• Non ci sono risultati.

Il rafforzamento dell’Agenzia dell’Unione europea per

DELL’ART 7 TUE E PROSPETTIVE DE IURE CONDENDO

3. La necessità di introdurre strumenti di reazione di fronte alle violazioni dei valori di cui all’art 2 TUE da parte degl

3.2 I meccanismi proposti per un monitoraggio permanente sul rispetto dei valori comuni europei da parte degli Stat

3.2.2 Il rafforzamento dell’Agenzia dell’Unione europea per

diritti fondamentali

Il Parlamento europeo, come anticipato, aveva anche proposto che fosse l’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali, entrata in funzione a partire dal 1° marzo 2007, a svolgere il compito di monitoraggio permanente sul rispetto da parte degli Stati membri dei valori comuni europei, con i medesimi compiti di un’ipotetica “Commissione di Copenaghen” esaminata.

Tuttavia, allo stato attuale, l’Agenzia, che già oggi svolge un ruolo di supporto nell’attività di tutela di alcuni valori fondamentali

278 V. J. - W. MÜLLER, Protecting Democracy and the Rule of Law inside the EU;

or: Why Europe Needs a Copenaghen Commission, 13 marzo 2013, in VerfBlog.

176 dell’Unione, non disporrebbe di un simile mandato e ciò implicherebbe la necessità di ridefinirne il ruolo e i rapporti con le Istituzioni europee.

Anche la vice-Presidente della Commissione europea Reding, nel più volte citato discorso del 4 settembre 2013280, aveva invitato gli Stati membri ad attribuire al Consiglio maggiori poteri per quanto riguarda il mandato dell'Agenzia, superando la regola dell’unanimità in seno al Consiglio necessaria per la definizione del quadro quinquennale che definisce i settori di attività dell’Agenzia. Infatti, la Commissaria ha anche ricordato, nel medesimo discorso, come il Consiglio abbia rifiutato di modificare il mandato dell’Agenzia per includervi le politiche di giustizia e affari interni, come sarebbe stato invece logico in seguito all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Pertanto, la Commissaria aveva richiesto che un ruolo più forte dell’Agenzia fosse assicurato anche attraverso una modifica dei Trattati che ponesse la base giuridica della stessa all’interno della procedura legislativa ordinaria.

Tuttavia, attualmente l’Agenzia risulta disciplinata dal Regolamento n. 168/2007 del Consiglio.281 L’art. 3 di tale

Regolamento, al par. 3, stabilisce che “l’Agenzia tratta questioni inerenti ai diritti fondamentali nell’Unione europea e nei suoi Stati membri quando attuano il diritto comunitario”. Oltre a limitare in questo modo il campo di applicazione dell’Agenzia, il medesimo Regolamento prevede tuttora, all’art. 5, che i settori tematici dell’attività dell’Agenzia siano definiti da un quadro quinquennale

280 Viviane Reding, vice-Presidente della Commissione europea, Commissaria per

la giustizia, i diritti fondamentali e la cittadinanza, Speech: The EU and the Rule of Law – What next?, cit.

281 Regolamento (CE) n. 168/2007 del Consiglio del 15 febbraio 2007 che istituisce

l’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali. L’Agenzia è stata istituita in seguito alla decisione del Consiglio europeo del 13 dicembre 2003 nel quale i rappresentanti degli Stati membri hanno convenuto di sviluppare l’allora Osservatorio europeo dei fenomeni di razzismo e xenofobia, istituito dal regolamento (CE) n. 1035/97 del Consiglio e di estenderne il mandato per trasformarlo in un’Agenzia per i diritti umani.

177 adottato dal Consiglio all’unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo. Infine, nei “considerando” iniziali, il Regolamento stabilisce che l'Agenzia non ha reali poteri decisionali, che essa non può ricevere alcun reclamo proveniente da individui e che la sua azione dipende in larga misura da richieste della Commissione.

In una sua Comunicazione dell’ottobre 2004282, la Commissione si era interrogata sulla portata del settore d’azione dell’Agenzia; in particolare, l’alternativa era limitarlo al campo d'applicazione del diritto dell’Unione o estenderlo a quello dell’art. 7 TUE. Tuttavia, in una sua Comunicazione del giugno 2005283, la Commissione valutava che la possibilità di attribuire all’Agenzia un mandato a vocazione molto generale, ovvero con il compito di seguire da vicino la situazione dei diritti fondamentali all’interno e all’esterno del quadro delle politiche dell’Unione europea, anche ai fini dell’art. 7 TUE, sebbene strategicamente molto efficace, sorpasserebbe i limiti giuridici delle competenze dell’Unione, con il rischio di creare frizioni fra l’UE e i suoi Stati membri.

Dall’analisi dell’art. 3, par. 3, del Regolamento n. 168/2007, poi, si può vedere come la scelta sia ricaduta sulla prima delle due opzioni considerate.

Anche il Parlamento europeo, tuttavia, non è sempre stato allineato sulla posizione sostenuta nella Risoluzione del 3 luglio 2013. Nella sua Risoluzione sull'art. 7 TUE dell’aprile 2004, il Parlamento europeo aveva stabilito un "principio della fiducia" nell'ordinamento costituzionale democratico e conforme allo Stato di diritto di tutti gli

282 Comunicazione della Commissione europea, L'agenzia dei diritti fondamentali

Documento di consultazione pubblica, COM(2004) 693, 25 ottobre 2004.

283 Proposta di Regolamento del Consiglio che istituisce l’Agenzia dell’Unione

europea per i diritti fondamentali, Proposta di Decisione del Consiglio che conferisce all’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali il potere di svolgere le proprie attività nelle materie indicate nel titolo VI del trattato sull’Unione europea, presentate dalla Commissione, COM(2005) 280, 30 giugno 2005.

178 Stati membri nonché nella capacità e determinazione delle loro istituzioni di scongiurare i rischi per le libertà fondamentali e i principi fondamentali.284 Pertanto, affermava che un intervento dell'Unione ai sensi dell'art. 7 TUE doveva limitarsi ai casi in cui esistono rischi evidenti e violazioni persistenti e non poteva dunque essere invocato per far valere un qualsiasi diritto o una qualsiasi politica di supervisione permanente degli Stati membri da parte dell'Unione.285 Ancora, in una Risoluzione del maggio 2005, il Parlamento europeo affermava che l'Unione europea e i suoi Stati membri condividono la competenza per i diritti dell'uomo e sono pertanto tenuti a rispettare i diritti dell'uomo e le libertà fondamentali nei rispettivi settori di competenza, conformemente al principio di sussidiarietà.286 Ciò può essere letto come un invito all’Agenzia a limitare la sua azione all’ambito di competenza del diritto dell’Unione. Tuttavia, nella medesima Risoluzione, il Parlamento europeo sottolineava che l'istituzione dell'Agenzia dovrebbe contribuire a rafforzare la fiducia reciproca tra gli Stati membri e costituire una garanzia dell'osservanza permanente dei principi enunciati negli artt. 6 e 7 TUE.287

Le possibilità offerte dall’attuale disciplina, ovvero ad ordinamento invariato, per poter ampliare il campo d’azione dell’Agenzia sono rappresentate unicamente dall’art. 7 TUE. In particolare, come visto288, nella sua versione prima del Trattato di Lisbona, tale articolo prevedeva la possibilità, per il Consiglio, di chiedere a delle personalità indipendenti di presentare entro un

284 Risoluzione del Parlamento europeo sulla comunicazione della Commissione in

merito all'articolo 7 del trattato sull'Unione europea: Rispettare e promuovere i valori sui quali è fondata l'Unione (COM(2003) 606 – C5-0594/2003 – 2003/2249(INI)), 20 aprile 2004, punto 11 (a).

285 Ibidem.

286 Risoluzione del Parlamento europeo sulla promozione e la tutela dei diritti

fondamentali: il ruolo delle istituzioni nazionali ed europee, inclusa l'Agenzia dei diritti fondamentali (2005/2007(INI)), 26 maggio 2005, punto 8.

287 Ibidem, punto 26. 288 V. supra, par. 2.3.

179 termine ragionevole un rapporto sulla situazione nello Stato membro in questione. Anche se tale previsione è stata eliminata con il Trattato di Lisbona, sappiamo289 che tale possibilità deve essere considerata implicita per il Consiglio. Tra le personalità indipendenti chiamate a presentare un rapporto può essere sicuramente inclusa l’Agenzia, che in questo caso vedrebbe il proprio campo d’applicazione coincidente con quello dell’art. 7 TUE, ovvero esteso anche ai settori di autonoma competenza degli Stati membri.

Per quanto utile, tuttavia, questo rimedio risulta anche ambiguo, in quanto l’Agenzia sarebbe chiamata ad agire in uno spazio d’azione più ampio rispetto a quello consentito dal suo mandato non già sulla base delle proprie competenze, bensì in quanto “personalità indipendente”290. Pertanto, se la strada scelta per assicurare il

monitoraggio costante del rispetto dei valori comuni europei da parte degli Stati membri fosse quella di attribuire tale compito all’Agenzia, risulterebbe sicuramente opportuno rivedere il suo mandato, tenendo conto, però, anche in questo caso, del fatto che difficilmente gli Stati membri accetteranno di buon grado un ridimensionamento delle loro attuali prerogative in materia.

289 V. supra par. 2.5.

290 V. W. SADURSKI, Adding Bite to the Bark: The Story of Article 7, EU

180 3.3 “Civis Europaeus sum”291: le possibilità offerte dalla

cittadinanza europea di fronte alla violazione dei valori dell’Unione da parte degli Stati membri

Un’ulteriore possibilità per superare la mancata applicazione

dell’art. 7 TUE di fronte alle violazioni da parte degli Stati membri dei valori affermati nell’art. 2 TUE consiste nella proposta292 di sviluppare la vigilanza dei singoli individui interessati alla protezione dei loro diritti sulla base della copertura offerta dalla cittadinanza dell’Unione.293

L’elemento centrale intorno a cui si struttura la proposta del gruppo di studiosi del Max Planck Institute for Comparative Public Law and

291 V. Corte di Giustizia, Conclusioni dell’Avvocato Generale Francis Geoffrey

Jacobs, sentenza del 30 marzo 1993, Christos Konstantinidis c. Stadt Altensteig- Standesamt e altri, caso C-168/91. Secondo l’AG, il cittadino di uno Stato membro può invocare, nel territorio di un altro Stato membro, il proprio status di cittadino europeo per opporsi a qualunque violazione dei suoi diritti fondamentali.

Nel medesimo anno, infatti, con l’entrata in vigore del Trattato di Maastricht, la cittadinanza dell’Unione veniva riconosciuta come istituto di diritto positivo. Successivamente, la dottrina e, soprattutto, la giurisprudenza della Corte di Giustizia hanno contribuito notevolmente allo sviluppo dell’idea di individuo inteso non più in termini funzionalistici come mero agente di mercato bensì nella sua interezza. L’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha portato avanti questa evoluzione: con il mezzo della cittadinanza, l’Unione ha posto la persona al centro della sua azione, la cittadinanza è la pietra angolare della legittimazione democratica nel sistema politico europeo (v. artt. 9-11 TUE).

292 V. A. VON BOGDANDY – M. KOTTMANN – C. ANTPÖLHER – J.

DICKSCHEN – S. HENTREI – M. SMRKOLJ, Reverse Solange – Protecting the Essence of Fundamental Rights Against EU Member States, in Common Market Law Review, vol. 49, 2012, pp. 489-520.

293 Il valore dei singoli quali custodi di prima fila della legalità comunitaria era già

stato riconosciuto dalla Corte di Giustizia nel caso van Gend en Loos, Corte di Giustizia, sentenza del 5 febbraio 1963, NV Algemene Transporten Expeditie Onderneming van Gend en Loos c. Nederlandse Administratie der Belastingen, caso C-26/62. Un giudice doganale olandese nel 1962 aveva operato un rinvio pregiudiziale sull’interpretazione dell’art. 12 del Trattato, poi art. 25 ed oggi art. 30 TFUE, sul divieto di introdurre dazi doganali o tasse di effetto equivalente sugli scambi intracomunitari di merci, chiedendo in via preliminare se i cittadini degli Stati membri potessero trarre direttamente da detto articolo dei diritti che il giudice è tenuto a tutelare. La Corte, chiedendosi che cosa valesse un diritto attribuito da una norma, nella specie comunitaria, ad un singolo se questi non lo potesse far valere egli stesso e direttamente dinanzi ad un giudice, aggiungeva: “La vigilanza dei singoli, interessati alla salvaguardia dei loro diritti, costituisce d’altronde un efficace controllo che si aggiunge a quello che gli articoli 169 e 170 affidano alla diligenza della Commissione e degli Stati membri” [par. 24].

181 International Law è la protezione dei diritti fondamentali attraverso la via della cittadinanza europea.

Nella strada del riconoscimento dei diritti connessi alla cittadinanza europea, il caso Zambrano294 ricopre una posizione centrale, poiché in quel caso la Corte di Giustizia, ai sensi dell’art. 20 TFUE, ha configurato lo status di cittadino europeo non solo in rapporto alla dimensione transnazionale e alla garanzia della libertà di movimento, bensì come status fondamentale tutelabile anche dentro i confini di uno Stato membro. In quanto tale, esso può comportare un impatto del diritto UE in situazioni che sembrerebbero puramente interne qualora “provvedimenti nazionali abbiano l’effetto di privare i cittadini dell’Unione del godimento reale ed effettivo dei diritti

294 Corte di Giustizia, sentenza dell’8 marzo 2011, Gerardo Ruiz Zambrano c. Office

national de l’emploi (ONEm), causa C-34/09. Il sig. Ruiz Zambrano e sua moglie, cittadini colombiani, avevano chiesto asilo in Belgio a causa dello stato di guerra civile nel loro Paese d’origine. Le autorità belghe, avendo negato loro lo status di rifugiati, avevano loro ordinato di abbandonare il territorio belga. Mentre la coppia continuava a risiedere in Belgio, attendendo l’esito dell’istanza di regolarizzazione del soggiorno, la moglie del ricorrente ha dato alla luce due figli, che hanno acquisito la cittadinanza belga. Pertanto, i coniugi avevano presentato, in qualità di ascendenti di cittadini belgi, istanza per ottenere il permesso di soggiorno in Belgio. Le autorità belghe hanno respinto sia tale istanza che le istanze di indennità di disoccupazione nel frattempo presentate. Il ricorrente ha impugnato entrambe le decisioni di rigetto. Il Tribunal du travail de Bruxelles, ricorrendo al rinvio pregiudiziale, aveva chiesto alla Corte di Giustizia se il ricorrente potesse soggiornare e lavorare in Belgio in base al diritto dell’Unione, considerando, in particolare, che i suoi figli non avevano mai esercitato il loro diritto alla libera circolazione nel territorio degli Stati membri. La Corte ha affermato che un divieto di soggiorno di tal genere porterebbe alla conseguenza che tali figli, di tenera età, si troverebbero costretti ad abbandonare il territorio dell’Unione per accompagnare i loro genitori. Inoltre, qualora ai genitori non venisse rilasciato un permesso di lavoro, questi ultimi rischierebbero di non disporre dei mezzi necessari per far fronte alle proprie esigenze e a quelle della loro famiglia, circostanza che porterebbe alla conseguenza che i loro figli, cittadini dell’Unione, si troverebbero costretti ad abbandonare il territorio di quest’ultima. Pertanto, la Corte ha concluso affermando che la cittadinanza dell’Unione impone che uno Stato membro autorizzi i cittadini di uno Stato terzo, genitori di un bambino in possesso della cittadinanza di detto Stato membro, ad ivi soggiornare e lavorare nella misura in cui un diniego priverebbe il figlio del godimento reale ed effettivo dei diritti connessi allo status di cittadino dell’Unione. Ha precisato, poi, che questa regola opera anche quando il figlio non ha mai esercitato il suo diritto alla libera circolazione nel territorio degli Stati membri, superando così le ricostruzioni tradizionali secondo cui in queste circostanze la situazione dovrebbe essere considerata come puramente interna allo Stato membro e pertanto al di fuori dell’ambito del diritto dell’Unione.

182

attribuiti dal loro status di cittadini dell’Unione”295. Infatti, se, in linea di principio, riconoscere un contenuto di diritti strettamente connessi alla cittadinanza europea non può condurre alla protezione dei diritti fondamentali da parte dell’Unione al di fuori dei confini dell’art. 51 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, tuttavia, una violazione dei diritti fondamentali a livello nazionale ricade nel diritto dell’Unione se si risolve in uno svuotamento di significato della cittadinanza dell’Unione.In tal senso, se il godimento reale ed effettivo del nucleo essenziale dei diritti connessi allo status di cittadino europeo – essenzialmente quelli enunciati dall’art. 2 TUE – segna un limite all’azione dello Stato membro qualora ne sia messa in gioco l’effettività, la garanzia dell’essenza dello status di cittadino europeo potrebbe essere utilizzata nei confronti degli Stati membri ribaltando la nota “dottrina Solange”.296 In tal modo verrebbe

salvaguardato anche il pluralismo costituzionale protetto dall’art. 4, par. 2 TUE.

Si tratterebbe, quindi, di utilizzare un meccanismo analogo a quello concepito a partire dagli anni Settanta dalla Corte Costituzionale federale tedesca per ribaltare – questa volta è la competenza statale ad essere rispettata solo finché venga garantito il contenuto essenziale della cittadinanza europea – una presunzione di equivalenza di tutela di un diritto e favorire, così, l’intervento dell’UE anche al di fuori dell’ambito di applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea definito dall’art. 51 della stessa. Il superamento di tale presunzione di equivalenza si verificherebbe in

295 Ibidem, punto 42.

296 Con questa dottrina, a partire dalla metà degli anni Settanta, la Corte

Costituzionale federale tedesca aveva affermato di poter sospendere il controllo sul rispetto dei diritti fondamentali da parte del diritto dell’UE solo finché esso avesse assicurato un livello di tutela degli stessi almeno pari a quello garantito dalla Costituzione tedesca (Solange I, 2 BvL 52/71, 29 maggio 1974 e, a seguire, Solange II, 2 BvR 197/83, 22 ottobre 1986, Maastricht Urteil, 2 BvR 2134/92, 2 BvR 2159/92, 12 ottobre 1993, Gemeinsame Marktorganisation für Bananen, 2 BvL 1/97, 7 giugno 2000, Europäischen Haftbefehl, 2 BvR 2236/04, 18 luglio 2005, Lissabon Urteil, 2 BvE 2/08, 2 BvE 5/08, 2 BvR 1010/08, 2 BvR 1022/08, 2 BvR 1259/08, 2 BvR 182/09, 30 giugno 2009).

183 presenza di una violazione sistemica, del tipo descritto dall’art. 7 TUE, dei valori stabiliti dall’art. 2 TUE. In tale caso, un cittadino europeo in primo luogo potrebbe chiedere tutela giurisdizionale alle Corti nazionali invocando la violazione del contenuto essenziale del diritto di cittadinanza europea; in secondo luogo, questo meccanismo gli consentirebbe di connettere il canale giurisdizionale nazionale a quello europeo attraverso lo strumento del rinvio pregiudiziale. In tutti gli altri casi, fuori dalla portata applicativa della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, un cittadino europeo non può basarsi sull’art. 20 TFUE per contrastare la violazione dei diritti fondamentali garantiti dall’UE poiché si può presumere che la loro essenza sia salvaguardata nello Stato membro in questione.

La proposta in esame, quindi, tende a fare del giudice nazionale il primo referente in caso di tali violazioni: nel caso in cui tale giudice accertasse la presenza dei requisiti di attivazione di tale strumento, dovrebbe rivolgersi alla Corte di Giustizia facendo leva sul principio cooperativo che caratterizza il meccanismo del rinvio pregiudiziale. Pertanto, la proposta mira a rafforzare le corti nazionali in situazioni particolarmente difficili.

Il meccanismo analizzato è molto delicato in quanto prescinde dal rispetto del principio di attribuzione delle competenze giustificando l’invasione della Corte di Giustizia in situazioni puramente interne o che appartengono alla competenza esclusiva dello Stato membro. Tale aspetto viene solo parzialmente temperato dalla valorizzazione del principio di sussidiarietà (art. 5, par. 1, TUE) conseguente al ruolo centrale affidato al giudice nazionale in prima battuta.

Ancora, la proposta analizzata finisce per attribuire in modo quasi esclusivo alla Corte di Giustizia le sorti del rispetto dei diritti fondamentali nonché la definizione di ciò che è il “contenuto essenziale” dei diritti fondamentali connessi alla cittadinanza.

184 Dato che tale meccanismo opererebbe di fronte a violazioni sistemiche del tipo descritto dall’art. 7 TUE, poi, non si possono dimenticare i limiti legati all’azione frammentaria, caso per caso, che caratterizza il modus operandi della Corte di Giustizia così come di ogni altro organo giurisdizionale.

Inoltre, nonostante la proposta si prefigga lo scopo di individuare un meccanismo che possa ovviare ai procedimenti di cui all’art. 7 TUE, lo strumento delineato sembra incentrarsi sulla ricerca di una soluzione alla violazione solo di alcuni dei valori comuni europei sanciti dall’art. 2 TUE, ed in particolare di quelli legati ai diritti umani, tralasciando valori come lo Stato di diritto o la democrazia. In realtà, come l’art. 2 TUE dimostra, vi è una stretta correlazione tra salvaguardia dei diritti individuali e tutela dello Stato di diritto. Ciononostante, a giudizio di molti vi sarebbe, nell’attuale ordinamento dell’UE, una tendenza al disallineamento tra il progressivo affinamento degli strumenti di tutela dei diritti individuali e la debolezza dei meccanismi di monitoraggio e sanzionatori a fronte di eventuali gravi inosservanze delle regole dello Stato di diritto e della democrazia.297

Infine, si tratta di un meccanismo che si fonderebbe principalmente sulla fiducia nei sistemi giudiziari nazionali, che presupporrebbe una magistratura imparziale e soprattutto indipendente, nonché la volontà di cooperare con l’organismo giurisdizionale dell’Unione nella realizzazione del progetto di tutela multilivello dei diritti fondamentali. Considerato, ad esempio, quanto analizzato nei capitoli precedenti circa gli attacchi strutturali all’indipendenza della magistratura ungherese da parte dell’esecutivo, nonché l’atteggiamento assunto dalla Corte Costituzionale magiara di fronte alla possibilità di interagire con la Corte di Giustizia, questo

297 V. Ufficio Rapporti con l’Unione europea, Conferenza internazionale: IL

VALORE DELL’EUROPA: Crescita, occupazione e diritti: l’Unione europea alla prova – Roma, 13-14 marzo 2014, Documentazione per le Commissioni – Riunioni interparlamentari, n. 24, 10 marzo 2014.

185 strumento si sarebbe rivelato particolarmente inidoneo ed inefficace nel caso di specie, se non addirittura frustrante delle aspettative dei cittadini ungheresi di veder tutelati i loro diritti.