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Convenzione Quadro per la Tutela dei diritti delle minoranze nazional

3. Consiglio d’Europa

3.3 Convenzione Quadro per la Tutela dei diritti delle minoranze nazional

Un altro strumento approntato dal CdE per la protezione delle minoranze è la Convenzione Quadro per la tutela dei diritti delle minoranze nazionali.49 Aperta alla

firma il 1 febbraio 1997, essa è entrata in vigore il 1 marzo 1998. Come si può intuire osservando la data di creazione, la necessità di un trattato specifico per la protezione delle minoranze nazionali è stata avvertita durante i tragici fatti avvenuti nei Balcani in conseguenza della dissoluzione della Jugoslavia. La Convenzione è il primo trattato internazionale multilaterale sui diritti delle minoranze ed è volta a promuovere un’eguaglianza piena ed effettiva delle minoranze nazionali assicurando le condizioni necessarie a conservare e sviluppare al meglio le loro culture ed a preservare la loro identità. Diversamente che per gli strumenti analizzati precedentemente, tutti e 4 gli stati coinvolti per la tutela delle minoranze ladine, gagauze e tatare di Crimea hanno firmato e ratificato la Convenzione nel 1998. In quanto parte integrante del sistema internazionale di protezione dei diritti dell’uomo, la normativa della convenzione quadro persegue la realizzazione di un sistema di relazioni internazionali che garantisca la sovranità, basandosi sul reciproco riconoscimento tra gli stati firmatari. L’intervento della comunità internazionale è finalizzato alla salvaguardia e alla realizzazione degli ideali e dei principi che sono eredità comune dei paesi aderenti al CdE. Essa enuncia i principi volti a salvaguardare i diritti delle persone appartenenti alle minoranze nazionali nella sfera pubblica, quali la libertà di riunione pacifica, la libertà di associazione, la libertà di espressione, la libertà di pensiero, di coscienza e di religione, l’accesso ai media, nonché nel campo dell’educazione e della cooperazione transfrontaliere. L’adozione di una convenzione è stata preferita rispetto alle alternative proposte, quali quelle di ricorrere ad un protocollo addizionale alla CEDU o di adottare una speciale convenzione ad hoc, per diverse considerazioni: in generale la convenzione quadro non solo è uno strumento giuridico dotato di maggiore flessibilità ed elasticità rispetto a un eventuale protocollo aggiuntivo, essendo in teoria più capace di fronteggiare le diverse situazioni politiche e sociali in cui i

49 Il testo integrale del trattato in inglese è disponibile al link: https://rm.coe.int/CoERMPublicCommonSearchServices/DisplayDCTMContent?documentId=0900 0016800c10cf e in italiano al link: https://rm.coe.int/168007cdd0 - entrambi visitati il 10.04.2019

problemi legati alla minoranza si pongono, ma altresì lascia un ampio spazio di manovra politica nell'attuazione delle proprie disposizioni, in quanto vincola gli stati rispetto agli obiettivi da perseguire ma non alle modalità per conseguirli. Il testo ha infatti un contenuto normativo programmatico e i suoi precetti non sono immediatamente esecutivi ma necessitano per la loro attuazione di un’opera di regolamentazione e svolgimento nel dettaglio da parte degli Stati interessati.

Si è persa in questo caso una buona occasione per definire in maniera univoca il concetto di “minoranze nazionali”, in quanto neppure in questa Convenzione Quadro, che pure ad esse è dedicata, viene fornita, perché la diversità di vedute dei diversi stati su questo argomento ha impedito qualunque tentativo di codificazione. L’assenza di una definizione esplicita del concetto di minoranza nazionale è stata criticata, poiché considerata una mancanza tale da mettere in pericolo l’attuazione stessa della Convenzione, ma tali critiche sono forse non del tutto giustificate in quanto diversi elementi all’interno del testo della convenzione permettono comunque di individuare piuttosto chiaramente i destinatari delle norme nella stessa contenute. Già nel preambolo, ma ancor di più nelle norme che tutelano l’identità delle persone appartenenti alle minoranze nazionali si rinvengono i criteri essenziali che gli stati devono tenere conto per definire, all’interno del proprio ordinamento, i gruppi meritevoli di protezione, ovvero l’identità etnica, culturale, linguistica e religiosa che siano differenti da quelli della maggioranza della popolazione. D’altra parte l’assenza di una definizione stringente può consentire un’interpretazione estensiva, così che tra i gruppi protetti dalla convenzione vengano incluse anche le cosiddette “nuove minoranze” ovvero i gruppi di persone formate da emigrati stabilitisi nel territorio, che però ancora non abbiano la cittadinanza.

La Convenzione è composta da un preambolo, cinque titoli e 32 articoli. Nel preambolo si afferma che una società pluralistica e veramente democratica debba non solo rispettare l’identità etnica, culturale, linguistica e religiosa di ogni persona appartenente ad una minoranza nazionale, ma anche creare le condizioni adatte a permettere di esprimere, preservare e sviluppare questa identità. Si conferma che scopo della Convenzione Quadro è quello di garantire, nel rispetto del diritto internazionale e in linea con le dichiarazioni precedenti, la creazione di un clima di tolleranza e di dialogo, necessario per permettere alla diversità culturale di essere una fonte di arricchimento e non di divisione per ogni società.

Nel Titolo I (articoli da 1 a 3) si stabilisce che la protezione delle minoranze nazionali e dei diritti e delle libertà delle persone appartenenti a queste minoranze è parte integrante della protezione internazionale dei diritti dell’uomo e in quanto tale può e deve essere oggetto di cooperazione internazionale; che gli impegni presi nell’ambito di questa convenzione vanno applicati secondo buona fede, in uno spirito di comprensione e di tolleranza, nonché nel rispetto dei principi di buon vicinato, di relazioni amichevoli e di cooperazione tra gli stati, e che ogni persona appartenente ad una minoranza nazionale può scegliere liberamente se beneficiare di quanto stabilito dalla convenzione o meno, senza per questo essere passibile di discriminazione alcuna. Con quest’ultima affermazione si conferma nuovamente l’approccio individualistico della Convenzione, nel riconoscimento dei diritti ai singoli membri costituenti le minoranze e non alle minoranze come enti collettivi, proprio per evitare da un lato di dare forza così a spinte autonomistiche troppo forti, dall’altro per garantire l’individuo dall’assorbimento nella minoranza con conseguente perdita di autonomia e libertà in quanto singolo.

Al Titolo II (articoli da 4 a 19) vengono enunciati gli impegni delle parti, che comprendono azioni sia negative - impegno a non discriminare, divieto di assimilazione forzata - che positive - azioni di salvaguardia e promozione della specificità culturale - che spaziano dalla previsione di possibilità di spazi nei canali radiotelevisive alla possibilità di ricevere l’insegnamento nella propria lingua madre, passando per la possibilità di aggiungere segnaletica in lingua minoritaria nelle zone di insediamento della minoranza in questione. Gli impegni delle parti si intendono da interpretarsi sempre “compatibilmente ai dispositivi costituzionali dei singoli

Stati”. Gli stati aderenti a questa convenzione ammettono esplicitamente che

limitarsi a sole misure di tutela in negativo non è sufficiente a garantire una piena eguaglianza; riconoscono quindi che misure implicanti una disparità di trattamento a favore dei membri delle minoranze, se fatte con lo scopo di garantire una maggiore equità, non vadano considerate come discriminatorie. Gli interventi speciali di sostegno devono comunque essere adottati tenendo in debito conto le specifiche condizioni dei gruppi minoritari, devono cioè essere proporzionati alla consistenza e al radicamento del gruppo minoritario e non devono pregiudicare la politica generale di integrazione dello Stato. Ѐ interessante inoltre notare come la formulazione di questo titolo non preveda tanto l’istituzione di diritti in capo ai singoli, quanto la costituzione di obblighi in capo allo stato: ogni articolo comincia infatti con

la dichiarazione: “le Parti si impegnano a …” e non con formulazioni tipiche di altri documenti in cui si dice “ognuno ha il diritto di…”.

Nel titolo III (articoli da 20 a 23) si ribadisce l’obbligo, nell’applicazione della Convenzione, del rispetto del diritto internazionale vigente. In questo senso si limita la possibilità che il diritto all’autodeterminazione - implicito negli strumenti di tutela delle minoranze - sfoci in fenomeni di aperta secessione e prevalga rispetto al principio dell’integrità territoriale statale. Questo si evince in particolare dalla lettera dell’art. 21 il quale recita: “Nessuna disposizione della presente Convenzione-

quadro sarà interpretata come implicante per un individuo un qualunque diritto di darsi ad una attività o di realizzare un atto contrario ai principi del diritto internazionale e specialmente alla sovrana eguaglianza, all’integrità territoriale ed alla indipendenza politica degli Stati”. Inoltre viene ribadito il fatto che nessuna

disposizione della Convenzione Quadro possa essere interpretata in modo da risultare limitante o lesiva dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali riconosciuti, conformemente alle leggi di ogni Stato o alle Convenzioni delle quali lo Stato contraente sia parte.

Nel titolo IV (articoli da 24 a 26) vengono indicati gli strumenti di vigilanza rispetto alla diligenza degli Stati nell’applicazione della Convenzione. In particolare si assegna al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa l’incarico di vigilare sulla sua attuazione negli Stati parte del CdE, mentre si lascia spazio a meccanismi di controllo altri, da concordare di volta in volta, nel caso in cui la Convenzione venisse sottoscritta da paesi non parte del CdE. Quest’ultima previsione è un segnale chiaro dell’ambizione sottesa alla convenzione stessa, in quanto non si configura come semplice trattato regionale, ma punta a diventare testo chiave nell’ambito della tutela delle minoranze nel diritto internazionale. Per garantire il rispetto e l’applicazione delle norme previste dalla Convenzione si sceglie lo strumento dell’informazione periodica da parte degli Stati contraenti al Comitato dei Ministri del CdE, con la possibilità di istituire - al fine di approfondire quanto appreso - un Comitato Consultivo di esperti sul tema. Sebbene il meccanismo di controllo individuato sia di natura solamente politica, esso è comunque in grado di fornire una valutazione dinamica e continua delle modalità di attuazione poste in essere dagli Stati. Attraverso i continui contatti con le parti interessate il Comitato dei Ministri CdE è riuscito ad instaurare un dialogo costruttivo su questioni che altrimenti sarebbero state di esclusivo dominio degli Stati. I frutti e i risultati di questo dialogo

verranno esaminati per le parti relative alle tre minoranze scelte, all’interno dei rispettivi capitoli.

Nel titolo V (articoli dal 27 al 32) si indicano gli strumenti e i tempi di ratifica ed entrata in vigore, dichiarazioni di applicazione ed eventuale denuncia della Convenzione, stabilendo che sarà compito del Segretario Generale del CdE notificare agli Stati parte ogni firma, deposito di strumento di ratifica- accettazione- approvazione o adesione, ogni data di entrata in vigore e ogni altro atto, notifica o comunicazione concernente la Convenzione.

Nel corso del 2018, per celebrare i 20 anni dall’entrata in vigore della Carta delle lingue regionali e della Convenzione Quadro per la Tutela delle minoranze nazionali, il CdE ha organizzato diverse iniziative. In particolare, durante il mese di giugno, è stata organizzata la conferenza Minoranze e lingue minoritarie in un’Europa in

evoluzione50 a Strasburgo. Le domande cui gli esperti invitati hanno cercato di

rispondere durante la Conferenza si sono concentrate soprattutto sui meccanismi di monitoraggio previsti dalle due Convenzioni - quella sulle lingue e quella sulle minoranze - cercando di capirne l’efficacia e di tratteggiare eventuali modifiche utili a renderli più funzionali, alla luce, tra le altre cose, degli sviluppi tecnologici avvenuti recentemente. Le conclusioni,51 raccolte da Philippe Boillat,52 sono state trasmesse

al Comitato dei Ministri del CdE, che potrà valutare se accoglierle e iniziare un processo di riforma.