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don Luigi Bosio, mentre lei era ricoverata nel sanatorio di Arco Dietro all’immaginetta don Luigi ha scritto:

Nel documento Don Luigi Bosio a Belfiore d'Adige (pagine 140-147)

289 Romeri, 157-158.

290 Il monastero di Tolentino inizia a vivere nel 1779. Nel 1810 Napoleone sopprime gli istituti religiosi e le

Abbondano, sì, le passioni di Gesù in me, ma come sovrabbondano in lui le consolazioni!

Gesù Gesù Quaresima 60

Bianca Bon è nata a Piovene Rocchette (Vicenza). La mamma, che abitava a Castelgomberto,

ha sposato uno di Piovene Rocchette, oriundo però di Brendola. La sorella è del 1921, lei del 1924. Mio papà per un disguido fi nanziario è partito ed è andato in America, in Argentina. Io avevo cin- que mesi e non l’ho mai conosciuto. Mia sorella aveva tre anni e se lo ricordava benissimo perché se la portava sempre dietro. Mia mamma, dopo che mio papà è partito, è ritornata dai suoi genitori a Castelgomberto, e siamo state lì in casa dei nonni fi nché io non ho avuto 7 anni e mia sorella 10. Uno zio, fratello di mia mamma, trovato un posto in un uffi cio di Verona, stanco di stare in albergo, ha chiesto a mia mamma se era disposta a trasferirsi a Verona con noi bambine, perché così metteva su casa ed evitava di andare in albergo. Mia mamma ha accettato. Siamo andate ad abitare in Lungadige Sanmicheli al numero…, non ricordo, poi ci siamo trasferite al numero 7 per diversi anni. Mia sorella si è diplomata maestra. Nell’abitazione sotto di noi abitava il podestà di Verona 291, che conoscevamo benissimo come famiglia. Mia sorella dava anche lezione ai bambini

del podestà. Maria appena sei diplomata ti occupo subito in uffi cio al municipio, aveva assicurato il podestà, perché era tempo di guerra nel 1940 e molti erano richiamati. C’erano tanti posti liberi e mia sorella l’ha messa in ragioneria, un posto molto importante. È stata lì per 40 anni. Poi ha chiesto un trasferimento perché non stava tanto bene di salute, era tanto stanca, aveva un lavoro enorme lì. È stata trasferita alla Divisione IIIª, dove è rimasta fi no all’80, quando è andata in pen- sione. Un anno prima si era operata di un tumore al seno. È vissuta una ventina d’anni ancora, ma è morta piena di tumori, al cervelletto, polmoni, fegato, intestino, ecc., piena, piena, piena! L’ho assistita io. Mi hanno mandata fuori i miei superiori maggiori perché eravamo sole. Lei era nel pensionato di Mons. Giacomelli a Pesina, vicino a Caprino 292, non lontano dalla Madonna della

Corona, dove c’era il sacerdote cui lei aveva dato cose di don Luigi 293. Ha fatto una morte da santa,

proprio. Sempre pensando a don Luigi, al bene che aveva ricevuto. È morta dieci anni fa.

Credo che mia sorella abbia cominciato a frequentare don Luigi dal…, non so. Nel ’60 già lo

conosceva perché mi ha mandato questa immaginetta quando ero ricoverata ad Arco 294. Credo che

istituti religiosi, consentendo però alle monache di rimanere fi no alla morte. Nel 1913 morta l’ultima monaca, il comu- ne reclama il monastero, demanializzato, considerando abusive le donne entrate in monastero dopo la soppressione. Nel 1916 le monache sono ospitate nel palazzo di Mons. Pucciarelli. Nel 1925 si cede al comune di Tolentino Palazzo Pucciarelli, ottenendo in cambio il diritto a rientrare nel vecchio monastero. Nel 1962 è posta la prima pietra per un nuovo monastero, risultando troppo malsano il vecchio. Il 14 novembre 1964 si abbandona la sede storica per il nuovo edifi cio. Nel 1966 si inaugura anche la nuova chiesa. Cfr. Duecento anni. Carmelo di S. Teresa. Tolentino 1779-1979.

291 Podestà di Verona furono Alberto Donella (1933-1943) e Luigi Grancelli (1943-1945).

292 « Non c’è scampo per la casa di riposo Monsignor Giacomelli - Oasi (Opera assistenza servizi intergrati) di Pesina. Mentre l’Istituto di assistenza anziani Villa Spada vedrà aumentare i suoi posti letto a 114 convenzionati,

l’Oasi trasferirà i suoi ospiti entro l’anno. Una raccolta di 139 fi rme aveva tentato di fermare la chiusura dell’Oasi di Pesina, immobile di proprietà della parrocchia dei Santissimi Apostoli di Verona. Nella petizione, promossa dall’ex sindaco Maria Teresa Girardi, si invitavano anche i sindaci del Baldo-Garda a fare quadrato per cercare di mantenere a Pesina la casa di riposo ». « L’Arena », 15 giugno 2007. www.gardanotizie.it.

293 Si tratta di don Giuseppe Cacciatori.

294 Abbiamo già riportato la dedica di don Luigi. La fi gura del santino, particolarmente bella, ritrae un bambino

con in mano un calice e nell’altra un’ostia consacrata. La didascalia recita: « Gesù ti ringrazio! Fai del mio cuore un

lo abbia conosciuto dal ’55 al ’60, tramite la signora Gianelli, che stava nel Lungadige Bartolomeo Rubele, di fronte a noi che eravamo in Lungadige Sanmicheli. Mia sorella andava a Belfi ore tutti

i sabati mattina, giorno in cui era libera dall’uffi cio, ascoltava la messa, si confessava, poi andava a parlare in canonica. Don Luigi aveva una gran fi ducia in mia sorella. Una volta è stato citato in

tribunale. Ha chiamato mia sorella, che si è fatta dare un giorno di permesso in uffi cio. Don Luigi non voleva andare solo. Mia sorella l’ha accompagnato, senza però entrare in aula, ma aspettandolo fuori. Pare fosse stato qualche sacerdote che gli avesse fatto del male. Non ricordo l’anno. Dovrebbe essere stato negli ultimi tempi di Belfi ore.

Mia sorella non aveva la macchina. Li portavano sempre i signori Baroni 295, zii di Raff aele Bonen-

te 296. Maria Tosi in Baroni era una grande amica di mia sorella. È venuta tante volte qui in monaste-

ro a trovarmi. Veniva tutti gli anni. Andava molto spesso da Padre Pio. Guidava lei, non il marito. Don Luigi si metteva sempre dietro e davanti si metteva Giacomo, il marito. Il Padre quando aveva qualche cosa si rivolgeva sempre a mia sorella. Una volta è stato in ospedale una quindicina di gior- ni. L’assistenza dalla mattina alla sera, gliela ha fatta sempre mia sorella. Il prof. Andrea Zerman le diceva che non facesse entrare nessuno, perché il Padre aveva bisogno di riposo assoluto. Mia sorella era fedelissima. Poi ho sentito la voce di qualcuno che è stato scontento di questo perché mia sorella era troppo rigida. Io le ho detto che almeno i sacerdoti poteva lasciarli passare; poteva essere più morbida in questo senso. Quando è morto, mia sorella non ha potuto assisterlo perché cominciava già ad andare fuori di memoria. Io l’ho assistita da febbraio fi no a ottobre, quando è andata al pensionato, dove è stata la prima a entrare dopo la conclusione dei lavori. Ho chiesto in pensionato se era Alzheimer, e mi hanno risposto che non lo era, perché altrimenti non conosce- rebbe me. Invece mi conosceva benissimo, mi telefonava al monastero, mi diceva come stai Bianca? Al funerale di don Luigi Bosio è andata.

Una volta un sacerdote mi ha detto una cosa, e io l’ho invitato ad andare a confessarsi da don Luigi Bosio. E questo sacerdote mi ha risposto No, non ci vado, perché lui prima di dire i peccati, li dice fuori lui.

Aveva le stimmate invisibili. Una volta mia sorella ha comperato un fazzolettino di lino, molto

bellino, e glielo ha dato perché se lo mettesse sulla ferita del costato, che era invisibile. Allora il

Padre se l’è messa ed è venuta fuori la ferita, il segno della ferita, impressa nel fazzoletto. Lo tene-

va come una reliquia. L’abbiamo dato a don Giuseppe Cacciatori, rettore della Madonna della Corona. Una volta, che ero al pensionato di Maria, e che sono andata alla Corona accompagnata da qualcuno di Verona, ho chiesto a don Giuseppe Cacciatori se aveva letto i testi di don Luigi che gli aveva dato mia sorella Maria e mi ha risposto No, perché non ho avuto ancora tempo, eppure erano passati già degli anni. È stata mia sorella a dirmi delle stimmate invisibili. Si vede che il

Padre glielo aveva detto a mia sorella. Quando celebrava la messa il Padre, faceva tanta fatica. Si vedeva che era sotto uno sforzo enorme di dolori e mi diceva mia sorella soff re la passione del

Signore, soff re tanto i dolori come la passione di Gesù, quando celebra la messa, non sempre,

ma alcune volte. E io qualche messa di questo genere l’ho assistita. Si vedeva proprio un fi sico che non ne poteva più, che stava proprio per svenire, per cadere, comunque arrivava sempre alla fi ne, e poi, fi nito di celebrare la messa, si riprendeva, stava meglio.

295 Giacomo Baroni nasce il 4 luglio 1914, muore il 22 febbraio 1996. La moglie Maria Tosi nasce il 24 ottobre

1915, si spegne il 2 febbraio 1978. Abitavano in via Roma 22 a Verona, ma avevano anche una casa nella campagna di

Sezano di Valpantena, dove don Luigi è stato più volte.

296 Maria Tosi in Baroni è zia materna, essendo sorella di Emilietta Tosi in Bonente, mamma dell’architetto Raff aele Bonente.

Quando andavo gli baciavo sempre le mani. Lui mi diceva bacia qui e allora baciavo il palmo e una volta, una domenica mattina, mia sorella mi ha detto Bianca andiamo a Belfi ore ad ascoltare la messa di don Luigi. Abbiamo preso una macchina, siamo andate. E dopo siamo andate in sacrestia, fi nita la messa. Io gli ho baciato le mani. Ho fatto per baciare le mani qui, sul dorso, e lui mi ha detto, no, bacia qui. Ho sentito un odore intenso, intenso, di sangue, ma non ho visto niente,

però. È stata l’unica volta. Le altre volte non l’ho mai sentito. Un odore intenso, intenso, di sangue. Questo posso dirglielo 297 davanti al tabernacolo, che è vero, verissimo.

Se ci fosse, era un fazzolettino così, piegato. Un fazzolettino da naso, ma nuovo, comperato nuovo, di lino, ricamato, mi pare, con un lino particolare. Era dentro in una busta. Mia sorella lo teneva come reliquia. Se lo portava sempre dietro. Anche a me, in ospedale, me lo ha portato tante volte. Me lo faceva baciare, me lo metteva sul posto dove ero malata. Poi ha dato tutto al rettore della

Madonna della Corona. Non so se glielo abbia detto. Gli ha consegnato una borsa piena di carte.

Poi gli ha consegnato un mobiletto antico che avevamo in casa. Tutti i parenti lo volevano e allora mia sorella ha detto L’ho do al rettore della Corona perché metta dentro i libri, gli scritti, quello che era dentro la borsa di don Luigi. Poi che cosa ne abbia fatto non so.

Maria è andata al pensionato. L’ho accompagnata io. Sono stata con lei il primo mese, fi nché non si è abituata e poi sono venuta di ritorno in monastero. Poi andavo fuori a Verona due volte all’anno per fare delle terapie che qui a Tolentino non avevamo. Stavo dal lunedì al sabato in casa dei signori

Perdonà, l’on. Perdonà e l’Ornella. Al sabato l’on. Perdonà mi portava a Pesina, al pensionato

da mia sorella, dove stavo il sabato e la domenica. Era una stanza a due letti, ma tenevano il letto libero per me.

Come ho conosciuto Perdonà? Mia sorella conosceva, ancora quando studiava, l’Ornella e natu-

ralmente dopo sposata, ha conosciuto anche il marito. Eravamo in tanta amicizia con l’onorevole. Quando dovevo andare a fare queste terapie a Verona non sapevo dove andare, perché i miei non avevano una stanzetta da darmi. Ho chiesto alla Ornella se poteva ospitarmi. Ha detto di sì, poi ha chiesto all’onorevole Sì, sì, che venga, che venga. E allora sono andata in casa, dove due volte all’anno mi fermavo un mese, un mese e mezzo, quello che era necessario per la terapia. L’Ornella era impiegata anche lei al Municipio, all’uffi cio stipendi, Maria era alla ragioneria. L’onorevole e l’Ornella si sono conosciuti in municipio. Era l’Ornella che gli stava dietro.

Andavo qualche volta a confessarmi da don Luigi, ma più spesso a chiacchierare, a ridere e a scher- zare. Mi godevo tanto a scherzare. Il Padre rideva tanto con me. Rideva sempre con me, il Padre. Sono nata a Piovene Rocchette il 3 aprile 1924 e mia sorella il 15 gennaio 1921. Mia sorella ha studiato all’Istituto Campostrini; ha ripetuto la 5ª elementare. Poi ha fatto le magistrali all’Istituto Campostrini. Io invece sono andata a Vicenza, in collegio, all’Istituto Farina dalle Dorotee298. Mi

hanno dato un posto gratuito per vitto e alloggio. Per il vestiario, la spesa di scuola, ecc., doveva pensare la mia mamma, i miei zii, i miei nonni, insomma, quelli che erano, perché mia mamma

297 Si sta rivolgendo al prof. Francesco Vecchiato, che ascolta e registra la deposizione.

298 La Congregazione delle Suore Maestre di Santa Dorotea, Figlie dei Sacri Cuori, di Vicenza, trae origine

dall’ispirazione carismatica del suo fondatore Mons. Giovanni Antonio Farina, vissuto tra il 1803 e il 1888 anno in cui è nata Santa Bertilla Boscardin, pure suora dorotea (1888-1922). È ancora un giovane sacerdote, ha 33 anni, cappellano della popolosa e povera parrocchia di S. Pietro, in Vicenza, quando nel 1836 fonda un “Istituto Religioso di Maestre di provata vocazione, consacrate interamente all’educazione delle fanciulle povere”. Giovanni Antonio

non è che lavorasse, badava alla casa. Sono stata in collegio per nove anni. Ho fatto le elementari e poi quattro anni di studio dove si faceva francese, letteratura italiana, pittura, storia, ecc. Ma poi non ho dato l’esame. Poi sono tornata a casa. Prima andavo a casa per le vacanze e per l’estate. Sono uscita defi nitivamente a 16 anni. Mia mamma è venuta a prendermi in giugno del ’40 quando è scoppiata la guerra. Mi sono impiegata a Verona come cassiera in una ditta dove sono rimasta per due, tre anni. Il dottor Tantini – che aveva il deposito di medicinali per tutta la provincia di Verona con 40 dipendenti – non mi voleva aumentare lo stipendio e allora mi è stato off erto un altro posto, in un negozio, che ho accettato proprio perché mi pagavano di più. Tantini mi ha subito detto che mi dava anche lui la stessa cifra, ma ormai mi ero già impegnata con il nuovo datore di lavoro, Simonetti, che aveva un negozio di salumeria in piazza Erbe all’angolo con corso S. Anastasia. Io ho avuto la vocazione tra i 18 e i 19 anni. Ho sentito la chiamata di Dio, ma non volevo accettarla. Il Signore mi è stato tanto dietro, poi è intervenuto con un fatto, e allora ho detto di sì. Quella del

Carmelo era l’unica vocazione che sentivo. Appena fi nita la guerra ho detto alla mia mamma Io

parto. Mi ha detto di aspettare che riprendessero i treni, ma io non potevo aspettare. Avevo tanta fretta di partire. Mi sono licenziata in luglio. Ho detto al principale Vado a Padova. Non era una bugia, perché sono partita subito per Padova e mi sono fermata dai miei zii e dai miei cugini diversi giorni, poi sono rientrata a Verona, dove ho voluto stare libera per due, tre mesi.

Tornata da Padova a Verona, andavo sempre a gironzolare per la città, canticchiando per la stra- da, su e giù per via Mazzini; andavo a mangiare gelati, mangiavo quattro, cinque gelati al giorno, pigliavo il frappè alla mattina per colazione. Mi aveva dato una buona liquidazione, il signor Simo-

netti. L’ho spesa tutta in gelati, frappè, paste. Ho fatto tutte le pasticcerie di Verona, perché – pen-

savo – dopo non mangerò più paste.

Conoscevo da tempo gli Stimmatini. Gli edifi ci delle Stimate erano stati tutti bombardati. Nei rifu- gi sotto gli edifi ci, quando li hanno bombardati, c’ero anch’io con mia sorella e Padre Furlanis 299. Io

ero molto coraggiosa, mentre mia sorella era invece molto paurosa. Quando scoppiavano le bombe aveva l’istinto di scappare e andare all’aperto. Allora io la tenevo ferma, la tenevo forte. Quando abbiamo sentito che i bombardamenti sono fi niti, siamo usciti in quattro, io con tre stimatini, e siamo andati a vedere un pò che cosa era successo. Su per le scale dovevamo togliere calcinacci e mattoni per uscire. Fuori la chiesa della Madonna dell’Immacolata – oggi sulla collina – era tutta distrutta. La grotta della Madonna, distrutta. Il materiale anche quello del tetto, tutto sotto e la

statua della Madonna sopra tutto. Distesa, intatta, sopra i coppi, precipitati al suolo. Ci siamo

arrampicati su per le macerie e i padri le hanno tolto i braccialetti d’oro che aveva ai polsi. La Madonna avrebbe dovuto essere stata sepolta con tutto il materiale che era precipitato ed invece era distesa sopra. Un miracolo! Quindi siamo ritornate giù, perché risuonava l’allarme. C’è stato un altro bombardamento. Una bomba inesplosa è caduta anche dentro la chiesa delle Stimate. Una bomba grande così, grossa così. Ai piedi della balaustra dove si fa la comunione. Proprio ai piedi, al centro, di fronte al tabernacolo, questa bomba, grande così, inesplosa. L’ho vista! Dicono che fossero esplose sull’istituto 35-40 bombe, quella volta. Alcune sono rimaste inesplose. Ho visto tutti i bombardamenti di Verona, io. Allora abitavamo in via Amanti, di fi anco all’albergo Porta Leona,

299 Padre Alziro Furlanis (Concordia Sagittaria, 22 marzo 1913 - Verona, 2 dicembre 2010) all’Angelicum di Roma

frequenta gli studi fi losofi ci e teologici, che si concludono con l’ordinazione nel 1936. Dopo aver conseguito la laurea in fi losofi a e teologia consegue tra il 1938 e il 1944 quella in lettere alla Cattolica, cui segue l’abilitazione in storia e fi losofi a. Insegnante e preside, ha ricoperto vari incarichi nella congregazione. « Per tutta la vita è stato un ricercato

Confessore e Padre Spirituale. In tutte le comunità ha avuto un grande seguito di persone che a lui si rivolgevano

periodicamente… Ora dopo 97 anni di vita il Signore lo ha chiamato a sè. Ha raggiunto il primato assoluto tra gli Stimmatini, di 74 anni e 8 mesi di sacerdozio ». P. Giovanni Zampieri, P. Alziro Furlanis, www.stimmatini.it.

al numero 4. C’è ancora la casa. Siamo rimaste lì diversi anni. Poi mia mamma e mia sorella sono andate in Borgo Trento, in via Carlo Ederle al numero 30. Mia sorella non frequentava la parroc- chia, perché andava sempre al duomo da don Luigi. Mia mamma invece la frequentava.

Il provinciale degli Stimatini doveva andare a Roma e nell’Italia meridionale. Gli ho chiesto se mi accompagnava a Tolentino. Un paio di volte mi sono confessata dal provinciale. Mi ha ascoltata e mi ha detto che mi avrebbe accompagnata. Lui e il segretario partivano il 20 ottobre 1945. Durante la guerra per scrivere a Tolentino dovevo mandare la lettera in Svizzera, dalla Svizzera la mandava- no a Roma, e da Roma a Tolentino. Con la guerra eravamo tagliati fuori. La guerra è stata ferma parecchio lì in Romagna 300.

Perché la decisione di entrare nel Carmelo di Tolentino? La regola delle Carmelitane impedisce che in un monastero ci siano più di 21 monache. In quello di Verona erano già in 34 perché avevano intenzione di aprire due fondazioni. Infatti poi hanno aperto in Sicilia e a Vicenza. Io avrei dovuto aspettare che facessero queste due fondazioni. Ma avevo fretta di partire perché non volevo più fare aspettare il Signore. Allora ho chiesto e mi hanno mandato a Brescia, dove ne accettavano una senza dote. Ci siamo presentate in parlatorio in due, io, 19 anni, e Maria Rosa, 18 anni. Alla mia domanda non è mai stata data risposta. Maria Rosa invece è stata accettata. Probabilmente perché in parlatorio con Maria Rosa, lei era tutta pacata, io, allegra e spensierata. Hanno preso lei, e non me, forse perché mi avranno giudicata troppo fuori. Maria Rosa dopo un pò ha perso la vocazione ed è uscita. Dopo un altro pò di anni, è rientrata per la seconda volta. Ma è uscita ancora, defi niti- vamente. Passati tanti anni me la vedo arrivare qui al monastero vecchio di Tolentino. Mi ha detto

Nel documento Don Luigi Bosio a Belfiore d'Adige (pagine 140-147)

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