• Non ci sono risultati.

CAPITOLO IV LA CONTABILITÁ AMBIENTALE COME STRUMENTO DI VALUTAZIONE DELLE POLITICHE AMBIENTAL

CONTESTO NAZIONALE

4.2 CONTABILITÀ AMBIENTALE DI TIPO FISICO

4.2.1INDICATORI AMBIENTALI: PRINCIPALI AMBITI APPLICATIVI

Comunemente, con il termine indicatore26 si identifica uno strumento in grado di fornire

informazioni in forma sintetica di un fenomeno più complesso e con significato più ampio; uno strumento in grado di rendere visibile un andamento o un fenomeno che non è immediatamente

percepibile27. La sua scelta è condizionata da quelli che sono i limiti di acquisizione dei dati riferiti

alla disponibilità di serie storiche annuali e dalla disponibilità di livelli di aggregazione. A livello internazionale e nazionale un grande interesse, da parte di molte discipline, è indirizzato allo sviluppo teorico e pratico degli indicatori quali strumenti di supporto delle politiche pubbliche. È sempre nell’ottica del raggiungimento di uno sviluppo sostenibile che si assiste alla nascita di un nuovo insieme di indicatori chiamato approach-sustainability (Hezri A., Dovers S.R., 2006). L’Ecological Eonomics è un importante forum di discussione sia degli aspetti teorici che analitici

26 Le caratteristiche che deve possedere un indicatore sono: Rappresentatività del problema e quindi dell’obbiettivo che ci si è posti per l’utilizzo dell’indicatore; Misurabilità, i dati devono essere disponibili ed aggiornabili; Validità scientifica, basato quindi su standard riconosciuti dalla comunità scientifica nazionale ed internazionale; Facilità d’interpretazione, non solo da parte dei tecnici ma anche dei politici e del pubblico; Capacità di indicare la variazione, in questo modo gli indicatori possono essere utilizzati per il monitoraggio nel tempo; Sensibilità ai cambiamenti, deve avere una velocità di risposta nel tempo che descriva le variazioni che avvengono nel tempo nell’ambiente e nell’economia.

nel campo di misura e valutazione della sostenibilità. Ci sono numerosi modi in cui gli indicatori di sostenibilità potrebbero essere classificati ma quello più utilizzato è il sistema sviluppato dalla Banca Mondiale (World Bank, 2003: p.16) come illustrato nella tabella 4.3 in cui per ogni esempio di indicatori, correlati ad approcci specifici, sono riportati i relativi studi pubblicati all’interno della rivista “Ecological Economics”. Mentre alcuni studi sono limitati a discussioni concettuali contenute all’interno della letteratura accademica, altri studi trovano un reale impiego all’intero di politiche e prassi. Ad esempio per più di un secolo l’UNDP (United Nations Development Programme) ha effettuato e pubblicato studi sull’Human Development Index (HDI) suscitando molte reazioni da diversi studiosi (Kelley, 1991; Luchters e Menkhoff, 2000), mass media internazionali (Morse, 2003b) e responsabili politici.

Tabella 4.3 – Alcuni approcci degli indicatori allo sviluppo sostenibile

Themes of approach Examples of indicators Studies published in Ecological

Economics journal

Extended National accounts

Framework for environmental accounting,

adjusted net savings, genuine progress indicator,

index of sustainable economic welfare

El Serafy, 1997; Hamilton, 1999; Hueting and Reijnders, 2004;

Pearce and Atkinson, 1993

Biophysical accounts Ecological footprints van den Bergh and Verbruggen, 1999; Wackernagel and Rees, 1997 Weighted indices

Human development index (HDI) and other indices

Fearnside, 2002; Morse, 2003a; Neumayer, 2001 Eco-efficiency and

dematerialisation Resource and material flows

Dellink and Kandelaars, 2000; Hinterberger et al.,1997 Indicator sets

Atomistic lists of indicators and the state-of-theenvironment (SoE) reporting

Azar et al., 1996; Friend and Rapport, 1991; Gustavson et al.,1999 Fonte: Hezri A., Dovers S.R., 2006

La diversità dei “sistemi di indicatori” porta alla distinzione di indicatori teorici a quelli pratici. La tabella 4.4 mostra una sintesi delle principali chiavi di lettura dei sistemi di indicatori riferiti a tre diversi ambiti.

Tabella 4.4 – Chiavi di lettura attribuite a “set di indicatori” in tre diversi contesti

Public administration

studies Urban studies Environmental sciences

Example of indicator system

State-of-the-environment report Performance indicators

Community sustainability

indicators State-of-the-environment report Variables Key audiences Manipulable Educational Scientific and causal

Guiding logic Government efficiency and

legitimacy Deliberative communication

Technical appraisal and uncertainty

Salient contributions Institutional relevance and corresponding experience

Reflexive and critical orientation

Models of sustainability and integration techniques Implicit construction of

‘governance’ New public management

Self-organising policy

networks Cybernetic systems Fonte: Hezri A., Dovers S.R., 2006

Per quanto concerne gli indicatori riferiti alle scienze naturali hanno l’obiettivo primario di contribuire ad una sostanziale comprensione della sostenibilità. Per questo la popolarità degli indicatori ambientali, comparabile alla popolarità che ha investito l’adozione di sistemi di indicatori sociali tra il 1960 e il 1980 (Andrews, 1989), è in crescita a diverse scale di governo in quanto vi è la necessità urgente nel campo delle scienze ambientali, di avere delle informazioni più dettagliate sulla variazione qualitativa e quantitativa dello stock di risorse naturali che possano essere di supporto ai processi di governance (Dovers, 2005; Vogler and Jordan, 2003).

Infatti, per quanto riguarda la valutazione delle politiche comunitarie, nel contesto generale dei Fondi strutturali, gli indicatori devono riferirsi ad una pluralità di criteri sui quali vale la pena di riflettere criticamente. I documenti metodologici MEANS (cfr. § 2.4), che dedicano al tema degli indicatori l’intero II volume della Collezione, li definiscono come “un’informazione semplice, facilmente comunicabile e compresa allo stesso modo dal fornitore e dall’utilizzatore dell’informazione” (C.E. 1999, II: 17). Essi distinguono gli indicatori a seconda dello stadio del “ciclo del programma” dei loro referenti, ossia tra indicatori di input, di output, di risultato, d’impatto. Diversi sono gli studi in ambito internazionale e nazionale che affrontano in modo critico il problema dell’individuazione di un set di indicatori da utilizzare per il monitoraggio e la valutazione delle politiche pubbliche. In particolare l’UNCE (United Nations Economic

Commission for Europe) ha pubblicato un manuale28 per la valutazione delle politiche di sviluppo rurale che offre una rassegna degli indicatori utilizzati dall’OECD, dall’unione europea, dalla Banca Mondiale e dalla FAO. Tra i set di indicatori proposte dalle organizzazioni internazionali ampio spazio è dato alle proposte europee contenute nel documento Proposal an Environmental Indicators (PAIS) del 2001 e nel cosiddetto Hay report del 2002. Il primo documento contiene una rassegna di indicatori sociali ed economici raccolti per misurare i cambiamenti nelle aree rurali degli Stati Membri. Il Rapporto Hay (2002) sviluppa una serie di indicatori ponendo però il reperimento di dati

a livelli superiori al NUTS29 2 (regione). Infatti dei 58 indicatori presi in considerazione solo sette

di questi sono stati a livello di NUTS 3 (provincia). La commissione europea in collaborazione con gli stati membri ha elaborato una serie di indicatori comuni per il monitoraggio dei programmi di sviluppo rurale 2000-2006 e 2007-2013. Il quadro comune di minio raggio e valutazione (QCMV) individua un numero limitato di indicatori comuni applicabili a ciascun programma. Gli indicatori misurano l’andamento, l’efficienza e l’efficacia dei programmi di sviluppo rurale rispetto ai loro obiettivi e permettono di valutare sia la situazione di partenza sia l’esecuzione finanziaria i prodotti. In merito agli indicatori di benessere sociale e alla qualità della vita in ambito urbano, a livello

28 Rural Houseolds’ Livelihood and well-being,UN,2007

29 La NUTS (Nomenclatura delle Unità Territoriali per le Statistiche dell'Italia) è usata per fini statistici a livello dell'Unione Europea (Eurostat). I codici NUTS del paese lo dividono in tre livelli: NUTS 1 - Suddivisione in Aree geografiche; NUTS 2 - Suddivisione coincidente con le regioni;

europeo i progetti più importanti hanno riguardato la costruzione degli Indicatori Comuni Europei (ICE) e Urban Audit. I primi sono stati promossi nel 1999 dalla Direzione Ambiente che ha individuato un set di indicatori da applicare alle diverse realtà europee in grado di rappresentare le azioni locali verso la sostenibilità. Urban Audit è invece un sistema di reporting sulla qualità della vita urbana promosso nel 1998 dalla direzione generale Politiche regionali e di coesione (Castellotti T., 2008).

Tabella 4.5 – Aree tematiche per la determinazione di indicatori per il monitoraggio e la valutazione delle politiche di sviluppo rurale e della qualità della vita individuate dai principali organismi internazionali e nazionali

OECD

Popolazione Benessere sociale e equità

Densità Evoluzione Struttura Famiglie Comunità locali Reddito Condizioni abitative Salute Sicurezza

Cultura e tempo libero

Struttura economica Ambiente e sostenibilità

Forza lavoro Occupazione Imprese

Peso % dei settori economici Produttività

investimenti

Clima e topografia Uso della terra Acqua e suoli Qualità dell’aria

Unione Europea – PAIS Report

Struttura demografia e evoluzione Benessere sociale e qualità della vita

Struttura della popolazione Tasso di dipendenza

Peso della popolazione giovane Ricambio generazionale Nuova forza lavoro Emigrazione Spopolamento annuale Spopolamento decennale Ambiente Disponibilità di servizi Condizioni abitative Sicurezza nelle aree rurali Ambiente rurale

Reddito nelle aree rurali Servizi orientati ai consumi

Struttura dell’economia

Mercato del lavoro Imprese e innovazione Turismo e tempo libero

Multifunzionalità dell’agricoltura ITC

Unione Europea – HAY Report

Popolazione Benessere e qualità della vita

Densità Evoluzione struttura

Reddito

Qualità delle opportunità lavorative Accesso ai servizi

Condizioni di deprivazione Salute

Lavoro e capitale umano Agricoltura

Capitale umano Occupazione

Occupazione femminile

Occupazione

Qualità delle opportunità lavorative Accesso ai servizi

Condizioni di deprivazione Salute

Multifunzionalità dell’agricoltura

Imprese pluriattive

Imprese che aderiscono a politiche agro-ambientali Peso dei boschi sulla superficie aziendale

World Bank

Dati generali Benessere sociale

Crescita annuale del PIL Popolazione rurale Densità della popolazione Aspettative di vita nelle aree rurali

Istruzione salute

Creare le condizioni per uno sviluppo rurale Crescita dell’economia locale per la riduzione della povertà rurale Politiche e istituzioni Mercati infrastrutture Povertà Agricoltura Attività non agricole Gestione delle risorse naturali

FAO

Riduzione della povertà Accesso alla terra, all’acqua e alle altre risorse naturali

Reddito/consumo Alimentazione Salute Istruzione

Condizioni abitative Accesso ai servizi pubblici

Accesso ai servizi pubblici

Accesso agli inputs, ai mercati e ai servizi Famiglie rurali che accedono al credito Sviluppo di attività non agricole

Popolazione rurale impiegata in attività non agricole Crescita della popolazione

Indicatori Comuni Europei

(Principi di sostenibilità alla base di selezione degli indicatori)

Uguaglianza e inclusione sociale

Partecipazione/demograzia/governo locale Relazione tra dimensione locale e quella globale Economia locale

Protezione ambientale

Patrimonio culturale/qualità dell’ambiente edificato

Urban Audit

Aspetti socio economici Partecipazione civica Formazione e istruzione

Ambiente Tempo libero Cultura

Italia Oggi: Rapporti sulla qualità della vita in Italia

Affari e lavoro Ambiente Criminalità

Disagio sociale e personale

Popolazione Servizi Tempo libero Tenore di vita

Legambiente – Ambiente Italia: Rapporto Ambiente Italia

Struttura socio-economica Energia Clima e aria Ambiente urbano Politiche ambientali Agricoltura

Industria turismo e servizi Rifiuti

Risorse idriche

Patrimonio naturale e biodiversità

CNR - RAISA – I Sistemi Agricoli Territoriali delle Regioni Italiane (anni novanta)

L’ Assetto strutturale dell’agricoltura La Struttura della popolazione

La Struttura del sistema economico produttivo Il Livello dei redditi e dei consumi

La Qualità della vita

Il dinamismo dell’assetto socio economico

Fonte: elaborato da Handbook on Rural Households’Livelihood and Well-Being (2007) e Masetti E., Merola M, 2006

L’Italia conta un rilevante numero di rapporti che considera i livelli amministrativi locali come quello dell’ISTAT che ha elaborato un ampio sistema multidimensionale, strutturato in 6 assi e 115 indicatori, finalizzato alla valutazione delle politiche strutturali 2001-2008. A livello sub regionale eperienze consalidate sono senza dubbio i rapporti sulla qualità della vita del Sole 24 Ore, di Italia Oggi e dei Rapporti Ecosistema Urbano e Ambiente Italia di Legambiente. Altri studi si sono aggiunti come quello l’IRPET (Istituto Regionale per la programmazione Economica della Toscana) che ha individuato nel 2003 un indice di benessere della qualità della vita in Toscana a livello provinciale. Inoltre per misurare la sostenibilità in Lombardia il CRASL (Centro Ricerche

per l’Ambiente e lo Sviluppo Sostenibile della Lombardia) dell’Università Cattolica ha elaborato a livello comunale degli indicatori riferiti alla dimensione ambientale e socio-economica. Un altro studio effettuato da Cannata G., e Forleo M., (1998) nell’ambito di un Progetto finalizzato RAISA (Ricerche Avanzate per l’Innovazione e il Sistema Agricolo) del CNR, ha avuto l’obbiettivo di effettuare un’analisi del contesto agricolo a scala regionale del territorio italiano attraverso l’identificazione e l’applicazione di un set di indicatori calcolati su base statistica censuarie suddivisi in macrodeterminanti per fornire delle informazioni circa la struttura agricola, produttiva e di qualità della vita. Infine molte province come quella di Ferrara, Modena e Bologna hanno realizzato ed adottato set di indicatori con l’obiettivo di fornire una visione complessiva dell’assetto sociale, economico ed ambientale dei territori oggetto di analisi.

Gli indicatori inoltre possono essere utilizzati a supporto dei processi di valutazione di un piano territoriale o di una valutazione di impatto ambientale o di una valutazione ambientale strategica o ancora come feedback, per esempio, di un piano di settore rispetto a obiettivi-target e strategie di sostenibilità ambientale. In particolare, nel campo dei processi di Agenda 21 Locale, in considerazione della complessità e della rilevanza strategica delle problematiche affrontate da un Piano d'Azione Ambientale nonché della sua oggettiva "trasversalità" rispetto ai tematismi e ai settori dell'Autorità Locale, gli indicatori possono giocare un ruolo fondamentale anche per un opportuno audit interno.

4.2.2IMPRONTA ECOLOGICA

L’Impronta Ecologica è stata introdotta da Wackernagel e Rees dell’Università della British Columbia, Canada, a partire dagli anni ’90. Si tratta di un sistema di contabilità ambientale in grado di stimare la quantità di risorse rinnovabili che una popolazione utilizza per vivere, calcolando l’area totale di ecosistemi terrestri e acquatici necessaria per fornire, in modo sostenibile, le risorse

utilizzate e per assorbire, sempre in modo sostenibile, le emissioni prodotte (Vitousek et al.,

1986). La formulazione teorica dell’Impronta Ecologica considera quindi l’insieme dei servizi

ecologici che concorrono al mantenimento di una popolazione: sia quelli “a monte” che permettono l’estrazione di risorse dall’ambiente, sia quelli “a valle” che consentono la depurazione delle emissioni. È interessante confrontare il concetto di Impronta Ecologica con quello, già da tempo utilizzato, di Capacità di Carico (Carrying Capacity). Quest’ultima grandezza è definita come il carico massimo, esercitato dalla popolazione di una certa specie, che un determinato territorio può supportare senza che venga permanentemente compromessa la produttività del territorio stesso. L’Impronta Ecologica rappresenta quindi la quota di Capacità di Carico di cui si appropria la popolazione umana residente nell’area considerata. L’analisi dell’Impronta Ecologica rovescia, in

un certo qual senso, il concetto di Capacità di Carico: l’attenzione infatti non viene posta sulla determinazione della massima popolazione umana che un’area può supportare, bensì sul computo del territorio produttivo effettivamente utilizzato dai residenti, indipendentemente dal fatto che questa superficie coincida con il territorio su cui la popolazione stessa vive. L’Impronta Ecologica ha avuto una larghissima diffusione ed è stata applicata in numerosi studi e analisi ambientali, come ad esempio i rapporti sullo stato dell’ambiente Living Planet Report 2000, 2002, 2004, 2006,2008 redatti dal WWF International, in cui viene calcolata l’Impronta Ecologica per tutte le nazioni del mondo con più di un milione di abitanti.

Secondo il “Rapporto Pianeta Vivente 2008’’ del WWF, negli ultimi 45 anni la domanda dell’umanità sul pianeta è più che raddoppiata in conseguenza dell’incremento demografico e dei crescenti consumi individuali. Inoltre, lo stato di salute dell’ambiente globale e della biodiversità è in continuo declino e sempre più aree del pianeta stanno andando verso uno stato di stress idrico permanente o stagionale. Questo studio permette anche di evidenziare profonde disparità ecologiche tra i paesi: l’impronta per persona dei paesi con redditi elevati è in media sei volte più alta di quella dei paesi con redditi bassi. In poche parole, viviamo secondo un «regime eccessivo» rispetto alle risorse del pianeta e mettiamo gravemente in pericolo le generazioni future.

Sempre secondo il Living Planet Report 2008 l’impronta ecologica dell’Italia rispetto ai dati disponibili al 2005 è di 4,8 ettari globali pro capite, biocapacità 1,2 ettari pro capite (popolazione 58 milioni). L’Italia è al 24° posto nella lista delle maggiori impronte ecologiche del mondo (fig. 4.5). Questo indicatore è stato adottato anche in ambiti molto diversi per valutare singole attività o per monitorare lo stato ambientale locale. Allo stesso tempo, si sono sviluppati numerosi studi teorici per migliorarne le potenzialità e per definirne i limiti teorici e di applicabilità: la rivista scientifica

Ecological Economics30 ha dedicato nel 2000 un numero monografico a questo indicatore. Sono

stati inoltre pubblicati, anche nella versione italiana, diversi volumi divulgativi relativi a questo particolare indicatore. Nella formulazione classica, proposta da Wackernagel e Rees, il calcolo dell’Impronta Ecologica si basa sui consumi medi della popolazione: il presupposto è che ad ogni risorsa materiale o di energia consumata corrisponda una certa estensione di territorio, appartenente ad uno o più ecosistemi, che garantiscono, tramite l’erogazione di servizi naturali, il relativo apporto per il consumo di risorse e/o per l’assorbimento delle emissioni.

Figura 4.5 – Impronta Ecologica pro capite, per Nazione, 2005

Fonte: wwf, 2008