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Così Lucia Bruschetta.

Nel documento Don Luigi Bosio a Belfiore d'Adige (pagine 48-53)

Don Luigi Bosio il suo primo lavoro l’ha fatto a Legnago, che era nel ’32-’33. Io mi sono innamorata di questo pretin. Io le dico la mia vita semplice. La storia ce l’ho tutta dentro di me. Poi ho anche qualche immaginetta, qualche fotografi a che ho trovato in mezzo a tutti i ricordi. Io sono poco

colta, ho fatto la 5ª elementare. Ma l’importate è sentire queste poche cose, l’amore che m’ha tra- smesso quel Padre, la fede. A me ha dato tutto quel Padre. Mi ha anche procurato la casa, questa. Eravamo poverini noi, in 5 fratelli, poveri. Ed è anche morto il papà. Ma si vede che lui ha tenuto fermo tutte le cose. Lui vedeva tutto. Io vedo a distanza di mesi e anche di anni, ma lascio fare

alla Provvidenza, diceva. Mi ha dato il segno. Perché è venuta fuori, questa casa, che è stata sem- pre una bella casa. Le case di viale dei Tigli vanno sempre a ruba. Parenti ci hanno prestato i soldi perché la prendessimo. Allora ero giovane, non ho nemmeno dato molto peso. L’avevamo presa in tre fratelli. Intanto sono venuti loro. E poi sono venuta io con la mamma nel ’70. Abitavamo più in centro. Anche la mamma era innamorata di questa casa. Allora l’abbiamo fatta mettere a posto perché era tutta brutta e poi siamo venuti qua.

Ma lui – don Luigi – aveva visto, perché vedeva lontano, che questa casa serve, perché è come una chiesa, la mia casa. Qui preghiamo sempre. Paolo con la moglie viene tutte le sere alle sei e mezza a pregare. La moglie mi aiuta sempre. È venuto il parroco perché, avendo cambiato il curato, me ne ha fatto conoscere un altro, che mi porterà la comunione. C’era qua la moglie del Paolo perché era giorno di festa. Quando è libera lei viene sempre ad aiutarmi. Il parroco l’ha vista e ha chiesto È una persona che viene ad aiutarla? Nel rispondere deve essere stato il Padre che mi ha ispirato. Perché io e il Padre parliamo sempre. Ero preoccupata per la venuta del parroco. Temevo di non sapere che cosa dire. Io non sono abituata a parlare. Io sono abituata a parlare solo con Don Luigi. Adesso. Quando era vivo, non parlavo mai. Egli vedeva tutto, parlava quel poco e mi bastava. E allora ho detto al Padre Adesso aiutami, se viene questo prete che almeno mi comporti come devo. Mi ha dato una luce! Ha cominciato lì con questa Patrizia che stava andando via e quando il parroco mi ha chiesto se è una persona che mi dà una mano, gli ho detto Sì, ma quella lì non è una persona, è un angelo. Il Signore l’ha fatto per mettermela vicino. Ed è vero. Credo che nessuno sia trattato come me, che non siamo nemmeno parenti. Lui me l’ha fatta venire, la Patrizia, il Padre.

Me l’ha fatta conoscere lui. Io dicevo sempre Sarà diffi cile che possano far santo il Padre perché le sue opere sono tutte nascoste. Lui proprio voleva essere nascosto. Quando lui è venuto a Legnago io avevo 12 anni. Basta da allora non ho più visto nessuno. Allora mi insegnava a dire Dì a Gesù che ti faccia

piccola, piccola, che nessuno ti veda, che nessuno ti conosca. Fin da piccola. Io ho fatto la sarta perché con questa gamba, sono nata lussata, e quindi sono stata sempre in casa, chiesa, casa. Ma avevo dentro la ricchezza di questo Padre, che altrimenti chissà – perché avevo anche un carattere vivace – con questo difetto che cosa sarebbe stato. Invece, m’ha fatto fare una vita… proprio io ho goduto il paradiso! Mi dispiace proprio che fi nisca, perché m’ha fatto conoscere il paradiso attraver- so tutto quello che può esserci in una vita. Io ho avuto la mamma 17 anni inferma. Lui me l’ha fatta fermare a misura mia, in modo che ho potuto curarla da sola. Pensi la santità di quel sacerdote! Non mi ha mai lasciato toccare la mia parte spirituale. Avevo la sartoria, avevo le ragazze. La mam- ma aveva perso l’equilibrio e allora non poteva camminare. Si è paralizzata lentamente, lentamente. 17 anni mi è stata lì, seduta sempre lì. Però si arrangiava a fare la scala. Io le dicevo Dai mamma, col

Padre noi possiamo fare tutto. Sempre col nostro Padre. Io ho vissuto di lui, con lui, per lui, e a tutti lo dico e l’ho insegnato a tutti quelli che ho potuto.

Pensi che il mio parroco, torno al parroco, siccome dicendogli di questo angelo, lui è rimasto muto, poverino, allora gli ho detto che la Patrizia viene a recitare il rosario, lei, suo marito. Anche suo marito? ha chiesto il parroco. Sì, gli ho risposto. Prima non veniva, Paolo. Poi ha avuto dei pro- blemi e ha iniziato a venire anche lui. Mi aveva detto, Paolo, Signorina, bisogna che venga anch’io a dire il rosario perché io ho troppe cose… E adesso non è più capace di mancare. Perché il rosario – ho detto al parroco – è una grande preghiera, grande. Noi l’abbiamo constatato, perché abbiamo visto tante grazie da questo rosario recitato insieme. Ci mettiamo tutti attorno a questo tavolo col rosario e preghiamo, ma bene, bisogna dirlo bene. Perché quando siamo in più di uno, il Signore è lì. E lo sentiamo in questa casa. Me lo dicono tutti. Ma questa casa, Signorina, che cos’ha? Ho il mio Sacro

Cuore, da quando avevo le sartine. Si pregava allora. Venivano a imparare da ragazzine. E da allora quel Sacro Cuore lì mi ha accompagnato sempre. Loro venivano a fare le fi niture degli interni dei vestiti. Non c’erano le macchine. Ci si trovava sempre tre, quattro, cinque. Poi ce n’erano che veni- vano solo d’inverno perché c’è la campagna qua intorno e allora andavano nei campi e d’inverno venivano a farsi il corredo, quelle cose che si facevano una volta, che era tanto bella quella vita là. Ci siamo volute tutte tanto bene, che ancora adesso ci sono le fi glie magari di queste che venivano qua, che vengono sempre e a pregare e a trovarmi. Ce n’è una che viene ogni giovedì anche se ha una bella famiglia, che la fa lavorare, ma al giovedì viene sempre per recitare insieme il rosario. Al parroco, poveretto, quando è andato via, ho detto solo Mi deve perdonare perché ho parlato sempre io. Mi ha risposto solo Abbiamo imparato.

Io mi sono innamorata di don Luigi perché pregava e per come pregava. Mi ha attratto con quello. Vederlo là, assorto, puntualissimo, sempre quella messa, quelle confessioni, al Salus dove c’erano i giovani, sempre di corsa. C’era allora l’ospedale a Legnago, dove adesso c’è la casa di riposo. All’ospedale non c’era il cappellano. Quando c’era bisogno si chiamava in parrocchia. La suora dell’ospedale diceva Quando chiamiamo che c’è don Luigi non faccio nemmeno in tempo a dirlo che lui è già qua. Con quella bicicletta! Passava per le vie come il vento! Che persona!

Allora c’erano cinque sacerdoti, più vecchi di lui. C’era il parroco, Mons. Fortunato Bonetti140.

Penso che don Luigi abbia preso molte cose da Mons. Bonetti. Era mistico anche Bonetti. E quel canto gregoriano? Credo che abbia imparato proprio da lui. Mons. Bonetti ci tenevano tanto, tan- to, al canto gregoriano. Don Luigi lo avrà imparato prima, ma qua ha avuto modo di praticarlo. Ci dava da meditare Dio e poi si tornava ancora, perché era un discorso che proprio continuava. Don Luigi a Belfi ore andava nelle famiglie, che volevano esporre il Vangelo, a benedirlo. Ha chiesto anche a me, ed è venuto. È andato anche in qualche altra famiglia alla quale avevo parlato e che aveva accettato. Alla domenica, fi nite le funzioni, se c’era un Vangelo da benedire lui veniva. Lo portavano. Lui la macchina non l’ha mai voluta. Quando volevano regalargli la macchina a Belfi ore, lui ha detto

Se volete regalarmela, io la vendo e i soldi li metto lì nella chiesa, dove ha messo il sangue. Mamma mia, che bella chiesa, che cosa gli è costata in tempo di guerra, cercare quel materiale, lui voleva tutte robe belle, tutte robe particolari, e con pochi mezzi. A vederla mi accompagnava l’Anna

Pedron, che è stata una delle prime qui a Legnago ad avere una macchinetta. Ogni tanto anda-

vamo. Quando è stata quasi fi nita, don Luigi ci ha fatto vedere il libro dove c’erano tutti i conti, quello che comprava, e il pagato. Ma avesse visto quel libro. Sembrava un libro di preghiera, con le sue crocette come benedizioni. E allora, poveretto, quando è stata quasi fi nita, questa chiesa, ha detto Vedete questa chiesa, l’ho fatta per voi. A Venezia sapete che c’è una chiesa tutta d’oro? Sì, abbiamo detto. Ma questa è fatta di sangue, ha soggiunto. Pensi che cosa gli è costata! Eravamo

140 Mons. Fortunato Bonetti, arciprete di Legnago dal 1925 al 1945, morto il 23 luglio 1945. « Dopo brevissima

malattia, quando maggiormente urgeva la sua presenza per la ricostruzione morale e materiale dell’importante par- rocchia, il Signore chiamava a sè lo zelantissimo Pastore che si gloriava di cooperare all’incremento delle Opere e della devozione a S. Giovanni Bosco ». biesseonline.sdb.org. Nato a S. Briccio di Lavagno nel 1870, sacerdote nel 1893, curato a Buttapietra e Pedemonte, poi parroco a Albaro di Ronco all’Adige. Nel dicembre 1925 è chiamato a succedere a Mons. Davide De Massari, arciprete di Legnago dal 1880 al 1925. Tra le iniziative si ricordano tre grandiosi congressi eucaristici di zona, nel maggio 1928, nel maggio 1933, nel maggio 1938. « Diede impulso all’Azione Cattolica, istituì

il piccolo seminario dal quale uscirono ben sei sacerdoti. Riorganizzò le confraternite parrocchiali, in particolare

quella dell’Addolorata e per la grande novena chiamò illustri sacerdoti a predicare l’amore al prossimo. Amante della

musica, profuse con generosità la sua conoscenza storica e teorica del Canto Gregoriano anche ai musicisti locali che

fecero tesoro dei suoi insegnamenti. Acquistò, con enorme sacrifi cio, nove grandi statue degli apostoli scolpite in tufo

di Avesa dal veronese Enrico Bragantini; rivestì le pareti con marmo di S. Ambrogio; rifece il pavimento del presbi- terio e fece eseguire le quattro vetrate istoriate ». Pietro Rossetti - Gino Barbieri - Giovanni Vicentini, Monsignor

Fortunato Bonetti parroco di Legnago (1925-1945). Testimonianze del tempo a quarant’anni dalla scomparsa, Introduzione

noi due, ha potuto dirlo, ma l’avrà detto anche agli altri perché era la verità. Ha fi nito la chiesa prima della canonica. Aveva ancora la canonica da fi nire! La chiesa in realtà non era fi nita del tutto, ma l’ha portata a poter celebrare il prima possibile. Era tutto per il Signore. Voleva tutte le robe belle, perché per il Signore non è mai bello abbastanza, diceva.

Ecco, professore, l’è vegnù a sentir un pò de chiacchiere.

Santi! Santi, perché con lui bisognava essere santi. E allora io ho fatto il possibile per fare quel poco

che ho potuto capire, perché non è che ti spiegava e che ti dicesse fa così e fa colà. No, no! Bisognava pregare e lo Spirito Santo ti dirà tutto, diceva. Non c’era tanto da star lì a perdere tempo. Io non

ho mai perso tempo e non ne ho fatto perdere mai, soggiungeva. Lezioni, queste, sono! Durante la vita avere queste lezioni, vede, professore, non si può sbagliare. Però bisogna seguirle. Bisogna volerlo. Le faccio una confi denza che ho fatto a pochissimi. Ultimamente, poveretto, era a Verona quando mi ha detto, perché lui parlava così, Come hai fatto? E io ho dovuto capire che cosa voleva dire e ho risposto L’ho voluto! Non so, mi pare di aver risposto giusto.

Mi chiedo come ho fatto a seguirlo perché è stata una meditazione continua, sempre, perché, erano profonde per me le robe che diceva, ero una povera buteleta. Ma l’ho voluto, l’ho voluto! Il Signore mi ha ascoltata dal giorno della mia Prima Comunione. Pensi, professore.

Abitavo a S. Pietro di Legnago vicino alla chiesa. Pensi che sono venuta ad abitare a Legnago l’anno che è venuto a Legnago don Luigi, nel 1932. E il giorno della Prima Comunione con questo Gesù, si vede che mi ha incantata subito, questo Gesù, fi n da quando mi preparavo per la Prima Comunione. E proprio mi ricordo, mi ricordo proprio bene, di avergli detto Io, sì, Gesù, che sono contenta che adesso sei con me, ma io vorrei conoscerti, così ho detto al Signore, ma mi vorìa conoserte. E mi ha mandato la persona giusta, perché più di don Luigi nessuno sa a fare conoscere Gesù,

nessuno. La comunione l’avevo fatta un paio di anni prima, mi pare, dell’arrivo di don Luigi a

Legnago. Dopo non ci pensavo più. Ma a mano a mano che ho fatto la strada, mi sono detta Guar- da il Signore come esaudisce i cuori semplici perché ero una bambina, ma ero convinta. Io resisto, sono costante, la mia mamma era così, costante, tenace, e la costanza ho cercato proprio di tenerla tutta e mi ha anche detto questa parola che io ci sono rimasta Ma come hai fatto? Di mezzo c’erano le diffi coltà del viaggio per andare a Verona. Io dovevo sempre partire da Legnago e dovevo avere chi mi portava, ma io dicevo Ma la Provvidenza, ma ci sei tu. Il Padre mi ha sempre provveduto, mi ha sempre dato tutto, perfi no la casa, che questa è proprio stata voluta da lui. Perché, sa, se non si ha una casettina, non si può parlare tanto delle cose belle del Signore, bisogna anche che ci sia un ambiente. Lo dice S. Pietro che quando si è maturi col Signore ci dà anche l’ambiente, lo dice S. Pietro. E quindi questa casa è stata come un vestito che mi ha messo addosso. La mia casa è diventata la mia chiesa.

Parliamo solo di queste cose e dei problemi delle persone. Mi ha detto don Luigi con quella sua for- za Ti do la mia passione, Ti do la mia passione. E me l’ha proprio data, me l’ha proprio trasmessa questa passione per le anime, per la Chiesa. Ti faccio immobile, irremovibile, disse. Ed è così, per- ché io non mi muovo e non mi sono mai mossa neanche col pensiero. Sempre fedelissima, là. Non so se faccio male a dire queste cose. È la mia vita, professore. Quello che gli devo, l’ho tutto vissuto. Quelli che vengono, lo fanno per seguirmi. Perché le persone hanno tutte in sè questo dare agli altri. Aiutare gli altri dà gioia, e mi ascoltano tanto. Anche queste persone, queste mamme che hanno i problemi, mi ascoltano, però dico bisogna sempre pregare la Madonna con questi bei rosari, lo Spirito Santo e avere fi ducia, avere fede, e aspettare, perché la fede si matura così con la prova addosso e aspettare la volontà del Signore. La fede è questa.

È proprio una gioia pregare, dà tanta gioia. Mamma mia, che bella vita! Diceva – aveva ragione, quante volte gliel’ho sentito dire! – Ma se il mondo sapesse, tutto correrebbe qui. Lui capiva che io le apprendevo, le vivevo fi n da sempre e lui proprio poteva qualche espressione farla.

Di fenomeni straordinari io non ho avuto nessuna esperienza, perché io me lo sono costruito proprio il Padre. In quei 14 anni che ero sola sono cresciuta sempre con questa fi gurina, magro.

Don Giovanni Ciresola mi voleva tra le sue suore. Una mia cugina che lo conosceva bene, mi

spingeva perché io entrassi, visto che ero libera. Ma chi mi muoveva dal mio sogno? Mi hanno chiesto anche le suore canossiane e quelle dell’ospedale, perché mi vedevano là a pregare. Avevo imparato da lui a pregare. Quando ero in chiesa non mi muovevo. E avranno pensato Quela lì la gà la vocazione. Allora una volta, visto che me lo chiedevano, ho deciso di domandare al Padre che cosa posso fare, che non sbaglio. Io mi rifi utavo, non ho mai ascoltato questi inviti. Una volta in confessione gliel’ho detto che mi volevano suora. E lui mi ha detto Ma tu ce l’hai la vocazione? E io Ma? Io non ho mai pensato a farmi suora. È forse necessario un vestito? è stata la sua risposta con la voce grossa. Non sei suora lo stesso? Io almeno ho capito così. Per me è stato un sollievo grande perché a me andare suora non piaceva neanche un pò. Mettermi un vestito e soprattutto le regole… Io non ho regole. Le persone quando sono stata ammalata venivano sempre tutte a trovarmi. Ho fatto la suora anche senza il vestito e senza le regole. Io mi sono messa la regola dell’amore e il Signore mi ha aiutato tanto perché se sono stata così ammalata vedo che sono ritornata come prima.

Mi infi amma questo ritornare dentro i miei ricordi. Per me è un cominciare la vita un’altra volta. Piena di entusiasmo. La grazia di don Luigi, professore, è che dava sempre l’entusiasmo. Una persona così seria, così sempre equilibrato, però mi dava un entusiasmo che si ritornava sempre piene di voglia di fare, sereni. Me lo diceva ogni volta di stare serena. Sempre stare serena. E questo entusiasmo è stato la mia vita, nonostante i dispiaceri, i dolori, questo stare qua mi sola.

Ho tre fratelli morti. Eravamo in cinque. Però a me non manca proprio niente. A Paolo e alla

Patrizia io dico sempre Siete voi la mia famiglia. Di fratelli ne ho uno solo a Verona. Nipoti?

Vengono forse a farmi gli auguri alle feste. Sono venuti il giorno dei morti. Chi viene al cimitero, viene a darmi un salutino. Ho nipoti a Porto di Legnago, Cerea, Bovolone, Milano. A Milano sono quattro, fi gli di mia sorella. Quelli che fanno il sito del Padre sono i miei nipoti di Milano. C’è un ragazzo e tre donne. Tutti bravi, che hanno conosciuto così bene il Padre. Le nipoti sono da sposare: una lavora alla Scala come costumista, una suona pianoforte e insegna musica, l’altra fi sioterapista. Due di loro sono venute per cinque anni fi no a Verona alla messa dal Padre ogni domenica, ogni domenica, per cinque anni. Se le è tenute proprio lì quelle ragazze.

Tempo fa si è presentato un signore di Verona che voleva off rire una somma di denaro per il

Padre. Voleva spenderli per il Padre. Gli ho detto Tienli là che verrà tempo. Parlando con mia

nipote Stefanella è uscita l’idea di investirli nella creazione di un sito. Si è pensato al sito perché è un peccato che queste belle omelie e la sua storia non siano conosciute. Il nipote di Milano lavora nell’informatica e si è off erto di farlo. La nipote Stefanella adesso ha l’incarico di mettere sempre dentro nuovo materiale. Mi ha telefonato per tutti i santi e mi ha detto che ha passato il ponte a inserire queste omelie che sono una meraviglia, una più bella dell’altra, zia. Questa si chiama

Stefanella Donato, fi glia della sorella Norma, secondogenita. Mio fratello Franco, il terzo, anche

lui molto fedele al Padre, è morto cinque, sei anni fa di tumore. Fedora è la quarta e Ruggero, che è ancora vivo. Io ero la primogenita. La nostra mamma si chiamava Maria Bisighin il papà

Ernesto Bruschetta.

Io ho le cataratte, però leggo e mi tengo informata attraverso Verona Fedele, che leggo sempre. Guardo anche la televisione. Io mi aggiorno sempre di quello che succede. Anche perché a parlare

Nel documento Don Luigi Bosio a Belfiore d'Adige (pagine 48-53)

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