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Il nuovo status delle vittime di tratta nelle fonti internazionali e gli obblighi positivi degli Stati in materia di assistenza e tutela

Obblighi positivi degli Stati e ineffettività della tutela delle vittime di tratta di esseri uman

3. Il nuovo status delle vittime di tratta nelle fonti internazionali e gli obblighi positivi degli Stati in materia di assistenza e tutela

L’evoluzione appena accennata ha reso necessaria l’elaborazione di nuovi strumenti internazionali che accogliessero una nozione di tratta sufficiente- mente ampia da comprendere le diverse declinazioni del fenomeno. Un pas- so decisivo in questa direzione è stato realizzato mediante il Protocollo sul

Trafficking in Persons, Especially Women and Children, adottato a Palermo

nel dicembre del 2000 (il Protocollo di Palermo). In particolare, ai sensi dell’art. 3 del Protocollo è da intendersi tratta di esseri umani:

«[…] the recruitment, transportation, transfer, harbouring or receipt of persons, by means of the threat or use of force or other forms of coercion, of abduction, of fraud, of deception, of the abuse of power or of a position of vulnerability or of the giving or receiving of payments or benefits to achieve the consent of a person having control over another person, for the purpose of exploitation. Exploitation shall include, at a minimum, the exploitation of the prostitution of others or other forms of sexual exploitation, forced labour or services, slavery or practices similar to slavery, servitude or the removal of organs [...]»21.

Si tratta di un passo decisivo per una serie di ragioni. Innanzitutto, fino a questo momento il trafficking in persons veniva previsto in numerosi stru- menti convenzionali, senza però essere espressamente definito22. Il suo testo

20 Relazione della Commissione europea, 2016, cit., p. 9.

21 Protocollo addizionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità or- ganizzata per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone, in particolare di donne e bambini, adottato dall’Assemblea generale il 15 novembre 2000 e successivamente aperto alla firma degli Stati nel corso di una Conferenza svoltasi a Palermo dal 12 al 15 dicembre 2000 (Official Records of the General Assembly, 55th session, Suppl. 49, Vol. I, p. 60). Per un commento, si rinvia a A.t. gAllAgher, Human Rights and the New UN Protocols

on Trafficking and Migrant Smuggling: A Preliminary Analysis, in HRQ, 2001, 975-1004. 22 Sugli aspetti apprezzabili del Protocollo di Palermo, si veda A.t. gAllAgher, Two

ha dunque la principale funzione di colmare la lacuna costituita dall’assenza di uno strumento universale specificamente rivolto al contrasto di questo feno- meno. Alla definizione di tratta introdotta dal Protocollo va, peraltro, ricono- sciuto il merito di essere una definizione particolarmente ampia e, soprattutto, di essere ampia al punto tale da riguardare anche gli atti che hanno per vittime persone adulte di sesso maschile che, seppure più raramente, sono altresì vitti- me del fenomeno23. Un ulteriore merito è quello di stabilire, per la prima volta, che l’elemento del consenso della vittima – qualunque tipo di vittima – diventi irrilevante ogni qualvolta per la realizzazione della condotta si sia fatto ricorso all’uso della forza o a una qualunque altra forma di coercizione24. Quando poi il reato viene perpetrato nei confronti di minori, lo sfruttamento deve essere punito anche in assenza dell’utilizzo di metodi di coercizione25.

Inoltre, ai fini della nostra indagine rileva evidenziare che, dall’adozione del Protocollo di Palermo, le vittime di tratta diventano soggetti titolari di diritti e facoltà. A differenza del contemporaneo strumento che criminalizza lo smuggling26, il Protocollo in commento introduce un vero e proprio status di vittima27, da cui deriva l’attribuzione in capo agli Stati parte di una serie di obblighi positivi in materia di assistenza e tutela delle persone offese dalla trat- ta. All’art. 6, ad esempio, si prevede che ogni Stato parte si impegni a fornire ai soggetti passivi della tratta consulenza e informazioni in relazione ai loro diritti riconosciuti dalla legge, in una lingua che tali persone siano in grado di comprendere. Nella medesima disposizione si stabilisce, inoltre, che ciascuno Stato cerchi di assicurare l’incolumità fisica delle vittime di tratta sul proprio territorio. Nel successivo art. 7, inoltre, gli Stati parte si impegnano ad adottare misure legislative o altre misure che consentano alle vittime di tratta di restare sul proprio territorio nazionale. Tutte disposizioni che, a ben vedere, tengono altresì conto del fatto che le vittime di tratta sono spesso persone che si trovano in una condizione di estraneità rispetto all’ordinamento statale, tenuto, come si è appena visto, a prestare assistenza e tutela nei loro confronti.

La definizione di tratta e molte delle disposizioni del Protocollo di Palermo

Cheers for the Trafficking Protocol, in ATR, 2015, 14-32, disponibile su www.antitraffi- ckingreview.org (visitato il 30 giugno 2016).

23 Sul punto, A. Annoni. La tratta di donne e bambine nella recente giurisprudenza della

Corte europea dei diritti dell’uomo cit. 24 Cfr. Protocollo di Palermo, art. 3(b). 25 Cfr. Protocollo di Palermo, art. 3(c).

26 Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la Criminalità orga- nizzata transnazionale per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria, New York, 15 Novembre 2000, in United Nations Treaty Series, Vol. 2241, Doc. A/55/383, p. 507. 27 Per la definizione dello status di vittima, si veda l’art. 7 del Protocollo di Palermo.

che riconoscono assistenza e tutela alle sue vittime hanno successivamente ispirato altri strumenti internazionali in ambito regionale. Pensiamo, in pri-

mis, alla di poco più recente Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta

alla tratta di esseri umani (la Convenzione del Consiglio d’Europa)28. Sin dal preambolo della Convenzione, si intuisce l’intenzione di ampliare il livello di protezione previsto dal Protocollo di Palermo29. Intuizione immediatamente confermata dall’art. 2 che estende ulteriormente l’ambito di applicazione della neo introdotta nozione di trafficking in persons anche alle fattispecie che hanno mera rilevanza nazionale e a quelle che non sono connesse alla criminalità organizzata. Il successivo art. 39, poi, nel chiarire il rapporto fra i due strumenti, spiega che la Convenzione «[…] ha [proprio] lo scopo di raf- forzare la protezione stabilita dal Protocollo e di sviluppare le disposizioni ivi contenute». A tal fine e, più precisamente, al fine di incrementare gli stan- dard minimi di protezione delle vittime di tratta, si fa ricorso all’approccio generalmente utilizzato negli strumenti del Consiglio d’Europa e, dunque, a quello espressamente fondato sulla tutela dei diritti fondamentali degli in- dividui30. La tratta costituisce, infatti, una violazione dei diritti umani, della dignità e dell’integrità umana delle sue vittime. Particolarmente significati- va, in proposito. è la norma in tema di identificazione delle vittime di tratta, categoria che qui, peraltro, è autonomamente definita. Gli Stati aderenti alla Convenzione sono consapevoli del fatto che una tempestiva identificazione sia essenziale per garantire adeguata protezione e assistenza alle sue vittime. Al contrario, la loro inadeguata identificazione comporterà, da un lato, il mancato riconoscimento dei loro diritti e, dall’altro, significative difficoltà in termini di perseguimento del crimine31.

28 Convenzione del Consiglio d’Europa sulla lotta contro la tratta di esseri umani, adottata a Varsavia il 16 maggio 2005 e entrata in vigore il 1° febbraio 2008.

29 Sull’obiettivo della Convenzione di rafforzare la protezione esistente, si veda A.t. gAllAgher, Recent Legal Developments in the field of Human Trafficking: A Critical Review

of the 2005 European Convention and related Instruments, in EJML, 2006, 163-189. 30 È proprio a partire da una sentenza del 2005 che la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, superando la precedente impostazione, provvede ad attualizzare la nozione di “servitù”, riconoscendo l’applicabilità dell’art. 4 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che, per l’appunto, vieta la schiavitù e il lavoro forzato, anche ad alcuni casi di tratta di esseri umani. Si veda, per esempio, Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza del 26 luglio 2005, ricorso n. 73316/01, Siliadin c. Francia. Per un approfondi- mento sulla nozione di “moderna schiavitù”, si veda n. Siller, “Modern Slavery” Does

International Law Distinguish between Slavery, Enslavement and Trafficking?, in JICJ, 2016, 405-427; S. ScArpA, Trafficking in human beings: modern slavery, Oxford 2008; e.

decAux, Les formes contemporaines de l’esclavage, in RCADI, 2009.

La figura della vittima di tratta risulta ulteriormente valorizzata dalla di- sciplina introdotta nell’ambito dell’ordinamento dell’UE con la Direttiva 2011/36/UE (la Direttiva anti-tratta)32 e la successiva Comunicazione del- la Commissione sulla strategia anti-tratta 2012-201633, che fornisce indi- cazioni agli Stati membri sul recepimento e l’attuazione della Direttiva. Quest’ultima, in particolare, ha introdotto una nozione ancora più ampia del- la fattispecie e, mostrandosi sensibile alla sua più recente evoluzione, ha fat- to esplicito riferimento anche all’accattonaggio e allo sfruttamento nell’am- bito delle attività criminali. Sulla scorta di quanto già previsto dal Protocollo di Palermo e dalla Convenzione del Consiglio d’Europa e, in linea con altre misure adottate nell’ambito dell’ordinamento dell’Unione sulla protezione delle vittime di reati34, la Direttiva anti-tratta prevede una serie di obblighi in capo agli Stati membri in materia di assistenza, sostegno e tutela delle sue vittime. Gli Stati, in particolare, devono adottare delle misure che assicurino a questi soggetti particolarmente vulnerabili una protezione completa e du- ratura e, dunque, prima, durante e dopo il procedimento penale avviato nei confronti degli autori dello sfruttamento. Importante è poi che la loro prote- zione sia del tutto svincolata dal procedimento penale, non deve cioè essere subordinata alla volontà o alla possibilità della vittima di collaborare con le autorità nel processo contro i loro sfruttatori. La caratteristica più rilevante

degAni, r. dellA roccA, La centralità del paradigma diritti umani nell’identificazione del-

la vittima di tratta, in PDU, 2008, 43-80, disponibile su unipd-centrodirittiumani.it/public/ docs/PDU2_2008_A043.pdf (visitato il 30 giugno 2016); A. t. gAllAgher, Recent Legal

Developments in the field of Human Trafficking: A Critical Review of the 2005 European Convention and related Instruments cit.

32 Direttiva 2011/36/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 aprile 2011 sulla prevenzione e la repressione della tratta di esseri umani e la protezione delle vittime, e che sostituisce la decisione quadro del Consiglio 2002/629/GAI, in GUUE L 101/1, del 15 aprile 2011. Per un commento sulla Direttiva anti-tratta, si veda c. gArnelli, La direttiva sulla tratta

di esseri umani tra cooperazione giudiziaria penale, contrato all’immigrazione clandestina e tutela dei diritti, in SUE, 2011, 109; m. venturoli, La direttiva 2011/36/UE: uno strumento

completo per contrastare la tratta degli esseri umani, in La lotta alla tratta di esseri umani. Fra dimensione internazionale e ordinamento interno (a cura di S. Forlati), Napoli 2013, 47. 33 Comunicazione della Commissione relativa a La strategia dell’UE per lo sradicamento della tratta di esseri umani 2012-20116, COM(2012)286 del 19 giugno 2012.

34 Direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012 che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI, in GUUE L 315/57, del 14 novembre 2012. Per una ricostruzione del quadro normativo internazionale ed europeo in materia di tutela delle vittime si rimanda a Cass. (sez. un.), sentenza n.10959 del 29 gennaio 2016.

della Direttiva è che con essa viene adottato35 un approccio di genere, in virtù del quale le autorità statali devono applicare rimedi specifici che siano adeguati alle peculiarità del caso della singola vittima. Occorre considera- re se, ad esempio, le persone vittime di tratta siano in stato di gravidanza, se siano disabili, se abbiano disturbi mentali e se abbiano subito violenze psicologiche, fisiche o sessuali. Inoltre, in ragione dell’elevato rischio di vit- timizzazione secondaria, di intimidazioni e ritorsioni, la tutela individualiz- zata deve interessare anche l’eventuale partecipazione della persona offesa al processo penale, quale parte civile. Pertanto, durante lo svolgimento del processo, occorre evitare le ripetizioni non necessarie delle audizioni, il con- tatto visivo con gli imputati e le domande non necessarie sulla vita privata36. Negli ultimi quindici anni, l’evoluzione degli strumenti internazionali in materia di assistenza, sostegno e tutela delle vittime di tratta di esseri umani ha conosciuto un nuovo impeto. Il Protocollo di Palermo, concepito sot- to l’egida delle Nazioni Unite, sebbene indirizzato più specificamente alla criminalizzazione del fenomeno, ha svolto un ruolo di sollecitazione degli altri organismi sovranazionali e ha condotto a un significativo ampliamento della nozione di trafficking in persoss. Passaggio decisivo, si è detto, che ha portato, a sua volta, all’individuazione di una nuova collocazione della figura della vittima di tratta che, nell’ambito degli ordinamenti interni, deve acquistare diritti e facoltà effettive, sia sul piano sostanziale che sul piano processuale.

4. L’(in)effettività della tutela sul piano interno: tra problemi di attribu-

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