azeglio, quindi sia su quelle provenienti dalla sezione B (tra le quali si annoverano, seppur in anni diversi, Cesare Pavese, Tullio Pinelli, Vittorio Foa, Massimo Mila e Giulio Einaudi), sia su quelle provenienti dalla sezione A, molti delle quali ebbero come insegnante di lettere Umberto Cosmo (Leone Ginzburg, Giulio Carlo Argan, Norberto Bobbio). La biblioteca della scuola – molto frequentata da Ginzburg, un allora studente estremamente brillante di origine russa che Monti ha avuto occasione di conoscere durante gli esami di ammissione al D’Azeglio nel 1924 – costituisce un luogo di incontro dei membri delle due sezioni, la cui assidua frequentazione, favorita dal professore di lettere della B, in poco tempo darà vita a quella che da Massimo Mila è stata definita la «confraternita» degli ex alunni del D’Azeglio. La prima riunione plenaria si tiene il due dicembre del 1927 nella casa di Leone Ginzburg e verrà ripetuta più volte in occasione dell’anniversario; gli incontri hanno luogo una volta a settimana, nelle prime ore del pomeriggio, presso lo studio di Mario Sturani – membro acquisito attraverso l’intermediazione di Pavese perché non si era diplomato al D’Azeglio, ma si era trasferito a Monza per studiare arte – in via Mazzini, al caffè Rattazzi, o nella villa di Pavese a Reaglie. I giovani della compagnia scherzano e si dilettano goliardicamente sperimentandosi nelle differenti arti: leggono le rispettive prove letterarie, discutono di letteratura, filosofia e pittura, ma si abbandonano anche a bevute, beffe e certami osé. Non si tratta di un impegno serio,

119 Ivi,p. 25.

l’intento di questi giovani è – almeno in un primo momento – piuttosto quello di passare del tempo condividendo le loro passioni:

Giacchero strimpella il pianoforte, un certo Libero Novara, cooptato brevemente nel gruppo, si esibisce in esperimenti di fachiro trapassandosi il collo con uno spillone. Pavese documenta in una serie di sonetti, atteggiati a un arcaico decoro formale, i trascorsi dell’allegra brigata: “Al lunedie sì se salga suso\ a la ciambra del nostro Bacarozzo\ che s’anco Deo gli diede uno sconcio muso\ l’ha però fatto di costumi sozzo” (Bacarozzo è il soprannome di Sturani, chiamato altre volte “il Pollo” o “il Barone”). Non manca in questi componimenti, uno per ogni giorno della settimana e destinati a confluire in una parodistica “pornoteca”, l’accenno a compagnie femminili: “Al giovedie venga Lucy e Nucci\ e trovino en la ciambra tutti e sette\ e si dileguino e’ nostri corrucci\ al pacioccar di quelle forosette”120.

Anche Monti, il membro più anziano della compagnia, è partecipe delle goliardate dei ragazzi e, ormai sceso dalla cattedra, rivela ai suoi studenti un volto insolito:

Monti ordinava regolarmente un capillaire e muoveva i fili della conversazione, che non era necessariamente politica. Il rigidissimo professore di italiano era diventato ormai un compagno più anziano, fra tutti il più estroso e brioso: gli occhi, dietro lenti spessissime che in classe, a sentire i suoi allievi agghiacciavano come quelli del basilisco, erano vispi, sbarazzini, ammiccanti; il volto pallido, magro, scavato, immagine della severità, si distendeva ed animava, e il famoso cipiglio si apriva nella risata sbottante che accompagnava la conclusione di un aneddoto, di una storiella paesana, più che raccontata, recitata con gesti, frasi dialettali, qualche brano, quando occorreva cantato con voce stentorea121.

I membri del gruppo frequentano l’università, quasi tutti si sono iscritti alle facoltà di Lettere o Giurisprudenza; Ginzburg, Foa e Bobbio hanno scelto quest’ultima – anche se Ginzburg dopo un anno cambierà per Lettere – e, attraverso Pavese e Mila, iscritti a Lettere, conoscono alcuni studenti militanti che si sono formati negli ambienti antifascisti. Uno di essi è Aldo Garosci, un collaboratore de «Il Baretti», che nel giro di pochi anni fonda, insieme a Mario Andreis il giornale clandestino «Voci d’officina» e sarà uno degli organizzatori a Torino del movimento antifascista «Giustizia e Libertà».

120 LORENZO MONDO, Quell’antico ragazzo, cit., pp. 29-30.

121 NORBERTO BOBBIO, Introduzione, in LEONE GINZBURG, Scritti, a cura di DOMENICO ZUCÀRO,

Einaudi, Torino, 1964. Un’altra descrizione di un incontro tipico della confraternita si ha in una lettera del trenta agosto 1938 di Leone Ginzburg – che si trova a Viareggio per passare le vacanze esitve – indirizzata Pavese datata 30 agosto 1928, nella quale il giovane intellettuale italo-russo chiede se le riunioni del gruppo si svolgono nella stessa maniera di sempre: «Dunque: vorrei sapere cosa fate e cosa combinate; se Sturani dipinge e cosa dipinge e qual è il suo umore e quali i suoi propositi; se tu scrivi versi o prosa o se leggi libri teosofici pippiani e se è vero che stai infuturescandoti; se Monferrini ha riportato dal mare il suo abito di “genio del vino” (cfr. Sturani, “Opere”); se Giacchero ha conquistato qualcuno a Varrazze, et similia: nonché notizie dei latitanti». CESARE PAVESE, Lettere (1924-1944), cit.,

Nonostante gli incontri con tali personalità, la confraternita degli ex allievi del D’Azeglio non nutre ancora interessi specifici in materia politica: nel 1927 circolano tra gli studenti del capoluogo piemontese alcuni fogli dell’antifascismo clandestino di varie tendenze («Difesa liberale», «Umanità Nova», «Goliardo Rosso») e Pavese, Ginzburg, Mila e altri del gruppo, pur venendo invitati dagli studenti militanti come Garosci, Andreis, Mario Soldati e Fernando De Rosa a partecipare ai loro incontri e manifestazioni, si astengono. Nel biennio1927-1928 gli interessi della Confraternita sono piuttosto orientati verso la poesia e questioni di letteratura; si noti, tuttavia, che per qualche giovane del gruppo gli incontri settimanali non sono un mero passatempo goliardico, bensì l’occasione per coltivare un impegno serio e costante. L’idea di creare una rivista – per la quale è stato anche suggerito un nome, «La tavola rotonda» – testimonia la tendenza, soprattutto di Ginzburg, di voler trasformare i prodotti della Confraternita in un progetto culturale più ambizioso, anche se prima della concretizzazione di questo piano passeranno sei anni, allorché, nel 1934, la neonata Giulio Einaudi editore rileverà «La Cultura».

Grazie alla conoscenza di Monti, Ginzburg, che è l’elemento più attivo del gruppo, sia da un punto di vista culturale che organizzativo, nel 1928 inizia a scrivere alcuni interventi su «Il Baretti»; nello stesso anno porta a termine la traduzione di Anna Karenina che esce con la casa editrice Slavia, fondata da Antonio Polledro, con la quale Ginzburg dà avvio ad un sodalizio collaborando con proposte e suggerimenti. Nel 1929, si avvicina alla redazione de «La Cultura» per la quale lavora più intensamente negli anni che seguono dove pubblica saggi di letteratura russa e francese e, nel 1930, Arrigo Cajumi, direttore della rivista, gli affida la cura del numero di febbraio interamente dedicato a Dostoevskij, in occasione del cinquantenario della morte dell’autore. Attraverso Ginzburg, anche Pavese si avvicina alla rivista letteraria, dove esordisce come esperto di letteratura americana, pubblicando alcuni saggi: il primo di essi è Un romanziere americano, Sinclair Lewis, apparso nel numero di novembre del 1930. Le riunioni della confraternita degli ex allievi del D’Azeglio nascono quindi come momenti per dilettarsi in prove poetiche o discutere di arte e letteratura in un ambiente disteso, amichevole e goliardico; col procedere degli anni, però, questi incontri cambiano la loro natura e non si configurano più come un passatempo intellettuale e contemporaneamente scanzonato e leggero. Per Ginzburg l’esperienza della confraternita funziona come un primo laboratorio per un esperimento culturale

collettivo in preparazione a progetti più vasti alla maniera prezzoliniana e gobettiana: l’approdo sarà, in effetti, la fondazione della casa editrice Einaudi e la direzione de «La Cultura.» Non a caso Ferretti sostiene che

il primissimo nucleo della struttura redazionale di Casa Einaudi si forma negli anni venti, sui banchi del liceo-ginnasio Massimo D’Azeglio di Torino dove insegna Augusto Monti, intellettuale antifascista di formazione crociana amico di Piero Gobetti. […] Si può dire […] che il primo apprendistato intellettuale ed editoriale di Pavese comincia qui122.

Come precedentemente sottolineato, Augusto Monti è presente, attivo e partecipe alle riunioni della confraternita ed a lui spetta il titolo di padre fondatore del gruppo perché è grazie alla sua presenza che gli ex allievi del D’Azeglio si costituiscono come gruppo123. L’azione di Monti è volta anche ad un altro obiettivo: l’esperienza con

Gobetti era stata per lui estremamente formativa dal punto di vista politico e culturale e il ricordo dello «scolaro maestro» assassinato dai fascisti a Parigi era ancora molto vivo; Monti inoltre, è stato notato, dopo la morte di Gobetti, aveva preso in mano le redini de «Il Baretti», la sola delle due riviste che sopravvisse al suo fondatore. Al di là delle divertenti ore passate nei caffè di periferia a leggere poesie goliardiche, Bobbio sostiene che il vero intento del professore fosse sostanzialmente quello di portare avanti l’eredità gobettiana, impegnandosi a trasmettere la consegna morale del giovane intellettuale precocemente e brutalmente scomparso tra i suoi allievi, facendoli così avvicinare alla politica; il mezzo per perseguire questo fine è «Il Baretti»:

l’eredità gobettiana non ci appariva soltanto, attraverso Monti, un ideale da tramandare: era ancora viva, allora, l’ultima rivista che Gobetti aveva fondato alla fine del ’24, «Il Baretti». Monti, che ne era diventato di fatto l’animatore e il responsabile, era ben deciso a non lasciarla morire. Il gruppetto Rattazzi servì anche a questo scopo con qualche abbonamento racimolato e soprattutto con la nuova leva di collaboratori giovanissimi – Ginzburg, Mila – che esso offrì alle pagine della rivista, via via sempre più abbandonate dai vecchi collaboratori e dai grossi nomi. Quando uscì l’articolo di Ginzburg su Anna Karenina fu un avvenimento. Gobetti aveva fondato, accanto a “La Rivoluzione Liberale”, un foglio letterario come “Il Baretti”, perché, destinato ad avere più lunga vita, avrebbe permesso al gruppo di collaboratori di non disperdersi e di accrescersi. Questa previsione non fu smentita dai fatti. Proprio nei suoi ultimi numeri, esso raccolse i primi scritti dei migliori rappresentanti della cultura torinese, che si

122 GIANFRANCO FERRETTI, L’editore Cesare Pavese, Torino, Einaudi, 2017, p. 3.

123 Sull’importanza del ruolo di Monti nella confraternita la critica è fondamentalmente unanime, fa

eccezione Umberto Mariani che tende a ridimensionare il contributo del professore nella formazione del gruppo, UMBERTO MARIANI, Augusto Monti and Cesare Pavese: Connections and Divergences, in ‘Onde di questo mare’: reconsidering Pavese, a cura di ROSSELLA RICCOBONO e DOUG THOMPSON, Market

affacciavano alla vita culturale e politica, e fece da ponte tra due gruppi di persone che non si erano mai conosciute personalmente. Morto “Il Baretti”, e non essendo più tempo di riviste di polemica politica, l’idea di una rivista culturale, scritta da antifascisti, non venne mai meno124.

Monti vuole dunque provare a riorganizzarsi culturalmente e politicamente anche se non si deve incorrere nell’errore, al contrario di molta critica, di dare il merito dell’impegno politico del futuro gruppo Einaudi unicamente agli stimoli del professore. Inizialmente il gruppo sembra essere interessato a questioni e progetti culturali estranei alla politica ma nel 1929 alcuni membri vengono tratti in arresto per attività antifascista. Come precedentemente ricordato, Umberto Cosmo prende l’iniziativa di inviare una lettera di solidarietà a Benedetto Croce, che, in seguito ad un discorso pronunciato in Senato contro i Patti Lateranensi, era stato offeso e definito da Mussolini un «imboscato della Storia»; la lettera di Cosmo, fatta circolare negli ambienti universitari, raccoglie numerose sottoscrizioni tra gli studenti e viene firmata anche da Massimo Mila e Ludovico Geymonat i quali, a seguito di questo atto, vengono arrestati. Cosmo viene condannato a cinque anni di confino da scontare alle isole Lipari, gli altri firmatari vengono rilasciati dopo qualche settimana con un provvedimento di ammonizione; al giovanissimo Mila, l’unico, assieme a Geymonat, che, all’altezza del 1929 si espone contro il Duce, quel gesto causa diciannove giorni di carcere. Ginzburg, Pavese e gli altri componenti si rifiutano di firmare: Pavese è in questi anni completamente preso dal suo lavoro creativo ed assorbito dalla scoperta della letteratura americana – soprattutto di Walt Whitman; per quanto riguarda il mancato sostegno di Ginzburg alla lettera di Cosmo, secondo una parte della critica non si sarebbe trovato d’accordo sulla formulazione della lettera ma è molto più probabile che dietro la sua astensione si celasse la sua condizione di apolide e, a riprova di questa motivazione, basti ricordare che Ginzburg prima di ottenere la cittadinanza italiana si astiene da ogni attività politica.

La confraternita degli ex allievi del D’Azeglio rappresenta la prima occasione di incontro di alcuni giovani che, da adulti, costituiranno un’ampia fetta dei maggiori intellettuali del secolo scorso: Leone Ginzburg, Massimo Mila, Vittorio Foa, Ludovico Geymonat, Carlo Giulio Argan, Cesare Pavese, Norberto Bobbio. Il gruppo è fondamentalmente animato da due personalità: Monti e Ginzburg; l’azione del primo

è determinante nella fase costitutiva della compagnia, quella del secondo è invece indispensabile nei primi anni Trenta, allorché la confraternita proverà a organizzarsi culturalmente e politicamente. Come si avrà occasione di notare in seguito, l’affermazione di Pavese sulla scena letteraria sarà in buona parte dovuta all’intermediazione di Ginzburg: è grazie a quest’ultimo che esordisce come americanista su «La Cultura» diretta da Cajumi nel 1930, sempre per il tramite dell’amico russo inaugura la sua attività di traduttore con Frassinelli ed infine è Ginzburg a farsi promotore della pubblicazione di Lavorare stanca con Carocci presso la casa editrice di «Solaria».

C

APITOLO

II