• Non ci sono risultati.

Le conseguenze dell’attivazione delle procedure di cui all’art 7 TUE, la ratio della norma e la sua mancata

DELL’ART 7 TUE E PROSPETTIVE DE IURE CONDENDO

2. L’art 7 TUE

2.6 Le conseguenze dell’attivazione delle procedure di cui all’art 7 TUE, la ratio della norma e la sua mancata

applicazione

Nei paragrafi precedenti abbiamo potuto osservare come le soglie di attivazione del procedimento di cui all’art. 7, par. 2, TUE siano piuttosto elevate, caratterizzandolo come meccanismo di ultima istanza. Ciò può essere ricollegato sia al carattere politico del procedimento, sia alle pesanti ricadute derivanti dalla sua applicazione.

Una conseguenza dell’attivazione del meccanismo di cui al par. 2 è, innanzitutto, la constatazione di una violazione grave e persistente, da parte di uno Stato membro, dei valori di cui all’art. 2 TUE: oltre ad essere condizione indispensabile per poter avviare l’eventuale successiva fase del procedimento volta a sospendere alcune prerogative legate allo status di membro, la constatazione è anche produttiva di conseguenze di per sé. Il Protocollo n. 24 del 1997 sull’asilo per i cittadini degli Stati membri dell’Unione europea, infatti, stabilisce che, in deroga alla regola generale per cui la domanda di asilo presentata da un cittadino di uno Stato membro non può essere presa in considerazione o dichiarata ammissibile in un altro Stato membro, in quanto ogni membro dell’UE deve considerarsi Paese d’origine sicuro, quando sia stato avviato il procedimento di constatazione di cui all’art. 7, par. 2, TUE tale domanda possa essere presa in esame. L’avviamento del procedimento di constatazione di cui al par. 2, inoltre, può sospendere l’attuazione del meccanismo del

217 V. W. SADURSKI, Adding Bite to the Bark: The Story of Article 7, EU

148 mandato di arresto europeo, tenuto conto del fatto che tale meccanismo si basa su un elevato livello di fiducia fra gli Stati membri.218

Alla constatazione segue, secondo quanto previsto dal par. 3, la possibilità per il Consiglio di decidere di sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro in questione dall’applicazione dei Trattati, fermi restando i suoi obblighi. A titolo di esempio, il par. 3 indica la possibilità della sospensione del diritto di voto di tale Stato membro in seno al Consiglio219, con l’evidente scopo di evitare che uno Stato che non rispetti più i valori comuni dell’Unione ne “contamini i meccanismi decisionali […].”220 Il par. 3, inoltre,

stabilisce che il Consiglio tiene conto delle possibili conseguenze della sospensione sui diritti e sugli obblighi delle persone fisiche e giuridiche; per tale motivo, sin dal Trattato di Amsterdam221, la possibilità di giungere all’espulsione dello Stato membro non è mai stata accolta, in quanto comporterebbe la perdita dei diritti dei singoli – oltre che l’estinzione, per quello Stato, degli obblighi che gli derivano dai Trattati. Il par. 4, poi, prevede che le misure sanzionatorie possono essere successivamente revocate o modificate - da intendere sia nel senso di un loro aggravamento che di una loro riduzione222 - da parte del Consiglio, per rispondere ai cambiamenti

della situazione che ha portato alla loro imposizione.

218 Decisione quadro del Consiglio 2002/584/GAI, 13 giugno 2002, “considerando”

n. 10.

219 Secondo vari esempi proposti dalla dottrina, la sospensione potrebbe riguardare

anche la partecipazione agli organi e alle Istituzioni nelle quali lo Stato è rappresentato a livello governativo, l’accesso alla Presidenza del Consiglio o la partecipazione ad una cooperazione rafforzata. V. U. VILLANI, Osservazioni sulla tutela dei principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo e stato di diritto nell’Unione europea, cit., pp. 34-37.

220 H. SCHMITT VON SYDOW, Liberté, démocratie, droits fondamentaux et État

de droit: analyse de l’article 7 du traité UE, in Revue du Droit de l’Union Européenne, vol. 2, 2001, p. 310, trad. it. nostra.

221 V. supra, par. 2.1.

222 V. U. VILLANI, Osservazioni sulla tutela dei principi di libertà, democrazia,

149 Oltre agli effetti più prettamente giuridici di tale meccanismo, è necessario considerare anche la portata politica di una constatazione di grave e persistente violazione dei profondi e condivisi valori europei enunciati all’art. 2 TUE. Una constatazione su questo piano da parte delle Istituzioni europee

“sul piano internazionale può condurre ad una emarginazione dello Stato in causa nelle sue relazioni non solo con i membri dell’Unione europea, ma anche con gli altri Stati o con altre organizzazioni internazionali. Sul piano interno, poi, è facile prevedere come l’autorevolezza del Governo autore della condotta censurata risulterebbe indebolita nei confronti dell’opinione pubblica e della opposizione”223.

Molto probabilmente, è per i motivi suesposti che il meccanismo di cui ai parr. 2 e seguenti dell’art. 7 TUE, nonostante casi in cui si è discusso sulla sua applicazione di fronte a gravi e persistenti violazioni dei valori comuni224, non ha mai trovato attuazione. Tuttavia, anche il procedimento descritto al par. 1, sebbene le soglie di attivazione, anche procedurali, siano meno elevate e le ricadute minori, non è mai stato applicato.225

223 U. VILLANI, Valori comuni e rilevanza delle identità nazionali e locali nel

processo d’integrazione europea, cit., p. 22.

224 A mero titolo esemplificativo, si pensi al caso dell’avvocato spagnolo Luis

Bertelli Gálvez il quale, ritenendosi vittima di una prolungata persecuzione da parte dei giudici spagnoli, nell’aprile 2003 chiese alla Commissione di proporre al Consiglio, ex art. 7 TUE, di constatare la violazione dello Stato di diritto da parte della Spagna e di sospenderne il diritto di voto nel Consiglio (v. Tribunale di primo grado, ordinanza del 2 aprile 2004, T-337/03/, Luis Bertelli Gálvez c. Commissione.) Ancora, nella Risoluzione del 14 febbraio 2007 P6_TA(2007)0032 sul presunto uso dei Paesi europei da parte della CIA per il trasporto e la detenzione illegali di prigionieri, il Parlamento europeo aveva invitato le Istituzioni europee ad assumersi le rispettive responsabilità alla luce dell’art. 7 TUE. Recentemente, si pensi alle gravi violazioni dei diritti fondamentali compiute nel corso delle procedure applicate dalla Grecia ai richiedenti asilo, su cui si sono pronunciate sia la Corte europea dei diritti dell’uomo (n. 30696/09, M.S.S. c. Belgio e Grecia, n. 30696/09, 21 gennaio 2011) che la Corte di Giustizia (cause riunite C-411/10 e C-493/10, N.S. c. Secretary of State for the Home Department e M.E. e altri c. Refugee Applications Commissioner Minister of Justice, Equality and Law Reform, 21 dicembre 2011).

225 Si ricordi, tuttavia, l’iniziativa assunta da alcuni parlamentari europei volta ad

avviare la procedura di cui all’art. 7, par. 1 TUE nei confronti dell’Italia (Proposta di Risoluzione del Parlamento europeo sul rischio di gravi violazioni dei diritti

150 Tenuto conto delle indicazioni fornite dalla Commissione europea nella Comunicazione precedentemente esaminata226, il caso

ungherese rispecchiava in pieno le condizioni necessarie per avviare il meccanismo di cui all’art. 7 TUE.

Quanto ai criteri di cui al par. 2, la gravità emergerebbe sia dall’oggetto della violazione che dal suo risultato – la messa in discussione dell’indipendenza e del corretto funzionamento delle istituzioni cruciali per garantire uno Stato di diritto –, nonché dal comportamento dell’autore, collegato alla persistenza che risulterebbe dalla reiterazione delle medesime misure contestate sulla base di interventi specifici della Corte di Giustizia e della Commissione europea. Con riferimento alla gravità, si ricordi che, fin dal 1993, la Corte di Giustizia ha affermato che l’omessa adozione di provvedimenti diretti a dare esecuzione ad una sentenza della stessa Corte costituisce una violazione “patente ed inammissibile” dell'obbligo imposto agli Stati membri di astenersi da qualsiasi misura idonea a compromettere la realizzazione degli obiettivi dell’Unione e conseguentemente “mina le fondamenta stesse dell'ordinamento giuridico comunitario”227. Per quanto riguarda la persistenza, poi, si

ponga mente alle riflessioni con cui Villani, profeticamente, riteneva che non si potesse escludere che anche una violazione di carattere istantaneo, come, per esempio, l’emanazione di “una legge che, in uno Stato membro, metta al bando l’opposizione, o abolisca l’indipendenza della magistratura ponendola alle dipendenze dell’esecutivo”228 potesse rappresentare una violazione permanente in

quanto avrebbe dato il via ad una condizione gravemente contraria ai valori fondanti dell’Unione.

fondamentali di libertà di espressione e di informazione in Italia, B5-0363/2003, 9 luglio 2003).

226 V. supra, par. 2.4.

227 Corte di Giustizia, sentenza del 19 gennaio 1993, Commissione c. Italia, causa C-

101/91, punto 23.

228 U. VILLANI, Osservazioni sulla tutela dei principi di libertà, democrazia,

151 Quanto ai criteri di cui al par. 1, a maggior ragione sarebbero integrati nel caso ungherese in quanto, come visto, la Commissione europea ha ritenuto sufficiente l’esistenza di una “potenzialità” che presupponga il concretizzarsi del rischio. La constatazione di tale potenzialità, poi, può avere come unica conseguenza la possibilità per il Consiglio di rivolgere allo Stato interessato delle raccomandazioni, che possono fungere sia da messa in guardia che da strumento di assistenza, in entrambi i casi essendo volte ad indicare i mezzi necessari per eliminare il rischio e prevenire la violazione dei valori fondamentali.

Se il meccanismo di cui all’art. 7, par. 1, TUE è stato introdotto come tassello mancante di un sistema che altrimenti non consentiva spazi di intervento in situazioni che ancora non potessero essere considerate violazioni gravi e persistenti – come di fatto il “caso Haider” aveva dimostrato, in quanto era stato necessario ricorrere a meccanismi non comunitari – allora non si vedono motivi, se non politici, per giustificare la riluttanza delle Istituzioni europee verso tale meccanismo quando tali situazioni si verificano. Come esaminato, infatti, la natura discrezionale e politica caratterizza e allo stesso tempo indebolisce l’art. 7 TUE sin dalla sua genesi.

In questo senso, l’analisi del caso austriaco può offrire un’ulteriore chiave di lettura del meccanismo di cui all’art. 7 TUE: la vicenda austriaca si è svolta in un momento di grande entusiasmo europeista, di accelerazione del processo di integrazione politica, concretizzatosi nella redazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea da parte della Convenzione Herzog nel 2000. Ciò ha portato gli Stati europei ad individuare un meccanismo di reazione contro l’Austria, anche in assenza di fondamenti comunitari di legittimazione giuridica di tale reazione, pur di lanciare un messaggio forte sull’impegno a tutela dei principi fondanti dell’integrazione

152 europea, soprattutto in un momento in cui l’organizzazione si apriva ad altri Paesi interessati da transizioni democratiche.

Rovesciando vigorosamente gli aspetti giuridici e politici di tale vicenda, si può osservare che, nonostante l’Unione disponga ora di una base giuridica per poter reagire di fronte al rischio di violazione dei valori fondanti enunciati all’art. 2 TUE, essa non sembra tuttavia in grado di sostenere politicamente tale azione. In particolare, il pericolo scorto è che la situazione di crisi economico-finanziaria in cui molti Stati europei versano possa essere utilizzata da alcuni di essi come giustificazione per l’adozione di misure, quali riforme costituzionali, irrispettose dei valori fondanti dell’Unione europea.229

La riluttanza delle Istituzioni europee di fronte all’utilizzo dei meccanismi di cui all’art. 7 TUE sarebbe dettata non solo dalla paura di una reazione di chiusura dell’Ungheria, che potrebbe ancor di più allontanarsi dall’Unione, ma probabilmente dalla consapevolezza dello stato di debolezza in cui attualmente l’organizzazione versa. La vicenda austriaca, poi, rivela anche un ulteriore aspetto dell’art. 7 TUE. La genesi di tale articolo, come visto, è strettamente connessa all’allargamento ad Est verificatosi pochi anni dopo. Il Trattato di Amsterdam, infatti, aveva introdotto anche l’art. 49 TUE che stabiliva – e stabilisce tuttora – che il rispetto dei valori fondanti, espressi allora nell’art. 6, par. 1, e ora nell’art. 2 TUE, rappresenta uno dei requisiti per poter richiedere di divenire Stato membro dell’Unione. Mentre in passato l’unica esplicita condizione prevista dai Trattati per l’ingresso nell’Unione era che il Paese candidato fosse uno “Stato europeo”230, in vista dell’allargamento ad Est, il Consiglio

europeo di Copenaghen del giugno 1993 aveva fissato una serie di criteri di ammissione: oltre ad essere in grado di assolvere gli obblighi giuridici derivanti dall’appartenenza all’Unione (criterio giuridico) e

229 Risoluzione del Parlamento europeo sulla situazione dei diritti fondamentali:

norme e pratiche in Ungheria, cit., punto 61.

153 ad avere un’economia di mercato funzionante e capace di rispondere alle pressioni concorrenziali e alle forze di mercato dominante (criterio economico), per poter divenire parte dell’Unione il Paese candidato doveva anche aver raggiunto una stabilità istituzionale tale da garantire la democrazia, il principio di legalità, i diritti umani, il rispetto e la protezione delle minoranze (criterio politico).

Il Trattato di Amsterdam, pertanto, ha trasposto sul piano normativo le condizioni già definite dal vertice di Copenaghen. Le valutazioni circa il rispetto dei criteri di ammissione, però, si sono poi mosse su una dimensione peculiare: sono state escluse solo le situazioni corrispondenti all’esistenza di gross violations, sottovalutando le difficoltà connesse al non pieno radicamento dei nuovi principi democratici nella vita politica e sociale, nonché negli apparati amministrativi e giudiziari, di quegli Stati candidati che fino a pochi anni prima avevano vissuto esperienze di radicale negazione dell’essenza stessa della democrazia e della tutela dei diritti.231

Probabilmente, tale giudizio era supportato dalla convinzione che la partecipazione al processo di integrazione europea potesse incoraggiare l’ulteriore progresso di una cultura democratica nei Paesi entranti. Tuttavia, è stato osservato come questa superficiale verifica

231 Con riferimento all’Ungheria, v. Parere della Commissione sulla domanda di

adesione dell’Ungheria all’Unione europea, COM (1997) 2001, nel quale sono espressi dubbi sul corretto funzionamento dell’esecutivo, in particolare per la dilagante corruzione della polizia e la sua inefficacia nella lotta alla criminalità organizzata (p. 10), critiche per l’insoddisfacente funzionamento della giustizia sotto tutti i punti di vista (p. 11), preoccupazioni per la situazione delle minoranze nazionali ed etniche ed in particolare per quella dei Rom, spesso vittime di aggressioni e di misure discriminatorie, giudicato che la situazione rischia di aggravarsi ulteriormente negli anni a venire (p. 15). Con riferimento a quest’ultimi, in effetti, si pensi, ad esempio, al già citato mancato inserimento nella nuova Legge Fondamentale del divieto di costituzione di associazioni paramilitari, all’art. XIX della nuova Legge Fondamentale, che rinvia alla legge la possibilità di ponderare i provvedimenti di assistenza sociale in base all’utilità sociale dell’attività svolta dal soggetto destinatario del beneficio, nonché al par. 3 dell’art. XXII della nuova Legge Fondamentale, introdotto con il Quarto emendamento del marzo 2013, che costituzionalizza la criminalizzazione dello stabilimento dei senza fissa dimora in alcune aree del suolo pubblico dopo che la Corte costituzionale aveva annullato una precedente disposizione normativa dal medesimo contenuto. Infatti, in Ungheria esistono numerose associazioni paramilitari che perseguono i Rom e la maggior parte dei cittadini disoccupati e senza fissa dimora è rappresentata dai Rom.

154 delle condizioni di adesione potrebbe in qualche modo ricollegarsi alla situazione attualmente determinatasi in Ungheria.232

Orbene, il caso austriaco ha contribuito a rompere il rapporto di interdipendenza reciproca ed esclusiva delle procedure sanzionatorie con la politica di allargamento, evidenziando che minacce per i valori fondanti dell’Unione possono provenire anche da parte di Stati già membri. Pertanto, l’introduzione del par. 1 dell’art. 7 TUE dopo la vicenda austriaca voleva rappresentare un chiaro messaggio dell’intenzione dell’Unione di difendere i valori fondanti anche contro gli Stati già membri così come l’introduzione dell’art. 49 TUE in vista dell’imminente allargamento ad Est aveva voluto rappresentare lo stesso chiaro messaggio per gli Stati candidati all’adesione.

Tuttavia, considerata l’inattuazione dell’art. 7 TUE, sembrerebbe che le Istituzione europee non ne abbiano tratto le conseguenze.

Un’ulteriore resistenza che le Istituzioni europee potrebbero vedersi opposta dagli Stati membri di fronte all’applicazione del meccanismo di cui all’art. 7 TUE è l’art. 4, par. 2, TUE, il quale impone all’Unione il rispetto delle identità nazionali. Nonostante ciò, la scelta dell’Unione è sempre stata quella di ribadire l’intangibilità dei suoi valori fondamentali.

Si pensi, ad esempio, al fenomeno dell’integrazione flessibile, o “a più velocità”, formalizzato a partire dal Trattato di Amsterdam, il quale consente, anche in varie importanti materie, una forma differenziata di partecipazione degli Stati membri agli sviluppi del processo d’integrazione. Per quanto ciò possa apparire una rinuncia a garantire l’unità e l’uniformità del sistema europeo, ed una rinuncia criticabile in quanto suscettibile di provocare rischi di disgregazione e di elusione dei valori comuni europei, essa appariva necessaria in

232 V. M. P. IADICICCO, Il rispetto del principio democratico da parte degli Stati

europei: quale ruolo per l’Unione europea?, in Rivista telematica giuridica dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti, n. 3, 2012, p. 10, 24 luglio 2012.

155 considerazione dell’allargamento a nuovi Paesi, che avrebbe portato ad una marcata eterogeneità nei caratteri della società europea.

“La scelta politica di favorire al massimo l’allargamento dell’Unione europea rende difficilmente praticabile un simultaneo approfondimento generalizzato del processo d’integrazione, sicché l’unica maniera per conciliare la politica di “widening” dell’Unione con quella di “deepening” sembra essere l’accettazione di uno sviluppo differenziato di tale processo”233.

Tuttavia, questo strumento, che consente di conciliare le esigenze particolari degli Stati con quelle dell’Unione, è ammesso purché siano garantite alcune condizioni minime tra cui proprio il rispetto dei valori di cui all’art. 2 TUE.

Ancora, si ricordi il caso in cui la Corte di Giustizia, chiamata a pronunciarsi in un caso di rinvio pregiudiziale per un presunto contrasto fra il diritto di libera circolazione, garantito dall’art. 21 TFUE, e il rispetto della forma repubblicana di uno Stato, garantito dall’art. 4, par. 2 TUE, ha affermato che l’ordinamento costituzionale degli Stati membri non è esentato dal rispetto del diritto dell’Unione e che l’appello alle identità nazionali non può essere utilizzato per giustificare una violazione dei valori comuni dell’Unione.234

Infine, con specifico riferimento al caso ungherese, si pensi alla posizione espressa dal Parlamento europeo laddove, in alcuni “considerando” della sua Risoluzione del 3 luglio 2013, afferma che, poiché

“nel contesto dei Trattati il rispetto dell'identità nazionale […] è intrinsecamente legato ai principi di leale cooperazione, di mutuo riconoscimento e, quindi, di fiducia reciproca […], una violazione dei principi e dei valori comuni dell'Unione da parte di uno Stato membro non

233 U. VILLANI, Valori comuni e rilevanza delle identità nazionali e locali nel

processo d’integrazione europea, cit., pp. 66-67.

234 Corte di Giustizia, sentenza del 22 dicembre 2010, Ilonka Sayn-Wittgenstein c.

156 può essere giustificata in nome di tradizioni nazionali o dell'espressione dell'identità nazionale nel caso in cui tale violazione comporti il deterioramento dei principi e dei valori cardine della costruzione europea, ad esempio i valori democratici, lo Stato di diritto o il principio di mutuo riconoscimento, e che, di conseguenza, uno Stato membro può appellarsi all'articolo 4, paragrafo 2, del TUE, soltanto nella misura in cui esso rispetta i valori sanciti dall'articolo 2 del TUE”235.

3. La necessità di introdurre strumenti di reazione di fronte