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CAPITOLO III Profili processual

2. I soggetti legittimati all’azione

In tema di legittimazione attiva, l’art. 57 O.P., rubricato “ legittimazione alla richiesta di benefici” ,afferma che la richiesta di una riduzione di 45 giorni ogni semestre di pena, può essere avanzata dal condannato, dall’internato e dai prossimi congiunti, o proposta dal consiglio di disciplina.

Tuttavia, attraverso una interpretazione letterale dell’art. 69 bis O.P., che nell’attribuire la competenza al magistrato di sorveglianza parla di istanza di parte, si potrebbe invece arrivare alla conclusione per cui, essendo tecnicamente parti l’interessato, il suo difensore, e il pubblico ministero, sarebbe da escludere ogni legittimazione attiva per i prossimi congiunti ed anche per il consiglio di disciplina; il tutto, peraltro senza una logica giustificazione132.

Si deve, pertanto, ritenere che una lettura adeguata consideri legittimati i soggetti elencati nell’art. 57 O.P..

Con particolare riguardo, poi, alla figura del condannato, tale è colui che sia recluso in forza di una sentenza di condanna definitiva. Le sezioni unite della

                                                                                                                         

131  Vedi  Iovino,  op.cit.  pag.  204.  

Corte di cassazione, con sentenza datata 18 giugno 1991, hanno precisato come si possa parlare di riduzione di pena, in tanto e in quanto sia già iniziato lo status detentionis, e sia in atto un trattamento penitenziario. Pertanto deve ritenersi inammissibile l’istanza presentata dall’imputato in stato di custodia cautelare133.

D’altronde, in virtù del principio di non colpevolezza, espresso nell’art. 27, 2° co. Cost., un soggetto non può essere considerato colpevole se non in base i una sentenza irrevocabile di condanna; solo i quel momento nasce la necessità rieducativa e quindi si può verificare il presupposto relativo alla partecipazione dell’interessato all’opera di rieducazione.

Tale principio, affermato sin dalla nascita della l. 354/1975, è stato mano a mano reso più malleabile dall’opera della giurisprudenza di legittimità, la quale con riferimento a singoli istituti, ha introdotto sempre più eccezioni. Con riguardo ad esempio alla sospensione obbligatoria o facoltativa della pena, del detenuto agli arresti domiciliari nel momento di passaggio in giudicato della sentenza per il periodo che va da tale momento, a quello del trasferimento in istituto penitenziario e così via.

Si trattava, tuttavia, di eccezioni che confermavano l’orientamento della Cassazione, che riteneva conditio sine qua non per la concessione del beneficio, l’aver sofferto almeno un periodo di detenzione.

La Corte costituzionale, investita della questione, con riguardo, nella species, alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 54 O.P., per quanto

                                                                                                                         

concerne la valutazione dei periodi trascorsi in custodia cautelare nella forma degli arresti domiciliari, si è espressa in modo differente.

In detta sentenza, la Corte, nel dichiarare non fondata la questione, ha fatto richiamo al contenuto di meritorietà della misura e alla finalità del reinserimento del condannato propria della stessa, rilevando che identici sono i criteri ed i parametri di valutazione alla cui stregua il giudice deve valutare la condotta dell’interessato ai fini della concessione del beneficio, sia che si tratti di persona in carcere, sia che si tratti invece di persona agli arresti domiciliari. Il libero convincimento, ben si può fondare, infatti, aliunde, reperendo tutti gli elementi utili al di fuori dell’osservazione penitenziaria. Ciò accade già, con riferimento ad esempio, nel caso di affidamento in prova terapeutico, in tema di semilibertà etc., pertanto, mutatis mutandis, il giudice potrà trarre validi elementi di convincimento dall’osservazione extrapenitenziaria anche ai fini della concessione della liberazione anticipata134.

D’altra parte, non è assolutamente dimostrato che in carcere vi siano referenti sicuri ed omogenei per il giudice; la misura e la qualità degli strumenti variano da un istituto e l’altro, non potendosi perciò correttamente affermare che i soggetti ristretti abbiano in concreto identiche possibilità trattamentali; si pensi, alle diverse opportunità di lavoro, ricreative, sportive e culturali che si prospettano in modo differente in qualità e quantità, a seconda della strutturazione e della forza lavoro dei diversi istituti135.

                                                                                                                         

134  Corte  cost.  sent  16  luglio  1992,  n.  352,  con  nota  di  N.  Maiorano,  in  Cass.pen.  1992,  pag.  897.   135  Vedi  Canepa,  Merlo,  Manuale  di  diritto  penitenziario,  Milano,  2010,  pag.  217.  

Il problema è che la stessa Consulta, in altre decisioni si è dimostrata oscillante, riproponendo essa stessa, la tesi dello status detentionis come dato indefettibile per la concessione del beneficio, facendo riferimento al dato formale della norma. Il riferimento va, a titolo di esempio, all’ordinanza 26 gennaio 1990, n. 35, in cui la Corte esclude la possibilità per l’interessato, una volta intervenuta sentenza di condanna irrevocabile, di proporre prima dell’emissione dell’ordine di esecuzione, istanza di liberazione anticipata con riguardo ai periodi già sofferti136.

La dottrina ha proposto una soluzione che potrebbe essere data da un interpretazione dell’art. 656 c.p.p., disciplinante l’istituto della sospensione dell’esecuzione. Viene data la possibilità all’interessato, che sia stato condannato a pena detentiva inferiore a tre anni, quattro nei casi di cui agli artt. 90 e 94 TU Stup., di presentare istanza di concessione di una misura alternativa, evitandogli così, in caso di accoglimento, un minimo contatto col carcere. Così facendo, l’individuazione del condannato avviene già nel momento in cui è emesso l’ordine di esecuzione. Tale definizione dovrebbe rilevare riguardo a tutte le azioni proponibili compresa quindi l’istanza di liberazione anticipata.

                                                                                                                         

L’incertezza della giurisprudenza, è stata risolta dalla legge 9 agosto 2013, n. 94, che ha convertito, con notevoli modificazioni, il decreto legge 1 luglio 2013, n. 78.

Il provvedimento nasce dall’urgente necessità di porre rimedio alla situazione cronica di sovraffollamento carcerario; così tra le altre novelle, si prevede un ulteriore ampliamento dell’operatività del meccanismo sospensivo di cui all’art. 656 co. 5° c.p.p137, che introduce la possibilità di anticipare, al momento di emissione dell’ordine di esecuzione, l’applicazione della liberazione anticipata ex art. 54 O.P.

A tal proposito, il nuovo comma 4 bis art. 656 c.p.p., prevede che il p.m., qualora la pena da scontare rientri nei limiti del co. 5°, e il condannato abbia trascorso dei periodi in custodia cautelare o abbia espiato periodi di pena fungibili in relazione al titolo esecutivo da eseguire, debba sospendere le proprie determinazioni e trasmettere senza ritardo gli atti al magistrato di sorveglianza competente affinché decida in merito alla concessione della riduzione di pena.

Solo dopo, il p.m., emetterà l’ordine di sospensione dell’esecuzione se la pena scenderà sotto la soglia minima prevista dalla norma processuale, emettendo, invece, l’ordine di esecuzione quando la pena da scontare sia soprasoglia.

                                                                                                                         

137   La   stessa   legge   di   conversione,   prevede   che   il   meccanismo   sospensivo,   operi,   non   solo   in  

riferimento  alle  condanne  a  pene  detentive  fino  a  tre  anni  –  quattro  per  i  tossicodipendenti  cui  si   debba   applicare   l’art   90   e   94   TU   Stup.,   ma   anche   nei   casi   previsti   dall’art.   47   ter   co.   1°.   Ossia   nei   confronti  di  donna  incinta,  genitore  di  prole  di  età  inferiore  ai  dici  anni;  persona  in  gravi  condizioni  di   salute;  ultrasessantenne  se  inabile,  anche  parzialmente;  minore  di  anni  ventuno.  

La finalità del provvedimento si sostanzia nell’evitare inutili passaggi in carcere nei confronti di chi potrebbe, poi, essere scarcerato in tempi brevi in seguito ad una pronuncia del magistrato di sorveglianza138.

Passando all’analisi degli altri soggetti legittimati all’azione, nonostante la lettera dell’art. 57 O.P., non richiami il difensore, il tutore o il curatore del condannato infermo di mente, né la proponibilità ex officio dell’azione, è pacifico che tali interessati possano, in concreto avviare il procedimento. Per quanto riguarda quest’ultima ipotesi, la dottrina è concorde nel ritenere che ciò non sacrifichi il principio accusatorio per cui ne procedat iudex ex

officio, essendo il magistrato di sorveglianza il difensore della funzione

rieducativa139.

Con riguardo ai rapporti tra condannato ed altri soggetti legittimati, mentre per quanto riguarda le misure alterative, si ritiene pacificamente che il primo sia il dominus dell’azione, a cui spetta scegliere se chiedere una misura alternativa o rimanere in regime di detenzione ordinaria, anche perché queste comportano degli obblighi di fare, nel caso della liberazione anticipata così non è. Infatti in quest’ultimo caso, viene in gioco un vero e proprio diritto a riacquistare la libertà piena ed incondizionata; un libertà che essendo irrinunciabile, deve essere accettata dal condannato anche se la proposta sia stata avanzata da altri.

                                                                                                                         

138   Vedi   A.Della   Bella,   Convertito   in   legge   il     ‘decreto   carceri’   78/2013:   un   primo   timido   passo   per   sconfiggere  il  sovraffollamento,  in  www.dirittopenalecontemporaneo.it    

139   Cfr.   Filippi,   Spangher,   Manuale   dell’esecuzione   penitenziaria,   annotato   con   la   giurisprudenza,  

Il condannato potrebbe comunque decidere di rinunciare momentaneamente all’abbuono, ritendendo la maggiore opportunità di richiederlo in ltro momento. Tuttavia, stante la non obbligatorietà di comunicazione dell’istanza al condannato, quando questa sia stata proposta da altri, egli potrà esercitare tale facoltà solo in sede di eventuale reclamo davanti al tribunale. Chiaramente, stante il limite sovraindicato, se il reclamo non può avere ad oggetto pronunce favorevoli, potrà comunque essere rivolto verso quelle di rigetto, totale o parziale, al fine di ottenere la revoca, con il vantaggio di poter avanzare istanza in altro momento, magari di fronte ad altro giudice.

In ordine alle modalità di presentazione della richiesta, si deve distinguere tra condannato detenuto e condannato libero.

Nel primo caso l’istanza può essere presentata tramite il direttore dell’istituto che funge da intermediario.

Nel secondo caso si profilano diverse ipotesi: l’affidato in prova al servizio sociale può rivolgersi al centro di servizio sociale; il condannato in detenzione domiciliare, può proporre istanza per mezzo dell’organo di polizia deputato alla vigilanza; nel caso di sospensione dell’esecuzione, il condannato o il suo difensore dovranno rivolgersi al pubblico ministero competente, che trasmette la richiesta al magistrato di sorveglianza.

L’art. 677 c.p.p., al comma 2 bis, impone, ai fini dell’ammissibilità della richiesta, al condannato non detenuto di dichiarare o eleggere domicilio. Essendo tale dichiarazione un atto strettamente personale, ai fini della validità

deve provenire direttamente dall’interessato o da un avvocato munito di apposita procura.

La Corte di cassazione, ha tuttavia, precisato che ai fini della idoneità della dell’istanza sottoscritta e presentata dal difensore in cui è indicato l’indirizzo anagrafico o il domicilio eletto dell’interessato, è necessario che, anche senza particolari formalità, venga espressa con chiarezza la volontà che il luogo indicato venga considerato come quello in cui egli desidera vengano fatte le comunicazioni o notificazioni a lui destinate140.

La stessa Cassazione, in altra pronuncia, ha peraltro ritenuto assolto l’obbligo imposto dalla legge anche se il condannato abbia inserito l’indicazione della propria residenza nel contesto della dichiarazione di nomina del difensore di fiducia, in quanto tale atto renderebbe inequivocabilmente conoscibile da parte dell’autorità giudiziaria il luogo in cui avrebbero potuto essere indirizzati gli atti del procedimento. Questo è ritenuto l’orientamento da privilegiare da parte della dottrina.

L’obbligo imposto dall’art. 677, comma 2 bis c.p.p., risponde, in primis all’esigenza di disporre di un luogo certo e legalmente idoneo ai fini delle notificazioni e comunicazioni degli atti procedurale, secondariamente è da ricondurre all’opportunità, ritenuta dal legislatore meritevole di apprezzamento, di responsabilizzare il condannato nei confronti di un procedimento riguardante, spesso, una misura alternativa che mette alla prova la volontà dell’interessato di collaborare con gli organi giudiziari, dimostrando

                                                                                                                         

anche qui l’intenzione di reinserirsi nella società. Adottando questa prospettiva, si spiegherebbe anche perché, la norma in esame prenda in considerazione solo il procedimento dinanzi alla magistratura di sorveglianza, e non sia invece estesa alla generalità dei procedimenti penali141.

3. Oggetto e modalità di assunzione della prova relativa alla