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Dalla differenziazione normativa alla differenziazione elettorale Dopo aver considerato il venir meno del bipolarismo e la crescente de-

Nel documento Toscana. Nuovi sfidanti in vecchi scenari (pagine 30-47)

strutturazione dei sistemi partitici regionali, ci focalizziamo ora sulla terza dimensione di analisi, ossia la differenziazione dei sistemi politici e partitici a livello regionale. Il tentativo è quello di mostrare sotto quali aspetti le ele- zioni del 2015 abbiano evidenziato una consistente differenziazione tra le regioni al voto e come questa sia aumentata rispetto al ciclo elettorale prece- dente. Che i sistemi politici e partitici delle regioni italiane stessero prenden- do strade sempre più diverse tra loro e sempre più difficilmente inquadrabili in modelli o schemi comuni, era un’evidenza che aveva cominciato a emer- gere già da tempo e che nel ciclo elettorale del 2010 era diventata palese (Baldi e Tronconi 2010; Tronconi e Roux 2009). Nel 2015 il grado di diffe- renziazione ha però raggiunto un livello davvero elevato. E niente lascia pensare a un’inversione di tendenza. La differenziazione, infatti, è connessa non solo all’aumento del policentrismo istituzionale (Lippolis e Petruzzella 2007) all’interno del contesto substatale – basti pensare alla recente riforma di riordino territoriale, la cosiddetta «legge Delrio» – ma anche alla progres- siva differenziazione istituzionale inter-regionale, connessa alla valorizza- zione delle diverse autonomie, e alla differenziazione rispetto ai risultati elettorali, di sempre più difficile previsione.

Vediamo allora le principali dimensioni della differenziazione, partendo da quella normativa e dallo sfasamento del calendario elettorale. Nel 2015 si sono tenute le elezioni regionali in solo sette regioni delle 13 che erano an- date al voto nel 201013. Questo dimezzamento si è avuto poiché quattro con-

sigli sono stati sciolti anticipatamente nel 2013 (Lombardia, Lazio, Molise, Basilicata) e tre nel 2014 (Piemonte, Emilia Romagna, Calabria). In tre casi il voto anticipato è stato dovuto agli scandali per corruzione che hanno inve- stito l’élite regionale (Lombardia, Lazio, Basilicata). Sia in Molise che in Piemonte, invece, il ritorno alle urne è stato deciso dalla magistratura in quanto in entrambi i casi erano emerse irregolarità in merito alla raccolta delle firme per il candidato presidente vincente. In Emilia Romagna il presi- dente Vasco Errani si era dimesso in seguito a una condanna, poi annullata, per falso ideologico. In Calabria nel 2014 si era tornati a votare poiché il

13 Nel 2010 nelle regioni a statuto ordinario il calendario delle elezioni regionali era

presidente della giunta Giuseppe Scopelliti era stato condannato per abuso d'ufficio e falso in relazione al suo mandato precedente come sindaco di Reggio Calabria (2007-2010)14.

Fig. 4. Il ciclo elettorale nelle regioni a statuto ordinario (2013-2015)

Nel ciclo 2013-2015 si è quindi consolidata una prima grande differen- za inter-regionale cioè quella della sfasatura dei calendari, che come si evi- denzia in fig. 4 prevede che Lombardia, Lazio, Molise e Basilicata (in giallo) votino due anni prima di Veneto, Liguria, Toscana, Umbria, Marche, Cam- pania e Puglia (in rosso mattone) e che Piemonte, Emilia Romagna, Abruzzo e Calabria (in arancione) votino un anno prima.

Questa differenza è destinata a rimanere nel tempo – al netto di altri scioglimenti anticipati – e avrà una ricaduta inevitabile sul piano nazionale.

14 I casi di Emilia Romagna e Calabria presentano alcuni parallelismi poiché in en-

trambe le regioni lo statuto prevede la formula dello simul stabunt vel simul cadent, che comporta che alle dimissioni del presidente della giunta segua lo scioglimento del consiglio.

Infatti, anche se le elezioni regionali sono spesso percepite come una sorta di

mid-term elections e anche se la letteratura politologica non sembra aver ac-

clarato una volta per tutte i loro effetti sulle elezioni nazionali (Jeffery e Hough 2003, Schakel 2011), è però probabile che appuntamenti elettorali sempre più ravvicinati nel tempo possano finire per mettere sotto pressione esecutivi nazionali instabili.

Concentrandosi ora più nello specifico sulle elezioni regionali del 2015, ci si propone di raggruppare le molteplici differenze rilevabili tra i vari casi, in due categorie principali: la differenziazione ex ante e quella ex post.

La differenziazione ex ante definisce le differenze rilevabili nelle sette regioni prima del momento elettorale: a) le previsioni normative a livello statutario e b) quelle relative ai sistemi elettorali regionali, c) la selezione dei candidati con la scelta cioè di ricorrere o meno ad elezioni primarie (opzione che ha riguardato la coalizione di centrosinistra e in particolare il Pd)15.

La differenziazione ex post definisce invece le differenze emerse nelle sette regioni dopo le elezioni ovvero: d) i risultati dei maggiori partiti, e) l’uso del voto di preferenza e f) il tasso di personalizzazione dei candidati.

Per quanto concerne le riforme istituzionali regionali (a), il Veneto era l’unica regione tra quelle esaminate in questo volume che fino al 2010 non era riuscita ad approvare lo statuto, mentre nel corso della IX legislatura (2010-2015) l’obiettivo è stato finalmente raggiunto. Nelle altre regioni le modifiche statutarie intervenute nel periodo 2010-15 hanno riguardato prin- cipalmente la composizione del consiglio e della giunta regionale in ottem- peranza alla legge statale n. 148/2011 voluta dal Governo Monti che mirava a tagliare la spesa pubblica. Di conseguenza in tutte le regioni sono stati ri- dotti i seggi del consiglio16 e in alcune sono stati ridotti anche i componenti

della giunta (Liguria e Marche). Inoltre, in alcuni statuti è stato fissato un limite alla presenza in giunta degli assessori non consiglieri, i cosiddetti as- sessori esterni (come ad esempio in Puglia che possono essere massimo due, nelle Marche possono essere al massimo tre o in Veneto che possono essere al massimo il 50% del totale). Infine, in alcune regioni è stato introdotto il limite, per il presidente della giunta e per i consiglieri, di massimo due man- dati consecutivi (in Veneto a livello statutario e nelle Marche con la legge elettorale).

Per quanto riguarda la legislazione elettorale (b), la gran parte delle re- gioni aveva già confezionato una propria legge che superava la legge Tata-

15 Le elezioni online del M5s per la selezione dei candidati presidenti (le cosiddette

Regionalie) non sono state considerate in questa sede poiché effettuate in modo omogeneo per tutte le regioni al voto.

rella (la l. n. 43/1995, detta Tatarellum) prima del 2010 (Pacini 2007). Tra i nostri casi ci sono Toscana, Puglia e Marche, il Veneto l’ha realizzata nel 2012 insieme allo statuto, mentre la Liguria rimane la sola regione tra quelle al voto nel 2015 a non aver introdotto una propria legge elettorale. Nel corso della IX legislatura e in vista delle elezioni del 31 maggio, le sei regioni hanno modificato le loro precedenti leggi regionali17. In generale, in questa

revisione, quasi tutte hanno eliminato il listino18 che era stato previsto dal

Tatarellum, preferendo adottare un sistema misto proporzionale con premio

di maggioranza, piuttosto che il sistema misto maggioritario precedente (Chiaramonte 2007b), mentre l’unica regione ad aver previsto il ballottaggio – tra i due candidati presidenti più votati se nessuno di loro ottiene almeno il 40% dei voti – è la Toscana.

Il premio di maggioranza introdotto può essere variabile (come in Ve- neto, Toscana e Puglia) oppure fisso (come in Campania e Umbria, in en- trambi i casi si raggiunge il 60% dei seggi). Il caso più peculiare è quello delle Marche dove esiste sì un premio variabile, ma se la coalizione del can- didato vincitore non supera il 34% dei voti la distribuzione dei seggi avviene con un sistema proporzionale puro. Di conseguenza le Marche e la Liguria19 restano le sole regioni con sistema elettorale regionale non majority assuring (Paparo 2015).

In tutte le regioni al voto nel 2015 esistono delle soglie di sbarramento. Veneto e Marche hanno soglie identiche, ossia al 5% per le coalizioni, supe- rabile nel caso in cui all’interno di una coalizione sia presente una lista che ottiene almeno il 3% a livello circoscrizionale. Altre due regioni hanno so- glie coalizionali: la Toscana (10%) e la Puglia (8%). Infine le soglie per le liste esistono in Umbria (2,5%), in Liguria e in Campania (entrambe 3%), in Toscana e in Puglia, in questi ultimi due casi però sono differenziate a se- conda che la lista corra da sola o in coalizione20. Tuttavia se teniamo conto

17 Ci si riferisce alla LR 51/2014 della Regione Toscana; alla LR 4/2015 della Re-

gione Umbria, alla LR 5/2015 della Regione Marche; alla LR 8/2015 della Regione Campania; alla LR 7/2015 della Regione Puglia e alle modifiche apportate alla legge elettorale veneta (LR 1/2015).

18 Il «listino» (o lista regionale) è la lista collegata direttamente al candidato alla pre-

sidenza della regione. L’elettore non esprime preferenze all’interno del listino, ma vota solo il capolista, che è appunto il candidato presidente. In caso di vittoria di quest’ultimo, vengono eletti con lui i componenti del «listino».

19 La Liguria ha mantenuto la Tatarella ma in questa regione la legge risulta in parte

inapplicabile. Secondo la Consulta l’assegnazione di seggi aggiuntivi (premio di maggioranza) non può avvenire qualora il numero totale dei seggi sia già fissato in statuto, come nel caso ligure.

20 In Toscana la soglia per le liste singole è al 5%. Tuttavia se una lista è parte di una

delle soglie effettive, ossia della percentuale di voti con la quale un partito ha il 50% di possibilità di ottenere almeno un seggio, queste variano in un

range compreso tra il 3% e quasi il 5% nelle regioni al voto nel 2015 (si ve-

da il cap. 3).

Il voto disgiunto, che era previsto dalla legge Tatarella e che permette di poter indicare un candidato alla presidenza ma preferire una lista a lui/lei non collegata, è presente in Liguria ed è stato mantenuto in Veneto, Toscana, Campania e Puglia, mentre Umbria e Marche hanno deciso di abolirlo, come si vede in fig. 5.

In Liguria, Veneto, Marche e Puglia l’elettore ha a diposizione la prefe- renza unica. In Toscana, Campania e Umbria invece è stata prevista la dop- pia preferenza di genere (si veda ancora la fig. 5), un meccanismo secondo cui l’elettore può utilizzare due preferenze ma la seconda deve essere diretta a un candidato/a di genere diverso rispetto alla prima scelta, pena l’annullamento del secondo voto. In Toscana tale strumento è stato potenzia- to grazie alla lista dei candidati già stampata sulla scheda elettorale con ordi- ne alternato tra uomini e donne.

Fig. 5. Preferenze e voto disgiunto nelle regioni al voto nel 2015

Tra le altre differenze ex ante, ricordiamo che l’utilizzo delle primarie (c) da parte del centrosinistra è avvenuto solo in cinque delle sette regioni al voto. Infatti, sia in Toscana che in Umbria, il Pd ha deciso di ricandidare il presidente uscente, rispettivamente Enrico Rossi e Catiuscia Marini. Nelle cinque regioni ci sono state primarie di coalizione che hanno visto compete- re tre candidati ciascuna, ma in tutte ha vinto un candidato del Pd. Le prima- rie maggiormente competitive sono state quelle liguri e quelle marchigiane, mentre nelle altre regioni il frontrunner non ha incontrato grandi difficoltà a vincere la competizione (si veda il cap. 6). In generale, la partecipazione alle primarie è stata coerente con la media registrata per altri tipi di primarie (C&LS 2015) con due eccezioni in senso opposto tra loro: la grande parteci- pazione in Liguria (dove è stata scelta Raffaella Paita) e la bassa partecipa- zione in Veneto (dove è uscita dalla selezione delle primarie Alessandra Mo- retti). Infine, bisogna evidenziare che sia in Liguria che in Campania le pri- marie sono state fortemente criticate: nel primo caso esplicitamente contesta- te, dal candidato arrivato secondo, Sergio Cofferati; in Campania invece il problema era legato alle vicende giudiziarie di Vincenzo De Luca, che ri- schiavano di farne un candidato «dimezzato» (si veda il cap. 12).

Passando ai segnali di differenziazione tra i sistemi partitici regionali che sono emersi ex post, e concentrandoci in particolare sui risultati elettora- li, si evidenzia come sia sempre più complesso riuscire a classificare gruppi di regioni in pattern simili, come invece si riusciva a fare durante la Prima repubblica – e anche fino ai primi anni duemila per la maggior parte delle regioni. A partire dagli anni novanta la mappa politica dell’Italia imperniata stabilmente su due subculture, quella bianca e quella rossa (Diamanti e Ric- camboni 1992; Caciagli 1988; Baccetti e Messina 2009) è mutata rapida- mente e profondamente. In particolare, la territorializzazione del voto ha continuato ad avere un peso nel Nord, pur con la sostituzione del bianco de- mocristiano con il verde leghista, e nell’Italia centrale (Diamanti 2009). Tut- tavia durante la Seconda repubblica i comportamenti di voto sono parsi mol- to più fluidi rispetto al passato. I risultati delle elezioni regionali durante questo arco di tempo hanno messo in evidenza due aspetti: da un lato, le re- gioni che hanno mantenuto un comportamento di voto coerente e fedele sono solo sette sulle quindici a statuto ordinario, ossia le regioni dell’Italia centra- le (Emilia Romagna, Toscana, Umbria e Marche) con la Basilicata, in cui è sempre stato premiato il centrosinistra, e il Veneto e la Lombardia dove in- vece è stato sempre premiato il centrodestra (sia nel caso fosse guidato dal FI/Pdl sia nel caso fosse guidato dalla LN). Per tutte le altre regioni invece non emerge alcun comportamento di voto ricorrente e quindi nessun «colore dominante». Nella Seconda repubblica quindi, il numero delle regioni «con- tendibili» (vedasi anche il cap. 3), ossia quelle in cui più frequentemente si registra l’alternanza, è aumentato nel tempo.

Concentrandoci sulle sette regioni al voto nel 2015, da un lato le ten- denze poc’anzi ricordate rispetto ai comportamenti di voto più o meno stabi- li, trovano ulteriore conferma; dall’altro lato, però, si registra una maggiore diversificazione rispetto al passato nelle scelte di voto per i maggiori partiti (d).

Due delle tre regioni cosiddette contendibili riconfermano questa loro caratteristica dal momento che sia in Liguria che in Campania si è registrata l’alternanza: la Liguria, prima governata dal centrosinistra, è passata in que- ste elezioni al centrodestra, mentre la Campania, prima governata dal cen- trodestra, è tornata al centrosinistra. In Puglia invece per la terza volta con- secutiva si assiste all’affermazione del centrosinistra, sebbene in questa tor- nata il presidente della giunta sia espressione del Pd e non più di Sel. Nelle regioni cosiddette fedeli, anche nel 2015 non vi è stata alcuna alternanza: il centrosinistra si è confermato alla guida dell’esecutivo nelle regioni rosse (Toscana, Umbria e Marche) e in Veneto ha vinto nuovamente la coalizione di centrodestra capeggiata dalla LN.

Coerentemente con l’affermazione della coalizione di centrosinistra in cinque regioni su sette, in queste il Pd è il primo partito. I migliori risultati del Pd si sono registrati in Toscana (46,3%) e nelle altre regioni del Centro (sopra il 35%), mentre nelle due regioni meridionali, pur essendo il primo partito, il Pd è rimasto sotto il 20%21. In Liguria il Pd è ancora il primo parti- to (25,6%), ma la forte impennata della Lega Nord, che in questa regione consegue il suo miglior risultato (20,3%), ha portato alla vittoria il centrode- stra.

Le differenze maggiori tra il 2010 e il 2015 nelle sette regioni analizzate riguardano però i voti ai partiti arrivati secondi. Proprio questa chiave di let- tura – che rimanda a quanto discusso in precedenza riguardo alla destruttura- zione e in particolare all’indice di bipartitismo – ci consente di evidenziare come, nonostante il risultato generale continui a far registrare una sostanzia- le continuità rispetto al passato, sotto la superficie emergano notevoli ele- menti di discontinuità.

In particolare FI, che ha segnato l’arretramento più pesante in confronto con il Pdl nel 2010, non è più il principale sfidante del Pd né nelle regioni rosse, né in Liguria, né in Puglia. FI riesce a conservare tale ruolo solo in Campania, dove il partito di Berlusconi consegue il miglior risultato di que-

21 Probabilmente in entrambi i casi hanno pesato i risultati conseguiti dalle liste per-

sonali dei due presidenti. La lista di Emiliano in Puglia (Emiliano sindaco di Puglia) ha conseguito il 9,3% che, sommato al risultato del Pd, farebbe raggiungere a quest’ultimo il 28,1%, mentre quella di De Luca in Campania (De Luca Presidente) ha conseguito un risultato più contenuto (4,9%) ma che consentirebbe al Pd di arri-

ste elezioni, il 17,8%. Altrove gli azzurri superano il 10% solo in altre due regioni: la Liguria (12,7%) e la Puglia (10,8%).

Nelle altre regioni il principale competitor del Pd è diventato o il M5s – secondo partito in Liguria (22,3%), Marche (18,8%), Umbria (14,5%) e Pu- glia (16,3%) – o la Lega Nord, secondo partito in Toscana (16,2%). M5s e LN sono i partiti che vincono di più in queste elezioni perché sono gli unici che aumentano il loro consensi in confronto al 2010 (si veda anche il cap. 3). Tuttavia, come già evidenziato in precedenza, nonostante una media del 16,3% di consensi per regione, il M5s non riesce a scalzare completamente il centrodestra, perché persiste nella sua strategia di non-coalizione, anche a livello regionale. Tuttavia, anche quando è risultato il terzo partito, i risultati del M5s non possono essere sottovalutati. In particolare, tali risultati sono di rilievo sia in Toscana (15,1%) che in Campania (17%) poiché si discostano di poco dai voti ottenuti dal secondo partito, rispettivamente LN (16,2%) e FI (17,8%).

La LN si conferma il primo partito in Veneto, e assieme alla Lista Zaia ottiene un risultato paragonabile a quello del Pd in Toscana, il 41,1%. Tutta- via l’aspetto più interessante, non è tanto il consenso dei leghisti in Veneto – regione in cui si registra un forte radicamento di questo partito fin dall’inizio della Seconda repubblica – quanto piuttosto l’incursione della LN nelle re- gioni rosse. Se tale fenomeno iniziava a emergere soprattutto a partire dal 2005 (Passarelli e Tuorto 2012), queste elezioni regionali mettono in luce come la crescita di consensi verso la LN si sia ampliata e consolidata, tanto che il Carroccio è diventato il secondo partito in Toscana e il terzo partito in Umbria (14%), nelle Marche (13%) e anche in Liguria, dove peraltro supera il 20% dei voti. In effetti il partito di Salvini, pur non conseguendo risultati di rilievo nelle regioni meridionali (in Puglia il 2,3% ma al suo esordio elet- torale, e in Campania non si presenta), raggiunge una media regionale dell’11,9%22.

Il Veneto è l’unica regione in cui il M5s non ottiene un risultato rilevan- te: da un lato i Cinque stelle hanno fatto registrare il loro peggior risultato di questa tornata elettorale (10,4%), dall’altro lato è il Pd a essere diventato il secondo partito in questa regione (sempre non considerando la Lista Zaia se- paratamente dalla LN), pur prendendo meno voti rispetto al 2010. Tale esito è stato determinato dal pesante arretramento, rispetto al Pdl, di FI, che in questa regione consegue il suo peggior risultato di questa tornata (6%).

Fig. 6. Primo e secondo partito nelle regioni al voto nel 2015

Come è evidente dalla fig. 6, l’unico caso in cui i due maggiori partiti in competizione sono stati Pd e FI è la Campania, che riproduce in questo senso un pattern tradizionale all’interno di una regione contendibile. Allo stesso modo in Veneto il pattern della competizione tra maggiori partiti rimane tra- dizionale, in quanto è ancora una volta tra LN e Pd, in questo caso in un con- testo di regione fedele (al centrodestra). Nelle altre regioni invece i pattern tradizionali saltano. In Toscana, in un contesto di regione fedele (al centrosi- nistra), il Pd compete con la LN (invece che con ex componenti del Pdl) e tale configurazione è certamente inedita in questa regione, anche se abbiamo visto che il Carroccio, un tempo dominante solo nel Nord del paese, ha ac- quisito nel tempo sempre più consensi nelle regioni del Centro. Nelle Mar- che e in Umbria, anche qui in un contesto di regioni fedeli che premiano il centrosinistra, il Pd compete ora con il M5s e in questo caso l’assetto della competizione è ancor più nuovo, visto che è in questa tornata che il M5s si è davvero affermato a livello regionale. Inoltre in queste due regioni un’ulteriore novità è il fatto che sia la LN, e non un erede del Pdl, a essere il terzo partito regionale. Allo stesso modo in Puglia, che continua a essere considerata una regione contendibile (si veda il cap. 3) nonostante l’affermazione del centrosinistra nelle ultime tre tornate elettorali, il Pd compete con il M5s a causa della spaccatura verificatasi nel centrodestra.

Un secondo elemento di differenziazione ex post è rappresentata dall’utilizzo del voto di preferenza (e) da parte degli elettori nel 2015. Nella maggior parte dei casi si registra un trend sostanzialmente negativo, ossia gli

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