Parte seconda: Analogia-Logica.
8. Creazione e linguaggio della referenza originaria.
La prima parola biblica è “ In principio”. In principio Dio creò, ed in ciò ha luogo una Umkehrung: il Dio del pre-mondo che si costituiva nel suo distacco dal nulla e nella sua affermazione della sua essenza, questo Dio di cui sapevamo, era alla fine; Questo Dio che crea, rovesciando la prospettiva, affermando l’essenza divina ( e non negandola) attraverso la libertà divina che diviene così attributo infinito, è l’inizio. Ciò che nella Parte Prima era espresso dal “ sì” viene ora espresso con il “ no” e viceversa; la possibilità stessa della creazione risiede dunque in questa “inversione” che ha la caratteristica di mantenere, a differenza di una dialettica caratterizzata dall’ Aufhebung, il “sì” e il “no” sullo stesso piano: “ il “no” non è l’ “antitesi” del “sì”, ma il “no” sta di fronte al nulla con la stessa immediatezza del “sì” e, per il suo accostarsi al “sì”, non presuppone il “sì” stesso, bensì unicamente che il “sì” sia già scaturito dal nulla””286.
284 F. Rosenzweig, La Stella,op.cit., pag. 110. 285 Ibi, pag. 119.
Il Dio della creazione non è più dunque quella sostanza fattuale che si costituisce nella sua conclusività muta, ma come potenza287, proveniente dalla libertà divina, ovvero dal suo “no” originario, ora irrompe come “sì”, nell’affermazione del mondo288; la potenza divina diviene necessità creativa.289 Questa potenza ( Macht) che fa uscire allo scoperto il Dio nascosto del pre-mondo risolve due grandi problemi connessi alla creazione: da una parte infatti risolve la contraddizione insita nell’idea di creazione, tra onnipotenza ed onniscienza divine, dall’altro la questione riguardante l’arbitrarietà e la necessità della creazione. In che modo? Attraverso un’idea di potenza declinata non come atto, bensì appunto come attributo
Dio, il Dio visibile nella creazione, può tutto ciò che vuole, ma vuole soltanto ciò che deve necessariamente volere in base alla sua essenza. In questa formula, che si offre a noi con un’accessibilità così piana e dimessa, sono risolti tutti gli enigmi che l’idea di creazione ha sempre suscitato in rapporto a Dio.290
L’importanza dell’inversione 291, al fine di garantire possibilità di creazione, è sottolineata anche da un altro fatto: laddove questa Umkehrung non è stata assunta si sono palesati insormontabili limiti; procedendo il parallelismo con il libro precedente, Rosenzweig continua la sua storia fenomenologia delle religioni ed ora, bersaglio delle sue critiche, è l’Islam di Maometto il quale “ ha trovato l’idea di rivelazione preesistente e l’ha assunta[…] (e) non riconobbe lo stretto nesso che lega la rivelazione alla creazione. Così a lui non poteva palesarsi che i concetti della creazione- Dio mondo uomo- solo attraverso un’intima inversione (Umkehr) si trasformano da figure fatte e finite in forze sorgive della rivelazione”. E continua: “ Egli li assunse anch’essi fatti e finiti come li rinvenne, non già, come i concetti della rivelazione, della fede in essa, bensì dal mondo pagano. E nello stato in cui li trovò li gettò nel movimento che
287 La potenza (Macht) divina, dice Rosenzweig, “non è più singolo atto, non è più arbitrio, ma essenza”, ibidem. 288 Il motivo di ciò è evidente giacchè la creazione “[…] in quanto movimento di Dio verso il mondo, è caratterizzata dal modo dell’attività divina, non già da quello della passività del mondo, e quindi dal “sì” ”, F. Rosenzweig, La stella, op.cit., pag. 135.
289 Un immagine schematica di questa Umkehrung, che segna il passaggio tra la Parte Prima e la Parte Seconda ci viene fornita da S.Mosès, Systéme et Révélation, op.cit, pag. 76-80.
290 F. Rosenzweig, La Stella, op.cit., pag. 120.
291 “ Ciò che sfociava come un “sì”, scaturisce come “no”, e viceversa, proprio come si possono estrarre le cose contenute in un baule nell’ordine inverso a quelle in cui sono state riposte. Per quanto la similitudine possa apparire grossolana, la dobbiamo però prendere sul serio.”, ibi, pag. 119.
dalla creazione, attraverso la rivelazione, giunge alla redenzione. Essi non divennero, da profezie in sé velate, rivelazioni che prorompono all’esterno, i loro occhi non si aprirono illuminandosi, bensì mantennero il loro muto sguardo rivolto verso l’interno anche mentre lo rivolgevano, all’esterno, l’uno verso l’altro. Ciò che era un “sì” rimase un “sì”, e ciò che era “no”, “no” 292”.
Questa riflessione conduce il Nostro a pensare che Allah avrebbe potuto esimersi dal creare e che il mondo non avrebbe bisogno di rinnovamento continuo.
L’importanza dunque della Umkehrung pone quest’ultima a fondamentale chiave ermeneutica del secondo libro della Stella. La maggiorparte dei critici sono concordi nell’apprezzare una esplicita influenza schellinghiana in questa tematica293, che d’altronde tradisce l’interesse di Rosenzweig soprattutto per un testo schellinghiano a lui particolarmente caro, il volume postumo Die Weltalter294. Nel Nuovo Pensiero Rosenzweig afferma di voler proseguire, per così dire, il percorso incompiuto di Schelling in questa opera
Schelling nella prefazione del suo geniale frammento Le età del mondo ha profetizzato una filosofia narrante. Il secondo volume tenta di realizzarla.295
Quello infatti che si propone Schelling è di “narrare” il “ Vivente originario”, ovvero Dio, e il metodo si compone terminologicamente del “sì” e del “no”, dell’ “affermazione” e della
292 F. Rosenzweig, La stella, op.cit., pag. 123-124.
293 La letteratura critica è ben nutrita a tal riguardo, e ci limitiamo a segnalare alcuni studi: C.Belloni, La presenza di
Schelling negli scritti di Rosenzweig attraverso i testi citati esplicitamente, in “ Annuario filosofico”, XVII (2001),
pag. 275-310 e Filosofia e rivelazione. Rosenzweig nella scia dell’ultimo Schelling, Marsilio, Venezia 2002; X.Tilliette, Rosenzweig et Schelling, in “Archivio di filosofia”, LIII, 1985, n.2-3, pag.147; M. Cacciari, Sul
presupposto. Schelling e Rosenzweig, in “ Aut aut”, CCXI-CCXII, 1986, pag .43-65; J.F.Courtine, Temporalità e storicità. Schelling-Rosenzweig-Benjamin, in AA.VV., Filosofia del Tempo, Mondatori, Milano, 1998, pag.162-182;
F. Popolla, “Nuovo Pensiero” e “filosofia narrante”. Rosenzweig interprete di Schelling, in “Annuario filosofico”, XIV, 1998, pag.253-280.
294 F.W.J.Schelling, Die Weltalter. Bruchstück, in Sämmtliche Werke, J.G.Cotta, Stuttgart/Ausburg, 1861; tr.it. Le
età del mondo, Guida, Napoli,1991. La sua conoscenza di Schelling, com’è noto, risale agli anni degli studi su
Hegel a Berlino, quando nella primavera del 1914, attribuì a Schelling un frammento ritrovato tra i manoscritti hegeliani e lo pubblicò col titolo Das älteste Systemprogramm des deutschen Idealismus (ora in Gesammelte
Schriften, op.cit.). Naturalmente tale attribuzione comportò al Nostro l’approfondimento del pensiero schellinghiano
e la nascita di un profondo interesse teoretico per la sua opera, che trova il suo apice proprio nella lettura dei Weltalter, i cui giudizi entusiastici costellano il suo epistolario. Basti riportare uno stralcio della lettera ad Hans Ehrenberg del marzo 1921 in cui egli giudica il testo schellinghiano “ […] un gran libro sino alla fine. Se fosse stato completato, la Stella, al di là degli ebrei, non avrebbe meritato alcuna intenzione”.
“negazione”, caratterizzate da un vicendevole rovesciamento dell’una nell’altra296 . E se certamente la prospettiva idealistica della loro reciproca dialettica (l’ “e”) è rifiutata dal Nostro, tuttavia è difficilmente non visibile l’influenza di questo testo schellinghiano nelle grandi linee della proposta teoretica del filosofo di Kassel. L’atto trasmutativo dell’ Umkehrung diviene così la possibilità produttiva della libertà divina, che presupponga ( e non assimili idealisticamente) la trascendenza, in un continuo erfahren miracoloso. E la filosofia, in questa acquisita prospettiva, ha il dovere di rendere conto ( raccontare) della creazione, spazio dell’oltre λογος ove ha luogo l’evento da illuminare.
Nell’evento della creazione il mondo come creatura allora si configura e si caratterizza per la sua creaturalità sotto due aspetti: il primo, che rimanda a Dio come principio, apre definitivamente il mondo, autonomo e chiuso nella sua plasticità mitica, alla relazione creaturale; il secondo, che permette l’irruzione della coscienza della creaturalità del mondo, “ del suo venir- creato”297 trova la sua oggettivazione nell’idea di provvidenza, che rinnova nel presente la creazione. Il rapporto del mondo col creatore non è infatti “ il suo venir creato una volta per tutte, ma piuttosto il suo rivelarsi a se stesso in continuazione come creatura. Per il mondo quindi tale rapporto non è un (suo) comparire che crea, ma un (suo) comparire che si rivela”298.
Si configura così una Umkehrung rispetto alla visione meta-logica della Parte Prima: l’essenza del mondo creato, ormai entrato nel flusso della realtà, deve invertirsi dall’universale del “ sempre e dovunque” in cui l’individuo era contenuto, in un’essenza “ sempre rinnovata” e allo stesso tempo “in-essenziale”, e tuttavia universale.
Quest’essenza che include ogni particolarità ma è, per se stessa, universale e si riconosce ad ogni istante come un intero, è l’esserci ( Dasein).
296 Schelling parla di una estroversione ( Herauswendung) di ciò che è nascosto e di una introversione (
Hineinwendung) di ciò che è manifesto, “ perché l’uno prenda il posto dell’altro e quasi si trasformi nell’altro”.
Schelling, Die Weltalter, op.cit., pag. 227. 297 F. Rosenzweig, La stella, op.cit., pag. 127. 298Ibi, pag. 128.
Dasein significa l’universale ripieno di particolare non caratterizzato dal “sempre e dovunque”, che deve incessantemente divenire nuovo per mantenere la propria esistenza, Dasein significa bisogno di rinnovarsi come intero, “ bisogno di essere”, “ perché l’essere, l’essere assoluto ed universale, è ciò che fa difetto all’esserci ed a cui esso aspira, nella sua universalità stracolma di tutti i fenomeni dell’attimo, per ottenere consistenza e verità”299. La sua condizione di bisogno gli deriva dal suo esserci in generale, e non universale, del particolare, poiché esso, nella sua costante istantaneità, “ provoca il venir-creato costantemente rinnovato”. Rosenzweig configura un mondo arricchito continuamente dalla novità dei particolari, che vengono garantiti nella loro oggettività da una provvidenza, Rosenzweig utilizza le parole della Benedizione per lo Shema’ del mattino, che “ giorno dopo giorno rinnova l’opera dell’inizio”300.
Dio creatore e mondo creato hanno delineato i loro confini all’interno della guadagnata dimensione declinata teologicamente, e Rosenzweig ora affronta il risultato: la creazione stessa e la sua espressione. Il linguaggio matematico, che già palesava i suoi limiti nel contenere in equazioni le varie Umkehrungen precedentemente analizzate, ora mostra in modo inequivocabile la sua esclusiva referenza al pre-mondo e la sua impossibilità di rappresentare legittimamente, cos’ come invece era stato nella rappresentazione degli elementi originari, il “ mondo che si esterna”301:
La matematica, questi muti segni della vita nei quali però è prefigurata, per chi sa, la vita intera, la matematica è il linguaggio che, nel senso più proprio, è il linguaggio di quel mondo che antecede il mondo.
Il linguaggio matematico, caratterizzato algebricamente, ovvero dai termini di uguaglianza e disuguaglianza, spartisce il ruolo di espressione del pre-mondano con quel “ linguaggio dell’inesprimibile” che è l’arte, la quale con il suo “parlare in qualche modo” si
299F. Rosenzweig, La stella, pag. 127. 300Ibi, pag. 130.
declina soggettivamente come contrappeso del “senso” oggettivo e muto dei segni matematici. Ma se tutto ciò appunto “ ha qui il suo posto”302, ovvero nel pre-mondo, ora
In luogo di una scienza di segni muti, deve farsi avanti una scienza di suoni vivi, in luogo di una scienza matematica deve venire la dottrina delle forme della parola: la grammatica.303
La prospettiva grammaticale riesce, a detta del Nostro, nel tentativo di dire le viventi relazioni tra Dio, uomo e mondo, in virtù della sua capacità di esprimere la struttura dell’evento e la sua manifestazione da parte dell’uomo. La grammatica della creazione ha bisogno di “ un ordine reale, che non è un ordine interno, bensì un ordine che viene introdotto nella grammatica, ed in un certo senso nel linguaggio in genere, dall’esterno, cioè dal ruolo che il linguaggio riveste nei confronti della realtà”.304Un ordine, in altre parole, in cui il molteplice inesauribile della creaturalità che si rispecchia nella molteplicità delle forme della parola si lasci allineare in “ tavole sinottiche” mediate da “parole-matrici”( Stammworte), scaturenti dalle mute, esclusivamente pensate, “parole originarie”.305
Le Stammworte e l’approfondimento grammaticale del linguaggio, concorrono così all’ottenimento di due obiettivi fondamentali, l’oggettività e la concretezza. Le parole matrici debbono presentarsi in una forma tale da permetterne un impiego univoco nella proposizione, “ poiché non le parole, ma la proposizione è linguaggio”306 e la schematizzazione delle forme linguistiche in qualità, cosalità e singolarità, rimandano infine ad una terza persona, “ la più oggettiva”307, che si esprime nella forma del passato308, rimandando ad un atto già da sempre compiuto e che in virtù del suo essere presupposto dovrà essere “raccontato”.Se il fine infatti è quello di esprimere un atto già da sempre compiuto, l’esposizione di tale atto dovrà essere
302F. Rosenzweig, La stella,op.cit., pag. 132-133. 303Ibi, pag. 134.
304Ibi, pag. 134.
305 Dice Rosenzweig delle parole matrici: “ [...] (Esse) stando come parole determinate ancora in stretta sintonia con le parole originarie, tuttavia sono capaci di trarre fuori da sé tutta l’intera normatività che abbraccia il regno della lingua reale”, Ibidem.
306Ibidem. 307Ibi, pag. 139.
308 “ Già il concetto di “fondamento”(Grund) e quello dello stesso concetto-“fondamentale”(Grund-begriff), la “causa” come cosa originaria (Ur-sache), l’ “origine” come balzo originario (Ur-sprung), il “presupposto” (Voraus-
caratterizzato dalla sua riproduzione, bensì dalla sua narrazione. E’ chiara l’influenza, come abbiamo accennato sopra, della “filosofia narrante” di Schelling, influenza che però viene decisamente declinata dal Nostro in una forma anti-idealistica.309.
Così infine, assume qui una chiara luce ciò da cui eravamo partiti: il concetto di creazione è l’idea dell’essere dell’inizio, che è inclusa nella rappresentazione dell’esser-creato “in principio”. Il mondo, apprendiamo a questo punto, innanzitutto c’è. Questo essere del mondo è il suo esserci, che indica la direzione della creazione e al tempo stesso garantisce, nella sua oggettività, la verità del mondo e mantiene intatta la sua immagine elementare, meta-logica, immagine che perde così “ le sue ultime oscurità”310. Dio e mondo si caratterizzano per la loro realtà e concretezza autonoma e il metodo oggettivante rosenzweighiano è volto alla loro espressività nel linguaggio. La logica idealistica, responsabile, a parere del Nostro, dell’ “aggiramento” e “rimpiazzo” dell’idea di creazione con quella di produzione311 o emanazione (che per il Nostro ineriscono al medesimo schema), deve essere sostituita da una logica della creazione, l’immagine scientifica del mondo dal mondo creato. La logica della creazione, come a suo tempo la logica idealistica, salvaguarda internamente il mondo dall’incertezza ed esternamente gli conferisce realtà
L’idea di creazione soddisfa questa condizione perché trova quel punto stabile al do fuori dei confini del mondo ed insieme non permette che il creatore ed il mondo si confondano, anzi non pone nessuna connessione tra questi e il mondo, se non questa: che il creatore ha creato il mondo, e il mondo, in quanto creatura, preme verso il suo venir creato.
309 L’astrattezza dell’ erzählen schellinghiano è più volte sottolineato dal Nostro che ne rivendica la componente soggettiva. Ciò conferma quanto detto in precedenza del rapporto Rosenzweig-Schelling: Rosenzweig riprende tematiche affrontate da Schelling, mostrando un grande debito alla dimensione teoretica di Schelling, ma la sua impostazione anti-idealistica lo costringe ad una posizione critica nel particolare di certe declinazioni teoretiche schellinghiane.
310 F. Rosenzweig,La stella, op.cit., pag. 143.
311 “ La produzione deve produrre lo stesso risultato della creazione, essa deve dare al mondo plasticamente oggettivo, come lo vedeva l’antichità, ciò che gli manca, cioè il punto stabile dal quale la sua molteplicità si compone e si ordina ad unità”. Ibi, pag. 143.
Ma a differenza della logica idealistica, che ritiene di dover istituire una connessione coglibile razionalmente tra Dio e mondo ( causa ed effetto), la logica della creazione non prevede nessun carattere di proporzionalità tra i due termini.
Questo passaggio segna un nodo problematico importante nell’economia della nostra riflessione, al fine di chiarificare ulteriormente il ruolo dell’analogia nel pensiero rosenzweighiano.
L’analogia operante nell’ opus rosenzweighiano è un’analogia all’interno del linguaggio, nel tropo metaforico per la precisione. La proporzionalità analogica tra emanato ed emanatore, ovvero tra Dio e mondo caratterizzati emanazionisticamente, è invece criticata aspramente dal Nostro poiché ricadente in pieno nella logica della vecchia filosofia, nelle modalità che ora andremo a chiarire.
Una proporzione può esistere solo tra A (=A) ed A (=B), cioè solo tra due diversi A, e non tra A (=A) e B (=A), cioè tra un A e un B.312
Soltanto un mondo che sia A (=B) può essere scaturito dal Dio che A (=A), solo in questo caso si può parlare di emanazione.
E l’emanazione, lo scaturire del mondo da Dio e, nel mondo, lo scaturire di sempre nuove correnti da ciò che di volta in volta era sgorgato per ultimo, l’emanazione è appunto la concezione che nella storia universale tentò per prima di fare concorrenza all’idea di creazione propria della rivelazione. Per ogni nuovo scaturire, ciò da cui esso sgorga è di nuovo una metafora dell’origine divina dell’intero, ed esso stesso è, per sé preso, una metafora dello scaturire originario del mondo; per ciascuno scaturire la sua origine è di nuovo A (=A) ed esso stesso A (=B).313
Questo passo risulta molto interessante, poiché permette una valutazione indicativa di ciò che è la posizione di Rosenzweig nei confronti dell’analogia. Da una parte infatti il Nostro ribadisce che Dio e mondo in questa concezione sono orientati ad una proporzionalità reciproca, per cui ogni nuovo scaturire inerisce a ciò da cui esso sgorga in quanto metafora “ dell’origine divina dell’intero” ed esso stesso diviene metafora “ dello scaturire originario del mondo”: l’origine è
312F. Rosenzweig, La stella, op.cit., pag. 145. 313Ibidem.
sempre A (=A) e lo scaturire stesso A (=B) .Da un punto di vista teoretico egli attribuisce a questa logica dell’emanazione prima, e della produzione poi, la non capacità di soddisfacimento di “ quel bisogno della ragione che l’ha suscitata”314 giacchè non potendo fare a meno del caos originario315 e valutando, nella sostituzione del Dio creatore con il Dio producente, l’impossibilità di sottrarre quest’ultimo alle pretese omninclusive della teoria filosofica, ha in ultima analisi palesato il bisogno di rivolgersi ad un’ ulteriore origine non originata, che confluirà nell’idealistico “sé”. Il rapporto analogico tra emanato ed emanatore sottrae Dio alla conoscenza razionale. D’altro canto, ed in questo passaggio è evidente, Rosenzweig ripone attenzione e fiducia nei confronti del linguaggio, in grado di render ragione e di descrivere, mostrando di nuovo nell’accordo di metafora e linguaggio simbolico nuove possibilità per la filosofia , e non esita ad utilizzare il valore analogico della metafora, che si declina in una dimensione assolutamente orizzontale nei confronti della razionalità comprendente, laddove l’idea di dimensione orizzontale non si esaurisce in una esperibilità conclusiva , bensì rimanda alla opportunità di dire diversamente. E questo affidarsi al linguaggio del Nostro permette al suo stesso procedere linguistico di caricarsi di valore metaforico, valore che densamente, in queste pagine316, si propone una capacità squisitamente euristica.
Avere fiducia nel linguaggio è facile poiché esso è in noi ed intorno a noi, e non è diverso quello che ci viene dall’ “esterno” rispetto a quello che dal nostro“interno” echeggia in risposta verso l’ “esterno”.317
314F. Rosenzweig, La stella, op.cit., pag. 145.
315 “ La via dell’emanazione è una “ via verso il basso”, è (per chiamare in causa la metafora consueta) l’irradiarsi di una luce nell’oscurità, oscurità che quindi viene già presupposta ovunque fin dalla prima origine dello scaturire, e che quindi è posta prima (Im voraus gesetz). La dottrina dell’emanazione non può fare a meno dell’idea del caos originario, della notte originaria che è più antica della luce, la “ tenebra, che all’inizio era tutto” ”. Ibidem.
316 Si veda ad esempio a pag. 145 l’utilizzo della metafora del mondo e di Dio come origine divina dell’intero, dello scaturire originario del mondo, e dell’irradiarsi della luce nell’oscurità ; oppure l’idea di opera d’arte come metafora della creazione, a pag. 159; per non parlare delle varie metafore “in opera” che costellano tutta la riflessione rosenzweighiana e che in particolare si concentrano nelle pagine qui analizzate, come a pag. 158, in cui il Nostro equipara il mitico, il plastico, il tragico ad una totalità chiusa come una “cornice” separante l’interno dall’esterno, e ancora queste tre dimensioni a tra colonne capitali su cui si innestano gli archi (le varie relazioni intercorrenti tra