• Non ci sono risultati.

La Sentenza n 63 del 2016 tra principio personalista ed abuso della potestà legislativa: un’occasione mancata?

LIBERTA’ RELIGIOSA INDIVIDUALE E COLLETTIVA

2.4 La Sentenza n 63 del 2016 tra principio personalista ed abuso della potestà legislativa: un’occasione mancata?

Tra le Regioni che si sono dimostrate più refrattarie ad adeguare la propria normativa interna ai principi espressi dalla Corte Costituzionale nelle pronunce già richiamate, la Lombardia è certamente quella che ha fornito al giudice delle leggi maggiori opportunità di chiarire quali siano i limiti imposti dalla Carta Fondamentale alla disciplina del fenomeno religioso per mezzo della legislazione, tanto con riguardo ai principi di cui agli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione, quanto per ciò che attiene alle modalità in cui, in concreto, debba operare il principio di ripartizione delle competenze Stato-Regioni in ambito legislativo. La sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 2016, giudizio di legittimità costituzionale che coinvolge alcuni articoli della nuova Legge Regionale lombarda sul governo del territorio, risulta di massima importanza per comprendere l’orientamento della Corte in merito alle questioni della soggettività giuridica delle confessioni religiose, del concreto funzionamento del principio di libero esercizio del culto pubblico e dei criteri di allocazione degli spazi e delle risorse utili alla costruzione di edifici deputati a tale scopo.

Tale pronuncia si inserisce a pieno titolo nel filone giurisprudenziale che prende le mosse dalla sentenza n. 195 del 1993 rappresentandone al contempo l’apice e l’epilogo.

55

La Legge Regionale Lombardia n. 12 del 2005 sul governo del territorio, come modificata dall’art. 1, comma 1, lettere b) e c), della Legge Regionale 3 febbraio 2015, n. 298, è stata oggetto di censura da parte

del Governo, per tramite della Presidenza del consiglio dei ministri99,

la quale ha promosso per via d’azione100 il giudizio di legittimità

costituzionale con riguardo agli artt. 70, commi 2, 2-bis, 2-ter , 2- quater, e 72, commi 4, 5 e 7, lettere e) e g).

L’art. 70 della richiamata Legge Regionale n. 12 del 2005 prevedeva, prima delle modifiche operate nel 2015, un unico requisito sostanziale per le confessioni religiose che avessero desiderato accedere ai finanziamenti pubblici e alla concessione delle aree destinate alla costruzione di nuovi edifici di culto, ovvero che le stesse fossero effettivamente «come tali qualificabili in base a criteri desumibili dall’ordinamento», avessero «una presenza diffusa, organizzata e stabile nell’ambito del comune ove siano effettuati gli interventi» ed i cui statuti esprimessero «il carattere religioso delle loro finalità istituzionali, previa stipulazione di convenzione tra il comune e le confessioni interessate»101.

La formulazione dell’art. 70 in vigore fino al 2015, sebbene avesse già destato più di qualche preoccupazione in dottrina102, non era stata

98 L. R. Lombardia n.2 del 27 Gennaio 2015, pubblicata in BURL n. 6, supplemento del

5 febbraio 2015, ed entrata in vigore il giorno successivo.

99 Il Consiglio dei Ministri n.53 del Maggio 2015 conferì, con delibera, mandato

formale alla Presidenza di promuovere l’azione presso la Corte Costituzionale.

100 Cfr. il combinato disposto dell’art. 127 Cost con gli art. 31 ss. della L. 87/1953 Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte Costituzionale.

101 Corte Costituzionale, Sent. n. 63/2016, ritenuto in fatto, par. 1.1.1, secondo

capoverso.

102 G. Casuscelli, La nuova legge regionale lombarda sull’edilizia di culto: di male in peggio, in Stato, Chiese e Pluralismo Confessionale, rivista telematica

(www.statochiese.it), n. 14/2015, p. 2 <<la […] legge regionale n. 12 del 2005, presentava anch’essa numerosi e manifesti profili di illegittimità costituzionale, ma il governo del tempo non ne aveva deliberato l’impugnativa>>.

56

precedentemente oggetto di alcuna censura giurisprudenziale103,

mentre pesanti critiche furono rivolte dal Governo alle novità successivamente introdotte. Tali innovazioni introdussero ulteriori requisiti, senza il possesso dei quali le confessioni non sarebbero state ammesse al godimento dei benefici promessi dalla legge: mentre da un lato veniva realizzata la piena equiparazione tra la Chiesa Cattolica e le confessioni con intesa, dall’altro si andavano aggiungendo pesanti gravami per le confessioni sprovviste di intesa al fine di rendere loro particolarmente difficoltoso il conseguimento dei medesimi benefici. Veniva infatti richiesto che tali confessioni mantenessero una «presenza diffusa, organizzata e consistente a livello territoriale» e «un significativo insediamento nell’ambito del comune nel quale vengono effettuati gli interventi»104, nonché «statuti che esprimano il

carattere religioso degli enti stessi» e «il rispetto dei principi e dei valori della Costituzione»105 (art. 70, comma 2-bis, lettera b). Tali

requisiti, secondo il disposto della novella, avrebbero dovuto essere valutati da un’apposita consulta regionale, con il compito di rilasciare un parere obbligatorio - ma non vincolante - per i comuni.

Il quadro si fa ancora più complesso volendo considerare le misure introdotte dalla nuova Legge in un’ottica di insieme, che rende di particolare evidenza la gravità delle violazioni costituzionali che la normativa evidenziata poneva in essere tanto che «ogni sintesi» avrebbe potuto «tralasciare od oscurare disposizioni e frammenti di disposizione che concorrono alla trama delle singole illegittimità come pure di quella complessiva»106.

103 Corte Costituzionale, Sent. n. 63/2016, ritenuto in fatto, par. 2.2.2, primo

capoverso.

104 L.R Lombardia n. 12/2005, art.70 c.2bis lett. A), testo in vigore fino al 30 Marzo

2016.

105 Ibidem, art. 70 c.2bis lett. B). 106 G. Casuscelli, cit., p. 2.

57

Anzitutto la Legge in esame richiede l’espletamento di una serie di attività preliminari obbligatorie particolarmente gravose: sul piano della programmazione urbanistica, la Legge Regionale n. 2 del 2015 introduce lo strumento del Piano per le Attrezzature Religiose (PAR), concepito come un allegato al Piano dei Servizi, a sua volta facente parte del Piano di Governo del Territorio, che sostituisce - e in parte amplia - i contenuti del Piano Regolatore Generale già previsto dalla Legge Urbanistica Nazionale del 1942. Il Piano per le Attrezzature Religiose, conseguita l’approvazione della Giunta e del Consiglio Regionale, deve anche essere sottoposto ad una rigorosa procedura di valutazione ambientale. Sotto il profilo contenutistico, il Piano doveva contemplare i seguenti elementi: «la presenza di strade di collegamento adeguatamente dimensionate o, se assenti o inadeguate, l’esecuzione o l’adeguamento con onere a carico dei richiedenti; b) la presenza di adeguate opere di urbanizzazione primaria o, se assenti o inadeguate, l’esecuzione o l’adeguamento con onere a carico dei richiedenti; c) distanze adeguate tra le aree e gli edifici da destinare alle diverse confessioni religiose […]; d) uno spazio da destinare a parcheggio pubblico in misura non inferiore al 200 per cento della superficie lorda di pavimento dell’edificio da destinare a luogo di culto […]; e) la realizzazione di un impianto di videosorveglianza esterno all’edificio, con onere a carico dei richiedenti, che ne monitori ogni punto di ingresso, collegato con gli uffici della polizia locale o forze dell’ordine; f) la realizzazione di adeguati servizi igienici, nonché l’accessibilità alle strutture anche da parte di disabili; g) la congruità architettonica e dimensionale degli edifici di culto previsti con le caratteristiche generali e peculiari del

58

paesaggio lombardo, così come individuate nel Piano Territoriale Regionale (PTR)»107.

Come si è osservato da più parti in dottrina, non soltanto le singole disposizioni, puntualmente analizzate, sembrano viziate da evidente incostituzionalità, ma il quadro complessivo degli oneri che si veniva a delineare in capo alle confessioni sembra più limitativo della libertà di culto nel suo insieme che non la somma delle sue singole disposizioni108.

La Corte, come è noto, ha accolto soltanto due degli otto motivi di ricorso promossi dal governo, salvando molti aspetti della normativa impugnata. Dopo aver ricordato che l’ordinamento italiano si informa al principio di laicità, intesa non nel senso di indifferenza nei confronti del fatto religioso ma piuttosto di salvaguardia del diritto di libertà religiosa, la Corte precisa che «la libertà di religione è oggetto di tutela da parte dell’ordinamento in quanto rappresenta un aspetto della dignità della persona umana, riconosciuta e garantita dall’art. 2 della Costituzione»109. Anche in questo caso, quindi, la Consulta tende a

rimarcare la centralità del diritto di libertà religiosa intesa in senso individuale, affermando con estrema chiarezza quanto già detto in precedenza: la stipulazione dell’intesa con lo Stato non può mai

107 L.R Lombardia n. 12/2005, art. 72, c.7, come modificato ex L. R Lombardia n.

2/2005, art.1; riportato e commentato in G. Casuscelli, cit., p. 3

108 Ivi, pp.3 e 13, nella quale si sottolinea che <<Tutte le disposizioni risultano infatti

connesse, e tutte sono avvinte da un inscindibile rapporto strumentale con quelle direttamente incostituzionali che rende palese la complessiva, manifesta irragionevolezza e arbitrarietà>>; cfr. anche G. Anello, La legge cd. “anti-moschee”

della Regione Lombardia e la memoria (corta) del legislatore. Alcuni moniti a tutela della libertà religiosa, in “Confronti costituzionali” del 18 febbraio 2015

(http://www.confronticostituzionali.eu/?p=1394), p. 3; F. Oliosi, La Corte

Costituzionale e la legge regionale lombarda: cronaca di una morte annunciata o di un'opportunità mancata? in Stato, Chiese e pluralismo confessionale rivista

telematica (www.statoechiese.it), n. 3/2016, pp. 20-22.

109 Corte Costituzionale, Sent. n. 63/2016, considerato in diritto, par. 4.1, primo

59

pregiudicare l’esercizio di una tale libertà. Il ruolo delle intese deve semmai essere quello di puntare al «soddisfacimento di «esigenze specifiche di ciascuna delle confessioni religiose (sentenza n. 235 del 1997), ovvero a concedere loro particolari vantaggi o eventualmente a imporre loro particolari limitazioni (sentenza n. 59 del 1958), ovvero ancora a dare rilevanza, nell’ordinamento, a specifici atti propri della confessione religiosa» (sentenza n. 52 del 2016)»110.

Su questa base, la sentenza dichiara l’illegittimità anche di quella disposizione, già richiamata, che ammetteva ai benefici previsti per la costruzione di nuovi edifici di culto soltanto le confessioni che vantassero una presenza diffusa a livello territoriale ed un insediamento significativo nell’ambito del comune nel quale venivano effettuati gli interventi111. Viene infatti palesato dalla Corte, ancora

una volta, il seguente principio: la libertà religiosa è, prima facie, un diritto dell’individuo. Questo diritto è strettamente correlato alla libertà di culto, che si estrinseca, tra le altre cose, nella possibilità di disporre di luoghi idonei alla pratica religiosa. Tutti gli individui, nel sistema democratico italiano, sono in egual misura titolari di un tale diritto, senza che lo Stato abbia alcuna facoltà di verificare la rispondenza della fede personale a criteri di ordine qualitativo o quantitativo.112 L’art. 19 della Costituzione, infatti, non si rivolge in

prima battuta alle organizzazioni religiose, ma introduce nell’ordinamento un diritto proprio dei cittadini individualmente intesi: ciascuno di loro ha piena facoltà di «professare la propria fede

110 Ibidem, considerato in diritto, par. 4.1, secondo capoverso. 111 Cfr. nota 41, p. 21.

112 Corte Costituzionale, Sent. n. 63/2016, considerato in diritto, par. 4.1, terzo

60

in forma individuale o associata così come di esercitarne il culto «in pubblico o in privato»113.

L’eguaglianza effettiva dei singoli nel godimento della libertà di culto si estende, in via derivativa, anche alle confessioni114, ma ciò non

implica, come già più volte affermato, che stante l’esiguità delle risorse a disposizione le Regioni ed i Comuni non debbano provvedere a valutare, sulla base del dato quantitativo che si nasconde sotto le etichette della “diffusione e presenza sul territorio” e delle “esigenze di culto della popolazione”, quali di esse debbano essere preferite nella spartizione dei terreni e delle risorse disponibili. Ancora una volta la Corte sceglie di applicare il principio utilitarista, coerentemente con i precedenti già oggetto della nostra trattazione. Resta salvo, tuttavia, un importante profilo di criticità insito nella eccessiva vaghezza di tale principio: non è possibile applicare alcun criterio oggettivo nel valutare quali siano le effettive “esigenze di culto” della popolazione. Non ci si deve illudere, infatti, che tali considerazioni possano, all’atto pratico, essere oggetto di mera discrezionalità tecnica, come per altro verso suggerirebbe il tenore letterale della sentenza115. Il principio

utilitarista espresso dalla Corte non è di pronta applicazione ma necessita di essere più nettamente definito nella prassi, stanti soprattutto le difficoltà naturalmente insite nel dover quantificare con un sufficiente grado di certezza quale sia il minor danno nel negare la

113 Ivi, considerato in diritto, par. 4.2, primo capoverso; cit. art. 19 cost.

114 Ibidem, considerato in diritto, par. 4.2, secondo capoverso, cit. Corte Cost., Sent. 346/2002.

115 Ibidem, considerato in diritto, par. 4.2, terzo capoverso: «come è naturale

allorché si distribuiscano utilità limitate, quali le sovvenzioni pubbliche o la facoltà di consumare suolo, si dovranno valutare tutti i pertinenti interessi pubblici e si dovrà dare adeguato rilievo all’entità della presenza sul territorio dell’una o dell’altra confessione, alla rispettiva consistenza e incidenza sociale e alle esigenze di culto riscontrate nella popolazione».

61

costruzione di una sala di culto ad una data confessione piuttosto che ad un’altra.

Nel risolvere il primo e più stringente dei quesiti a lei rivolti, la Corte rimarca quale sia l’esatto limes che segna il passaggio dal diritto di legiferare in materia di edilizia di culto, riconosciuto alle Regioni dall’art. 117 della Costituzione, all’abuso di tale diritto: il confine è delineato in via teleologica, in base alla considerazione per cui la Regione è titolata a legiferare in ambiti relativi all’edilizia di culto al solo fine di garantire «l’esigenza di assicurare uno sviluppo equilibrato ed armonico dei centri abitativi e nella realizzazione dei servizi di interesse pubblico nella loro più ampia accezione»116. Le Regioni,

dunque, non possono eccedere la ratio che ha portato il costituente ad attribuire loro la potestà normativa in questa specifica materia. Qualora le disposizioni in concreto promulgate da una Regione introducessero norme volte a produrre nuovi ambiti di discriminazione nell’esercizio del diritto di culto, non vi sarebbe alcun dubbio circa l’avvenuto superamento del limite dato dalle finalità urbanistiche giustificanti l’intervento legislativo regionale117.

La Corte, nell’analisi dei motivi di impugnazione riguardanti l’art. 72 cc. 4 e 7 lett. e) della Legge Regionale n. 12 del 2005, fornisce un ulteriore spunto di riflessione: per quanto attiene alla prima disposizione richiamata, l’argumentum disputandi riguardava la legittimità costituzionale della previsione normativa per la quale vi era l’obbligo di acquisire «i pareri di organizzazioni, comitati di cittadini, esponenti e rappresentanti delle forze dell’ordine, oltre agli uffici provinciali di questura e prefettura, al fine di valutare possibili profili di sicurezza

116 Ivi, considerato in diritto, par. 5.2, secondo capoverso. 117 Ibidem, considerato in diritto, par.5.2, terzo capoverso.

62

pubblica», aggravando così il già complesso iter stabilito dal Piano per le Attrezzature Religiose.

La seconda disposizione censurata, invece, aveva ad oggetto l’onere, imposto alle confessioni, di installare impianti di videosorveglianza «esterni all’edificio [di culto], […] che ne monitorino ogni punto di ingresso, collegati con gli uffici della polizia locale o forze dell’ordine». La Corte, nell’argomentare sui motivi di ricorso citati, ricorda che «nella Costituzione italiana ciascun diritto fondamentale, compresa la libertà di religione, è predicato unitamente al suo limite». 118

Nel nostro ordinamento, afferma la Corte, tutti i diritti costituzionalmente protetti sono soggetti ad un bilanciamento tale per cui non ve ne sia mai alcuno che si faccia «tiranno» nei confronti degli altri, godendo di una tutela «assoluta e illimitata». Tra le esigenze pubbliche particolarmente degne di attenzione vi è senz’altro quella alla sicurezza e al mantenimento dell’ordine pubblico. Sarebbe, per ciò, certamente possibile ipotizzare limitazioni dei diritti di libertà religiosa giustificate dalla necessità di assicurare il soddisfacimento di tali esigenze. Tuttavia, l’art. 117 della Costituzione riserva alla competenza esclusiva dello Stato il compito di stabilire norme a ciò preordinate: le Regioni possono legiferare in tale ambito soltanto quando ciò sia primariamente motivato da altre esigenze di loro diretta competenza, come per quanto attiene al richiamato settore

118 Cfr. I. Belloni, I Diritti Umani, questi (s)conosciuti, in Stato, Chiese e Pluralismo

Confessionale, Rivista Telematica (www.statochiese.it) n. 25/2019, p. 9; cit. N. Bobbio, L’età dei Diritti, Einaudi, 1990. In questo contributo, l’autore riflette sull’idea bobbiana di “fondamento” dei diritti umani. Per Bobbio, infatti, i valori ultimi sui quali si basa qualunque definizione di diritto fondamentale sono di per sé senza fondamento e, per ciò, meramente “assumibili”. Tali valori, inoltre, sono tra loro antinomici e irrealizzabili contemporaneamente. Anche i diritti che si assumono fondamentali per il perseguimento di questi valori, mantengono la caratteristica dell’antinomicità, sicché la piena realizzazione dell’uno comporta inevitabilmente il sacrificio dell’altro. È il principio del c.d, bilanciamento dei diritti fondamentali.

63

dello sviluppo urbanistico. Nel caso in esame, la Corte rileva che le disposizioni impugnate debbano ritenersi illegittime in quanto il loro contenuto, per le ragioni sopra esposte, inerisce ad un settore dell’ordinamento che la Costituzione riserva alla competenza esclusiva dello Stato119.

Al netto delle censure operate dalla Consulta, rimangono in vigore gran parte delle disposizioni impugnate. L’attuale assetto normativo, seppur meno virulento, rischia seriamente di compromettere molte delle garanzie fondamentali che lo stesso Statuto Regionale della Lombardia, approvato nel 2008, dichiarava di proteggere e promuovere120.

La Corte, infatti, ha preferito considerare ciascuna norma impugnata in maniera autonoma, fornendone una valutazione astratta dal più ampio complesso dispositivo, atto ad introdurre laboriose procedure, coinvolgenti un alto numero di soggetti pubblici e privati, in grado di

119 Cfr. Corte Costituzionale, Sent. n. 63/2016, considerato in diritto, par. 8, unico

capoverso.

120 Legge Regionale Statutaria n. 1 del 30 Agosto 2008, Art.2.1 <<La Regione

riconosce la persona umana come fondamento della comunità regionale e ispira ogni azione al riconoscimento e al rispetto della sua dignità mediante la tutela e la promozione dei diritti fondamentali e inalienabili dell'uomo>>; Art.2.2: <<[la Regione] promuove la libertà dei singoli e delle comunità, il soddisfacimento delle aspirazioni e dei bisogni materiali e spirituali, individuali e collettivi, e opera per il superamento delle discriminazioni e delle disuguaglianze civili, economiche e sociali>>; art. 2.4 lett. d, e, f, h: <<[la Regione] riconosce nella Chiesa cattolica e nelle altre confessioni religiose, riconosciute dall'ordinamento, formazioni sociali in cui si svolge la personalità dell'individuo e orienta la sua azione alla cooperazione con queste, per la promozione della dignità umana e il bene della comunità regionale; promuove le condizioni per rendere effettiva la libertà religiosa, di pensiero, di parola, di insegnamento, di educazione, di ricerca, nonché l'accesso ai mezzi di comunicazione; persegue, sulla base delle sue tradizioni cristiane e civili, il riconoscimento e la valorizzazione delle identità storiche, culturali e linguistiche presenti sul territorio; promuove, nel rispetto delle diverse culture, etnie e religioni, politiche di piena integrazione nella società lombarda degli stranieri residenti, in osservanza delle norme statali e comunitarie>>. Cfr G. Casuscelli, cit., pp. 12-13.

64

limitare fortemente l’accesso agli spazi e ai contributi economici previsti per la realizzazione dei nuovi edifici di culto.

La disciplina attualmente vigente, infatti, presenta ancora aspetti di forte criticità, soprattutto poiché conferisce agli enti locali ampi margini di discrezionalità su questioni determinanti per l’effettiva realizzazione del principio di uguaglianza sostanziale di cui all’art. 3 della Costituzione. Sebbene la Corte abbia reputato inammissibile la querela governativa volta a far dichiarare costituzionalmente illegittima la facoltà, riconosciuta ai comuni, di indire un referendum consultivo circa l’eventuale destinazione all’edilizia di culto di determinate aree, permangono forti dubbi sulla bontà di questa decisione: se l’esercizio della libertà di culto è diritto fondamentale dell’individuo, purché tale diritto non contrasti con l’ordine pubblico e il buon costume, esso non può per definizione essere oggetto di pressioni politiche, potenzialmente legate a ragioni di appartenenza culturale, etnica o religiosa - e quindi latu sensu discriminatorie - da parte della maggioranza dei cittadini. Si tratta, infatti, di valori che non possono negoziarsi sulla base degli isterismi e delle preoccupazioni contingenti del gruppo sociale dominante: le norme costituzionali che tutelano i diritti di non discriminazione e libertà religiosa sono poste proprio a tutela di quelle minoranze che lo strumento del referendum è portato, inevitabilmente, a comprimere sotto il peso dei numeri121.

Il Piano per le Attrezzature Religiose, in quanto facente parte del Piano per il Governo del Territorio, è sottoposto alla complessa procedura prevista all’art. 13 della Legge Regionale n. 12 del 2005: essa prevede l’acquisizione di un ingente numero di pareri da parte di associazioni, gruppi e anche singoli cittadini, resi con la forma delle consultazioni pubbliche al momento dell’elaborazione tecnica del piano. È anche

65

possibile, entro i novanta giorni precedenti alla loro approvazione, presentare osservazioni in merito ai piani predisposti. Tali atti, poi, sono sottoposti al vaglio di compatibilità con i Piani Provinciali di Coordinamento in vigore. Stessa procedura è prevista qualora nel piano regionale vi siano disposizioni che i comuni abbiano l’obbligo di recepire. Qualora la Provincia o la Regione ravvisino delle incompatibilità, è data al comune facoltà di presentare controdeduzioni ma vi è un obbligo generale, per gli stessi, di conformarsi alle definitive statuizioni dell’organo di livello territorialmente superiore. I comuni sono anche obbligati, a norma del già richiamato art. 13 c. 7, a deliberare circa l’accoglimento o il rigetto,

Documenti correlati