La competizione maggioritaria ha per protagonisti i candidati alla presi- denza, ma anche le coalizioni di partiti a sostegno di questi. Nella recente storia elettorale italiana, l’importanza dell’offerta politica, cioè delle strate- gie coalizionali messe in campo dagli attori politici, è stata più volte sottoli- neata, nelle elezioni regionali e non solo (Chiaramonte e Di Virgilio 2000; Di Virgilio 2007; Di Virgilio 2014). Alle elezioni regionali del 2010 la com- petizione maggioritaria si svolgeva ancora, ovunque, fra due coalizioni, una imperniata sul Pd e più o meno inclusiva verso sinistra e verso il centro, l’altra imperniata al Sud sul Pdl e al Centro-nord sull’asse Pdl-LN (Tronconi 2010, 54). In tutte le 15 regioni a statuto ordinario la somma dei voti ottenuti dai due candidati espressione di tali coalizioni era vicina o superiore al 90%, con una media nazionale pari al 93,1%. Nel 2013-2015 il quadro muta sensi- bilmente: la media nazionale si abbassa di venti punti percentuali (73,5 %) e in nessuna regione i voti ai due candidati maggiori raggiungono il 90%, es- sendo i due casi estremi rappresentati dalla Campania (82,1%) e la Liguria (62,2%). Questo accade per effetto di una maggiore frammentazione dell’offerta maggioritaria (aumenta, mediamente, il numero dei candidati presidenti), ma ancor più perché il voto si disperde, più che in passato, fra i candidati perdenti (fig. 1), indicando una situazione di debole coordinamento strategico dei partiti che è tipica dei sistemi partitici non ancora consolidati o, come nel nostro caso, destrutturati2. La fig. 1 evidenzia addirittura che la
frammentazione maggioritaria – sia in termini di candidati che in termini di dispersione del voto – è la più alta da quando è stato abbandonato il sistema elettorale proporzionale. Dopo la fase di stabilizzazione del 2000 e del 2005, le elezioni del 2010 rappresentavano, almeno giudicando con il senno di poi,
2 Secondo la nota formulazione di Gary Cox (1997), un sistema politico in perfetto
equilibrio duvergeriano dovrebbe portare alla concentrazione di tutti i voti su M+1 candidati, dove M indica il numero di seggi in palio in ciascuna circoscrizione. Nella competizione maggioritaria delle elezioni regionali, questo significa che i primi due candidati dovrebbero attrarre, teoricamente, il 100 per cento dei voti.
la prima spia di un disallineamento delle due principali coalizioni e prean- nunciavano la fase di mutamenti radicali osservati nelle elezioni politiche del 2013 e nel successivo ciclo elettorale regionale. Il numero medio di candida- ti passa da 4,2 a 6,5, mentre il voto disperso verso candidati terzi, che nelle tre elezioni precedenti si era mantenuto al di sotto o in prossimità del 5%, ol- trepassa nell’attuale ciclo elettorale il 26%.
Fonte: Elaborazione degli autori da dati del Ministero dell’Interno.
Fig. 1. La frammentazione nella competizione maggioritaria regionale: numero di candidati e percentuale di voto «disperso» (valori medi delle 15 regioni ordinarie, 1995-2015)
In parte l’aumento del voto «disperso» è dovuto alla presenza del M5s. Diversamente dal 2010, il partito guidato da Beppe Grillo presenta nel 2015 candidati in tutte le regioni al voto e solitamente ottiene risultati tutt’altro che trascurabili, considerando anche che in tutti i casi sono candidature so- stenute dalla sola lista riconducibile al blogger genovese. Se si esclude il 5% riportato in Calabria nel novembre 2014, le percentuali dei candidati «5 stel- le» oscillano fra il 13,2% della Basilicata e il 24,8% della Liguria. In due oc- casioni (Marche e Puglia), il candidato del M5S si è posizionato al secondo posto, approfittando delle divisioni dello schieramento di centrodestra.
La seconda ragione della dispersione del voto nel ciclo 2013-2015 è rin- tracciabile, appunto, nei contrasti interni alla coalizione di centrodestra veri- 0 5 10 15 20 25 30 0 1 2 3 4 5 6 7 1995 2000 2005 2010 2015
ficatisi in molte regioni. In particolare, Forza Italia e la Lega Nord hanno presentato candidati contrapposti in Toscana e nelle Marche. In entrambi i casi, in questa competizione tutta interna allo schieramento conservatore, hanno prevalso i candidati leghisti, e in entrambi i casi il rappresentante di Forza Italia ha ottenuto meno voti anche del candidato del Movimento 5 stel- le. A tal proposito, vale la pena richiamare l’esperienza del presidente uscen- te delle Marche, Gian Mario Spacca, eletto per due mandati consecutivi a capo di una coalizione di centrosinistra3. Di fronte al diniego di una nuova
candidatura sotto le insegne del Partito democratico, non ha esitato a candi- darsi come esponente di una lista propria, con il sostegno di Forza Italia (su questo si veda anche il cap. 10). Il risultato è stato deludente: ottenendo solo il 14,2% dei voti, non solo Spacca ha perso la competizione per la guida del- la regione, ma anche la competizione interna al centrodestra, superato dal candidato leghista nonché da quello del M5s. Diversi sono invece i casi di Veneto e Puglia, dove le divisioni della destra seguono dinamiche legate alla leadership dentro Forza Italia e la Lega rispettivamente. In Veneto la rican- didatura del presidente uscente Luca Zaia è stata contestata dal sindaco di Verona Flavio Tosi, anch’esso appartenente alla Lega Nord. Tosi, al termine di un lungo braccio di ferro con la leadership nazionale del proprio partito, ha deciso di presentarsi a capo di un proprio movimento che ha poi ottenuto l’11,9% dei consensi (vedasi cap. 8). In Puglia la spaccatura del centrodestra è stato il riflesso di un lungo contrasto fra il leader Silvio Berlusconi e l’ex presidente regionale Raffaele Fitto, che infine ha deciso di abbandonare il partito pochi giorni prima del voto. Il candidato Francesco Schittulli, ini- zialmente sostenuto da tutto il centrodestra, è rimasto in rappresentanza dell’ala del partito che ha seguito Fitto nella scissione da Forza Italia, mentre la fazione rimasta fedele a Berlusconi ha appoggiato l’ex sindaco di Lecce, Adriana Poli Bortone, assieme ad altre liste minori, fra cui l’inedito esperi- mento di una lista che si richiama al segretario nazionale della Lega Nord (Noi con Salvini), (vedasi cap.13).
Sul versante di sinistra i candidati principali appartengono tutti al Pd, se si esclude l’indipendente Umberto Ambrosoli, candidato in Lombardia nel febbraio 2013. Diversa è però l’estensione del fronte che sostiene la candida- tura: in alcuni casi la coalizione include Sinistra Ecologia e Libertà (Veneto, Umbria), in altri include uno o più partiti di centro (Marche, Campania), in altri ancora li include entrambi (Puglia). Curiosamente, in nessuna regione, nell’intera tornata 2013-2015, il Nuovo Centro Destra (Ncd) sostiene i can- didati del Pd, alleato al governo a Roma. In ogni caso, ciò che più conta ai fini del nostro ragionamento è che, in quasi tutte le regioni, lo sfidante che si
3 Per una ricostruzione giornalistica della carriera politica di Gian Mario Spacca si
colloca a sinistra del Pd raccoglie consensi minimi. L’unica parziale ecce- zione a questa regola è rappresentata dalla candidatura di Davide Pastorino in Liguria, che ottiene il 9,4% dei voti validi, ben distante comunque dai primi due candidati e anche dalla candidata del M5s
Queste trasformazioni – o, forse dovremmo dire, queste fibrillazioni – nella definizione delle alleanze pre-elettorali, si riflettono in una dinamica competitiva che da bipolare diventa multipolare. Lo strumento grafico più idoneo a cogliere il senso e la portata di tali trasformazioni è il cosiddetto «triangolo di Nagayama» (Reed 2001; Grofman et al. 2004). Nelle figg. 2, 3 e 4 sono riportate in ascissa la percentuale di voti ottenuta dal candidato vin- cente e in ordinata la percentuale di voti del secondo candidato. I punti così individuati devono necessariamente posizionarsi all’interno del triangolo rappresentato nelle figure. Il vertice in alto del triangolo rappresenta i collegi elettorali (le regioni, nel nostro caso) caratterizzati da bipolarismo competiti-
vo, ovvero quei casi in cui i due principali candidati si spartiscono la (quasi)
totalità dei voti e sono relativamente vicini fra loro. Man mano che ci spo- stiamo lungo il lato destro del triangolo troviamo situazioni di bipolarismo
via via meno competitivo: i due candidati continuano a spartirsi gran parte
dei voti, ma aumenta il divario fra di loro, rendendo improbabile l’alternanza al governo. Al contrario, i punti che si collocano lungo il lato sinistro del triangolo rappresentano i casi di multipolarismo competitivo: i due candidati più votati hanno percentuali di consensi simili, ma la somma dei loro voti si allontana dal totale, segnalando che altri candidati hanno intercettato quote di consenso non trascurabili e dunque la competizione non può più definirsi bipolare.
Nel 2005 (fig. 2) tutti i punti si collocano in prossimità del lato destro del triangolo. Come anticipato nella fig. 1 questo è l’apogeo del «bipolari- smo frammentato» che caratterizza buona parte della seconda Repubblica (Chiaramonte 2007): sia il numero di candidati, sia la percentuale di voto di- sperso raggiungono il minimo4. Alcune regioni si collocano vicine al vertice
superiore del triangolo (Puglia, Lazio, Piemonte, Liguria, Molise), a indicare competizioni ravvicinate ed esiti elettorali incerti. Altrove, come sappiamo,
4 Con l’espressione «bipolarismo frammentato» si indica la situazione in cui solo
due coalizioni si spartiscono la quasi totalità dei voti, ma tali coalizioni sono estre- mamente divise al loro interno, includendo, accanto ai partiti più rilevanti, un gran numero di partiti minori, spesso espressione personalistica di un leader locale. Per quanto piccoli, questi partiti possono risultare decisivi per l’attribuzione del premio di maggioranza e da questo traggono il loro alto potere negoziale nei confronti dei partiti maggiori. Il bipolarismo frammentato trova il suo apogeo nelle elezioni re- gionali del 2005 e nelle elezioni politiche del 2006, per declinare a partire dal 2008
la competizione è fortemente sbilanciata in favore di un candidato: ciò acca- de in modo particolare nelle regioni «rosse», che infatti si allontanano dal vertice, pur rimanendo in prossimità del lato destro del triangolo. Nel 2010 (fig. 3) la disposizione della nuvola di punti cambia, sia pure di poco: le re- gioni che erano competitive nel turno elettorale precedente rimangono tali; parimenti rimangono scontati i rapporti di forza nelle regioni non competiti- ve, tanto quelle «rosse» quanto il nord «verde-azzurro». Allo stesso tempo, ed è questa la parziale novità, molti punti si spostano verso il centro del triangolo, a segnalare le prime crepe nella struttura bipolare della competi- zione. Infine, nella tornata elettorale 2013-2015 ha luogo il cambiamento più radicale (fig. 4): il vertice superiore del triangolo adesso è vuoto e tutte le re- gioni sono distanti dal lato destro, alcune sono anzi considerevolmente vici- ne al lato opposto, ovvero al multipolarismo. Notevole è anche il cambia- mento nella scala delle regioni più o meno competitive: i risultati più ravvi- cinati tra primo e secondo candidato sono questa volta in Campania, Umbria e Lombardia. Queste ultime due, in particolare, pur non cambiando colore, danno luogo a competizioni molto più incerte che in passato e lasciano pre- figurare la possibilità di alternanze al potere impensabili solo pochi anni fa.
Fig. 2. Il triangolo di Nagayama applicato alle elezioni regionali del 2005
Fig. 4. Il triangolo di Nagayama applicato alle elezioni regionali del 2013-2015