4. Novità e conferme nel voto di preferenza
di Marco Valbruzzi e Rinaldo Vignati
1. Introduzione
C’è stato un tempo in cui lo studio del voto di preferenza, in special modo dei suoi incrementi o decrementi, era uno dei temi più dibattuti nell’agenda di diversi sociologi e politologi italiani. Mentre la maggior parte della letteratura internazionale sull’argomento preferiva concentrare l’analisi dei sistemi elettorali sulla loro dimensione esterna o inter-partitica, in Italia esisteva una tradizione, per nulla minoritaria o irrilevante, di studi sull’uso (e abuso) del voto di preferenza (D’Amato 1964, Ancisi 1976, Scaramozzino 1979, Katz e Bardi 1979, D’Amico 1984). Gli interessi di ricerca, come è giusto che accadesse, erano diversificati e, pur analizzando lo stesso feno- meno, miravano a fornirne differenti spiegazioni o interpretazioni. Non a ca- so, i pochi studi comparati che si potevano trovare all’epoca avevano come uno dei principali punti di riferimento il caso italiano, spesso considerato – non sempre a ragione – l’emblema della possibile degenerazione del prefe-
rential voting. Poi, a partire dagli anni novanta, soprattutto come conseguen-
za del referendum sulla preferenza unica e, successivamente, con l’approvazione di una nuova legge elettorale a livello nazionale, l’interesse degli studiosi italiani sulle cause e le conseguenze del voto di preferenza è andato scemando, raggiungendo quello, mai realmente sbocciato, dei colle- ghi stranieri. Così, il tema delle preferenze, che pur continuavano ad esistere nelle leggi elettorali sub-nazionali, è finito in un cono d’ombra, bucato in minima parte soltanto da studi isolati ed estemporanei che avevano ormai perso quel vigore intellettuale esistente nei decenni precedenti.
Tuttavia, a vent’anni di distanza dall’approvazione del Mattarellum¸ l’opzione delle preferenze è tornata a scaldare gli animi dell’opinione pub- blica e – auspicabilmente – a riaccendere l’interesse di alcuni studiosi. So- stanzialmente, per due ragioni. La prima è legata alla recente approvazione di una nuova legge elettorale per la Camera dei deputati che, tra le sue varie innovazioni, ha introdotto una forma, peraltro anomala, di espressione del voto di preferenza. Non proprio, come già è stata definita, una legge (in buo- na parte) proporzionale di lista con «sistema flessibile», bensì con un sistema misto di assegnazione dei seggi: in parte con capilista bloccati all’interno dei collegi plurinominali e, per la parte restante, con la possibilità di esprimere due preferenze di genere (per un uomo e una donna) all’interno di un elenco più o meno corto di nominativi. Quest’ultima innovazione ha inevitabilmen- te risvegliato la curiosità degli studiosi, in molti casi divisi frontalmente tra
«difensori» del voto di preferenza, inteso come un’arma democratica messa a disposizione dei cittadini per scegliere i propri candidati, e «oppositori», i quali considerano lo strumento delle preferenze come un veicolo di corru- zione, clientelismo e frazionismo all’interno dei partiti politici.
La seconda ragione che sollecita una «rinascita» degli studi del voto di preferenza riguarda l’ondata interminabile di scandali che hanno coinvolto una parte consistente della classe politica regionale, senza distinzioni di par- tito o di area geografica. Tra indagini, rinvii a giudizio e condanne, il ceto politico regionale è ormai, quasi unanimemente, ritenuto quello più scredita- to, ancor più di quello nazionale. Tutto ciò, ovviamente, non poteva non ave- re ripercussioni sulla (decadente) legittimazione degli istituti regionali tout
court e, di immediato riflesso, sull’impennata di astensionismo che si è ab-
battuta sulle più recenti elezioni regionali. Tra i principali fattori chiamati in causa per spiegare la degenerazione del ceto politico regionale rientra certa- mente il voto di preferenza, che è uno dei metodi più diffuso, sebbene non l’unico, per eleggere i consiglieri delle regioni.
È stato dunque l’insieme di queste ragioni a riportare l’attenzione sul voto di preferenza, tenendo conto delle passate ricerche sull’argomento e con un occhio proiettato sull’applicazione della nuova legge elettorale. Indagan- do, al contempo, alcune tendenze nuove che ancora non erano emerse negli anni passati. Una di queste, probabilmente la più importante, riguarda senza dubbio il declino delle preferenze. Se, almeno fino alla fine degli anni ottan- ta, gli studiosi erano concordi nel sottolineare la tendenziale stabilità con cui gli italiani facevano ricorso al voto di preferenza, negli anni novanta e nei primi anni 2000 le ipotesi propendevano piuttosto ad indicare una tendenzia- le crescita del voto di preferenza (la spiegazione risiedeva nel declino orga- nizzativo e ideologico dei partiti e nel conseguente rafforzamento di legami di tipo personalistico alla base delle scelte di voto). Negli ultimi anni questa tendenza sembra invece essersi interrotta: l’utilizzo del voto di preferenza ha imboccato una china discendente. Ovviamente, rimangono molti di quegli aspetti che già erano emersi nelle ricerche precedenti, a partire da quella «meridionalizzazione del voto di preferenza» (D’Amato 1964) messa in evi- denza da numerosi studiosi. Per intenderci: l’immagine delle «due Italie», come vedremo anche nel corso di questo capitolo, mantiene la sua validità, con un elettorato del Nord meno incline all’uso della preferenza rispetto a quello del Sud. Ma all’interno di questo scenario immutato, assistiamo co- munque a una tendenza verso il dis-uso, ossia il non utilizzo del voto di pre- ferenza.
Ciò detto, all’interno di questo scenario generale non bisogna, comun- que, perdere di vista l’analisi del dettaglio. Infatti, il voto di preferenza con- tinua a restare un campo di indagine privilegiato per chi è interessato ai mu-
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tamenti intervenuti nel rapporto partiti-elettori e, più in generale, alla tra- sformazione della cultura politica delle diverse organizzazioni partitiche. Come è noto, l’intera fase repubblicana era caratterizzata da tassi di prefe- renza nettamente disomogenei tra i partiti politici. Renato D’Amico (1990, pp. 281-299) aveva addirittura azzardato una classificazione dei partiti ita- liani in base alla loro capacità di gestione e attrazione delle preferenze: da un lato, si trovava il «modello di partito dell’area di governo» perfettamente in- carnato dalla Dc e poi anche dal Psi e attivissimo nel mercato delle preferen- ze, dall’altro lato c’era invece il «modello di partito di opposizione» , tipico del Pci e, parzialmente, del Msi, nel quale il mercato delle preferenze era fortemente limitato, controllato e quanto più possibile etero-diretto.
Naturalmente, queste etichette concettuali sono invecchiate nel corso del tempo, ma l’ispirazione di fondo mantiene intatta tutta la sua validità. Il voto di preferenza non solo non è uguale per tutti gli elettori, a partire dalle loro differenti provenienze geografiche, ma non lo è neppure per i partiti po- litici. L’applicazione meccanica della distinzione fra modelli di partito pro- posta da D’Amico avrebbe oggi poco senso o andrebbe fortemente aggiorna- ta o ri-adattata. Ciò nonostante, dall’analisi del voto di preferenza nelle ele- zioni regionali emergono alcune tendenze che potrebbero guidare gli studiosi a formulare nuove ipotesi di ricerca, sia sulla trasformazione dei partiti poli- tici sia sulla cultura politica dei loro elettorati.
Questo capitolo è un primo tentativoche cerca di andare nella direzione appena indicata. Nella prima parte viene infatti analizzato l’andamento del voto di preferenza nelle elezioni regionali in Italia, dal 1995 ad oggi, cercan- do di analizzarne le specificità in relazione tanto al comportamento degli elettori quanto all’approccio dei partiti politici. Pur confermando alcune atti- tudini di fondo nell’atteggiamento dell’elettorato, si cerca di mettere in evi- denza quelle che sono le trasformazioni più recenti per quanto riguarda il ri- corso alle preferenze e, successivamente, la diversa abilità (o volontà) con la quale i partiti o i loro candidati riescono a coltivare un rapporto personale con gli elettori. Nella seconda parte, invece, l’analisi viene posta sull’innovazione della doppia preferenza di genere, al fine di valutarne le ri- cadute pratiche nell’ottica di un riequilibrio della rappresentanza politica e per esaminare l’orientamento dell’elettorato nei confronti delle candidature femminili. Segue, infine, un sintetico bilancio sul voto di preferenza in Italia, al fine di evidenziare quelle che sono le trasformazioni più interessanti.