• Non ci sono risultati.

Il contributo dei dati loyalty alla misura dell’efficacia delle promozioni

Nel documento Indice. Introduzione... 4 (pagine 99-109)

Le aziende commerciali sono fortemente interessate a ricercare modi per far fruttare le tecnologie che installano a supporto del programma fedeltà. Apparentemente, le opportunità sono numerose ed attrattive. Recentemente, Cuthbertson e Laine180 hanno condotto una ricerca internazionale cross industry da cui emerge che le prime aree in cui i retailers stanno applicando la conoscenza sulla clientela sono: la valutazione della performance del programma fedeltà ed il reimpiego dei dati da esso derivati per migliorarlo ed innovarlo; l’investimento a supporto delle scelte localizzative, un ambito

“storico” di applicazione della marketing intelligence nel retailing; l’acquisizione e la riattivazione dei clienti tramite comunicazione diretta e, infine, lo studio dei consumatori a livello aggregato.

Nell’ambito di una medesima area del retail mix – ad esempio l’assortimento – si sono poi raggiunti gradi diversi di impiego delle informazioni di cliente a seconda del tipo di

      

180 Cuthbertson R., Loyalty Cards. A research Report on Loyalty Cards in European retailing, Oxirm/Kpmg, 2001

decisione considerato: supportare le scelte di rinnovamento del layout merceologico e delle attrezzature si è rivelato più agevole ed immediato, rispetto all’adeguamento dell’assortimento di punto vendita alle caratteristiche del mercato locale.

Grafico 3 - Percentuale di imprese che usa i dati fidelity per creare valore

34

Le informazioni di cliente, ampliando le possibilità di misurare l’efficacia di un’azione promozionale, consentono di assegnare più specificamente gli obiettivi alle azioni di tipo tradizionale e di sviluppare azioni nuove, adottando modalità non accessibili fino a poco tempo fa, vuoi per l’impossibilità di realizzare segmentazioni sofisticate, di identificare target specifici e/o di adottare mezzi di comunicazione diretta.

Secondo Busacca e Mauri181 l’efficacia di una promozione è “il grado di raggiungimento delle finalità perseguite dall’impresa attraverso l’azione promozionale in un dato intervallo di tempo”.

Quantificare in che misura si sono raggiunte le finalità prefissate è un problema complesso, giacché:

- le finalità dell’azione non si esauriscono nel semplice aumento delle quantità vendute e del fatturato, ma sono numerose, e in una medesima azione promozionale possono sovrapporsi;

- i decisori potrebbero non avere assegnato ed espresso chiaramente gli obiettivi dell’azione, o potrebbero averle assegnato più obiettivi in parziale contrasto tra loro;

      

181 Busacca B., L’analisi del consumatore. Sviluppi concettuali e implicazioni di marketing, Egea, Milano, 1990.

- i risultati della promozione possono verificarsi con anticipo (lead) e con ritardo (lag). Si pensi al caso di un’insegna della GDO che distribuisce un volantino mensile per informare i clienti sulle future opportunità promozionali: ciò può influenzarli inducendoli a rinviare l’acquisto al momento di maggior convenienza, generando perdita di vendite e minori margini;

- l’azione promozionale su un prodotto ha effetti anche su altri prodotti e categorie, tipicamente sostituti e complementari;

- l’efficacia della promozione risulta dall’effetto combinato di diversi elementi:

categoria/marca prescelta, target, meccanica promozionale, valore dell’incentivo, scelta del momento in cui effettuare l’azione, mezzo e messaggio con cui veicolarla, realizzazione di test ed altri ancora di cui diremo in seguito;

- le azioni promozionali sono condotte mentre sono in atto altre attività di marketing dell’impresa e dei suoi concorrenti - ad esempio advertising e trade promotions -.

Ricordiamo inoltre che la sovrapposizione di più tipologie promozionali va crescendo, a seguito dell’orientamento alla fidelizzazione (continuity promotions) e al micromarketing (targeted promotions).

Il problema della misura dell’efficacia di un’azione promozionale è abitualmente risolto circoscrivendo l’analisi ad un fenomeno (approssimativamente ben) misurabile, ovvero l’effetto vendite.

Tre sono gli indicatori utilizzati:

le vendite incrementali;

la variazione della quota di mercato;

la redemption.

Le società specializzate nella produzione di dati di mercato come Nielsen e Information Resources elaborano un Indice di Efficacia Promozionale (P.E.I) determinato con la tecnica delle vendite incrementali: le vendite del periodo promozionale vengono rapportate cioè alla baseline, un valore stimato delle vendite che si sarebbero comunque ottenute in assenza di promozione. A tale metodo di misurazione sfuggono molti aspetti dell’efficacia delle promozioni, come discusso nel seguito. La disponibilità dei dati di sell-out da scanner ha rappresentato un primo grande progresso nel campo della misura delle promozioni: basti pensare che, in precedenza, si faceva ricorso ai dati exfabrica, che limitavano le considerazioni di efficacia a misure assai aggregate e approssimative. A

trent’anni dall’introduzione dei POS scanner non sorprende che siano i metodi basati sui dati di vendita a prevalere: siamo però all’inizio di una nuova fase nella misura dell’efficacia delle azioni di marketing, resa possibile da una diversa tecnologia, il database clienti con i correlati strumenti di analisi.

I dati demografici e soprattutto comportamentali di cliente, raccolti e resi disponibili nel database di marketing, possono essere opportunamente incrociati con i dati di sell-out dei prodotti per:

1. ridurre i difetti dei metodi basati sull’effetto vendite, consentendo di tenere conto dei side-effects come l’impatto su altre referenze, marche e categorie. Il calcolo delle vendite incrementali, infatti, rimane una misura insostituibile da cui partire;

2. sviluppare misure prima inaccessibili – se non tramite ricerca di mercato campionaria – che soddisfano le esigenze di verifica di specifici obiettivi, quali quelli incentrati sul consumatore (nuovo acquirente, acquirente occasionale che aumenta la frequenza o i volumi, switcher cronico che non si fidelizza, ecc.) e di lungo periodo;

3. attivare un processo di accumulazione di conoscenza intorno alle azioni promozionali dell’impresa sulla quale fare leva per affinarle nel tempo: si pensi alla registrazione nel database della risposta dei clienti alle diverse promozioni, che può tradursi in una segmentazione basata sul comportamento promozionale, da utilizzare come base per sviluppare azioni efficaci;

4. modificare gli aspetti del rapporto industria-distribuzione che attengono alla valorizzazione dell’attività promozionale e all’intrapresa di azioni congiunte.

I dati di cliente consentono di arrivare ad una misura della frequenza di acquisto “reale”, che non necessariamente corrisponde a quella dichiarata dai consumatori in occasione di ricerche di mercato, e che spesso contrasta con le generiche ipotesi formulate per decidere il timing/frequenza della promozione.

L’analisi della sequenza degli acquisti e dei panieri di spesa aiuta a verificare gli impatti positivi e negativi della promozione su altre marche (interbrand), altre categorie (intercategory), nonché su altre referenze della stessa marca (intrabrand).

Quando la carta fedeltà funziona in circolarità sui punti vendita è possibile “consolidare”

il comportamento dei clienti che utilizzano più negozi della stessa insegna, misurando così lo store switching trainato dalle promozioni e componendo un quadro di valutazione degli effetti di cui sopra (sulle categorie di clienti, inter/intra brand, inter/intra category)

alla luce degli acquisti “globali” dei clienti, e non solo con riferimento allo specifico punto vendita (interstore). Considerando periodi di osservazione che siano multipli del ciclo di riacquisto è possibile verificare la persistenza nel tempo degli effetti indotti dalla promozione, monitorando ad esempio se l’aumento della quota di vendite in categoria del brand promozionato è solo “rented share” o se si sono conquistati stabilmente nuovi clienti.

7. Ostacoli e barriere al micromarketing

Poco si sa sulle barriere che ostacolano l’adozione delle nuove logiche di micromarketing da parte delle aziende commerciali, e che rendono lento il progresso di quante hanno scelto di orientarsi al micromarketing182. Le barriere all’uso delle informazioni di cliente sono riconducibili a fattori di costo, tecnologici ed organizzativi. La prima e più importante barriera riguarda i costi dello sviluppo del data warehouse e del programma fedeltà. Seguono le barriere di tipo tecnologico e quelle organizzative, che agiscono soprattutto nel senso di rallentare il passaggio ad un utilizzo diffuso e sistematico dei dati, e che fanno sì che l’analisi si arresti a livelli aggregati, senza scendere – benché tecnicamente possibile – a gradi spinti di dettaglio.

Le barriere di costo. Quando si discute di un investimento in data warehousing o in customer relationship management, il primo naturale pensiero della dirigenza riguarda i costi. Intraprendere la strada del micromarketing è una decisione di lungo periodo, che non porta guadagni tangibili nel breve; inoltre, costruire l’infrastruttura necessaria richiede tempo ed un impegno dell’impresa che durerà per gli anni a venire.

E’ difficile stimare con precisione il costo complessivo di un programma fedeltà.

Tipicamente l’organizzazione e la gestione di un programma basato su carta richiedono un ingente investimento iniziale, cui fanno seguito costi correnti non trascurabili. Accanto all’investimento nell’infrastruttura tecnologica, che deve essere efficiente e rispondere ad una serie di requisiti necessari per supportare le attività di micromarketing, il programma

      

182 Ziliani C., Micromarketing. Creare valore con le informazioni di cliente, Utet, Torino, 2004

fedeltà richiede investimenti in risorse umane. Se si osserva l’organigramma della funzione marketing delle aziende che fanno micromarketing si vedono tutti gli effetti dell’aumento dell’intensità informativa.

Non solo conoscenze puntuali sulla clientela, marketing di punto vendita e d’area, comunicazione e promozione mirata a specifici segmenti target: si notano soprattutto gli investimenti che l’azienda ha fatto in risorse umane. I fornitori di tecnologie ritengono che i retailers dovrebbero investire molto di più in risorse umane per il marketing.

I retailers generalmente sono concordi nell’affermare che sono necessarie più risorse, ma l’auspicato “esercito di analisti” non è un investimento da poco. La definizione chiara delle priorità negli investimenti per il micromarketing è un problema che le insegne dovrebbero porsi, quando cercano di giustificare i costi dell’uso dei dati.

Per gestire ed utilizzare i dati raccolti, l’organizzazione ha bisogno di competenze specifiche. Nelle imprese dove l’approccio di micromarketing e gli strumenti su cui si basa sono nuovi e poco conosciuti, non è possibile introdurre immediatamente le skills necessarie. L’investimento in competenze richiede tempo e pazienza da parte del retailer.

Dalle ricerche svolte su questo tema è emerso che la lentezza con cui le imprese procedono nello sviluppo dell’approccio di micromarketing è legata alle competenze:

specificamente, i retailers tendono a volere sviluppare internamente le capacità di analisi e gestione dei dati e delle azioni di micromarketing, il che richiede tempo. La terza voce di costo da considerare, quanto si desidera ottenere dati attendibili di cliente da un programma fedeltà, riguarda il valore delle ricompense per i clienti stessi. In generale, il valore dei premi per i titolari di carta fedeltà si aggira sull’1% delle vendite. Quando nel 2000 ha abbandonato il programma, l’insegna britannica Safeway ha dichiarato che il risparmio sarebbe stato di circa 50 milioni di sterline: una quota rilevante di tale risparmio riguardava il valore dei punti distribuiti ai clienti. Precedenti ricerche dell’Oxford Institute of Retail Management hanno evidenziato che, in genere, i programmi fedeltà più efficienti arrivano a break even quando generano un aumento tra il 3 ed il 4% del fatturato183. La velocità con cui i diversi programmi arrivano al pareggio dipende da diversi fattori, tra i quali i costi di avvio, la velocità di penetrazione della carta nella base clienti, il fatturato ed il margine dell’azienda. La marginalità della distribuzione grocery

      

183 Lugli G., Ziliani C., Micromarketing. Creare valore con le informazioni di cliente, Utet, Torino, 2004

costituisce uno degli ostacoli maggiori, secondo le imprese intervistate. Il programma fedeltà, infatti, è solo una, benchè costosa, delle componenti del retail mix. Se il programma non raggiunge gli obiettivi che erano stati fissati, il costo diventa difficile da sostenere, il che genera pressioni affinché si ottenga qualcosa di più dai dati.

La questione è: quanto è disposta ad investire l’impresa per ottenere quelli che sono solo benefici indiretti del programma? E quanto tempo può permettersi di attendere, prima di avere risultati?

Anche se il programma funziona bene fin dagli inizi, è di fondamentale importanza saper aspettare i risultati. Procedere con test, verifiche ed affinamenti progressivi richiede pazienza, e l’impegno di tutta l’organizzazione.

La funzione marketing è fondamentale, quando si vuole creare valore a partire dalla conoscenza accumulata dall’organizzazione. Alcune imprese hanno creato dei team di supporto per rendere più veloce il processo di apprendimento, una scelta suggerita anche dall’esperienza recente dei retailers con l’introduzione del category management.

Per quanto riguarda l’analisi e l’uso dei dati, spesso si sente parlare delle “pepite d’oro”, ovvero della scoperta di nuove associazioni tra prodotti/categorie o altra formidabile intuizione scaturita dai dati quasi fortuitamente. Dalle interviste si evince chiaramente che questo approccio non è praticabile per i retailers: essendo casuale richiede troppo tempo e di conseguenza costa troppo. I retailers analizzano i dati a partire da ben precise ipotesi.

Una volta in grado di analizzare i dati di cliente, l’azienda commerciale si scontra con il secondo fattore di costo. Infatti, risulta subito evidente che utilizzare i sistemi di analisi in tutte le loro potenzialità, così come porre attenzione a tutta la mole dei dati raccolti, è troppo costoso per qualsiasi organizzazione.

Le barriere tecnologiche. Anche sul versante delle tecnologie si possono presentare ostacoli allo sviluppo del micromarketing. Sono state individuate tre aree problematiche:

l’area dei dati, quella dei sistemi informativi utilizzati per l’analisi e soprattutto l’area dei problemi di integrazione tra vecchi e nuovi sistemi informativi.

Nonostante siano sul mercato da oltre sette anni, i principali programmi fedeltà britannici hanno ancora problemi con la qualità dei dati. In particolare, la robustezza del database è in alcuni casi ridotta da errori commessi nella fase di costruzione.

Un altro problema relativo alla utilità dei dati riguarda la possibilità di ricostruire i comportamenti dell’intero nucleo famigliare a partire dai record dei singoli titolari di carta. In assenza di comportamenti espliciti dei titolari, che ad esempio si scambiano punti accumulati sulle rispettive carte, evidenziando un probabile rapporto di parentela, i retailers devono applicare tecniche statistiche di confronto e consolidamento per studiare i comportamenti a livello di intera famiglia. Una seconda barriera di tipo tecnologico che può rallentare e condizionare lo sviluppo del micromarketing riguarda i sistemi informativi già a disposizione della funzione marketing per utilizzare i dati. In molti casi si tratta di sistemi con i quali si possono fare diverse attività elementari, ma risulta più complesso passare ad analisi sofisticate. La volontà di investire in nuovi sistemi informativi è direttamente collegata alle barriere di costo discusse in precedenza. Se anche si spingesse l’analisi verso un grado maggiore di dettaglio, i mezzi e le tecnologie per comunicare con i clienti sarebbero troppo lenti e costosi, come già accennato a proposito della stampa digitale.

Le aziende commerciali guardano con interesse ad Internet ed in particolare alla posta elettronica come strumenti cost-effective per gestire la relazione con i clienti. Tramite la posta elettronica sarebbe possibile mandare una lettera diversa ad ogni cliente a costo marginale minimo, cosa che attualmente i mezzi a stampa non consentono. Ma è ancora presto: Internet non raggiunge quote rilevanti della clientela dei retailers. Un’altra barriera all’uso efficace dei dati è determinata da scelte tecnologiche che si rivelano errate.

L’esperienza ha evidenziato la conflittualità esistente su questo punto tra i retailers e tra i diversi fornitori di tecnologie. Sembra che sul mercato esistano diverse opzioni tecnologiche, dalle funzionalità molto simili.

Tutti i principali retailers britannici trovano forti difficoltà al momento di integrare i dati di cliente nei sistemi e nei processi preesistenti. Quando non si parte da zero, con la costruzione del sistema informativo aziendale, i sistemi già in uso devono essere integrati con quelli nuovi, ed il corretto funzionamento deve essere testato e garantito, prima del roll out su larga scala.

Le barriere organizzative. La terza tipologia di barriere al micromarketing individuate con le nostre interviste è di natura organizzativa, e riguarda la gestione dei dati, il ruolo strategico del CRM e delle informazioni di cliente. Quando il data warehouse e gli

strumenti analitici sono pronti, ed i dati attendono solo di essere analizzati, l’eccesso di dati genera quasi inevitabilmente una paralisi. I fornitori di tecnologia hanno alcune colpe: spesso forniscono sistemi troppo sofisticati, che inondano letteralmente gli utenti di dati, paralizzandoli. Questo non significa rinunciare a raccogliere una parte dei dati o gettarli via. I dati vanno raccolti nella loro totalità: si tratta poi di decidere a che livello vadano sintetizzati. Se da un lato è importante raccogliere i dati da tutta la rete di punti vendita, non è necessario analizzarli nel modo più dettagliato possibile. Per riassumere i dati al livello più opportuno i retailers suggeriscono di partire sempre dall’interrogativo cui desiderano risposta: a quale problema mi darà risposta questa analisi? Quanto deve essere dettagliata l’informazione che ho bisogno per risolvere il problema? Parlando di barriere organizzative gli intervistati fanno riferimento al contesto generale dell’organizzazione, ed alla cultura delle persone che la compongono. La barriera organizzativa principale è la cultura stessa dell’organizzazione, poiché si tratta di cambiare il modo di pensare delle persone. Le tecnologie esistono, le risorse finanziarie si trovano, se il programma è ben gestito: il vero problema consiste nel cambiare l’organizzazione. Uno degli aspetti culturali che costituisce un ostacolo al micromarketing è il tradizionale orientamento del retailer agli acquisti, o alla logistica. Senza il sostegno del top management la funzione marketing potrebbe non riuscire a convincere le altre aree aziendali dell’importanza dell’orientamento customer driver.

Anche i retailers ammettono che è difficile diffondere queste nuove idee nell’organizzazione. Nessun cambiamento nel modo in cui l’impresa è gestita ed opera è possibile, senza l’impegno esplicito del top management.

La distribuzione grocery è un business orientato al brevissimo periodo, il che rende estremamente difficile sviluppare strategie di CRM. Significa che invece di ristrutturarsi intorno al consumatore, le imprese cercano di adattare il modo consolidato di operare.

Inoltre, emerge che diverse persone nell’organizzazione hanno visioni diverse del micromarketing,

Cosicchè è difficile arrivare ad un’opinione condivisa. Per esempio esiste notevole confusione generata dalla “moda” del one to one marketing, che induce molti manager a rifiutare in blocco il micromarketing, frainteso come l’adattamento del prodotto (in questo caso dell’assortimento) al singolo cliente.

Il distributore poi ha di solito un atteggiamento del tipo “non voglio scontentare nessun cliente, per cui non intendo trattarli in modo differenziato, nemmeno i miei migliori clienti”. Questa mentalità è un ostacolo alla sperimentazione con la differenziazione delle condizioni e dell’offerta.

Nonostante sia di moda l’idea dell’uso delle informazioni sul singolo cliente, ci si chiede se la pressione competitiva oggi davvero lo richieda. Sarà una spinta proattiva o reattiva che diffonderà l’uso delle informazioni di cliente?

Se in futuro la distribuzione troverà modi per raccogliere le informazioni di cliente senza il supporto delle “ricompense” legate al programma fedeltà e alla gestione delle carte, alcune delle principali barriere di costo saranno superate. Allora si potranno dedicare maggiori risorse all’analisi e al miglioramento del retail mix, e all’aumento del valore per il cliente.

C

APITOLO

Q

UARTO I LOYALTY PROGRAMS

Nel documento Indice. Introduzione... 4 (pagine 99-109)