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La Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status di rifugiato e la sua problematica attuazione

Illecito internazionale e diritto dei rifugiati: la responsabilità dei Paesi di origine e dei Paesi di asilo

3.1 La Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status di rifugiato e la sua problematica attuazione

Si è già detto che la Convenzione di Ginevra fornisce una definizione di ‘rifugiato’ e prevede una serie di diritti e doveri che ineriscono al relativo sta- tus, e che quindi devono essere garantiti all’individuo che viene riconosciuto come rifugiato da uno Stato contraente. Tale Convenzione è stata adottata il 28 luglio del 1951, una data che è stata definita come data ‘cerniera’33 in quanto, significativamente, segue da vicino l’anno di adozione delle quattro Convenzioni di Ginevra sul diritto umanitario e anticipa di qualche decennio l’elaborazione di strumenti legislativi di protezione dei diritti umani a carat- tere universale34. Si può infatti dire che la Convenzione di Ginevra funge da

trait d’union tra il diritto internazionale umanitario e il diritto internazionale

dei diritti umani rappresentando un timido passo avanti nel lungo e ancora incompiuto processo di ‘soggettivizzazione’ dell’individuo nel diritto inter- nazionale. Invero, contrariamente ai trattati internazionali in materia dei di- ritti umani, la formulazione delle disposizioni della Convenzione del 1951 non lascia spazio per l’affermazione di diritti individuali; tali disposizioni si rivolgono piuttosto agli Stati contraenti, i quali, si è detto, sono tenuti a ga- rantire un determinato livello di protezione (esclusivamente) nel caso in cui decidano di concedere lo status di rifugiato ad un individuo. Ed è proprio in questo meccanismo che risiede la debolezza della Convenzione di Ginevra. Se è vero che il riconoscimento dello status di rifugiato ha carattere mera- mente dichiarativo in quanto un individuo che si trova nelle condizioni di cui all’art. 1 A (2) della Convenzione di Ginevra è un rifugiato a prescindere da un riconoscimento formale35, è anche vero che in assenza di un atto di

33 J.f. flAuSS, Les droits de l’homme et la Convention de Genève du 28 juillet 1951

relative au statut des réfugiés, in La Convention de Genève du 28 juillet 1951 relative au statut des réfugiés 50 ans après : bilan et perspectives (a cura di V. Chetail et J. F. Flauss), Bruxelles 2001, 92.

34 Se pure è vero che la Convenzione europea dei diritti dell’uomo è stata firmata nel primo dopoguerra, il 4 novembre 1950, la maturazione e condivisione di valori a livello universale ha richiesto un tempo maggiore, arrivando al 1966 per la conclusione dei due Patti delle Nazioni Unite in materia di diritti civili e politici e di diritti economici, sociali e culturali.

riconoscimento formale lo Stato contraente non è vincolato a rispettare gli obblighi di protezione derivanti dalla Convenzione. In questo senso si può dire che il riconoscimento dello status di rifugiato ha carattere dichiarativo per quanto attiene alla condizione di rifugiato, che appunto esiste in presen- za di determinati requisiti e a prescindere dall’atto dell’autorità statale, ma costitutivo per quanto concerne il relativo status. Questo comporta inevita- bilmente un ampio margine di discrezionalità nell’attuazione delle disposi- zioni convenzionali.

A ciò si aggiunga che la Convenzione di Ginevra non rappresenta una nor- ma che la teoria delle norme internazionali definirebbe come ‘robusta’. Da un lato, l’alto numero di ratifiche e il consistente supporto economico fornito dagli Stati parte all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR), organo preposto a sorvegliare l’interpretazione e l’applicazione delle disposizioni convenzionali, sono stati indicati da parte della dottrina quali chiari indizi della volontà degli Stati di rispettare gli obblighi derivanti dalla Convenzione (‘concordance’)36. La ‘concordance’ è tradizionalmente considerata come uno degli attributi delle norme internazionali ‘robuste’, ossia quelle norme che hanno elevate probabilità di essere osservate ed ap- plicate sia a livello internazionale che a livello domestico37. Nondimeno, un esame finanche superficiale delle disposizioni convenzionali rivela come tali disposizioni manchino di precisione e specificità (‘specificity’). Essendo la precisione un altro carattere essenziale delle norme internazionali robuste, è legittimo sostenere che la formulazione vaga di alcune delle disposizioni convenzionali compromette seriamente la loro probabilità di essere corret- tamente applicate rendendo la loro implementazione estremamente ardua38. Emblematico in tal senso è l’articolo 1 A (2) della Convenzione che, fornen- do una definizione di rifugiato, utilizza termini quali “persecuzione”, “na- zionalità”, “appartenenza ad un gruppo sociale” che non trovano ulteriore definizione nel testo convenzionale. Non sorprende affatto che l’interpre- tazione di tali termini, e quindi l’interpretazione della stessa definizione di rifugiato, diverga notevolmente tra gli Stati contraenti.

In questo contesto, il ricorso allo schema classico della responsabilità

International Instruments, EC/SCP/5, 24 agosto 1977. L’opinione è pressoché unanime- mente condivisa anche dalla dottrina.

36 c. rooS, n. zAun, Norms Matter! The Role of International Norms in EU Policies on

Asylum and Immigration, in EJML, 2014, 51.

37 See, inter alia, t.m. frAnck, The Power of Legitimacy among Nations, Oxford 1990;

J. W. legro, Which norms matter? Revisiting the ‘failure’ of internationalism, in IO, 1997,

31-63.

38 e. drywood, Who’s In and Who’s Out? The Court’s Emerging Case Law on the

degli Stati risulterebbe estremamente complesso in ragione della difficoltà di individuare l’elemento oggettivo della condotta illecita dello Stato. Alla luce dell’elevato grado di indeterminatezza delle sue disposizioni, risulta difficile rilevare una violazione della Convenzione di Ginevra39. La decisione di uno Stato di non concedere lo status di rifugiato è difficilmente sindacabile in quanto inevitabilmente riconducibile ad una ‘questione interpretativa’. Lo stesso vale in principio nel caso di insufficiente livello di protezione di un di- ritto connesso allo status, essendo anche le altre disposizioni convenzionali formulate in modo vago e concedendo un ampissimo margine di discrezio- nalità agli Stati contraenti40.

Si rileva sul punto che l’art. 38 della Convenzione di Ginevra conferi- sce mandato alla Corte Internazionale di Giustizia (CIG) per dirimere le controversie circa l’interpretazione e l’applicazione delle sue disposizio- ni. Tuttavia, nessuno degli Stati contraenti si è mai avvalso di tale facol- tà. È infatti difficile immaginare uno scenario in cui uno Stato parte della Convenzione avrebbe interesse a portare un altro Stato contraente davanti alla CIG, a meno che questo non sia lo Stato di origine del richiedente asi- lo41. Allo stesso modo, è difficile immaginare uno scenario in cui uno Stato avrebbe interesse a ricorrere al meccanismo interstatale della responsabili- tà nei confronti dello Stato di asilo, non potendo ricavare alcun vantaggio dall’attivazione di tale meccanismo.

Una sostanziale differenza tra il regime universale di protezione dei rifu- giati e quello di protezione dei diritti umani è l’ampiezza dei poteri e delle competenze dei relativi organi di controllo. L’ACNUR, organo sussidiario delle Nazioni Unite istituito dall’Assemblea Generale nel 195042 riceve il

39 Ibidem, p. 1093.

40 Si pensi ad esempio all’art. 34 che così dispone: «[g]li Stati contraenti faciliteranno, quanto più possibile, l’assimilazione e la naturalizzazione dei rifugiati. Si sforzeranno in modo particolare di accelerare la procedura necessaria per la naturalizzazione e di ridurre il più possibile le tasse e le spese richieste per questa procedura».

41 Un’ipotesi in cui potrebbe configurarsi un interesse di uno Stato ad agire contro un altro Stato davanti alla CIG o con gli strumenti classici della responsabilità degli Stati è quella del rifiuto di una richiesta di estradizione di un individuo, perseguito per un crimine nel Paese di origine e riconosciuto come rifugiato da un alto Paese. Si pensi al caso di Cesare Battisti, a cui il Brasile ha riconosciuto una forma di protezione rigettando poi la richiesta di estradizione ita- liana. Se a Battisti fosse stato riconosciuto lo status di rifugiato Convenzionale, la Convenzione di Ginevra avrebbe certo rappresentato una base legale per adire la Corte di Giustizia. Del resto, non si discosta molto da tale fattispecie quella del noto caso Haya de la Torre (Corte interna- zionale di giustizia, Haya de la Torre Case (Columbia v. Perù), sentenza del 13 giugno 1951). 42 UNGA Resolution 319 (IV) del 3 dicembre 1949; lo Statuto dell’Alto Commissariato è invece stato adottato dalla risoluzione 428(V) del 14 dicembre 1950.

mandato di sorvegliare l’applicazione della Convenzione di Ginevra e del relativo Protocollo di New York del 196743 rispettivamente dagli articoli 35 e II di tali strumenti. Il collegamento tra l’ACNUR e i due strumenti è piut- tosto debole se paragonato a quello esistente tra i trattati in materia di diritti umani e i relativi comitati, creati ad hoc dagli stessi trattati per facilitare la loro implementazione44. In primo luogo, si è detto che l’ACNUR non è stato creato ad hoc dalla Convenzione di Ginevra ma precedentemente e indipen- dentemente dall’adozione di questo strumento. In secondo luogo, i poteri e le mansioni dell’ACNUR sono limitati rispetto a quelli dei suddetti comitati, i quali possono anche in alcune circostanze risolvere controversie tra gli Stati parte e rivolgere raccomandazioni agli Stati che hanno agito in viola- zione delle disposizioni pattizie. Per svolgere il suo mandato di sorveglian- za, l’ACNUR ha adottato una serie di guidelines interpretative delle norme della Convenzione di Ginevra45, le quali rimangono però prive di carattere vincolante46. Le limitazioni dell’apparato istituzionale che ha il mandato di sorvegliare all’applicazione della Convenzione di Ginevra costituiscono un altro fattore che rende difficile l’attivazione di meccanismi efficaci per con- statarne e sanzionarne le violazioni, e quindi per fare valere la responsabilità degli Stati contraenti.

3.2 Il diritto internazionale dei diritti umani: il rifugiato come soggetto del

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