Dopo la riforma del titolo V della Costituzione (Leggi costituzionali n.1 del 1999 e n.3 del 2001), volta a rafforzare l’autonomia politica e istituzionale delle regioni e nella fase attuale di processo di riordino territoriale, caratterizzata dalla nascita delle città metropolitane, delle unioni di comuni e delle aree vaste, le elezioni regionali del 2015 hanno assunto non solo la tradizionale rilevanza di test sulla performance del governo nazionale (Di Virgilio 2007, 117), ma, al contempo, un’occasione di ulteriore verifica dello stato di attuazione e degli effetti della nuova autonomia statutaria ed elettorale.
Il processo di revisione statutaria in Liguria, durato quattro anni di dibattito nella commissione consiliare competente, è terminato con l’approvazione di un nuovo testo, entrato in vigore il 3 maggio 2005, che ha introdotto alcuni aspetti innovativi in sintonia con il mutamento istituzionale in atto in quel periodo che, come Musella ha osservato, delinea «un modello di tipo ibrido che, pur non rientrando perfettamente in una delle caselle della modellistica costituzionale, e non possedendo tutti i requisiti formali che qualificano i regimi di tipo presidenziale, mostra tuttavia un chiaro squilibrio della bilancia dei poteri a favore della figura del presidente-governatore (2009, 87)». Si tratta di un modello che Baldi ritiene abbia «rafforzato la capacità decisionale delle regioni, ridimensionando l’influenza delle forze politiche presenti nel consiglio, e delle relative segreterie nazionali, sull’azione del governo regionale. I presidenti, forti della legittimazione diretta, hanno acquisito maggiore visibilità e accresciuto il proprio potere negoziale nei confronti tanto del governo nazionale quanto dei governi locali presenti sul territorio (2010, 13)».
Laddove al presidente della regione spetta, infatti, il potere di nominare, revocare o sostituire i componenti della giunta, il consiglio regionale esercita autonomia funzionale, organizzativa, finanziaria e contabile e può approvare a maggioranza assoluta la questione di fiducia, posta dal presidente, esclusivamente sulla legge di bilancio, sugli atti ad essa collegati e sulle leggi relative all’istituzione di tributi e imposte regionali, mentre nel caso di un parere contrario del consiglio si verifica la decadenza del presidente della giunta e, conseguentemente, lo scioglimento del consiglio.
Nell’ottobre 2007 sono state approvate le prime modifiche statutarie (artt. 10, 13, 16 e 20) in materia di status dei consiglieri regionali,
dell’autonomia funzionale, gestionale, finanziaria e di bilancio, contabile e patrimoniale, amministrativa, negoziale e contrattuale dell’assemblea legislativa nonché la sostituzione del nome «consiglio regionale» con quello di «consiglio regionale – assemblea legislativa della Liguria».
Nel corso dell’VIII legislatura (2005-2010) diversi consiglieri dell’area di centrosinistra (Partito democratico, Pd; Partito della Rifondazione comunista, Prc; Verdi; Partito dei comunisti italiani, PcdI; Italia dei Valori, Idv e gruppo misto) hanno avviato un’accesa discussione sulla riduzione del numero di consiglieri in un’ottica di riduzione dei costi della politica e, soprattutto, al fine di coniugare la rappresentatività territoriale dell’assemblea con la governabilità della giunta hanno avviato la procedura della riforma elettorale con formula proporzionale e premio di maggioranza, puntando all’abolizione del listino del presidente per evitare forme di contrattazione e compensazione tra i partiti della coalizione.
Per quanto concerne il primo aspetto, la legge statutaria n.1 del 2013 ha ridotto il numero dei consiglieri regionali «da non più di cinquanta» a «non più di trenta»1 oltre il presidente della giunta, con efficacia a partire dalla decima legislatura (articoli 1 e 3), così come il numero dei componenti della giunta regionale da un «numero non superiore a dodici» a un «numero non superiore a sei», ulteriormente sostituito dall’articolo 3 della legge statutaria n.1 del 2015 che ha disposto che i componenti della giunta regionale siano nominati in numero pari ad un quinto dei componenti del consiglio regionale con arrotondamento all’unità superiore2.
A differenza delle altre sei regioni di questa tornata elettorale, ciascuna delle quali ha elaborato una propria legge elettorale, la mancata riforma elettorale regionale ha determinato nel caso ligure l’applicazione della legge precedentemente in vigore (la legge Tatarella, n. 43 del 1995) che prevede l’80% dei consiglieri (24 seggi) eletti sulla base di liste provinciali concorrenti con metodo proporzionale (quoziente e graduatoria delle preferenze) e i restanti 6 consiglieri sulla base di liste regionali concorrenti con sistema maggioritario (20%).
Più precisamente, l’attribuzione dei seggi avviene a livello circoscrizionale con il recupero dei resti a livello regionale attraverso due formule elettorali: il calcolo del quoziente Hagenbach-Bischoff per l’assegnazione dei seggi interi in ciascuna provincia, mentre i resti delle diverse province, sommati per ciascuna lista, vengono conteggiati con il metodo Hare a livello regionale. Ne consegue che è decisamente rilevante la
1 La sua composizione non ha mai superato le 40 unità nel decennio 2000-2010
(Morini 2010, 113).
percentuale di voti ottenuta da ciascuna lista a livello regionale con possibilità di far scattare il primo seggio in consiglio con circa il 3% dei voti complessivi.
Tuttavia, rispetto alla legge Tatarella, una sentenza della Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo la possibilità che scattino i seggi aggiuntivi3, volti a garantire la maggioranza in consiglio al presidente eletto;
qualora si verificasse questa eventualità la Liguria costituirebbe l’unico caso in cui il governatore non può contare sulla maggioranza assoluta dei seggi nell’assemblea, fatta eccezione la negoziazione, come rileva Roberto D’Alimonte (2015, 1), di «un accordo coalizionale con altri partiti dopo il voto».
Ne consegue che il sistema elettorale ligure non è majority-assuring e, secondo la tipologia di Chiaramonte (2005), può essere definito come appartenente ai sistemi elettorali misti di tipo maggioritario a membro misto ovvero un’eccezionalità nel panorama elettorale regionale italiano.
Infine, occorre segnalare un altro aspetto che discosta la regione ligure dagli altri casi presi in esame nel presente volume (si veda il cap. 4): la questione della tutela della rappresentanza femminile. L’assemblea legislativa uscente non ha deliberato alcuna legislazione ad hoc, comportando, nel caso di alcune province, la presenza di liste senza una donna su tre o quattro candidati o con due donne su tredici candidati (Paparo 2015).