Il tentativo di risolvere i problemi legati al sovraffollamento carcerario
1. La Corte EDU condanna l’Italia
La situazione di cronico sovraffollamento carcerario, nonché il progressivo degrado delle strutture e delle condizioni di vita dei detenuti hanno provocato una grave compromissione dei diritti fondamentali dei reclusi; un così grave deterioramento ha portato all’Italia ben due condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo. Trattasi della sentenza 16 luglio 2009, Sulejmanovic c. Italia167, adottata a maggioranza dei votanti, e della sentenza- pilota Torreggiani e altri c. Italia, intervenuta l’8 gennaio 2013, adottata questa volta, all’unanimità.
Con la prima sentenza, che verrà poi richiamata dalla sentenza Torreggiani, la Corte si occupa di un soggetto detenuto nel carcere di Rebibbia ospitante, nell’anno 2003, ben 1.560 reclusi a fronte di una capienza massima limitata a 1.271 persone168. In questa sede, i giudici hanno condannato lo stato italiano ad un risarcimento di mille euro, a titolo di danni morali per aver violato l’art.
167 Cfr il testo della sentenza in www.giustizia.it
168 Cfr. delibera consiliare csm del 23 gennaio 2014, Parere reso ai sensi dell’art. 10 della legge 24 marzo 1958, n. 195, sul testo del decreto legge riguardante le misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria, in
3 CEDU, che impone il divieto di trattamenti inumani e degradanti, consacrando uno dei valori fondamentali delle società democratiche che deve essere assicurato a prescindere dai comportamenti delle vittime.
Lo Stato deve assicurare che tutti i detenuti siano messi in condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione del provvedimento non provochino all’interessato un malessere tale da eccedere l’inevitabile livello di sofferenza legato alla reclusione, e che la salute e il benessere siano assicurati i modo adeguato.
Sulla scia di questa pronuncia, sono stati proposti circa 3000 ricorsi, che hanno portato di nuovo la corte EDU a pronunciarsi sulla situazione di sovraffollamento carcerario che colpisce ogni istante le carceri italiane, riunendo i ricorsi presentati da sette detenuti, giungendo a riscontrare ulteriormente la violazione dell’art.3 della carta europea dei diritti dell’uomo, ed accordando ai ricorrenti un risarcimento di somme che variano tra i 10.600 e i 23.500 euro ciascuno.
Il caso riguardava i trattamenti subìti da sette persone detenute nel carcere di Busto Arsizio e di Piacenza, in celle triple, con meno di quattro metri quadrati a testa a disposizione.
La scelta della II camera della Corte, di adottare la procedura della sentenza pilota, è stata operata al fine di rendere il contenuto della decisione applicabile nei reclami futuri riguardanti l’Italia e aventi ad oggetto analoghi reclami.
Nello specifico, la situazione prospettata alla Corte, ha riguardato carenze di spazio, aggravate da sistemiche disfunzioni organizzative e di servizio: le carceri prese in considerazione ospitavano rispettivamente 439 detenuti a Busto Arsizio, e 412 a Piacenza, a fronte di una capacità massima di 297 nel primo istituto e 346 nell’altro.
Nonostante il governo italiano abbia riconosciuto la situazione di sovraffollamento, ritenendola comunque non preoccupante, giocando anche sull’inammissibilità dei ricorsi per mancato esaurimento di quelli interni, in virtù dell’art. 35 l. 354/1975, la Corte ha all’unanimità riconosciuto la violazione dell’art. 3 CEDU.
A tal fine vengono richiamati, l’orientamento giurisprudenziale europeo in materia di trattamento inumano e degradante, nonché gli standard proposti dal Comitato per la prevenzione della tortura, in seno al Consiglio d’Europa, che individua in almeno quattro metri quadrati o spazio minimo vitale di ciascun detenuto.
La corte, non si è limitata a denunciare una carenza strutturale, ma, in linea con la procedura fondata sull’art. 60 CEDU e disciplinata dall’art. 61 reg. 21 febbraio 2011, ha fissato in un anno il tempo entro il quale l’Italia deve provvedere ad adottare le misure raccomandate; allo stesso tempo ha sospeso tutti i ricorsi dei detenuti italiani aventi ad oggetto la stessa violazione.
Le misure adottate dall’Italia, devono chiaramente rispettare gli standard adottati dal CPT, e che, come hanno consigliato i giudici europei, si devono
incentrare sull’ampliamento applicativo delle misure punitive non privative della libertà personale, fino a diventare la regola in sede di esecuzione, nonché sulla limitazione ai minimi sindacali della custodia cautelare in carcere169. A seguito della presa di posizione della Corte EDU, il parlamento italiano ha adottato il sistema della decretazione d’urgenza, partorendo il d.l. 1 luglio 2013 n. 78 contenente misure urgenti in materia di esecuzione della pena, convertito, poi, nella legge 9 agosto 2013 n. 94.
Il provvedimento si muove lungo due linee direttrici: da una parte ridurre il flusso di soggetti in ingresso negli istituti penitenziari, e dall’altra eliminando quegli automatismi che impediscono o rendono più difficile l’accesso ai benefici penitenziari a determinati categorie di soggetti, individuati in virtù di una presunzione assoluta di pericolosità sociale170.
Dal primo punto di vista, per quel che riguarda ai fini del presente elaborato, la legge di conversione, ha previsto un ampliamento dell’operatività del meccanismo sospensivo di cui all’art. 656 comma 5° c.p.p..
In particolare, si anticipa la possibilità di applicazione della liberazione anticipata ex art. 54 O.P., al momento di emissione dell’ordine di esecuzione. A tal fine è necessario distinguere tra chi si trovi in libertà al momento in cui dovrebbe essere emesso l’ordine di esecuzione, e chi, invece, sia già sottoposto a restrizione della libertà personale. Per i primi, la procedura,
169 Cfr P.De Stefani, La sentenza Torreggiani: una sentenza pilota contro il sovraffollamento delle carceri, in www.centrodirittiumani.it
170 La novella ha previsto anche la possibilità di sospendere l’ordine di esecuzione per le pene non
superiori a quattro anni di reclusione, nelle ipotesi dei condannati astrattamente ammissibili alla detenzione domiciliare umanitaria ex art. 47 ter O.P..
indicata dal nuovo comma 4 bis, impone al pubblico ministero in sede di emissione dell’ordine di esecuzione, di sospendere le proprie decisioni e di trasmettere, senza ritardo, gli atti al magistrato di sorveglianza competente, affinché decida sulla concessione della riduzione di pena. dopodiché, se, in seguito allo sconto, la soglia della pena sia scesa al di sotto di quanto prevede il 5° comma, dovrà sospendere l’ordine di esecuzione. permettendo ai condannati di proporre istanza di misura alternativa, evitandogli, altresì un minimo contatto con l’istituto penitenziario, ancor più deleterio, considerando che, per effetto della pronuncia del magistrato di sorveglianza, potrebbero poi essere scarcerati in temi brevi.
L’art. 656 comma 4° bis, disciplina due ipotesi di esclusione della nuova procedura prevista per la richiesta di liberazione anticipata; una prima fattispecie riguarda coloro che si trovino in custodia cautelare in carcere, per il fatto oggetto della condanna da eseguire; mentre la seconda fa riferimento ai condannati per un delitto di cui all’art. 4 bis O.P.171.
In tema di sovraffollamento carcerario, è intervenuta di recente la Corte costituzionale, che con sentenza 22 novembre 2013 n. 279, ha individuato alcune importanti linee guida da seguire.
La questione è stata portata all’attenzione dei giudici della Consulta dai tribunali di sorveglianza di Venezia e Milano, i quali, descrivendo le condizioni detentive de ristretti ricorrenti, hanno suggerito un ampliamento
171 Vedi A.Della Bella, Convertito in legge il ‘decreto carceri’ 78/2013: un timido passo per sconfiggere il sovraffollamento, in www.dirittopenalecontemporaneo.it
dell’art. 147 c.p., sollecitando l’introduzione di una nuova ipotesi di sospensione facoltativa della pena: nel caso di detenzione scontata in condizioni contrarie al principio di umanità.
La sentenza in esame ha il merito di inquadrare il sovraffollamento carcerario come un problema di legalità costituzionale, qualificando lo stesso come un fatto notorio di carattere strutturale e sistemico, che non si può assolutamente protrarre ulteriormente, riconoscendo <<l’attitudine al sovraffollamento
carcerario a pregiudicare i connotati costituzionalmente inderogabili dell’esecuzione penale (…) l’effettiva sussistenza del vulnus denunciato dai rimettenti e la necessità che l’ordinamento si doti di un rimedio idoneo a garantire la fuoriuscita dal circuito carcerario del detenuto che sia costretto a vivere in condizioni contrarie al senso dell’umanità>>172.
Su queste premesse, la Consulta sottolinea l’esigenza che l’ordinamento italiano si munisca di rimedi a titolo preventivo.
In particolare si suggerisce l’adozione di provvedimenti da parte dell’amministrazione penitenziaria, che consentano lo spostamento in altre celle, o il trasferimento in atri istituti. Chiaramente, al fine di renderli effettivi, tali rimedi devono in primis, essere inseriti in un contesto di effettiva tutela giurisdizionale, secondariamente essere coperti da idonei strumenti esecutivi
172 Corte cost. 22 novembre 2013, n. 279, punto 6 e 8 del considerato in diritto, in
in grado di rendere certa l’ottemperanza dell’amministrazione alle decisioni giudiziali173.
Essendo allo stato di fatto, tali rimedi difficilmente praticabili, la Corte individua anche rimedi ulteriori, al fine di consentire la fuoriuscita dal carcere del detenuto che, altrimenti, si troverebbe a vivere in condizioni inumane e degradanti. Potrebbero essere previsti, ad esempio, maggiori spazi applicativi in ordine all’istituto della detenzione domiciliare, o, più in generale, essi potrebbero consistere in altre misure di carattere sanzionatorio e di controllo, oltre a quelle previste attualmente.
Specularmene ai rimedi preventivi, dovranno poi essere previsti dei rimedi compensativi, come già rilevato dalla Corte EDU, che tuttavia dovrebbero essere previsti come extrema ratio, dando sicuramente la prevalenza a quelli di tipo preventivo che eliminino il problema, in quanto, come affermato dalla Corte EDU <<la migliore riparazione possibile è la rapida cessazione della
violazione del diritto a non subire trattamenti inumani>>174.