In un libro giustamente famoso, scritto all’inizio degli anni ottanta, Ri- chard Rose (1980) si domandava: Do Parties Make a Difference?. E cioè, al di là delle loro più o meno aspre e apparenti divisioni, i partiti fanno la diffe- renza? La risposta di Rose conteneva luci e ombre, riguardanti soprattutto il funzionamento del sistema politico inglese. Ricalcando Rose, quello che noi possiamo domandarci, in Italia e all’indomani delle elezioni regionali del 2015, è: Do Primaries Make a Difference? A che servono, alla fine dei conti, le primarie?
Concentrandoci unicamente su quelle regionali, l’immagine complessi- va che emerge dall’analisi condotta in questo capitolo è sfumata, senza ri- sposte definitive e universalmente valide. È curioso, però, dover notare che, una volta chiuse le urne per le elezioni regionali, le primarie siano saltate immediatamente sul banco degli imputati. Addirittura, il segretario del Parti- to democratico ha attributo ad esse alcune brucianti sconfitte, a partire dalla Liguria, arrivando alla conclusione che «le primarie sono in crisi». È davve- ro così? A domande tanto complesse è sempre utile evitare di rispondere con giudizi trancianti, che dipingono un quadro in bianco e nero quando la realtà è ricca di sfumature. Se dovessimo basarci su un calcolo semplicemente aritmetico delle vittorie e delle sconfitte, il bilancio delle primarie regionali è in sostanziale pareggio. Nelle cinque regioni che hanno fatto ricorso al voto dei propri simpatizzanti per scegliere il candidato governatore, in due casi (Liguria e Veneto) la coalizione di centrosinistra è stata sconfitta, mentre è risultata vittoriosa in Puglia, Campania e Marche. Il caso ligure è stato parti- colarmente traumatico perché la regione era controllata in precedenza dal centrosinistra e la sconfitta è stata giustamente interpretata come una vera e propria débâcle. Tuttavia, a fare da contraltare c’è il caso della Campania: una regione che il centrosinistra «strappa» al centrodestra grazie a un candi-
dato scelto, nonostante le infinite polemiche, attraverso le primarie. Quindi, da un calcolo frettoloso tra regioni vinte e regioni perse, il bilancio delle primarie esce in pareggio.
Mettere all’indice le primarie «perdenti», nascondendo nel frattempo quelle che hanno prodotto esiti positivi, è un’operazione fuorviante che con- duce a risultati del tutto illogici. Appare decisamente preferibile affinare l’analisi, come abbiamo cominciato a fare nel paragrafo precedente, per cer- care di tenere in considerazione una pluralità di fattori che, solo nella loro globalità, possono fornire una spiegazione esauriente dei risultati nelle ele- zioni regionali. Ad esempio, se analizziamo il contributo derivante dalle primarie sul «voto al presidente», possiamo osservare l’esistenza di un pic- colo valore aggiunto in termini elettorali. Per l’esattezza, attraverso il pas- saggio nel selettorato, il candidato vincente può beneficiare di un surplus di riconoscibilità da far valere tra l’elettorato generale.
Tuttavia, ragionare di elezioni primarie e delle loro possibili conse- guenze soltanto in termini quantitativi è riduttivo. Così come, in riferimento alle elezioni generali, gli studiosi hanno correttamente incominciato a discu- tere di «qualità delle elezioni» (Birch 2011) o di «integrità elettorale» (Nor- ris 2014), lo stesso dovrebbe avvenire per le elezioni primarie. Sia il modo con cui i partiti organizzano le votazioni al loro interno che il comportamen- to dei candidati dovrebbero far parte di una valutazione complessiva sulla qualità di un’elezione primaria. Da questo punto di vista, la tornata del 2015 è stata caratterizzata da primarie di bassissima qualità, soprattutto in Liguria e Campania, nelle quali hanno finito per prevalere discussioni sui regola- menti, sulla correttezza del processo elettorale e, in alcuni casi, anche accuse di brogli. Se poi dovessimo analizzare anche la qualità della campagna elet- torale e la sua «divisività»11 oppure il comportamento dei candidati sconfitti,
ci ritroveremmo con uno scenario cupo dove alla bassa qualità del processo elettorale si associa quella, ugualmente mediocre, del comportamento dei candidati nelle primarie. Quello che dovremmo chiederci, in definitiva, non è (solo) se le primarie regionali fanno la differenza, ma come riescono a non farla, in negativo, nonostante la loro scadente qualità. E qui si apre un nuovo terreno di ricerca, soprattutto sulla qualità delle primarie, sul quale è bene gli studiosi incomincino a riflettere fin da ora.
11 La «divisività» si riferisce a una specifica modalità di svolgimento della campa-
gna elettorale, sia tra i candidati che tra i loro sostenitori, basata prevalentemente sull’attacco, in negativo, dell’avversario, creando ripetute lacerazioni o divisioni
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PARTE SECONDA