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La costituzione di rappresentanze sindacali nelle unità produttive precedentemente prive di rappresentanza

Regole generali sulle forme della rappresentanza in azienda

6. La costituzione di rappresentanze sindacali nelle unità produttive precedentemente prive di rappresentanza

Le parti concordano, poi, una specifica disciplina relativa alla costituzione di rappresentanze sindacali nelle unità produttive con più di 15 dipendenti precedentemente prive di rappresentanza.

Le organizzazioni sindacali potranno, in tali contesti, optare per il modello delle RSA, a condizione che sia garantita l’“invarianza dei costi” rispetto alla situazione che si sarebbe determinata in caso di scelta di RSU. Alla scadenza (triennale) della (prima) RSA, costituita nelle unità produttive precedentemente prive di rappresentanza, il passaggio alla RSU potrà essere deciso dalle organizzazioni sindacali nazionali presenti in azienda che detengano a livello nazionale la “maggioranza” (50%+1)33

nell’ambito contrattuale di riferimento.

La disciplina in oggetto, stante la ratio di favorire l’“attecchimento” della rappresentanza di matrice confederale, sembra trovare applicazione anche nel caso (astrattamente ipotizzabile) di unità produttive prive di rappresentanza confederale, nelle quali siano stati precedentemente costituiti organismi di rappresentanza solo extra-confederali.

6.1. La regola dell’invarianza dei costi

La regola dell’invarianza dei costi appare diretta, nelle intenzioni degli stipulanti, a prevenire il “moltiplicarsi” di RSA (costituite nell’ambito dei sindacati aderenti alle confederazioni firmatarie, o comunque aderenti all’accordo 10 gennaio 2014) in conseguenza della sentenza n. 231/2013 della Corte costituzionale, quantomeno nella prima fase di “sindacalizzazione” e ad agevolare – nella successiva fase – la reductio ad unum verso la RSU (per la quale, a differenza che per l’insieme delle RSA, è prefissato un numero complessivo massimo di componenti, in ragione del numero dei lavoratori), evitando il “consolidarsi” di costi superiori a quelli che si avrebbero con le RSU, a regime, ed eliminando così in radice la necessità di una successiva

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(difficoltosa) riduzione delle prerogative in seno all’organismo unitario, rispetto a quelle fruite dall’insieme delle neo-costituite RSA34

.

Ora, da un lato, la regola dell’“invarianza dei costi” va coordinata con quella (di segno opposto) prevista nel punto 4 della sezione II della parte II dell’accordo interconfederale, che – nel passaggio alla RSU – fa salve le condizioni di miglior favore eventualmente già previste dalla contrattazione collettiva nei confronti delle associazioni sindacali stesse, in materia di numero dei dirigenti della RSA, diritti, permessi e libertà sindacali. Spetterà alla contrattazione di categoria chiarire se tali condizioni di miglior favore previste dai CCNL (spettanti, a regime, alla RSU) potranno essere comunque fruite anche dalla RSA “di prima costituzione”; o se, invece, la regola di cui al punto 4, parte II, sezione II, dell’accordo interconfederale sia oggi destinata a trovare applicazione soltanto nei contesti produttivi ove vi sia un effettivo “passaggio” dalla RSA (già, precedentemente costituita) alla RSU e non invece nei contesti di nuova sindacalizzazione.

Più in radice, ci si deve, peraltro, interrogare se la regola dell’“invarianza dei costi”, una volta che la stessa sarà recepita dalla contrattazione di categoria, vincolerà, effettivamente, le organizzazioni sindacali stipulanti (ed aderenti all’accordo) o se invece la stessa si ponga in conflitto con le disposizioni di cui agli artt. 19 ss. Stat. lav. e con l’art. 39 Cost. Con la conseguenza che, malgrado la sua recezione da parte della contrattazione collettiva di categoria, non può essere misconosciuto, nemmeno nel contesto delle regole pattizie disciplinanti la transizione presso imprese precedentemente prive di rappresentanza dalle neo-costituite RSA alla RSU, il diritto di ciascuna organizzazione sindacale titolata ex art. 19 Stat. lav. alle (non riducibili) prerogative sindacali di cui al titolo III.

E tuttavia la previsione in commento, la quale, a fronte di un complesso sistema di regole diretto a riconoscere tra l’altro le RSA come agenti contrattuali in azienda, prescrive un “contingentamento” delle prerogative sindacali fruibili dall’organismo di rappresentanza nelle more della successiva costituzione della RSU, sembra rientrare a pieno titolo nella libertà di organizzazione sindacale e non porre problemi di conformità né con l’art. 19 Stat. lav., né con l’art. 39 Cost. Ferma l’impossibilità, come si è detto, di incidere sulle prerogative sindacali in ipotesi spettanti ai sindacati terzi, non vincolati al rispetto dell’accordo.

34 L’accordo interconfederale fa salvo l’esercizio disgiuntivo da parte dei soli sindacati firmatari di CCNL di (solo) talune prerogative sindacali. Quali, in particolare, il diritto ad indire l’assemblea per 3 delle 10 ore annue retribuite spettanti a ciascun lavoratore, il diritto ai permessi non retribuiti ex art. 24 Stat. lav. e il diritto di affissione di cui all’art. 25 Stat. lav.

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In sostanza, secondo l’opinione cui si ritiene di aderire35

, le parti firmatarie dell’accordo interconfederale 10 gennaio 2014 nell’esercizio della libertà di organizzazione sindacale non hanno inteso predeterminare i requisiti per la costituzione, nel proprio ambito, di rappresentanze sindacali aziendali ex art. 19 Stat. lav. “unitarie” (titolari, ex lege, delle non riducibili prerogative statutarie di cui al titolo III Stat. lav.), quanto piuttosto hanno dato vita ad un sistema di rappresentanza alternativo a quello legale, fondato sul riconoscimento della controparte imprenditoriale; un sistema, dunque, caratterizzato da una «netta divisione dei piani regolatori» rispetto a quello statutario36 e nel quale le prerogative (comprese quelle contrattuali) non competono alla RSU (o alla RSA “di transizione”, disciplinata dall’accordo interconfederale) direttamente in forza della previsione legislativa di cui agli artt. 19 ss. Stat. lav., bensì esclusivamente in forza – e nella misura – del loro riconoscimento pattizio da parte delle associazioni datoriali e dei sindacati dei lavoratori37. Ferma, naturalmente, la libertà dei lavoratori di promuovere RSA (dotate di non riducibili prerogative, ex art. 19 Stat. lav.) nell’ambito dei sindacati estranei all’accordo interconfederale).

Del resto, tale sistema negoziale, proprio in virtù della diversità dei piani regolatori, è potuto “sopravvivere” dapprima alla riscrittura referendaria

35 E, come meglio si argomenterà, nel commento al punto 2 della sezione III.

36 Così Cass. 20 aprile 2002, n. 5765, in MGL, 2002, n. 11, 748. Sembrerebbe, tuttavia, implicitamente orientata in senso contrario Cass. 9 luglio 2013, n. 16981, in MGC, 2013, che, pur affermando, correttamente, che alla luce del disposto dell’art. 5 CCNL Metalmeccanici 7 maggio 2003 «la mancata richiesta dell’esame conciliativo da parte del sindacato dei lavoratori non rende operante il trasferimento del dirigente delle rappresentanze sindacali unitarie nell’ipotesi di diniego preventivo del nulla osta dello stesso sindacato», aggiunge poi che «una diversa interpretazione, che imponga di attivare in ogni caso – e, dunque, anche in caso di diniego espresso – la procedura conciliativa a pena di operatività del provvedimento datoriale», sarebbe «lesiva della tutela dell’inamovibilità sancita dall’art. 22 statuto dei lavoratori, che non può essere derogato da una disciplina contrattuale peggiorativa».

37 Non può leggersi un ostacolo a tale costruzione nel dictum di C. cost. 26 gennaio 1990, n. 30. La Corte di legittimità ha, infatti, recentemente suggellato (secondo l’opinione che pare preferibile) il tramonto del carattere cogente statutario, incentrato sul nuovo baricentro dell’autonomia contrattuale collettiva, la quale è, secondo la Corte, «idonea […] a modulare le prerogative sindacali in azienda secondo criteri di rappresentatività nuovi e diversi con il limite del sindacato di comodo […] o del tutto sganciato da un’effettiva rappresentatività, da verificare caso per caso» (Cass. 1o febbraio 2005, n. 1892, in DRI, 2005, 1101). Cfr. Cass. 10 gennaio 2005, n. 269, in RIDL, 2005, n. 4, II, 806; Cass. 27 gennaio 2011, n. 1955, in MGC, 2011, n. 1, 132. Si tratta di un principio che ha una portata più ampia rispetto alla vicenda oggetto del giudizio e non è riducibile ad una mera questione di disponibilità dei diritti sindacali da parte di associazioni sindacali titolate ex art. 19 Stat. lav. Contra si veda, però, P. B , Rappresentanza e diritti sindacali in azienda, in DLRI, 2011, n. 132, 543.

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dell’art. 19 Stat. lav., e poi al successivo intervento della Consulta38

, che ha ridisegnato il perimetro della norma statutaria, senza intaccare i tratti essenziali della disciplina pattizia del ‘93, poi sostanzialmente ripresi, pur con qualche significativa novità, dall’accordo interconfederale del 2014.

6.2. Il passaggio dalla RSA alla RSU

La disposizione in commento “agevola”, o forse “forza” il passaggio dalla RSA alla RSU, disponendo che alla scadenza (triennale) della (prima) RSA, costituita nelle unità produttive precedentemente prive di alcuna forma di rappresentanza, il passaggio alla RSU potrà essere deciso dalle organizzazioni sindacali categoriali che raggiungano, a livello nazionale, la “maggioranza” (50%+1)39 nell’ambito contrattuale di riferimento.

Il rinvio, per il calcolo di detta maggioranza, alle regole di cui alla prima parte dell’accordo rende evidente che la regola in commento potrà operare unicamente quando verranno messi a punto i complessi meccanismi ivi prefigurati di misurazione della rappresentatività dei sindacati categoriali (convenzione con l’Inps, raccolta e aggregazione dei voti da parte del Comitato dei garanti, o costituendo analogo organismo).

Ove, invece, alla scadenza del primo triennio dalla costituzione della neo-costituita RSA, le organizzazioni sindacali dotate di forza rappresentativa maggioritaria a livello nazionale nell’ambito di riferimento non abbiano optato per il passaggio alla RSU, dovrebbe trovare applicazione (alla scadenza del secondo triennio) la regola di cui al punto 8 della sezione II della parte II e dunque sarà necessaria, per il successivo passaggio alla RSU, non la maggioranza delle organizzazioni sindacali rappresentative a livello nazionale, bensì l’“unitarietà” delle organizzazioni sindacali aderenti alle confederazioni firmatarie del protocollo 31 maggio 2013 (Cgil, Cisl, Uil). Con conseguente legittima costituzione – in difetto di decisione unitaria – di RSA.

La clausola non specifica se le organizzazioni sindacali «maggioritarie nella categoria», per poter deliberare il passaggio dalle neo-costituite RSA alle RSU, debbano essere o no “presenti” in azienda: ma la soluzione affermativa sembra l’unica plausibile: in caso contrario esse non avrebbero alcun interesse a deliberare la reductio ad unum nell’ambito di un organismo unitario (nel quale non avrebbero neppure titolo ad essere rappresentate); ed è altresì prevedibile che il passaggio dalle neo-costituite RSA alle RSU avrà luogo solo

38 Corte cost. n. 231/2013, cit., in DRI, 2013, n. 4, 1143.

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là ove le organizzazioni sindacali maggioritarie a livello nazionale nell’ambito contrattuale di riferimento abbiano ragionevoli aspettative di risultare maggioritarie anche in azienda (non avendo, altrimenti, interesse alla formazione di un organismo unitario e collegiale, deliberante a maggioranza). E tuttavia – tenuto conto che le organizzazioni “minoritarie” a livello nazionale, per il combinato disposto della clausola in commento e della seconda parte della clausola di salvaguardia, si troverebbero private del loro diritto a costituire RSA, là ove la RSU sia stata o venga costituita in base ai meccanismi appena descritti (e dunque con il consenso delle sole organizzazioni maggioritarie), a prescindere dalla loro partecipazione o no alle elezioni40 – sembra potersi presagire una qualche resistenza dei sindacati categoriali storicamente “minoritari” ad adeguarsi al recepimento nei CCNL della clausola in commento.

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