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qua non per la concessione del beneficio

5. trattamento e riduzione di pena in regimi penitenziari differenziat

Resta da analizzare come si sviluppa l’opera rieducativa in presenza di soggetti detenuti in particolari regimi penitenziari. Il riferimento normativo si trova nell’art. 14 bis, rubricato regime di sorveglianza particolare, e nell’art. 41 bis, che riguarda le situazioni di emergenza. L’introduzione di dette norme, ad opera della legge 10 ottobre 1986, n. 663, risponde all’esigenza da una parte di risolvere il problema della sicurezza negli istituti penitenziari, e dall’altra di gestire situazioni di emergenza che si possono creare in detti istituti.

                                                                                                                         

Partendo dalla disamina del regime di sorveglianza particolare, la ratio di tale istituto è quella di fronteggiare, tramite una serie di regole restrittive, la cosiddetta pericolosità penitenziaria, ovverosia la capacità, attitudine e propensione del soggetto a turbare l’ordine e la sicurezza negli istituti100. La dottrina ha individuato quale elemento sintomatico della pericolosità penitenziaria, il crearsi di una sorta di gerarchia interna fondata sulla soggezione dei detenuti, che può derivare dall’appartenenza del “gerarca” a gruppi di criminalità organizzata, giocando anche sul potere che egli ha, per mezzo dei suoi uomini, all’esterno; ma può anche derivare dal prestigio goduto dal soggetto101.

I soggetti destinatari del regime di sorveglianza particolare sono i condannati, gli internati, gli imputati che compromettono la sicurezza o turbano l’ordine nell’istituto; impediscono l’attività degli altri detenuti per mezzo di minacce e violenze; si avvalgono dello stato di soggezione che gli altri detenuti hanno nei loro confronti.

Quello che conta, ai fini evidenziati, non è la situazione pregressa, e cioè la fattispecie di reato per cui il soggetto è stato privato della libertà, bensì il comportamento attuale in rapporto alla vita in istituto. Se questo è vero, è pur vero che la finalità di prevenzione possa, talvolta, portare il DAP a motivare il

                                                                                                                         

100  Trib.sorv.Roma,  ord.  29  aprile  1987,  secondo  cui  si  deve  distinguere  la  pericolosità  penitenziaria,  

attinente   alla   convivenza   all’interno   del   carcere,   e   la   pericolosità   criminale,   la   cui   valutazione   ben   può   riferirsi   a   fatti   pregressi,   non   essendo   necessaria   una   dimostrazione   di   concreta   attualità,   in  

Rass.penit.  e  crim.,  1987,  pag  458.  

101  Vedi  T.Padovani,  il  regime  di  sorveglianza  particolare:  ordine  e  sicurezza  negli  istituti  penitenziari   all’approdo   della   legalità,   in   L’ordinamento   penitenziario   dopo   la   riforma,   a   cura   di   Grevi,   Padova,  

provvedimento restrittivo, facendo riferimento anche a comportamenti dell’interessato che, visti nella loro oggettività, siano frutto di una scelta volontaria o il prodotto di una personalità deviante che sia sfociata in un psicopatologia, riferibili a stati di detenzione precedenti, o addirittura allo stato di libertà.

In presenza di questo elemento soggettivo, l’art. 14 quater O.P., prevede “restrizioni strettamente necessarie per il mantenimento dell’ordine e della

sicurezza, all’esercizio dei diritti dei detenuti e degli internati e alle regole di trattamento previste dall’ordinamento penitenziario”.

Si tratta di restrizioni riguardanti non l’an dei diritti del detenuto, bensì il

quantum: il provvedimento con cui il dipartimento dell’amministrazione

penitenziaria, previo parere del consiglio di disciplina, dispone il regime differenziato per un detenuto, non deve assolutamente incidere sul diritto al trattamento, ma sul modo in cui esso viene attuato, prevedendone l’esercizio secondo modalità diverse.

L’art. 14 quater stila un elenco di situazioni sostanziali che devono comunque essere garantite, imponendo che la modalità particolare di esercizio del diritto al trattamento, non può comunque sacrificare i diritti fondamentali, costituzionalmente garantiti, corrispondenti ai bisogni primari della persona umana: il diritto alla salute, l’igiene, il vitto, il vestiario, il corredo etc… le esigenze più elementari di ogni essere umano.

Il percorso differenziato in commento, cerca di coniugare due componenti fondamentali: da un lato il diritto alla rieducazione, che confluisce nella finalità della pena ex art. 27 co. 3° Cost., dall’altro il regolare svolgimento della vita in istituto, che sottintende anche il diritto degli altri detenuti alla rieducazione, a ricevere insegnamenti di rispetto della persona umana, che in alcuni casi potrebbero essere posti in pericolo da atteggiamenti turbativi dell’ordine e della sicurezza.

In un situazione del genere, l’attività di osservazione e predisposizione di un programma rieducativo, dovrà essere ancora più attenta e adeguata alle personali esigenze del soggetto. La programmazione di un trattamento differenziato dovrà tenere particolarmente conto dei comportamenti che abbiano giustificato un provvedimento restrittivo.

Come si deve comportare il magistrato di sorveglianza, di fronte ad un’istanza di liberazione anticipata presentata da un soggetto sottoposto al regime di cui all’art. 14 bis O.P.? il giudice ha il dovere di esaminare quelli che sono gli elementi fattuali così come condizionati e limitati dal DAP, che, in ogni caso, sono rapportabili ai princìpi a cui si ispira il trattamento penitenziario, per valutare l’adesione dello stesso all’opera rieducativa, solo se l’interessato non abbia soddisfatto i requisiti previsti ex art.103 Reg.es., ovverosia se abbia risposto negativamente alle opportunità offertegli, dovrà rigettare l’istanza. Passando adesso all’analisi dell’altro circuito differenziato introdotto dalla legge Gozzini, esso richiede, come presupposto di applicazione, la sussistenza

di casi eccezionali di rivolta o gravi situazioni di emergenza. Al verificarsi di tale condizione, <<il Ministro della giustizia ha facoltà di sospendere

nell’istituto interessato o in parte di esso l’applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati>>.

Introducendo la novella, e abolendo contestualmente l’art. 90 O.P., la legge di riforma ha voluto porre fine alla situazione creatasi che, in virtù della norma abrogata, aveva portato alla creazione di circuiti carcerari di massima sicurezza i quali, se sicuramente erano giustificati per determinati soggetti pericolosi, non lo erano invece per gli altri, che tuttavia dovevano sopportare restrizioni totali in ordine all’an del trattamento, se così fosse stato deciso dal Ministro della giustizia.

Confrontando infatti il testo dell’ art. 41 bis con quello dell’art.90, si coglie il passo in avanti, la differenza fondamentale in ordine al diritto al trattamento: si è abolito il potere di sospendere il trattamento e gli istituti previsti dall’ordinamento, mantenendo l’autorizzazione a sospendere le sole regole di trattamento. Una differenza non irrilevante, se si tiene conto che, nella versione ex art. 90 O.P., si giustificavano regimi penitenziari più gravosi che trovavano la loro motivazione non nel grado di pericolosità dei soggetti, ma in quella agli stessi attribuita dall’assegnazione all’istituto differenziato102.

Ai sensi dell’art 41 bis O.P., quindi, il Ministro della giustizia può, una volta accertata l’impossibilità oggettiva dello svolgimento in istituto delle regole

                                                                                                                         

ordinarie, sospendere l’applicazione delle regole di trattamento per un periodo strettamente necessario a riportare una situazione di normalità.

Anche qui, come previsto nell’art. 14 bis O.P., il limite al contenuto del provvedimento ministeriale, è dato dai diritti relativi ai bisogni primari; tuttavia non si può escludere che dallo stato di emergenza, solo per il fatto di essere presente in istituto, non derivi un impedimento a ricorrere alle normali attività trattamentali per il detenuto non colpevole di aver provocato la situazione emergenziale. In tali casi, rapportati alla previsione disciplinante l’istituto della liberazione anticipata, la Corte di cassazione, con un orientamento che non può essere condiviso, sostiene che, dovendo la partecipazione all’opera di rieducazione essere valutata concretamente, in relazione alla disponibilità del detenuto nei confronti delle opportunità che gli vengono offerte, nel caso di regime penitenziario differenziato, inserito in carceri di massima sicurezza, l’impossibilità pratica di svolgere attività intellettuale o materiale, l’assenza di rapporti con gli altri detenuti e con la comunità esterna, non possano essere motivazioni per respingere l’istanza di liberazione anticipata. In altre parole, non può essere addebitata al detenuto la mancanza di opportunità, essendo pertanto sufficiente, ai fini della riduzione di pena, la regolare condotta103.

In realtà, se è vero che non si può impedire la fruizione della liberazione di pena, né delle misure alternative, è pur vero che i presupposti per la concessione devono essere soddisfatti ugualmente. Il che, come confermato

                                                                                                                         

dall’orientamento giurisprudenziale maggiormente condiviso, non si risolve certo nella regolare condotta del detenuto, ma nella necessità, per il magistrato di sorveglianza, di sviluppare un’indagine più approfondita al fine di acquisire elementi idonei a dimostrare il soddisfacimento del requisito partecipativo104. Peraltro, un filone giurisprudenziale più sensibile, sottolinea come, nonostante la mancanza di opportunità risocializzanti, certamente può essere utilizzato come criterio di valutazione, la qualità dei rapporti intrattenuti con i compagni di detenzione e con gli operatori penitenziari105.

L’art’41 bis è stato più volte ritoccato, al fine di renderlo ancora più restrittivo, fino a rendere la disciplina speciale, utilizzata spesso tramite la decretazione d’urgenza, negli anni ‘90 come risposta dello Stato alle stragi mafiose, in aperto attacco alle istituzioni, di decretazione da temporanea a definitiva ad opera della legge 23 dicembre 2002, n. 279, che ha modificato gli articoli 4

bis106 e 41 bis in materia di trattamento penitenziario. Tuttavia le restrizioni imposte non devono sacrificare, in concreto, la finalità rieducativa.

La stessa Corte costituzionale, con sentenza 5 dicembre 1997, n. 376, ha ribadito come l’applicazione del regime differenziato non possa comportare la sospensione o la soppressione delle attività di osservazione e trattamento individualizzato, né la preclusione alla partecipazione del detenuto ad attività culturali, ricreative, o di altro genere volte alla rieducazione della personalità

                                                                                                                         

104  Cass.  Sez  I,  5  febbraio  1998,  Sciacca,  in  Cass.pen.  1998,  pag.  1940.  

105  Cass.  sez  I,  24  giugno  1998,n.  3755,  Madonna,  in  Cass.pen.  2000,  pag.  1426.  

106   L’art.   4   bis   rubricato   <<Divieto   di   concessione   dei   benefici   e   accertamento   della   pericolosità  

sociale   dei   condannati   per   taluni   delitti>>,   fu   introdotto   dal   D.l.   13   ,maggio   1991,   n.   151,   recante   provvedimenti  urgenti  in  tema  di  lotta  alla  criminalità  organizzata,  convertito  in  legge  12  luglio  1991,   n.  203.      

che, semmai, dovranno essere riorganizzate per tali detenuti, con modalità idonee ad impedire quei contatti e quei collegamenti che si vogliono evitare tramite il provvedimento. Il potere del Ministro di intervenire sulle regole trattamentali non fa venir meno l’obbligo giuridico per l’amministrazione di approntare un trattamento che corrisponda ai princìpi di umanizzazione e finalità rieducativa della pena.

Il regime restrittivo dell’art. 41 bis O.P., è stato oggetto di vaglio da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo. L’architrave del suo ragionamento, poggia su due importanti premesse: in primis, si afferma che il regime differenziato ha una oggettiva ed effettiva giustificazione di tipo preventivo: considerata la particolare forza espansiva e aggressiva del crimine organizzato. Secondariamente viene ribadito che la norma dell’art. 3 della Convenzione vieta la tortura e i trattamenti disumani e degradanti in modo assoluto. Tanto premesso, si tratta, allora, di verificare se ciò avvenga.

La Corte afferma che le restrizioni inerenti il regime di cui all’art. 41 bis, in se, non costituiscono trattamenti vietati dall’art. 3 Convenzione. E, in astratto, sono proporzionati all’obiettivo di prevenzione avuto di mira. La Corte esamina in particolare il contenuto segregativo del regime, rilevando come esso non sia assoluto e totale e come la collocazione in sezioni separate degli istituti penitenziari nulla aggiunga al contenuto afflittivo della misura, da un lato, e sia giustificato da evidenti ragioni di sicurezza, dall’altro107.

                                                                                                                         

 

Ciò detto, resta da vedere se in concreto l’applicazione del regime di cui all’art. 41 bis comporti una lesione dei diritti fondamentali. In proposito, la Corte utilizza due criteri discriminativi: quello riguardante la condizione del condannato, la cui età, sesso, condizione di salute fisica o psichica può e deve essere valutata, in relazione agli effetti del regime; quello riguardante l’aspetto fondamentale dei contenuti del regime. La Corte rileva altresì la necessità di una valutazione individualizzata degli effetti del regime che si salda, con evidenza, al principio del trattamento individualizzato, il cardine dell’Ordinamento Penitenziario italiano108, ponendo attenzione al profilo della proporzione tra il trattamento restrittivo e la finalità preventiva costituisce la fondamentale regola di giudizio di legittimità del trattamento.

In presenza di una situazione di sospensione delle regole di trattamento ordinario, non è comunque fatto divieto al detenuto di proporre istanza di liberazione anticipata. Peraltro, si deve rendere nota del fatto che fino alla modifica apportata all’art. 4 bis O.P., ad opera della legge n. 356 del 1992, che ha introdotto la locuzione <<esclusa la liberazione anticipata>>, la Corte di Cassazione impediva la possibilità di concedere la liberazione anticipata ai soggetti rientranti nel regime di cui all’art. 41 bis. È sempre interessante notare come, nonostante l’intervenuta modifica, si siano proposti disorientamenti applicativi, che hanno reso necessario l’intervento in chiave nomofilattica della Corte di cassazione. Non mancava, addirittura chi109, riteneva

                                                                                                                         

 

l’introdotto inciso, come una preclusione totale: mai sarebbe dovuta essere concessa la liberazione anticipata per gli autori di determinati reati, sia che avessero collaborato con la giustizia, sia quelli a carico dei quali mancava la prova di un collegamento attuale con la criminalità organizzata o eversiva. La Corte costituzionale investita della questione, ha escluso che la modifica ad opera della legge 356 del 1992 comporti una preclusione; ha invece fatto riferimento ai lavori preparatori e alla documentazione parlamentare osservando come fosse intento del legislatore, in sede di conversione, mitigare il rigore della disciplina prevista dal decreto legge. Sarebbe in controtendenza, inoltre, porre una preclusione così incisiva in una normativa improntata a misure di favore nei confronti dei collaboratori di giustizia. Con tale decisione, la consulta assicura a tutti i condannati, anche a chi non si pente, la possibilità di fruire della riduzione di pena, incidendo, con il proprio comportamento intrinseco, sulla misura della pena. La dottrina più avveduta110, non manca inoltre di sottolineare che la subordinazione a presupposti svincolati dalla rieducazione, in ordine alla fruizione dei benefici penitenziari, non sia proprio corretto sia rispetto all’art. 27 Cost, sia rispetto agli obblighi internazionali che il nostro paese ha sottoscritto, che impongono un regime penitenziario nel quale il trattamento dei detenuti deve avere il fine essenziale il ravvedimento e la riabilitazione sociale111.

                                                                                                                         

110   Cfr.   M.   Margaritelli,   I   limiti   applicativi   alla   liberazione   anticipata   all’esame   della   Corte   costituzionale,  commento  a  sent.  C.cost.  n.  306  del  1992,  in  Giur.cost.  1993  III,  pag  2517.  

Chiusa la parentesi relativa all’art 4 bis O.P., si deve a questo punto vedere sulla base di quali elementi il magistrato di sorveglianza deve operare il giudizio in merito ad un’istanza di liberazione anticipata proveniente da un detenuto sottoposto al regime di cui all’art. 41 bis O.P.. come confermato dalla Corte di cassazione, il giudice deve valutare i ridotti, ma non eliminabili, elementi fattuali relativi alla condotta tenuta all’interno del carcere, ai rapporti con gli operatori, con la comunità carceraria, con i familiari, all’impegno nello studio e così via, non potendo mai comportare il regime di rigore, una esclusione assoluta da ogni attività rieducativa. Il giudice deve trovare elementi da valutare ai fini di comporre il proprio giudizio, giacché, l’impossibilità di pervenire ad una decisione in virtù del fatto che il condannato non abbia avuto la possibilità di partecipare all’opera di rieducazione, potrebbe prospettare un questione di legittimità costituzionale per violazione degli artt. 3 e 27 Cost112.

                                                                                                                         

112Cass.  Sez  I,  23  settembre  1994,  in  Cass.pen.  1995,  con   commento   di   Ferraro,  Sui  rapporti  tra  la   sottoposizione  a  regime  carcerario  speciale  e  la  liberazione  anticipata,  pag  1051  e  ss.  

6. Dinamiche riguardanti la partecipazione all’opera di