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DELL’ART 7 TUE E PROSPETTIVE DE IURE CONDENDO

2. L’art 7 TUE

2.1 La genesi e il Trattato di Amsterdam

L’introduzione di un meccanismo sanzionatorio di reazione alla violazione di diritti e di principi democratici da parte degli Stati

201 Risoluzione del Parlamento europeo sulla situazione dei diritti fondamentali:

norme e pratiche in Ungheria (in applicazione della risoluzione del Parlamento europeo del 16 febbraio 2012), P7_TA(2013)0315, 3 luglio 2013, punto 70.

134 membri è avvenuta solo con il Trattato di Amsterdam. Nei primi anni della Comunità europea, fino all’incirca alla metà degli anni Novanta, la necessità di tali meccanismi non era evidente essenzialmente per due ordini di motivi: innanzitutto, l’ottica iniziale, meramente economica e mercantile, dell’integrazione europea non rendeva necessario costruire nell'organizzazione precauzioni specifiche contro le violazioni dei diritti negli Stati membri; in secondo luogo, la comunanza di culture politiche e giuridiche dei membri originari, e anche dei successivi nuovi Stati membri, provenienti sempre dall'interno dell'Europa occidentale, aveva creato un senso di fiducia nel corretto comportamento degli Stati membri nei confronti dei propri cittadini. È stata la sempre più probabile prospettiva dell'allargamento ad Est dell'Unione, in conseguenza della caduta del comunismo, a guidare l’organizzazione verso l'istituzionalizzazione di sanzioni per le violazioni dei diritti umani.

La genesi dei provvedimenti sanzionatori di cui all'art. 7 TUE

può essere fatta risalire al periodo che precede la Conferenza intergovernativa del 1996, che ha aperto la strada al Trattato di Amsterdam.203 Nel vertice di Corfù (24-25 giugno 1994), il Consiglio

europeo aveva deciso di istituire un Gruppo di riflessione, in vista della CIG, composto dai rappresentanti dei Ministri degli Affari esteri degli Stati membri e dal Presidente della Commissione.

Il 5 dicembre 1995, il Gruppo di riflessione presentò al Consiglio europeo la relazione finale che, tra le altre cose, individuava, in prospettiva del nuovo allargamento, la necessità di introdurre un meccanismo sanzionatorio nei confronti di uno Stato membro che violasse gravemente i diritti umani e la democrazia. Era esclusa la possibilità dell’espulsione di detto Stato, ma veniva presa in

203 V. W. SADURSKI, Adding Bite to the Bark: The Story of Article 7, EU

Enlargement and Jörg Haider, in Columbia Journal of European Law, vol. 16, n. 3, 2010, pp. 385-426.

135 considerazione la possibilità di sanzioni che potessero arrivare fino alla sospensione dei diritti connessi allo status di membro.

La relazione del Gruppo di riflessione fu accolta con favore dall’Unione, e ha rappresentato una base solida per i lavori della CIG del 1996. In tale Conferenza, la creazione di un meccanismo sanzionatorio non era un argomento prioritario, almeno all'inizio. Solo quattro Stati membri espressamente affrontarono questo problema nelle loro prese di posizione: Spagna e Belgio fondamentalmente espressero il loro sostegno per l'idea di un meccanismo sanzionatorio come indicato nelle conclusioni del Gruppo di riflessione; Austria e Italia, invece, come reazione alle ampie preoccupazioni nutrite verso il prossimo allargamento dell’Europa, presentarono posizioni molto più sviluppate, andando ben oltre la semplice approvazione delle raccomandazioni del Gruppo di riflessione.

Il risultato dei lavori della CIG è stato dovuto anche al fatto che una delle principali preoccupazioni, durante le discussioni sull’introduzione di questo meccanismo sanzionatorio, era la volontà di assicurare, per ragioni di opportunità, un controllo centrale agli Stati membri, in sede di Consiglio, sul corso del procedimento. Da questa preoccupazione sono derivate la regola dell'unanimità in seno al Consiglio, la riduzione del ruolo del Parlamento europeo – dalla possibilità di attivare la procedura alla sola necessità di previa approvazione –, nonché la soppressione di qualsiasi ruolo per la Corte di giustizia.

Gli Stati membri, pur collocando il nuovo meccanismo nel contesto dell'imminente allargamento dell'Unione, erano stati al tempo stesso attenti a non estendere le possibilità di interferenze da parte dell'Unione sul loro comportamento nei confronti dei propri cittadini. Quanto meno, è stato assicurato che le delibere previste dalla procedura, nonché la formazione delle maggioranze richieste si svolgessero senza la partecipazione dello Stato interessato.

136 Pertanto, la configurazione dell’art. 7, nel Trattato di Amsterdam, era la seguente: “1. Il Consiglio, riunito nella composizione dei capi di Stato o di governo, deliberando all’unanimità su proposta di un terzo degli Stati membri o della Commissione e previo parere conforme del Parlamento europeo, può constatare l’esistenza di una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei principi di cui all’art. 6, par. 1, dopo aver invitato il governo dello Stato membro in questione a presentare osservazioni.

2. Qualora sia stata effettuata una siffatta constatazione, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può decidere di sospendere alcuni dei diritti derivanti allo Stato membro in questione dall’applicazione del presente trattato, compresi i diritti di voto del rappresentante del governo di tale Stato membro in seno al Consiglio. Nell’agire in tal senso, il Consiglio tiene conto delle possibili conseguenze di una siffatta sospensione sui diritti e sugli obblighi delle persone fisiche e giuridiche.

Lo Stato membro in questione continua in ogni caso ad essere vincolato dagli obblighi che gli derivano dal presente trattato.”204

204 L’articolo proseguiva prevedendo che:

“3. Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, può successivamente decidere di modificare o revocare le misure adottate a norma del paragrafo 2, per rispondere ai cambiamenti nella situazione che ha portato alla loro imposizione. 4. Ai fini del presente articolo, il Consiglio delibera senza tener conto del voto del rappresentante dello Stato membro in questione. Le astensioni dei membri presenti o rappresentati non ostano all’adozione delle decisioni di cui al paragrafo 1. Per maggioranza qualificata si intende una proporzione di voti ponderati dei membri del Consiglio interessati equivalente a quella prevista all’articolo 148, paragrafo 2 del trattato che istituisce la Comunità europea.

Il presente paragrafo si applica anche in caso di sospensione dei diritti di voto a norma del paragrafo 2.

5.Ai fini del presente articolo, il Parlamento europeo delibera alla maggioranza dei due terzi dei voti espressi, che rappresenta la maggioranza dei suoi membri.”

137 2.2 Il “caso Haider”

Il passo successivo verso la configurazione dell’attuale art. 7 TUE è stato fortemente influenzato dalle circostanze verificatesi in Austria tra il 1999 e il 2000.

Le elezioni politiche austriache tenutesi verso la fine del 1999 videro la forte avanzata del FPÖ (Partito della Libertà), i cui dirigenti, in particolare il leader Jörg Haider, in passato avevano spesso rilasciato dichiarazioni molto discusse dagli accenti xenofobi e razzisti e che potevano essere interpretate come una difesa o una giustificazione del Nazismo. Il consenso dell’elettorato, in realtà, sembrava più che altro dettato dal fatto che tale partito rappresentava l’unica alternativa per poter modernizzare e alterare il quadro politico dell’Austria, caratterizzato da tempo dalla stagnante compartecipazione al Governo dei Popolari (ÖVP) e dei Socialdemocratici (SPÖ).205 Le settimane successive alle elezioni videro, infatti, il fallimento dei tentativi di ripristinare questa coalizione. Pertanto, i dirigenti dell’ÖVP hanno intavolato una trattativa con gli esponenti del FPÖ per tentare la formazione del Governo.

Il 31 gennaio 2000, il Presidente di turno del Consiglio europeo, portoghese, diffuse una dichiarazione a nome dei 14 Stati membri (tutti esclusa l’Austria) in cui comunicava che il Primo Ministro portoghese aveva informato il Presidente e il Cancelliere dell’Austria di una “reazione comune”, essenzialmente politica e diplomatica, che i suddetti 14 Stati avrebbero adottato nei confronti dell’Austria nel caso in cui si fosse formato un Governo comprendente il FPÖ.206 Il

205 V. I. SEIDL-HOHENVELDERN, The boycott of Austria within the European

Union defence of European values and democracy, in Studi di diritto internazionale in onore di Gaetano Arangio-Ruiz, vol. 2, Napoli, 2004, in particolare pp. 1435- 1439.

206 Tale “reazione” prevedeva che: i Governi dei 14 Stati membri non avrebbero

promosso né accettato contatti bilaterali ufficiali a livello politico con il Governo austriaco; non vi sarebbe stato sostegno a candidati austriaci per posizioni in organizzazioni internazionali; gli ambasciatori austriaci nelle capitali dell’UE sarebbero stati ricevuti solo a livello tecnico. Inoltre, il Primo ministro e il Ministro

138 giorno successivo, la Commissione europea, prendendo atto della dichiarazione divulgata dalla presidenza portoghese e condividendo le preoccupazioni che ne erano alla base, affermò tuttavia che la Commissione avrebbe continuato a mantenere le proprie relazioni con le autorità austriache207.

Occorre precisare che la presidenza dell’Unione non aveva agito in quanto tale, ma come portavoce dei singoli Stati, che avevano deciso di

“porre in essere congiuntamente, anziché singolarmente, uno strumento tipico del diritto internazionale, vale a dire il raffreddamento delle relazioni diplomatiche bilaterali con uno Stato. La dichiarazione dunque non è riferibile all’Unione, ma ai singoli Stati, i quali hanno utilizzato le strutture dell’Unione come punto di incontro e di raccordo, nonché come cassa di risonanza politica.”208

Le misure preannunciate nella dichiarazione furono effettivamente adottate, in quanto il 1° febbraio 2000 l’alleanza ÖVP- FPÖ raggiunse l’accordo per la formazione del Governo.

Il Parlamento europeo aveva invitato Consiglio e Commissione, in caso di violazione grave e persistente di qualunque Stato membro dei principi di cui all’art. 6, par. 1, TUE ad esser pronti ad avviare il meccanismo di cui all’art. 7 TUE.

degli affari esteri portoghesi avevano comunicato che nelle relazioni bilaterali con l’Austria non vi sarebbe stato più il “business as usual”. V. L. S. ROSSI, La «reazione comune» degli Stati membri dell’Unione europea nel caso Haider, in Rivista di diritto internazionale, 2000, p. 151. Non solo gli Stati, ma anche comunità territoriali substatali, enti parastatali e soprattutto soggetti privati si sono sentiti obbligati ad applicare autonomamente sanzioni nelle proprie attività. Giova ricordare come per esempio siano state disdette manifestazioni culturali con partecipazione austriaca, sia stato sciolto un gemellaggio fra città, sia stata eliminata la pubblicità di prodotti austriaci a Bruxelles oppure, ancora, come sia stato indetto un boicottaggio dei clienti austriaci da parte dell’associazione dei tassisti di Bruxelles. V. G. TOGGENBURG, La crisi austriaca: delicati equilibrismi sospesi tra molte dimensioni, in Diritto pubblico comparato ed europeo, vol. 2, 2001, p. 741.

207 V. Bulletin Quotidien Europe, n. 7646, 2 febbraio 2000.

208 L. S. ROSSI, La «reazione comune» degli Stati membri dell’Unione europea nel

139 Tuttavia, nel caso di specie non vi era stata ancora una violazione “grave e persistente” dei principi di cui all’art. 6, par. 1, TUE, come richiesto dall’art. 7 TUE per poter attivare il meccanismo sanzionatorio, ma solo una forte preoccupazione che essi venissero messi a repentaglio da un Governo comprendente esponenti del FPÖ. Per questo, i 14 Stati, non potendo far ricorso alle procedure previste dal Trattato, avevano assunto provvedimenti privi di base giuridica nel diritto comunitario, affidando alla presidenza di turno il coordinamento di una posizione presa da Stati sovrani e indipendenti, nell’ambito del diritto internazionale, ma con la persistente ambiguità di farla percepire come una presa di posizione interna all’Unione europea.

Peraltro, la “reazione comune” assumeva una forte valenza politica in vista del prossimo allargamento dell’Unione: rafforzava l’immagine di un’identità comune europea, dando così un avvertimento ai futuri Stati membri affinché evitassero di presentare democrazie de façade minate invece dall’interno, dal momento che questo episodio dimostrava come anche scelte politiche interne ad uno Stato membro possono essere percepite come minaccia a quell’identità comune.209

Il primo passo verso la chiusura della crisi apertasi con l’Austria è rappresentato dalla decisione del giugno 2000 dei 14 Stati membri di insediare una commissione di saggi, con il compito di valutare il grado di affidabilità del Governo austriaco in relazione ai valori comuni espressi e accettati in Europa in tema di diritti umani, nonché l’evoluzione della natura politica del FPÖ. Dalle conclusioni della commissione sarebbe poi dipeso il riesame delle relazioni bilaterali con l’Austria.

Nel frattempo, il Governo austriaco, che sin da subito aveva contestato una violazione procedurale, data l’impossibilità di

209 V. W. SADURSKI, Adding Bite to the Bark: The Story of Article 7, EU

140 applicare l’art. 7 TUE nel caso di specie e la mancata attivazione di un dialogo che potesse consentire al Governo di presentare osservazioni, aveva annunciato che, se le misure adottate dai 14 Stati non fossero state rimosse, nell’autunno del 2000 si sarebbe tenuto un referendum nazionale concernente i rapporti tra l’Austria e l’Unione.210

La commissione di saggi, composta da tre membri nominati dal Presidente della Corte europea dei diritti dell’uomo su richiesta del Presidente del Consiglio dell’Unione europea, concludeva i propri lavori l’8 settembre 2000. Il rapporto dichiarava che, nonostante il FPÖ potesse effettivamente essere definito un partito populista di destra con elementi radicali, il Governo austriaco risultava rispettoso dei valori comuni europei. Inoltre, il rapporto sottolineava che i ministri del FPÖ avevano operato nel rispetto degli impegni del Governo e che le misure dei 14 Stati, se mantenute, sarebbero state nocive perché avrebbero potuto suscitare sentimenti di reazione nazionalistica ed esser vissute come sanzioni dirette contro i cittadini austriaci.

Le misure furono revocate il 12 settembre 2000.

Tenuto conto del pesante difetto d’origine rappresentato dal fatto che tutta la gestione del caso di specie era stata condotta al di fuori delle procedure previste nel Trattato, l’elemento più importante del rapporto consiste nell’aver raccomandato l’adozione di un meccanismo di preventivo monitoraggio da inserire nell’art. 7 TUE, al fine di rendere automatica e immediata l’analisi del grado di rispetto, da parte degli Stati membri, dei valori comuni europei e di creare meno spazi per eventuali future tentazioni di fuga nel diritto internazionale. Già nel marzo 2000, il Presidente della Repubblica austriaca aveva suggerito al Presidente del Consiglio europeo la creazione di un meccanismo comunitario analogo a quello previsto dall’art. 7 TUE, da applicare però nel caso in cui uno Stato membro

141 sia solo sospettato di allontanarsi dai valori europei e che permettesse a tale Stato di esporre le proprie osservazioni prima dell’adozione di ogni decisione.211

2.3 Il Trattato di Nizza e l’aggiunta di una procedura di early