L’affermarsi delle grandi superfici di vendita, oltre agli evidenti effetti sull’articolazione strutturale del commercio, ha portato a modificare la naturale relazione tra commerciante e consumatore, fattore determinante nel creare un legame di fedeltà tra il cliente e il suo negozio.
L’attività promozionale è una delle leve fondamentali per perseguire la fidelizzazione della clientela (insieme all’assortimento, al prezzo, ecc.), intendendo la promozione come attività di macromarketing, di canale o d’insegna, rivolta a tutti prescindendo dalle caratteristiche del singolo cliente.
Oggi, con la raccolta e l’analisi dei dati provenienti dalle carte fedeltà e l’affermarsi delle teorie di Customer Relationship Management (CRM), è possibile sviluppare delle attività che entrano nel vivo della differenziazione tra i diversi clienti, partendo dal presupposto che è economicamente conveniente proporre attività promozionali specifiche in base, per esempio, all’ammontare della spesa, alle caratteristiche del nucleo famigliare, ai servizi richiesti, ecc.
137 Angelini A., “La valutazione del brand commerciale: problematiche aperte”, in Finanza Marketing e Produzione, n.
3/2001, pp. 32-51.
138 Angelini A., op. cit.
Ecco, quindi, che la politica promozionale, anche quella basata sulla convenienza, si
“affina” sempre più e può proporre attività di forte convenienza mirata ai clienti migliori in una logica di fidelizzazione, oppure attività d’attrazione sul punto vendita per i clienti che spendono poco ma sono valutati potenzialmente significativi, o ancora promozioni specifiche secondo i comportamenti di consumo.
E’ possibile quindi integrare la politica promozionale di canale con quella specifica per ogni segmento di cliente.
Il micromarketing si differenzia rispetto al macromarketing per le modalità con cui vengono perseguiti gli obiettivi; nel primo i consumatori non vengono considerati in blocco, ma si individuano numerosi segmenti tra di loro differenziati sotto vari profili, questo grazie anche alla tecnologia.
Il micromarketing implica però una serie di investimenti preliminari che invece sono assenti nel macromarketing; si tratta in particolare del lancio della carta commerciale, dell’adeguamento dei Pos-scanner e del miglioramento della qualità dell’informazione, dello sviluppo di canali di comunicazione diretti e della costruzione di un data warehouse139.
Il passaggio dal macro al micro presenta una duplice complessità: le aziende devono, infatti, valutare la misura e la tempistica del ritorno degli investimenti tecnologici unitamente alla sostenibilità dell’aumento della pressione di marketing. Non è facile per le aziende valutare la convenienza di un orientamento che implica costi certi e benefici incerti, legati peraltro anche al grado di diffusione del nuovo approccio presso i competitors140.
L’orientamento al micromarketing richiede, inoltre, una rilevante modifica della struttura organizzativa oltre che dei ruoli manageriali. Per di più, l’approccio micro richiede uno staff di risorse umane molto più consistente e di alto profilo per supportare le attività di segmentazione, targeting, manovra delle leve e misura continua della sensibilità della domanda rispetto alle singole azioni. Oltre all’investimento tecnologico e al maggior valore trasferito al consumatore, bisogna dunque tener presente lo sforzo del cambiamento organizzativo ed i maggiori costi.
139 Lugli G., “Micromarketing: come valorizzare la relazione con i clienti”, in Industria & Distribuzione, n. 0/1999, pp.
7-21.
140 Lugli G., Micromarketing. Creare valore con le informazioni di cliente, Utet, Torino, 2004.
Le difficoltà nell’adottare questo tipo di approccio non sono poche, e a queste si aggiungono le difficoltà dell’utilizzo dei dati raccolti. Se un’insegna non utilizza le informazioni demografiche raccolte nel momento del rilascio della carta, incrociandole poi con le informazioni sul comportamento d’acquisto generate dai Pos, non realizza un approccio micro al marketing distributivo. Offrire sconti indistintamente a tutti i titolari della carta significa rimanere in una logica di macromarketing, non cogliendo l’opportunità di differenziare la clientela attraverso un uso intelligente delle informazioni141.
In ogni caso, è fondamentale che gli obiettivi strategici siano perseguiti manovrando tutte le leve, sia di macromarketing che di micromarketing; infatti, l’esperienza dimostra che l’efficienza e l’efficacia della manovra delle leve di micromarketing dipendono dai risultati ottenuti dall’insegna manovrando le leve di macromarketing.
Il distributore non può cioè compensare con il micromarketing uno svantaggio nella manovra delle tradizionali leve della fedeltà; in altre parole, un’impresa che rileva una bassa incidenza di consumatori fedeli non può certamente risolvere il problema passando al micromarketing. Alla base è fondamentale contare su una forte marca dell’insegna, su un’alta penetrazione di categoria dalle marca commerciale, oltre che su una buona qualità del servizio.
In conclusione, non si tratta quindi di sostituire l’approccio macro quanto, piuttosto, di aggiungere nuove leve al marketing distributivo142.
2.1 Le origini del cambiamento
Le origini di tutte le forme di marketing basate sulle informazioni di cliente possono essere rintracciate tra il 1920 e il 1930 negli Stati Uniti, dove le imprese del settore delle vendite su catalogo compivano le prime misure del comportamento degli acquirenti, alla ricerca di regole che consentissero di gestire il business in modo più efficiente ed efficace.
Sears, Montgomery Ward e altri catalogers capirono ben presto che la clientela
141 Lugli G., op. cit.
142 Lugli G., Micromarketing. Creare valore con le informazioni di cliente, Utet, Torino, 2004.
contribuiva al fatturato in modo differenziato, ed indirizzarono di conseguenza i propri sforzi in due direzioni: da un lato conservare i clienti profittevoli, dall’altro non sprecare risorse sui clienti che generano più costi che ricavi.
Negli anni ’40 era già stata sviluppata la regola “Recency-Frequency-Monetary” (RFM), che rimane ancora oggi, nelle sue varianti più sofisticate, il modello più usato dalle aziende che realizzano una qualche analisi del comportamento dei propri clienti. Fino alla fine degli anni ‘40 i direct marketers erano interessati soprattutto alla conservazione e alla valutazione dei clienti già acquisiti (retention). La ricerca di nuovi clienti (acquisition) tramite le cosiddette mailing list era difficile data la scarsità di liste e di operatori specializzati nella loro compilazione e gestione.
Gli anni ’50 negli Stati Uniti vissero una vera e propria fioritura del direct marketing grazie all’aumento della domanda di beni, successiva alla fine della guerra ed al miglioramento delle prospettive economiche, nonché alla disponibilità di mailing list più numerose e curate. Una modifica della legislazione postale permise inoltre in questi anni spedire campioni tramite posta, attraverso mailing ampi e sistematici a indirizzi tratti dagli elenchi telefonici.
Negli anni ’60 inizia l’applicazione delle tecnologie dell’informazione: i costi e le opportunità di tutte le attività dei direct marketers si svilupperanno di pari passo alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. La gestione delle liste e delle spedizioni, la segmentazione, la previsione della redemption delle iniziative promozionali, la produzione di comunicazione personalizzata: da questo momento i costi e le possibilità di queste attività andranno di pari passo con i costi delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Spinti dalla crescente competizione per la conquista delle fasce alte del mercato, caratterizzate dalla capacità di spesa e consumi elevati, si intensificano gli sforzi di segmentazione. L’attività di direct mail si affina con l’affermarsi dei mailing di massa personalizzati. E’ di questi anni l’idea del “questionario+omaggio”, iniziativa adottata dai compilatori di mailing list per creare le liste di elite dove figuravano i nomi di capifamiglia maschi sulla trentina, istruiti e con casa di proprietà.
Con diverse varianti, l’impiego dell’incentivo per raccogliere dati sulla clientela attuale e potenziale è ancora oggi una delle leve più diffuse del marketing diretto: tutte le forme di marketing basate sulle informazioni di cliente, incluso il micromarketing distributivo,
devono sviluppare competenze nella scelta delle opportune “reward” e nella valutazione della loro efficacia per indurre i clienti a rilasciare i propri dati e a tenere i comportamenti desiderati dall’azienda.
Negli anni ’70 numerosi fattori contribuirono a dare impulso al direct marketing, in particolare aumentandone il rigore scientifico. Tra i fenomeni salienti del periodo troviamo:
-il rapido aumento delle tariffe postali che rendeva impraticabile fare mailing di massa con bassi ritorni ed imponeva alle imprese di ridurre il cost for response, migliorando la qualità delle liste e del processo di selezione e testing;
- la diffusione delle carte di credito che oltre a modificare le abitudini del consumatore e la percezione del rapporto costi/benefici relativo all’acquisto per corrispondenza, hanno ampliato la gamma dei servizi offerti dai direct marketers;
- la diffusione dei numeri verdi che agisce nello stesso tempo e contribuisce inoltre a attirare l’attenzione dei produttori dei beni di largo consumo sulla validità degli strumenti di marketing diretto come mezzo per entrare in contatto con i clienti;
- lo sviluppo dell’informatica, l’interessamento massiccio dei matematici e degli statistici alle questioni del direct marketing e la comparsa di pacchetti software per l’analisi dei dati che contribuiscono a diffondere l’uso delle tecniche predittive. L’informatica permette di migliorare la produttività delle operations, ma soprattutto abilita l’analisi sempre più sofisticata dei dati sui clienti e delle liste, che possono così essere impiegate in modo più efficiente ed efficace, anche dai non addetti ai lavori.
Gradualmente, ogni società di direct marketing arrivò a disporre di modelli propri per predire la fedeltà ed il valore dei clienti attuali e potenziali (prospects), e per determinare quanto spendere per acquisirli. L’aumento della potenza degli strumenti di analisi permise di segmentare più accuratamente e di arrivare a colpire con efficacia nicchie di mercato fino ad allora ignorate o ritenute non profittevoli.
Negli anni ’80 avviene il consolidamento e la diffusione intersettoriale delle pratiche di marketing diretto. I primi ad impiegare le tecniche di direct marketing fuori dal settore originario furono le compagnie aeree: l’emergere di un mercato illecito dei buoni sconto, lanciati per incentivare la fedeltà della clientela a seguito della deregulation le obbligò a costruire database con i dati dei clienti e a gestire sconti e promozioni attraverso mailing e carte fedeltà. Il programma AAdvantage lanciato dalla American Airlines nel 1981 può
considerarsi il progenitore dei moderni programmi fedeltà. Seguirono le società di carte di credito, in primis American Express, e le compagnie telefoniche. Non tardarono i produttori di automobili e di beni di largo consumo, in particolare di sigarette,i quali avevano preclusa per legge la via della pubblicità televisiva. Tutte le iniziative di direct marketing dei nuovi attori erano basate sull’impiego del database: grazie ad esso il direct marketing incomincia ad essere chiamato database marketing e ad essere presente stabilmente in numerosi settori.
Negli anni ’90 prosegue e si accentua la diffusione intersettoriale delle pratiche del database marketing: esso entra nelle società di servizi finanziari, nel “non profit”, nei supermercati, nella distribuzione di carburanti e perfino nella ristorazione.
Per un’azienda commerciale che voglia rimanere competitiva nel contesto distributivo attuale si rende necessario il recupero e lo sviluppo di un rapporto altamente individualizzato con il cliente. L’orientamento di un’impresa commerciale moderna che proceda in tal senso prende il nome di micromarketing. Ad oggi, questo nuovo approccio sta avendo una diffusione sempre più significativa, soprattutto nelle imprese distributive, che si stanno muovendo in questo senso, orientando le proprie strategie e adattando i propri strumenti. Nel grafico seguente, riportiamo i dati di un indagine svolta dall’Osservatorio Carte Fedeltà dell’Università di Parma nel 2003, sulle future tendenze.
Grafico 1 - Gli investimenti della GD
79 21
52 48 60
0 8 100
40 20 0
Oggi In futuro
macro marketing micro marketing
Fonte: Indagine dell’Osservatorio Carte Fedeltà dell’Università di Parma, 2003
2.2 Definizioni di micromarketing
Il termine micromarketing è apparso per la prima volta nel 1993 con il significato di
“segmentazione spinta del mercato finale supportata dalle tecnologie dell’informazione, per aggiungere piccoli target di clienti dall’elevata reattività” (Tedlow, 1993; Bessen 1993). Poco più tardi si è incominciato a parlare di micromarketing anche per le aziende commerciali, che lo realizzano “differenziando le variabile del retail mix – in particolare assortimento e prezzi – dei punti vendita di uno stesso formato, in funzione delle caratteristiche della domanda e dell’offerta locale (Lugli, 1996; Montgomery, 1997).
E’ possibile definire il micromarketing143 come “l’orientamento dell’impresa a riconoscere, misurare e sfruttare la diversità degli acquirenti orientando le azioni di marketing verso specifici segmenti di clientela, sia con finalità di acquisition144, retention145 ed extention146”.
Inoltre, si utilizza il termine micromarketing per sottolineare che, oggi, la tecnologia delle imprese commerciali permette di arrivare al singolo cliente, colpirlo con una proposta mirata e monitorare la risposta147.
Negli Stati Uniti il micromarketing è stato definito come “…la strategia di rivolgersi alla clientela specifica di punto vendita, per fare marketing mirato, nel messaggio e nelle proposte”148. Secondo Lugli149 il micromarketing consiste principalmente nella differenziazione dell’assortimento e dei prezzi dei punti vendita di uno stesso formato, in funzione delle caratteristiche della domanda e dell’offerta locale.
In queste definizioni emergono due tra le principali caratteristiche del micromarketing: la presenza di una segmentazione più o meno spinta della clientela, su base essenzialmente geografica e socio-demografica, come attività di tipo strategico, ed il micromerchandising come predisposizione di un assortimento in linea con i microsegmenti individuati. In queste attività si scopre d’importanza fondamentale l’uso delle informazioni, indispensabili per dominare la complessità dello scenario in cui
143 Lugli G., Micromarketing. Creare valore con le informazioni di cliente, Utet, Torino, 2004.
144 Per acquisition si intende la conquista di nuovi clienti.
145 Per retention si intende il mantenimento dei clienti nel tempo; è sinonimo di fidelizzazione.
146 Per extention si indica l’aumento delle quantità/varietà acquistate dal cliente presso l’azienda nel tempo.
147 Ziliani C., Micromarketing. Le carte fedeltà della distribuzione in Europa, Egea, Milano, 1999.
148 Negli Stati Uniti il micromarketing è stato definito così da Management Horizons (1996) in Ziliani C., Micromarketing. Le carte fedeltà della distribuzione in Europa, Egea, Milano, 1999.
149 Lugli G., Micromarketing. Creare valore con le informazioni di cliente, Utet, Torino, 2004.
l’azienda commerciale si muove, complessità riconducibile tanto alla variabilità spaziale, quanto a quella comportamentale dei clienti attuali e potenziali.
In conclusione, secondo la definizione di Ziliani150, il micromarketing si può considerare come “… l’orientamento strategico dell’azienda commerciale che, grazie all’impiego di tecnologie informatiche, misura e risponde puntualmente e contemporaneamente alla dimensione spaziale e alla dimensione comportamentale della varietà e complessità del proprio mercato”.
Orientare l’azienda al micromarketing significa, secondo Ziliani151, procedere per gradi, implementando un programma di fidelizzazione che consenta di catturare il comportamento della clientela, prevedendo di integrare successivamente i dati comuni in un programma di micromerchandising, il tutto per realizzare la finalità della relazione con il cliente. Infatti, un programma di fidelizzazione è funzionale a creare i presupposti fondamentali per gestire la reazione con i clienti su base individuale, consentendo di mettere in atto strategie di micronizzazione dei mercati e di attivare azioni indirizzate ai singoli consumatori152.
Un reale e compiuto orientamento al micromarketing ha quindi la finalità di “…costruire e accrescere il capitale di fiducia dell’azienda commerciale con azioni che, aumentando la rispondenza tra proposta commerciale e aspettative del cliente, ne aumentano la soddisfazione rispetto all’offerta dei concorrenti153”.
2.3 Gli orientamenti del micromarketing: fidelizzazione e creazione di traffico
Il micromarketing può essere orientato sia alla fidelizzazione della clientela, per non perdere i clienti più importanti, sia alla creazione di traffico per aumentare l’importanza dei clienti marginali.
Per quanto concerne fedeltà della clientela, sono ormai noti gli innumerevoli vantaggi che essa comporta, creando valore sia per l’impresa che per il consumatore.
150 Ziliani C., Micromarketing. Le carte fedeltà della distribuzione in Europa, Egea, Milano, 1999.
151 Ziliani C., op. cit.
152 Castaldo S., Mauri C., Il loyalty management nella distribuzione moderna, Egea, Milano, 2002.
153 Ziliani C., Micromarketing. Le carte fedeltà della distribuzione in Europa, Egea, Milano, 1999.
I motivi che inducono ad orientare il micromarketing verso la creazione di traffico sono essenzialmente di tipo negativo, in quanto vertono sui costi e sulla stabilità della fidelizzazione.
Bisogna innanzitutto ricordare che il micromarketing non è l'unica via per fidelizzare la clientela; lo sviluppo della marca dell'insegna e della marca commerciale, il miglioramento della qualità del servizio e la promozione above the line servono allo stesso scopo154. Il micromarketing è dunque solo una leva che si aggiunge alle altre che già vengono impiegate nella competizione. Inoltre, la forte concentrazione territoriale delle insegne e del connesso limite strutturale dell’infedeltà ha spinto i distributori italiani ad orientare il loro marketing verso la creazione di traffico.
La carta commerciale, per esempio, è uno strumento di micromarketing che può essere utilizzato sia per la creazione di traffico (acquisition), sia per l’aumento dello scontrino (extention), sia per la fidelizzazione della clientela (retention)155.
Niente impedisce al consumatore di possedere più carte fedeltà e di partecipare contemporaneamente alle iniziative di fidelizzazione e di traffico di diverse insegne;
fedeltà e traffico sono dunque obiettivi compatibili, da perseguire congiuntamente con una declinazione per formato di punto vendita, in modo da tenere conto delle differenze strutturali nella frequenza d’acquisto e nell’area di incidenza156.
L’area di attrazione di un punto vendita è tanto più ampia quanto più consistente è la sua dimensione; analogamente, la frequenza d’acquisto è tanto più contenuta quanto più grande è il punto vendita perché il servizio di prossimità si riduce al crescere della dimensione. In definitiva, dunque, conviene orientare il micro marketing prevalentemente verso la fidelizzazione della clientela nei formati più piccoli dove il consumatore è più propenso ad integrare i suoi acquisti presso diverse insegne; mentre i maggiori investimenti per la creazione di traffico devono essere fatti nei punti vendita più grandi157.
154 Lugli G., “Micromarketing: come valorizzare la relazione con i clienti”, in Industria & Distribuzione, n. 0/1999, pp.
7-21.
155 Lugli G., Micromarketing. Creare valore con le informazioni di cliente, Utet, Torino, 2004.
156 Lugli G., “Micromarketing: come valorizzare la relazione con i clienti”, in Industria & Distribuzione, n. 0/1999, pp.
7-21.
157 Lugli G., op. cit.
2.4 Il ciclo di vita del micromarketing
Secondo Ziliani158 il micromarketing si esprime in fasi successive caratterizzate da un progressivo affinamento della segmentazione della domanda e, conseguentemente, dell'efficacia delle azioni. E’ possibile cioè individuare una sorta di ciclo di vita composto da tre momenti fondamentali che riassumiamo qui di seguito.
Al livello più elementare la segmentazione della clientela avviene sulla base della semplice titolarità della carta fedeltà, che viene utilizzata come strumento per ottenere contributi promozionali dai fornitori. Il livello successivo, di complessità intermedia, coincide con una segmentazione dei titolari della carta fedeltà sulla base di caratteristiche socio-demografiche, psicografiche, nonché su dati quali lo scontrino medio e la frequenza d’acquisito. La segmentazione del terzo ed ultimo livello avviene, infine, incrociando i dati ottenuti come nel secondo livello con l’esatta composizione della spesa registrata dai Pos-scanner del punto vendita.
Il primo livello del ciclo di vita del micromarketing richiede un’organizzazione ed un uso delle tecnologie piuttosto semplice e quindi facilmente imitabile e può essere facilmente raggiunto da tutti i distributori. Il vantaggio competitivo realizzabile con il primo livello di micromarketing è per definizione poco consistente e duraturo. Dal momento, infatti, che la carta viene utilizzata solo a supporto di promozioni di prezzo discriminando i titolari dai non titolari, il consumatore è indotto a chiedere la carta di più insegne concorrenti e a spostarsi di conseguenza per inseguire le promozioni. È questa la situazione che si verifica attualmente nel nostro Paese; l'incidenza dei consumi realizzati presso una singola insegna dal titolare di fidelity card risulta così legata da un rapporto inverso al numero di carte possedute.
Diversamente, il passaggio al secondo e ancor più al terzo livello di micromarketing è estremamente complesso, oneroso e rischioso. Complesso perché è necessario allestire un database relazionale di grande dimensione, modificare la cultura manageriale e intervenire sulla struttura organizzativa per svincolare l'attività di marketing dai rapporti commerciali con i fornitori. Oneroso perché un database che si misura in terabytes può costare parecchio. Rischioso perché nel momento in cui si effettua l'investimento è quasi
158 Ziliani C., Micromarketing. Le carte fedeltà della distribuzione in Europa, Egea, Milano, 1999.
impossibile stimare il tempo necessario per il recupero del medesimo, la consistenza e la sostenibilità del vantaggio competitivo. Tuttavia, solo con questo tipo d’implementazione delle attività di micromarketing si può ottenere un significativo vantaggio rispetto alla concorrenza, poiché questo viene acquisito nel campo delle risorse di competenza e fiducia dell’azienda, per loro natura poco imitabili.