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La privazione della libertà personale valutabile ai fini dell’art 54 O.P.

Analisi della fattispecie

2. La privazione della libertà personale valutabile ai fini dell’art 54 O.P.

La misura della liberazione anticipata può essere disposta solo in relazione a detenzione subìta per la pena che il condannato sta attualmente espiando. Ai fini della concessione, è valutabile, quindi, la pena scontata, rientrante nel calcolo della condanna/e a pena detentiva in espiazione.

Nella formulazione originaria dell’art. 54 O.P., l’abbuono era concesso facendo riferimento solo al periodo di pena scontata in una struttura penitenziaria; nel momento in cui sono state previste misure alternative alla detenzione, più genericamente è divenuta valutabile la pena utilmente scontata ai fini dell’esecuzione.

Per pena scontata si intende quella che il magistrato del pubblico ministero competente attribuisce nell’ordine di esecuzione, che emette sulla scorta degli estratti esecutivi, previo cumulo materiale o giuridico, quella rientrante nel

                                                                                                                         

60  Corte  Cost.,  8  luglio  1993,  n.  306,  in  Giur.cost.  1993,  II,  pag.  2511,  con  nota  di  Margaritelli,  i  limiti   applicativi  della  liberazione  anticipata  all’esame  della  Corte  Costituzionale.  

computo dei periodi di tempo da ritenersi già scontati, quella risultante da una o più condanne, inflitte con una o più sentenze, secondo il principio per cui, quando nei confronti di uno stesso soggetto sono in esecuzione pene diverse, anche se non è intervenuto un provvedimento formale di cumulo di sentenze, si procede come se fosse un’unica pena. La Corte di Cassazione ha precisato che, qualora sia richiesta la concessione della riduzione di pena anche in riferimento a periodi di detenzione sofferti in stato di custodia cautelare, e ritenuto fungibile con pena inflitta per altra condanna, ma compreso in un’unica pena, in forza dell’applicazione della disciplina sul reato continuato, tale periodo deve essere valutato ai fini del beneficio, in quanto siamo in presenza di un titolo esecutivo unico, all’interno del quale riprendono vigore, ai fini del favor rei, anche le pene già espiate che siano state incluse.61

Per pena detentiva si intende quelle dell’arresto e della reclusione, rientrandovi anche i periodi trascorsi in permesso di necessità ex art. 30 O.P., permesso premio ex art. 30bis O.P., in quanto ritenuti come modalità di esecuzione; se il magistrato di sorveglianza ritiene poi che il condannato durante il permesso non si sia dimostrato meritevole del beneficio, può, al pari di quanto concerne per mancata risposta positiva al percorso trattamentale nei sei mesi di riferimento, escludere il periodo trascorso in permesso dal computo, non dovendo per questo, necessariamente dichiarare la non computabilità dell’intero periodo trascorso, ma possa dichiararla anche per una parte. Il provvedimento che il giudice di sorveglianza deve utilizzare è il

                                                                                                                         

decreto motivato avverso il quale è proponibile impugnazione dinnanzi al tribunale di sorveglianza.

Viene computato, ai fini della liberazione anticipata, anche il periodo trascorso in ospedali civili o in altri luoghi di cura etc… e ciò a prescindere dalle decisioni del magistrato di sorveglianza in materia di piantonamento.

La Cassazione ha puntualizzato che il ricovero per l’ accertamento delle condizioni psichiche del condannato si detrae dalla pena inflitta in quanto considerato a tutti gli effetti custodia in carcere62.

In materia di effetti delle sentenze penali straniere sull’esecuzione, l’art. 738 c.p.p., afferma che nei casi di riconoscimento, la pena espiata nello stato di condanna è computata ai fini dell’esecuzione; in virtù del principio per cui l’esecuzione di una condanna inflitta da una sentenza straniera riconosciuta importa l’obbligo di applicare le regole di trattamento in modo da evitare che esso sia deteriore rispetto a quello che gli sarebbe spettato in base alla normativa straniera, deve detrarsi dalla pena inflitta il tempo concesso come liberazione anticipata dall’autorità giudiziaria straniera.

È chiaro che lo stesso beneficio non possa essere concesso due volte, il principio sta a significare che si deve applicare la legge più favorevole.

Ancora, in base al principio di fungibilità previsto dall’art. 657, 3°co. c.p.p., rientra nella pena espiata quella detentiva espiata sine titulo per un reato diverso da quello in corso di esecuzione, nella misura attribuita dal magistrato del pubblico ministero nella definizione di pena da espiare.

                                                                                                                         

La legge 663 del 1987, ha ampliato il raggio di applicazione dell’istituto della liberazione anticipata, prevedendo che << a tal fine è valutato anche il periodo trascorso in stato di custodia cautelare >>. Prima dell’intervento della legge Gozzini, accanto a parte della dottrina e magistratura di merito, che pacificamente ammettevano la valutabilità dello stato di custodia cautelare, in virtù del principio per cui la carcerazione sofferta prima che la sentenza sia divenuta irrevocabile è detratta dalla durata complessiva della pena detentiva temporanea o dall’ammontare della pena pecuniaria, ex art. 137 c.p., l’indirizzo prevalente della giurisprudenza della Cassazione, sosteneva la tesi opposta, argomentando che la misura alternativa della liberazione anticipata postulasse l’osservazione e il trattamento previsti però solo a favore dei condannati ed internati. Questo diverso orientamento si giustificava sulla base dell’assunto per cui, in virtù ad un giudizio di condanna definitivo si può parlare di espiazione di pena e di conseguente necessità dell’attività rieducativa, mentre nel caso di sola imputazione non può discendere analoga presunzione. Con lo stesso provvedimento di riforma il legislatore ha incluso ai fini del computo della pena scontata, la detenzione domiciliare, sul presupposto che, anche i soggetti sottoposti a tali forme di limitazione della libertà, sia pure al di fuori del circuito penitenziario, e quindi dello schema osservazione – trattamento – partecipazione, possono adeguarsi a corretti modelli comportamentali. L’interesse a favorire questi tipi di comportamento è stato ritenuto motivo per estendere alla detenzione domiciliare e agli arresti

domiciliari l’istituto della liberazione anticipata. Il ragionamento del legislatore, non è stato condiviso inizialmente né da dottrina né da giurisprudenza. Parte della dottrina ha sottolineato come, in detenzione domiciliare non sia possibile valutare il comportamento del condannato, per cui la misura, al massimo può assumere valore umanitario, ma non trattamentale.63

La corte di cassazione, dal canto suo, ha ritenuto non assimilabili i due istituti degli arresti domiciliari, ritenuti come una modalità di esecuzione della custodia cautelare, quindi valutabili, e della detenzione domiciliare, non ritenuta valutabile in quanto mancherebbero i mezzi di controllo e di valutazione della partecipazione all’opera di rieducazione64.

La disposizione è stata oggetto anche di legittimità costituzionale contro l’art. 27 3° co. Cost, sul presupposto che una previsione del genere configuri una sorta di indulto automatico e permanente che vanifica la finalità dell’istituto. La corte costituzionale, dichiarando non fondata la questione, ha affermato che la riduzione di pena si giustifica come riconoscimento della partecipazione all’azione rieducativa, anche se attuata al di fuori del circuito penitenziario; affermando che i criteri di valutazione che il giudice deve utilizzare devono essere gli stessi che si tratti di esecuzione carceraria o domiciliare65.

                                                                                                                         

63   Vedi   E.   Fassone,   T.   Basile,   G.   tuccillo,   La   riforma   penitenziaria,   commento   teorico   e   pratico   alla   legge  663/1986,  Napoli,  1987,  pag.  77.  

64  Cass.,  Sez  I,  16  febbraio  1990,  in  Cass.pen  1991,  pag.  821.  

In ossequio a tale indirizzo giurisprudenziale, l’attenzione si deve spostare sull’adesione del soggetto alle manifestazioni sintomatiche della volontà di reinserimento sociale quali attività lavorative, istruttive, familiari, sportive etc.., non essendovi motivo per trattare con sfavore colui che in libertà spontaneamente si adegua ad un modus vivendi corretto. Non è mai stato però compiuto il passo logico successivo, e cioè ammettere l’estensione della misura ai casi di libertà vigilata applicata in seguito alla concessione della liberazione condizionale.66

Per quanto riguarda la computabilità del periodo in semilibertà o semidetenzione ai fini della riduzione di pena, ad un primo orientamento della Cassazione che la escludeva, motivando come la liberazione anticipata, essendo connessa strettamente alla sola esecuzione di pena scontata in regime ordinario dovesse essere preclusa a chi fosse già ammesso alla semilibertà, se ne oppone un altro oggi divenuto comune principio interpretativo. La semilibertà secondo tale orientamento costituisce una modalità di esecuzione della pena detentiva, pertanto, in assenza di una deroga, non è in contrasto con il beneficio in esame.67 Dello status di semilibero, quello che rileva sono le ore trascorse in carcere, con il relativo obbligo di sottostare al progetto trattamentale. Lo stesso vale per il regime di semidetenzione, che presenta analogie tali con la semilibertà da poter trasporre i ragionamenti della

                                                                                                                         

66  Vedi  F.Fiorentin,  Appunti  sulla  nuova  disciplina  della  liberazione  anticipata,  cit,  c.  167.   67  Vedi  ad  es.    Cass.  Sez  I,  30  aprile  1993,  Manzo,  in  Cass.pen.  1994,  pag.  1949.  

giurisprudenza anche in tale sede, stante anche la sussistenza di un rapporto, seppur limitato, con il carcere.

La legge 19 dicembre 2002, n. 277, ha introdotto la possibilità di computare, ai fini della riduzione di pena, il periodo trascorso in affidamento in prova ai servizi sociali. Così il legislatore ha posto fine ad un’annosa questione giurisprudenziale che si protraeva da anni. Da una parte vi era chi escludeva ciò in virtù di una visione tradizionale del rapporto carcere - benefici tale per cui la concessione del beneficio richiederebbe uno stato di effettiva detenzione in istituto, cosa che manca assolutamente nel caso dell’affidato in prova; inoltre, esso richiede come conditio sine qua non la partecipazione al progetto rieducativo del condannato da valutarsi sulla base dei risultati acquisiti nel corso del trattamento carcerario.

Col mutamento della sensibilità giuridica in tema di misure alternative, e lo sviluppo di una visione del carcere come extrema ratio, è divenuto prevalente un orientamento opposto che si può sintetizzare esaminando brevemente tre decisioni della Corte costituzionale che hanno portato a dichiarare l’illegittimità dell’art. 47 co. 11° O.P., nella parte in cui non si consentiva di computare il periodo trascorso in affidamento in prova ai servizi sociali qualora fosse intervenuto un provvedimento di annullamento della misura per causa non dipendente dall’esito della prova o per comportamento incompatibile con la sua prosecuzione.

Con sentenza 12 giugno 1985, n. 185, la Corte motiva che, in caso di annullamento del provvedimento di concessione dell’affidamento, deve comunque considerarsi pena espiata il periodo di tempo trascorso in misura, in quanto, altrimenti, si trasformerebbe in una misura aggiuntiva alla detenzione non legittimata da alcun provvedimento di condanna.68

Nella successiva sentenza 6 dicembre 1985, n. 312, la stessa Corte ha assimilato annullamento del provvedimento di concessione con la revoca per motivi non dipendenti dall’esito della prova; infine con sentenza 29 ottobre 1987, n. 343, si è affermato che, in caso di revoca per comportamento non compatibile con l’affidamento, il periodo trascorso deve essere computato ai fini della concessione della liberazione anticipata, tenuto conto anche della gravità oggettiva e soggettiva di tale comportamento, oltre che del periodo di prova trascorso e del rispetto da parte del condannato, delle prescrizioni imposte.

Secondo l’impostazione del mutato orientamento, l’affidamento in prova ai servizi sociali, non è una misura alternativa alla pena, ma è essa stessa una pena, alternativa alla detenzione, ma che comunque comporta una limitazione della libertà, non annullando il carattere sanzionatorio del trattamento prescelto, ma solo l’afflittività.

La riforma del 2002 ha abbracciato la tesi estensiva, introducendo il comma 12 bis all’art. 47 O.P. il legislatore, i tale disposizione, ha recuperato la locuzione <<<può essere concessa>>, che aveva eliminato all’art. 54 con

                                                                                                                         

legge Gozzini, introducendo cioè un obbligo per il giudice di concedere in presenza dei presupposti, e il correlativo diritto per il condannato di avere il premio. In realtà, secondo i più si tratta di una svista, anche se manca chi sostiene il contrario, recuperando un margine di discrezionalità del giudice nella valutazione sulla concedibilità o meno del beneficio all’affidato69.

Peraltro trattasi dell’unico caso in cui è espressamente riconosciuto al magistrato di sorveglianza il potere di dare un giudizio anticipato sul valore di pena scontata del periodo in corso di affidamento in prova.

In ragione della comune natura, la disposizione consente di estendere la previsione ai periodi trascorsi in affidamento terapeutico ex art. 94 T.U. in materia di Stupefacenti e sostanze psicotrope, visto, in particolare il rapporto

genus – species, che caratterizza i due istituti, tale per cui mentre noni si

possono estendere le disposizioni eccezionali in malam partem, ciò è possibile in caso di norme favorevoli.70

Resta da esaminare la concedibiltà del beneficio della liberazione anticipata a chi è sottoposto a liberazione condizionale, al soggetto in libertà controllata ed, infine, al caso di sospensione condizionata della pena.

Con riferimento al primo caso, i contrasti giurisprudenziali in merito alla possibilità di estendere il beneficio ai soggetti in libertà condizionale, non sono stati sopiti dal legislatore, che con la riforma del 2002, ha perso

                                                                                                                         

69  Per  tale  tesi  vedi  F.Fiorentin,  Appunti  sulla  nuova  liberazione  anticipata,  cit,  pag  172.  In  particolare  

si  sottolinea  come  il  recupero  di  un  margine  di  discrezionalità  da  parte  del  giudice  nella  concessione   della  liberazione  anticipata,  non  sia  bilanciato  con  la  previsione  della  monocraticità  e  dell’assenza  di   contraddittorio  tra  le  parti  ex  art.  69  bis  O.P.  

occasione per pronunciarsi sulla rilevanza in generale dei periodi trascorsi in misure che importano limitazioni della libertà e/o controlli, ma che possono essere comunque riconosciuti dal giudice come regimi detentivi. Non potendo il legislatore ignorare l’analogia tra affidamento in prova e liberazione condizionale appare corretto ritenere che l’omissione equivalga a negazione del diritto alla liberazione anticipata sui tempi e nel corso della libertà vigilata. Analogo problema si pone con riferimento al soggetto in libertà controllata; in questo caso, però, il legislatore ha parificato questo istituto alla pena detentiva della specie corrispondente a quella sostituita, prevedendone anche le conseguenze per qualsiasi effetto giuridico71. Pertanto, è da ritenersi utilizzabile ai fini della liberazione anticipata il periodo di tempo trascorso in libertà controllata, computato come pena detentiva espiata, ai fini dell’esecuzione.

Per quanto riguarda, infine l’istituto della sospensione condizionata della pena, anche qui vi sono prescrizioni che il giudice deve dettare, le quali comportano un a limitazione della libertà personale. Anche qui, ritenere inutile, in caso di revoca, il tempo trascorso in libertà, significherebbe aggiungere un surplus alla pena prevista, senza una sentenza di condanna che ne legittimi i presupposti. Pertanto, similmente a quanto previsto per l’affidamento in prova, il giudice, nel caso di revoca, dovrà tenere conto del comportamento del soggetto e delle limitazioni patìte durante la sospensione, per determinare il residuo di pena da scontare. Ritenere la sospensione condizionata della pena

                                                                                                                         

una misura comunque detentiva, significa applicare l’art. 54 O.P. La tesi prevalente è tuttavia quella contraria, che si basa sulla mancata identità di

ratio tra affidamento in prova e sospensione condizionata, facendo poi leva sul

principio ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit.

3. Il semestre di pena scontata: unità di misura per la