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L’elemento soggettivo: la persecuzione derivante da agenti non-statal

Illecito internazionale e diritto dei rifugiati: la responsabilità dei Paesi di origine e dei Paesi di asilo

2.1 L’applicabilità delle regole in materia di responsabilità degli Stati per illecito internazionale

2.1.2 L’elemento soggettivo: la persecuzione derivante da agenti non-statal

Anche qualora si potesse individuare un illecito connesso causalmente al flusso migratorio, andrebbero comunque ricondotte allo schema tipico della responsabilità internazionale tutte quelle ipotesi di migrazione forzata moti- vate da persecuzioni perpetrate da agenti non-statali. La definizione di rifu- giato è stata infatti oggetto di un progressivo ampliamento in via interpreta- tiva volto ad includere nella categoria di persone bisognose e meritevoli di protezione le vittime di atti persecutori perpetrati da privati18.

In origine, alcuni Stati parte della Convenzione di Ginevra hanno adottato un’interpretazione restrittiva della definizione di rifugiato. In particolare, se-

15 Ibidem, 85-86.

16 La persecuzione, il cui fondato timore è richiesto ai fini del riconoscimento dello sta- tus di rifugiato, è infatti tradizionalmente definita come una violazione dei diritti dell’uo- mo. Invero, ai sensi dell’art. 9 della Direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, « Sono atti di perse- cuzione […] gli atti che: a) sono, per loro natura o frequenza, sufficientemente gravi da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, in particolare dei diritti per cui qualsiasi deroga è esclusa a norma dell’articolo 15, paragrafo 2, della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; oppure b) costituiscono la somma di diverse misure, tra cui violazioni dei diritti umani, il cui impatto sia sufficientemente grave da esercitare sulla persona un effetto analogo a quello di cui alla lettera a) ».

17 Sul punto si rileva che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha in diverse occa- sioni messo in relazione situazioni di disordine interno con il flusso di rifugiati; si pensi ad esempio alla guerra del Golfo con la risoluzione 688/1991, alla Somalia con la risoluzione 733/1992 e, più recentemente, al conflitto siriano con la risoluzione 2332/2016.

18 Sul punto si veda ad esempio W. kAlin, Non-state Agents of Persecution and the

condo un approccio interpretativo consolidatosi soprattutto nella giurispru- denza francese e in quella tedesca19, il timore di subire atti di persecuzione perpetrati da soggetti privati poteva essere posto a fondamento di una do- manda di protezione soltanto qualora tali atti fossero tollerati o incoraggiati dalle autorità statali. Tale dottrina interpretativa, definita ‘accountability ap- proach’, riconosceva un atto come persecutorio ai sensi della Convenzione di Ginevra solo in caso di intervento diretto o indiretto dello Stato, il quale doveva avere dimostrato complicità o connivenza con i responsabili degli atti persecutori. In un tale scenario sarebbe certo possibile ricondurre la vio- lazione determinante il flusso migratorio allo Stato di origine20, che, come suggerisce la summenzionata formula, è quantomeno ‘accountable’ per gli atti di persecuzione commessi da agenti privati.

L’evidente limite del c.d. ‘accountability approach’ era di lasciare prive di protezione tutte le situazioni in cui lo Stato di origine, non direttamente o indirettamente responsabile delle violazioni commesse da attori privati21, si dimostra incapace di prevenirle e di proteggere i suoi cittadini. Tale dottrina interpretativa ha quindi lasciato spazio ad un’interpretazione più ampia e ga- rantista della definizione di rifugiato (c.d. ‘protection approach’), sostenuta in particolare dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR)22, e idonea ad includere un ventaglio più ampio di situazioni mi-

19 Consiglio di Stato francese, sentenza del 27 maggio 1983 (Dankha); Corte Federale tedesca del 1986 in A. zimmermAnn, C. mAhler, Article 1 A, para. 2 (Definition of the Term

‘Refugee’/Définition du Terme ‘Réfugié’) in The 1951 Convention relating to the status of refugees and its 1967 protocol: A Commentary cit. 346.

20 In questo senso si è espressa la Corte Internazionale di Giustizia nel noto caso del per- sonale diplomatico e consolare dell’ambasciata americana a Teheran (Stati Uniti c. Iran), sentenza del 24 maggio 1980, para. 55-75.

21 Emblematico il caso dei numerosi democratici algerini vittime di persecuzione da parte dei gruppi islamisti, le cui domande di protezione venivano rigettate in Francia in ragione del fatto che tali persecuzioni non erano né incoraggiate né tollerate dalle autorità francesi (si veda inter alia Consiglio di Stato, sentenza del 31 gennaio 1999 – Abib).

22 UNHCR, Handbook on Procedures and Criteria for Determining Refugee Status under the 1951 Convention and the 1967 Protocol Relating to the Status of Refugees, December 2011, para. 65. Questo approccio era peraltro già consolitato in diversi paesi, quali a titolo di esempio il Canada (Suprema Corte Canadese, Attorney General v. Ward, [1993] 2 S.C.R. 689, sentenza del 30 giugno 1993) e, per quanto riguarda l’Europa, il Regno Unito (Camera dei Lords, Islam (A.P.) v. Secretary of State for the Home Department; R v. Immigration Appeal Tribunal and Another, Ex Parte Shah (A.P.), sentenza del 25 marzo 1999 [1999] UKHL 20). Nell’UE l’“accontability approach” è da ritenersi definitivamente superato a seguito dell’adozione, nel 2004, della prima direttiva qualifiche (Direttiva 2004/83/CE), il cui art. 6 annovera tra i responsabili di persecuzione, oltre allo stato e agli agenti statali, i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio

gratorie. In base a tale dottrina, gli atti di persecuzione perpetrati da privati sono riconducibili alla nozione convenzionale di rifugiato in tutte le ipotesi in cui lo Stato non intende o non è in grado (‘is unwilling or unable’) di for- nire protezione contro tali atti.

È noto che l’impianto classico della responsabilità internazionale subordina l’imputabilità allo Stato di condotte perpetrate da agenti non- statali a determinate condizioni, apparentemente più stringenti23 dello stan- dard richiesto ai fini dell’applicazione della Convenzione di Ginevra, che è appunto quello dell’incapacità o della non volontà di proteggere i propri cittadini da altri privati. Nondimeno, l’adozione e l’implementazione di stru- menti di diritto internazionale in materia di protezione dei diritti dell’uomo, hanno condotto a identificare obbligazioni altrettanto stringenti a carico degli Stati Parte di tali convenzioni. Accanto all’obbligo negativo di non violare direttamente i diritti dell’individuo sanciti da questi strumenti, esiste in capo a tali Stati un obbligo positivo di proteggere gli individui da tali violazio- ni, ponendo in essere tutte le condizioni idonee a prevenirle che si trovano nella loro giurisdizione. Ne consegue che l’alveo di situazioni protette dalla Convenzione di Ginevra potrebbe in principio coincidere con quello delle situazioni a cui la comunità internazionale può reagire tramite i meccanismi propri del diritto internazionali dei diritti umani.

2.1.3 L’inadeguatezza del regime della responsabilità degli Stati quale strumen-

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