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Don Bosio di fronte al dono del sacerdozio e del ministero

Nel documento Don Luigi Bosio a Belfiore d'Adige (pagine 164-166)

Abbiamo recuperato e riproduciamo – così come ci è stato consegnato dallo stesso autore – l’in tervento del parroco di Belfi ore, Mons Luigi Magrinelli, costruito in gran parte sui testi apparsi in

3. Don Bosio di fronte al dono del sacerdozio e del ministero

Se questa era la percezione profonda della grandezza e bellezza della Liturgia come tesoro divino inestimabile, centro, culmine e fonte della vita della chiesa, da parte di Mons. Bosio, ne deriva di conseguenza il senso profondo del suo sacerdozio.

Mons. Bosio si è veramente calato nel Mistero, e da questa immersione totale ha colto le carat- teristiche essenziali del suo sacerdozio, esprimendole nella sua vita personale e nel suo ministero sacerdotale. Percepiva pienamente il sacerdote come uomo di Dio, l’intermediario fra Dio e gli uomini, il ponte che aveva il compito di portare Dio agli uomini e gli uomini a Dio.

La sua scelta di essere uomo di preghiera e contemplazione, il gusto di una vita quasi monastica, il suo stile sempre sobrio e contenuto, l’amore al silenzio e al raccoglimento, tutto sembrava esprime- re in lui il desiderio di custodire il tesoro perché non andasse disperso nella molteplicità degli

impegni pastorali, ma fosse raccolto in una profonda consapevolezza di fede, tale da poter

essere donato in pienezza proprio nella Liturgia. Per questo ripetutamente, in diverse circostanze del suo ministero di Parroco, rende esplicita con forza la realtà del suo sacerdozio, contro ogni contraff azione e compromesso, talvolta ricevendo critiche e incomprensioni. Nel mese di luglio del 1958 egli, percependo alcuni segnali di diffi coltà ad accogliere l’insegnamento della Chiesa e il sorgere di aspettative che non condivideva riguardo al suo ministero, così scrive su Cittadella cristiana: « Che cosa vi aspettate dal mio sacerdozio? È forse poco, ch’io dedichi il mio tempo migliore alla preghiera per voi? Ch’io mi consumi per il decoro della Casa del Signore e per lo splendore della Sacra Liturgia? Ch’io istruisca nella Dottrina Cristiana i vostri bimbi? Ch’io assista i vostri ammalati? Ch’io porti le vostre soff erenze? Ch’io celebri continuamente la S. Messa, perché vivissima e serena arda la speranza del Cielo nei vostri cuori?… Ritorni dunque la Comunità a Dio: alla semplicità della

vita, alla nobiltà del dovere, alla carità fraterna, alla fi ducia nella mia tenerezza paterna, alla stima e alla venerazione della mia eccelsa grazia sacerdotale ».

Espressioni simili troviamo in occasione di un’assemblea dell’Azione Cattolica il 10 giugno 1962, Solennità di Pentecoste. Dopo aver richiamato il dono dello Spirito, così si esprime: « Ora difendo la mia grazia sacerdotale. Non la mia persona, ma la mia grazia, il mio ornamento sacerdotale. Ad onore del vostro apostolato e ad esaltazione dell’Azione Cattolica denuncio una critica, che concentra i suoi sforzi – lo chiameremo: Zelo? – in discussioni, confronti e pettegolezzi, contro la lunghezza della mia S. Messa e contro l’indirizzo profondamente interiore, che vogliamo imprimere all’Azione Catto- lica. Grande affl izione per la mia anima, questa insensibilità ad una formazione ascetica, alla pietà liturgica, alla vera Azione Cattolica! La mia S. Messa è interminabile! Tutto qui. Per la salvezza delle anime dovrei incominciare dalla fretta, dalla dissipazione negli stessi divini Misteri della Redenzione, e adattarmi fi nalmente ai cosiddetti mezzi moderni di apostolato. La mia è una difesa e una denuncia. Meglio: un’esaltazione del mio sacro Ministero. Non toccatemi su questo punto, perché toccate la

Chiesa, e toccate il Signore, e mi costringete ad agire con austerità, in nome della cristiana disciplina. Datevi alla preghiera, al sacrifi cio, all’immolazione, alla ubbidienza: non avrete tempo da perdere in pettegolezzi! » A quanti si lamentavano per la ‘lunghezza’ delle sue celebrazioni rispondeva: « Non è lunga la Messa, è corta la vostra pietà! » 325.

Questo primato di Dio e della vita interiore appare anche nelle circostanze in cui più pressanti si fanno le esigenze concrete, anche economiche. Chiedendo la carità per la nuova chiesa scrive così alle famiglie: « Non stenderei la mano, se non avessi ricevuto ordine dal Signore; fi nora ho tanto taciuto, perché avevo bisogno di parlare solo con Lui! Vi chiedo soprattutto il dono del cuore ». A conclusione di questa rifl essione, riporto una nota autografa, scritta nella Visitazione di Maria del 1943, riecheg- giando un testo di san Paolo: « A me il più piccolo di tutti è stata data questa grazia d’annunciare tra le genti le incomprensibili ricchezze di Gesù. Un mistero, ch’era nascosto da secoli in Dio ». Di fronte alla grandezza di questo dono e compito, si sente indegno e dice: « Perché a me? » e conclude con un atto di adorazione e totale affi damento: « Gesù! Mio Dio! »

325 Analoghi rimproveri venivano mossi all’altro “santo” veronese a lui contemporaneo, don Bernardo Antonini,

del quale è stato scritto: «Don Bernardo è stato per diversi anni cappellano della comunità delle Figlie di san Paolo a Verona. Celebrava l’Eucarestia tutte le mattine con la meditazione sulla Parola di Dio. La superiora di allora ricorda

le petizioni a don Bernardo perché la sua Messa non durasse troppo a lungo: le suore dovevano partire in orario

per i loro impegni quotidiani di apostolato. Don Bernardo ascoltava benevolmente, ma la durata della sua Messa restava… invariata. Lo stesso accadrà anni dopo, in Russia. Celebrava la Messa nella piccola cappella delle Figlie di san Paolo a Mosca, ma era diffi cile prevedere quando sarebbe fi nita. La superiora della comunità lo pregava di tener conto dell’orario: bisognava aprire la libreria, le suore dovevano uscire. Don Bernardo ascoltava con la benevolenza di sempre, poi diceva con un sorriso: “L’orologio non esiste per la Messa”. In certe cose era decisamente incorreggibile». Beatrice Immediata, Un apostolo senza frontiere. Don Bernardo Antonini, Prefazione di mons. Taddeus Kondru- siewicz Vescovo di Mosca, Milano, San Paolo, 2005, p. 34.

Questo sentire altissimo riguardo al valore del sacerdozio lo porta talvolta anche ad assumere

toni piuttosto forti, come quando, di fronte alla contestazione per non aver consentito ad una

manifestazione in onore di san Rocco dai risvolti più profani che religiosi, scrive così: « Farina del

diavolo: crusca, crusca! Avviso a chi tocca. Ed ogni freccia che lanciate contro i vostri sacerdoti, diventa una spada, una folgore sospesa sul vostro capo ». Anche queste parole possono far com- prendere come, accanto alla venerazione di molti, potesse crescere in alcuni un senso di timore e in altri anche una qualche forma di resistenza e dissenso verso Don Luigi. La sua percezione così alta, veramente unica, del sacerdozio lo rendeva veramente geloso di questo dono!

Nel documento Don Luigi Bosio a Belfiore d'Adige (pagine 164-166)

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