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5.3 Il modello PortfolioManager™

6.1.1 Considerazioni introduttive

L’attività di pricing di un’esposizione creditizia consiste nella quantificazione del tasso attivo da applicare ad un’esposizione al fine di riflettere il rischio insito nella medesima e di remunerare adeguatamente il capitale economico allocato dalla banca a fronte del rischio cui si espone. Ne deriva che, viste le particolari esigenze degli intermediari creditizi, si ritiene preferibile parlare di attività di pricing aggiustato per il rischio.

Chiaramente, il pricing deve tenere in considerazione anche i costi operativi che l’intermediario sostiene nello svolgimento della propria attività. In questo contesto, particolarmente rilevanti sono i criteri di attribuzione dei costi. Tale aspetto, tuttavia, è del tutto estraneo ai fini del presente lavoro poiché riguarda questioni di contabilità analitica e di analisi dei costi. Conseguentemente, nell’ambito del presente Capitolo si affronterà la questione in modo marginale indicando solamente l’esistenza di tali componenti di costo che, come tutti gli altri, devono trovare adeguata copertura sullo spread applicato dalla banca alla propria clientela.

Un secondo aspetto degno di nota riguarda i vincoli esterni che devono essere tenuti in considerazione nel corso dell’attività di pricing. Tali vincoli sono di ordine:

a) microeconomico, in quanto connessi alle modalità di formazione dei prezzi sul mercato. Nell’abito di tali vincoli, si ritiene necessario distinguere tra:

146 6. Pricing e misure di rendimenti risk-adjusted

i. impresa bancaria price-taker che si ha qualora l’intermediario operi in un mercato sufficientemente efficiente con elasticità della domanda al prezzo tale da impedirgli di fissare il prezzo (spread) unicamente secondo le proprie esigente e disgiuntamente dalle dinamiche che soggiacciono alla formazione dei prezzi;

ii. impresa bancaria price-setter che opera in un mercato inelastico e beneficia del potere contrattuale sufficiente alla determinazione autonoma dei prezzi da applicare alla propria clientela, ovvero della redditività dei propri attivi. b) finanziario, ovvero legati all’obiettivo di redditività della banca. Infatti, come accade per ogni settore dell’economia, è possibile osservare a partire dai dati di mercato un livello di rendimento tipico per settore di attività. In aggiunta, si è detto che ogni intermediario necessità di una quantità di capitale di rischio da al- locare a copertura dei rischi derivanti dai propri attivi. Tale capitale, ovviamente, deve essere remunerato secondo le aspettative di rendimento dei soggetti che lo hanno apportato, ovvero al tasso direttamente o indirettamente concordato dalla banca coi propri azionisti e che tenga comunque conto del tasso di rendimento settoriale. In questo contesto, a parità di rischio dell’investimento, gli azionisti di un intermediario saranno disposti ad apportarvi capitale solamente qualora le aspettative di remunerazione siano adeguate rispetto al rischio e almeno allineate a investimenti alternativi. Ciò, in definitiva, impone alla banca di conseguire una rendimento "minimo" sul capitale che si configura come un vincolo gestionale che impatta anche sull’attività di pricing.

Se l’intermediario fosse price-setter, il vincolo finanziario, in verità, non configure- rebbe un reale parametro da tenere in considerazione. Infatti, in questo caso, la banca non avrebbe problemi ad assicurare ai propri azionisti aspettative di rendimento al- meno pari a quelle settoriali in quanto in grado di auto-determinare la redditività dei propri impieghi. Contrariamente, in caso di banca price-taker, ovvero di banca che grossomodo deve uniformarsi ai prezzi correntemente praticati sul mercato, il vincolo finanziario assume una rilevanza del tutto diversa. Più in particolare, in questa situa- zione, la banca deve riuscire a praticare tassi sufficientemente contenuti da non essere fuori mercato e, contemporaneamente, deve assicurare aspettative di rendimento tali da attrarre il pubblico degli investitori. Tale necessità si ripercuote sia sul livello di efficienza operativa e sia nella qualità delle decisioni più strettamente connesse all’at- tività bancaria, ovvero a quelle scelte che alla fine determinano la quantità di capitale economico necessaria e la redditività degli impieghi.

Sotto un altro punto di vista, anche la finalità del pricing differisce a seconda che ci si riferisca ad intermediari price-setter o price-taker. Nel primo caso, infatti, è possibile

6.1 Pricing delle esposizioni creditizie 147

parlare di pricing in senso proprio del termine tanto che l’attività in oggetto richiede- rebbe la quantificazione di tutti i costi (ivi compresi quelli per il rischio) singolarmente per ogni esposizione in portafoglio al fine di fissare lo spread da applicare, visto anche il tasso di rendimento target. Nel secondo caso, invece, la banca non può fissare lo spread autonomamente e deve limitarsi ad applicare quello osservato sul mercato, a sua volta determinato secondo ottiche concorrenziali. Conseguentemente, lo scopo del pricing non può essere la determinazione dello spread, ma piuttosto la formulazione di una valutazione di convenienza relativa all’assunzione o meno di un determinato rischio, ciò sulla base della struttura dei costi della banca (costi operativi, di funding e per il rischio) dello spread di mercato osservato e della rischiosità implicita nella posizione che costituisce oggetto specifico di valutazione.

Un’ulteriore considerazione riguarda l’utilità di una corretta attività di pricing delle esposizioni in relazione al ciclo economico e alla differimento temporale con cui si veri- ficano le conseguenze negative delle posizioni di rischio contratte e del relativo pricing.

Sotto quest’ultimo punto di vista, è evidente come la valutazione di un’esposizione è, spesso, condotta ex ante rispetto all’effettivo manifestarsi degli eventi creditizi ad essa connessi. Conseguentemente, l’attività di pricing, se adeguata, consente di evitare di assumere rischi il cui corrispettivo non è adeguato alla loro entità o, al contrario, attribuire spread troppo elevati rispetto a quello di mercato. Tali considerazioni sono senz’altro valide per intermediari price-setter, ma si configurano come aspetti degni di nota anche per le banche price-taker ciò perché l’individuazione dei rischi "accettabili" richiede la quantificazione del capitale economico assorbito in ottica di portafoglio (ovvero in modo tale da considerare i legami di dipendenza tra le esposizioni). Que- st’ultimo parametro, infatti, rappresenta una caratteristica unica e tipica della banca che conduce la valutazione. La struttura delle correlazioni, e quindi la composizione del portafoglio, impattano sulla quantità di capitale economico da allocare a copertura di ogni esposizione e, dunque, sul costo del rischio ad essa connesso. Ne deriva che, assumendo lo spread da applicare come un valore deterministico originatosi in ottica concorrenziale, il rischio connesso ad una data esposizione potrebbe essere accettabile per una banca e non accettabile per un altra. Pertanto, in modo più preciso rispetto a quanto precedentemente affermato, l’attività di pricing per una banca price-taker è fina- lizzata alla formulazione di una valutazione di convenienza ad hoc che tenga conto del portafoglio già detenuto allo scopo di identificare ed assumere le posizioni di rischio che creino valore per gli azionisti1.

1Per la trattazione delle misure di rendimento risk-adjusted e della creazione di valore vedere

148 6. Pricing e misure di rendimenti risk-adjusted

Detto questo, è possibile evidenziare anche il legame tra pricing e ciclo economico. Infatti, qualora la banca utilizzi modelli forward-looking e sensibili al ciclo economico per la gestione del rischio di credito (come, ad esempio, i modelli trattati nel Capitolo5), la stessa è in grado di formulare valutazioni di convenienza in ottica prospettica più accurate, vista l’avvicendarsi delle diverse fasi del ciclo economico e la prevedibile evoluzione del portafoglio che già detiene. In questo modo, è possibile evitare, per quanto possibile, la sistematica accettazione di rischi insufficientemente remunerati durante periodi di espansione economica, distruggendo irrimediabilmente valore per i propri azionisti, nonché il sistematico over-pricing delle esposizioni in fasi economiche recessive2.