Il TU 10 gennaio 2014. Misura e certificazione della rappresentanza sindacale
2. Ragionevolezza e conformità al codice civile e alla Costituzione dei criteri di misurazione della rappresentatività
Va subito premesso che gli obiettivi perseguiti dal TUR meritano una valutazione positiva innanzitutto sotto il profilo della causa negoziale sottesa all’accordo, in quanto «diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico» (art. 1322, comma 2, c.c.).
Si constata generalmente, infatti, che l’attuale economia globalizzata – caratterizzata da un elevato grado di mobilità dei capitali, dalla volatilità/imponderabilità della domanda di beni e servizi e dalla accentuata concorrenzialità fra imprese – richiede al management massima rapidità decisionale e flessibilità organizzativa. In tale contesto, si rivela essenziale la certezza e la stabilità di ogni relazione contrattuale e, in particolare, delle relazioni industriali, soprattutto in una fase ove il fronte sindacale non è più unitario. Le norme sulla rappresentanza poste dal TUR, insomma, trovano oggi più che mai una loro giustificazione socio-economica quali imprescindibili momenti di (auto)regolazione del mercato del lavoro e delle comunità aziendali, mentre la certezza delle regole del gioco e del rispetto degli accordi liberamente sottoscritti rappresentano una delle precondizioni imprescindibili per la programmabilità della organizzazione imprenditoriale, per la promozione degli investimenti ed, in definitiva per il rilancio e la competitività dell’intero sistema economico.
3 G.GHEZZI, Presentazione di E.GRAGNOLI, A.PERULLI (a cura di), La riforma del mercato
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Non possono esservi dubbi, poi, sulla ragionevolezza intrinseca degli illustrati criteri di commisurazione della rappresentatività. Il dato associativo e il dato elettorale sono notoriamente i due indici quantitativi per eccellenza: testimonianza, l’uno, della capacità di aggregare iscritti e, l’altro, dell’idoneità a raccogliere consensi oltre la cerchia degli associati, sicché la loro combinazione virtuosa dovrebbe assicurare – come già avviene nel settore pubblico – un adeguato bilanciamento fra la vocazione associativa e quella universalistica del sindacato.
A propria volta, l’ancoraggio del criterio elettivo ai risultati delle elezioni delle RSU dovrebbe consentire di instaurare un forte legame tra rappresentanza categoriale e rappresentanza nei luoghi di lavoro, mediante un sistema elettorale «imperniato sulla preferenza per le liste presentate da sindacati inseriti a pieno titolo nel sistema contrattuale extraziendale» riconosciuto dal TUR stesso4.
Il necessario collegamento tra l’eletto ed il sindacato rappresentativo (di livello extra-aziendale), presentatore della lista, è confermato, innanzitutto, dalle (già note) regole elettorali secondo cui «ciascun candidato può presentarsi in una sola lista» (cfr. parte II, punto 4, terzo periodo, TUR, che riprende l’art. 4, parte II, dell’accordo interconfederale 20 dicembre 1993) e «in caso di dimissioni di componente elettivo, lo stesso sarà sostituito dal primo dei non eletti appartenente alla medesima lista» (cfr. parte II, punto 6, primo periodo, TUR, che riprende l’art. 6, parte I, dell’accordo interconfederale 20 dicembre 1993).
Deve, però, considerarsi al riguardo anche la nuova regola della decadenza dei membri della RSU in caso di cambiamento di appartenenza sindacale (parte II, punto 6, III periodo, TUR), certo tesa ad impedire che OO.SS. non aderenti possano accedere al sistema di negoziazione (e godere quindi dei diritti sindacali) senza aver affrontato le elezioni e senza comunque essersi sottoposti ad alcun meccanismo di verifica del consenso. La pattuizione collettiva “anti-ribaltone” vale, però, anche nei confronti degli stessi sindacati aderenti: si configura quindi un “mandato elettorale con vincolo associativo”, sconosciuto nel modello tradizionale di rappresentanza politica, fondato invece sul libero mandato parlamentare e sulla insindacabilità, in costanza di carica, delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle funzioni (artt. 67 e 68 Cost.)5.
4 L.ZOPPOLI, Le nuove rappresentanze unitarie e il gattopardo democratico, Working Paper
CSDLE “Massimo D’Antona”.IT, 2014, n. 204, 14.
5 La questione del c.d. “cambio di casacca” è stata più volte affrontata e risolta in vario modo dalla giurisprudenza. Cass. 12 agosto 2000, n. 10769, in MGL, 2000, n. 11, 1140, era giunta
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Il TUR persegue, in definitiva, la medesima linea di politica del diritto nata con lo Statuto dei lavoratori e poi costantemente perseguita anche a livello di accordi interconfederali fin dal protocollo Ciampi del 1993: consentire l’accesso alla c.d. “legislazione di sostegno” (il titolo III dello Statuto dei lavoratori) e poi alla contrattazione solo a determinati soggetti sindacali rappresentativi, utilizzando una nozione giuridica di rappresentatività sindacale che comunque consentisse il collegamento tra vertice e base del sindacato, il raccordo tra istanze sindacali aziendali e istanze sindacali extra-aziendali come fondamentale momento di razionalizzazione del conflitto industriale.
Dovrebbe così definitivamente consolidarsi quel sistema di rappresentanza e di partecipazione dei lavoratori sviluppatosi al di fuori ma non in aperto contrasto con quello prefigurato nella seconda parte dell’art. 39 Cost. Un sistema “alternativo” (ma conciliabile con la Carta), il quale – come noto – rifugge dai controlli pubblicistici derivanti dalla “registrazione” e dalla conseguente verifica della democraticità interna, e privilegia invece non il “sindacato-istituzione”, cristallizzato sugli “iscritti”, ma l’organizzazione sindacale informale che sa farsi anche “movimento”, convogliando il consenso, in vario modo espresso, proveniente dalle comunità aziendali.
Tale impostazione – come altrettanto noto – è stata giudicata pienamente legittima dalla Corte costituzionale che, in molteplici pronunce relative all’originaria formulazione dell’art. 19, l. n. 300/1970, ha sempre salvaguardato la norma, proprio in virtù della ragionevole corrispondenza fra il detto criterio selettivo ed esigenze di governo del sistema di relazioni sindacali6.
Non può negarsi, inoltre, la sostanziale coerenza del TUR anche con i successivi dicta della Consulta relativi al mutato quadro normativo seguito al
alle medesime conclusioni del TUR pur in mancanza d’una espressa previsione in tal senso da parte della contrattazione collettiva. Contra, Cass. 7 marzo 2012, n. 3545, in RFI, 2012, n. 33, voce Sindacati [6260],che ha invece ritenuto di valorizzare il «fondamento universalistico della carica elettiva» per escludere la decadenza dalla carica. Cass. 20 marzo 2008, n. 7604, in
ADL, 2009, n. 3, II, 785, con nota di L. TORSELLO, ha ritenuto l’anti-sindacalità del provvedimento della direzione amministrativa d’una università che, reputando realizzate situazioni di incompatibilità con il passaggio di alcuni componenti della RSU ad altre OO.SS., aveva rilevato la decadenza dei predetti componenti dalla carica, disponendone la sostituzione con i primi non eletti dalle rispettive liste.
6 La conformità all’interesse generale dell’attribuzione legale o convenzionale dei diritti sindacali ai soli sindacati rappresentativi è stata così riconosciuta dalla costante giurisprudenza costituzionale (C. cost. n. 54/1974, in FI, 1974, I, 963; C. cost. n. 334/1988, ivi, 1988, I, 1774, con nota di R.G ; C. cost. n. 30/1990, in CG, 1990, n. 5, 483, con nota di F.L ).
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referendum del 1995; con l’esigenza, in particolare – più volte rimarcata – che la rappresentatività sindacale sia effettiva e verificabile: effettiva, nel senso di strettamente dipendente dal consenso dei lavoratori (e non da mero accreditamento datoriale); verificabile, basata, cioè, su criteri di accertamento oggettivamente riscontrabili e non su generici indici presuntivi che, per quanto raffinati, rimandano pur sempre a opinabili e contrastanti applicazioni giurisprudenziali7.
Sul punto può osservarsi, semmai, che le OO.SS. firmatarie del TUR potevano osare di più, sganciando finalmente la delega dal meccanismo del silenzio/assenso. In attuazione degli indicati principi di effettività e di verificabilità del consenso, sarebbe stato, cioè, più opportuno prevedere che una delega in scadenza dovesse intendersi non rinnovata salvo espressa disdetta, ma – al contrario – disdettata salvo espresso rinnovo. Si sarebbe
potuto, in tal modo, promuovere una maggiore
sensibilizzazione/responsabilizzazione del consenso nei lavoratori aderenti, sollecitando al contempo nelle OO.SS. un’attività di proselitismo costante, che presuppone un continuo, dialettico confronto con i lavoratori. Ciò avrebbe (avuto) il benefico effetto di “costringere” ancor più il sindacato ad un confronto permanente con la propria base di militanti (iscritti) e di simpatizzanti (votanti), e di favorire così un processo democratico ambiziosamente concepito come continuum partecipativo e non solo come puntuali momenti di verifica del consenso nelle varie tornate elettorali.
Qualche perplessità può suscitare, inoltre, la previsione per cui il Cnel, ricevuti i dati relativi agli iscritti e i dati elettorali, provveda a sommare a questi ultimi il numero degli iscritti risultanti nelle unità produttive con più di 15 dipendenti ove siano presenti RSA ovvero non sia presente alcuna forma di rappresentanza sindacale (parte I, sedicesimo e diciannovesimo periodo, TUR). In sostanza, in queste due ultime ipotesi, il dato relativo agli iscritti viene valorizzato in modo peculiare, sul presupposto – fortemente sostenuto dalle organizzazioni sindacali firmatarie del TUR – che l’iscritto al sindacato, qualora vi fossero state le elezioni per le RSU, avrebbe certamente votato per la lista ispirata dall’organizzazione cui appartiene. Certo è discutibile escludere a priori che un lavoratore possa esprimere un voto divergente dalla propria appartenenza sindacale: si tratta di una “presunzione” non in sintonia con le citate “direttive” della Consulta e con l’esperienza demoscopica, che riscontra in tutti gli ambiti una diffusa mobilità/volatilità del gradimento elettorale, sempre più condizionato, anche in modo contraddittorio, dalla
7 C. cost. n. 244/1996, in RIDL, 1996, n. 2, II, 447, con nota di G.PERA; C. cost. n. 345/1996, in NGL, 1996, n. 11, 655.
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prossimità dei contesti socio-economici. La regola pare comunque trovare una sua giustificazione e “ragionevolezza”, nella misura in cui consente di identificare e introdurre l’elemento del consenso elettorale, ai fini della ponderazione della rappresentatività complessiva, anche in situazioni in cui una “verifica elettorale” in senso proprio non è possibile.
La nuova rappresentatività “effettiva” e “verificabile” viene – come detto – coniugata dal TUR col principio di maggioranza, poiché il dato elettorale e quello associativo saranno utili, oltre che per il raggiungimento della soglia del 5%, anche: «(a) per la verifica della maggioranza del 50% + 1, per tutti i rinnovi contrattuali che saranno sottoscritti dopo la comunicazione effettuata dal CNEL; (b) ai fini della misurazione delle maggioranze relative alle piattaforme di rinnovo per i contratti che scadono dal novembre 2015» (cfr. parte I, TUR).
Pure il principio di maggioranza adottato dal TUR può considerarsi “ragionevole”. Dotato, innanzitutto, d’una sua razionalità intrinseca, se riferito ad una base omogenea di interessi e ad un ambito predefinito, categoriale ed aziendale8. Conforme, poi, con l’attuale nucleo precettivo dell’art. 39, comma 4, Cost., il quale comunque permane quale imprescindibile referente normativo per l’attuazione di qualunque modello di partecipazione e democrazia sindacale realizzabile mediante l’autonomia collettiva. La norma citata, infatti, richiede – secondo autorevole dottrina – «non […] che si formi un organo comune ai fini delle trattative», «ma […] che, al momento di concludere, il consenso sia valutato unitariamente, e che in tale espressione di consenso ciascun sindacato conti, qualunque sia la distribuzione dei tavoli, in proporzione al seguito effettivo»9.
Il principio maggioritario, inoltre, è senz’altro congruo con gli obiettivi del TUR, poiché serve a selezionare gli interlocutori che godono del consenso più diffuso: presumibilmente in grado, pertanto, di esercitare meglio di altri la più ampia influenza possibile per l’esigibilità del contratto collettivo, nonché, più in generale, per la stabilità e la certezza dell’intero sistema di relazioni
8 Cfr. sul punto le osservazioni, sempre attuali, di L. MARIUCCI, Poteri dell’imprenditore,
rappresentanze sindacali unitarie e contratti collettivi, in DLRI, 1995, n. 66, 203; sul principio
di maggioranza in generale e sulle sue applicazioni nel più generale contesto del diritto pubblico e privato si veda F.GALGANO, La forza del numero e la legge della ragione. Storia
del principio di maggioranza, Il Mulino, 2007.
9 M.D’ANTONA, Il quarto comma dell’art. 39 della Costituzione, oggi, in DLRI, 1998, n. 80,
665 ss., secondo il quale è fondamentale rispettare il “nocciolo duro” dell’art. 39, commi 2 ss., Cost., cioè i principi che esso pone per l’organizzazione del pluralismo sindacale in fase di negoziazione; principi che «presiedendo ai rapporti interni tra i sindacati e nei sindacati ai fini della contrattazione collettiva […] esprimono scelte di valore della Costituzione».
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collettive. Il TUR intende così offrire un fondamento consensuale, tarato sulla maggioranza dei soggetti destinatari, ad una disciplina che, inscrivendosi nel disegno costituzionale, è – almeno nelle intenzioni delle parti sottoscrittrici – destinata ad imporsi a tutti i dipendenti del settore privato. L’assetto della rappresentanza, assunto come veicolo di quel consenso, risulta in tal modo funzionale ad una (per il momento solo auspicata) efficacia generale del contratto, basata sull’obbligo di influenza dei soggetti e sull’interiorizzazione delle regole da parte di tutti gli attori d’un rinnovato gioco democratico.
3. La rappresentatività sindacale secondo C. cost. n. 231/2013. Prima concezione: consenso verificabile esclusivamente mediante il libero esercizio del potere contrattuale. Quale spazio per le minoranze?
Ciò premesso, va ovviamente tenuto presente che il TUR è pur sempre un accordo collettivo, non una legge. Un accordo collettivo – deve aggiungersi – che non ha certo fatto registrare unanimità di consensi nelle OO.SS. dei lavoratori10.
In attesa d’una legge che, in attuazione della seconda parte dell’art. 39 Cost., sancisca finalmente l’efficacia generalizzata dei contratti collettivi, occorre dunque accertare, innanzitutto, se profili di difformità dai principi individuati dalla giurisprudenza costituzionale in materia di libertà d’organizzazione sindacale possano derivare dalla natura contrattuale del TUR. Si deve verificare, in particolare, se vi sia il rischio che quest’ultimo realizzi forme di discriminazione collettiva sub specie di conventiones ad excludendum, sindacabili giudizialmente sotto i profili della anti-sindacalità ovvero anche della nullità negoziale ex art. 1418 c.c. Si deve appurare, inoltre, se tali
conventiones ad excludendum legittimino davvero un improprio potere di
accreditamento datoriale che inquina la fisiologia del confronto fra gli attori del sistema di relazioni industriali.
La questione è di fondamentale importanza e prova la “tenuta” dell’accordo a fronte delle imminenti attività di “sabotaggio giudiziale” che alcune organizzazioni sindacali dissenzienti hanno da subito minacciato.
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Considerazioni fortemente critiche sul TUR sono svolte da P. ALLEVA, I pericoli dell’accordo interconfederale sulla rappresentanza, in www.dirittisocialiecittadinanza.org, febbraio 2014, U.ROMAGNOLI, Libertà sindacale sequestrata, in Eguaglianza & Libertà, 9 febbraio 2014, V. BAVARO, Note sul Testo Unico sulla Rappresentanza sindacale del 10 gennaio 2014, in www.dirittisocialiecittadinanza.org, 27 gennaio 2014, A.PICCININI, Prime riflessioni sul cd. Testo Unico sulla rappresentanza, ivi, 5 febbraio 2014.
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Va subito chiarito, per delimitare l’area del dissenso giuridicamente esprimibile, che l’accordo in questione vincola non solo le confederazioni stipulanti, ma anche tutte le loro federazioni di categoria. L’obbligo, da parte di queste ultime, di adeguarsi al contenuto d’un accordo interconfederale stipulato dalla confederazione di cui fanno parte non sembra possa porsi seriamente in discussione (almeno fino a quando una Federazione non fuoriesca dalla propria confederazione)11.
Resta comunque il problema delle altre OO.SS. non firmatarie né aderenti, per le quali il TUR è e resterà, a tutti gli effetti, res inter alios acta. Possono costoro denunciare la natura discriminatoria di quei comportamenti datoriali che, in applicazione del TUR, li escludessero preventivamente dalle trattative (e dunque non solo dalla regolamentazione dei rapporti di lavoro, ma anche dall’accesso ai diritti sindacali di cui al titolo III, l. n. 300/1970)? Non può negarsi, in effetti, che l’accordo del 2014 contenga un duplice e fondamentale obbligo per le imprese:
a. a negoziare con determinati soggetti sindacali “rappresentativi”, sottoscrittori o successivamente aderenti all’accordo (obbligo esplicito); b. specularmente, a non negoziare con chi non è parte e rifiuta l’accordo
(obbligo implicito).
La risposta non è facile e dipende dalle interpretazioni che la giurisprudenza ordinaria darà della recente sentenza della C. cost. n. 231/2013. Una sentenza per molti versi ambigua, con un percorso argomentativo non lineare, in cui si
11 Non è il caso di ripercorrere in dettaglio la tradizionale, complessa disputa fra concezioni gerarchiche ed anti-gerarchiche dell’organizzazione sindacale e, di conseguenza, del sistema contrattuale come proiezione della struttura organizzativa del sindacato (cfr. per tutti M.
GRANDI, Rapporti tra contratti collettivi di diverso livello, in DLRI, 1981, n. 11, 393; G.
SANTORO PASSARELLI, Derogabilità del contratto collettivo e livelli di contrattazione, ivi,
1980, n. 8, 636; P.TOSI, Contrattazione collettiva e controllo del conflitto, ivi, 1988, n. 39, 449; sul riconoscimento della natura collettiva del contratto aziendale d’obbligo è il rinvio a
U.ROMAGNOLI, Il contratto collettivo d’impresa, Giuffrè, 1963). Basterà qui rilevare che,
nell’unico contrasto di cui si ha notizia, la Fiom pare contestare alla Cgil non tanto la vincolatività in sé dell’accordo verso le federazioni, ma il suo contenuto e le sue modalità di conclusione. Si è chiesto, infatti, al Collegio statutario (organo di garanzia interno alla Cgil), di censurare il comportamento della Segreteria generale per aver sottoscritto il TUR senza aver ricevuto espresso mandato dal Comitato direttivo e comunque per non aver consultato prima gli iscritti. In ogni caso, è opportuno rilevare che lo Statuto della Cgil si configura indubbiamente quale fonte sovra-ordinata rispetto agli Statuti delle singole federazioni, anche e soprattutto per quanto concerne la competenza negoziale su tipiche materie d’interesse inter-categoriale come quella delle generali regole di confronto fra gli attori collettivi (cfr., in particolare, art. 11 Stat. Cgil, secondo il quale «è di stretta pertinenza delle Federazioni o Sindacati nazionali di categoria l’esercizio del mandato negoziale, da esplicare nell’ambito delle direttive e del coordinamento della Confederazione ad ogni livello»).
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riflettono contraddittoriamente intense (e mai sopite) dispute dottrinali in merito alla titolarità dei diritti sindacali ed allo stesso ambito d’operatività dei principi costituzionali in materia di libertà d’organizzazione sindacale e d’impresa12.
Trattasi – come noto – di sentenza additiva, il cui innegabile nucleo realmente precettivo sta nella riformulazione costituzionalmente orientata dell’art. 19, l. n. 300/1970. Tale norma deve ora consentire, secondo i giudici delle leggi, la costituzione di RSA «anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda» (cfr. punto 8 della sentenza, testualmente ripreso nel dispositivo).
Ora, a fronte di tale decisum sono astrattamente possibili almeno tre diversi percorsi ermeneutici, in ciascuno dei quali l’interprete è costretto a interrogarsi sulla compatibilità tra due modelli di relazioni collettive: l’uno imperniato sulla nozione di rappresentatività sindacale che emerge dall’ultima pronuncia della Consulta; l’altro espresso nel sistema di rappresentanza sindacale come poi previsto e disciplinato dal TUR.
Secondo un primo scenario, potrebbe fondatamente sostenersi che la sentenza n. 231/2013 – conformemente ad un consolidato orientamento giurisprudenziale – non abbia introdotto un obbligo datoriale a negoziare, e che quindi la c.d. rappresentatività sindacale sia una qualità oggettivamente ed esclusivamente riscontrabile nell’ambito dei rapporti di forza tra gli attori del
12 Su C. cost. n. 231/2013 cfr. i contributi pubblicati in F. CARINCI (a cura di), Legge o contrattazione? Una risposta sulla rappresentanza sindacale a Corte costituzionale n. 231/2013, ADAPT University Press, 2014; si veda anche F.CARINCI, Adelante Pedro, con juicio: dall’accordo interconfederale 28 giugno 2011 al Protocollo d’intesa 31 maggio 2013 (passando per la riformulazione “costituzionale” dell’art. 19, lett. b) St.), Working Paper CSDLE “Massimo D’Antona”.IT, 2013, n. 179; F. CARINCI, Il buio oltre la siepe: Corte
costituzionale 23 luglio 2013, n. 231, in DRI, 2013, n. 4. Cfr. anche i contributi di S.
SCARPONI, La sentenza della Corte costituzionale n. 231 del 2013: la quadratura del
cerchio?, in LD, 2013, n. 4, 495; G.P.CELLA, Una sentenza sulla rappresentanza sindacale (o
del lavoro?), ivi, 509; M.NAPOLI, La Corte costituzionale “legifera” sulla Fiom nelle aziende
Fiat, ivi, 521; R. DEL PUNTA, L’art. 19 Statuto dei lavoratori davanti alla Consulta: una
pronuncia condivisibile ma interlocutoria, ivi, 527; V. LECCESE, Partecipazione alle
trattative, tutela del dissenso e art. 19 dello Statuto dei lavoratori, ivi, 539. Sull’impatto della
sentenza col sistema di contrattazione aziendale, cfr. A.MARESCA, V.BERTI, E.GIORGI, L.
LAMA, R.LAMA, A.LEPORE, D.MEZZACAPO, F.SCHIAVETTI, Le RSA dopo la sentenza della
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sistema di relazioni sindacali13. Dunque è nell’ambito del libero confronto che dovrebbe risolversi il contrasto tra interesse del sindacato a diventare interlocutore negoziale e quello del datore a rifiutare le trattative. La differenza rispetto alle precedenti pronunce della Consulta in argomento è che la rappresentatività deve ora desumersi non alla fine, ma all’inizio del processo di negoziazione: non più dalla mera sottoscrizione del contratto, ma – appunto – dalla effettiva partecipazione alle trattative. La presenza attiva, cioè, al tavolo delle trattative (che comporta – deve presumersi – almeno la presentazione d’una piattaforma poi oggetto di discussione) innescherebbe una sorta di presunzione assoluta di rappresentatività anche se poi non si è sottoscritto il contratto: ci si è imposti alla controparte, dunque si è rappresentativi e necessariamente titolari dei diritti sindacali di cui al titolo III dello Statuto.
Tale impostazione rappresenterebbe un “assestamento”, più che un vero e proprio revirement rispetto alla giurisprudenza costituzionale precedente, alla quale sarebbe comunque legata, nelle rationes decidendi, da un filo di continuità logico-giuridica, così sintetizzabile: la rappresentatività del sindacato non può mai derivare da un mero riconoscimento datoriale, ma dalla