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BENJAMIN E L’ALLEGORIA

4. Dramma barocco e decadenza.

La scelta di indagare un periodo storico come quello del Barocco tedesco mostra chiaramente la sfida benjaminiana allo status quo, a quella Kunstwissenschaft tedesca che aveva relegato senza scarto quest’epoca ad un ruolo di insuperabile marginalità e dipendenza dal passaggio epocale

559Ibi, pag. 22.

560W. Benjamin, Ursprung, op.cit., pag. 22.

561 R. Bodei sottolinea che “la monade, la contrazione della realtà in uno, è l’impoverimento che si rivela vera ricchezza, la fattività che manifesta in forma intelligibile anche il movimento.” In R. Bodei, Le malattie della

tradizione. Dimensioni e paradossi del tempo in Walter Benjamin, in “Aut aut”, 189-90, 1982, pag. 175.

dal Rinascimento all’età della ragione. Visto in quest’ottica il Barocco tedesco, specialmente nell’espressione del dramma – che Benjamin stesso definisce come “forma senza dubbio significativa ma impacciata”563 – è stato interpretato da una teoria estetica assai acritica: la presunta assimilazione con la teoria aristotelica aveva portato inevitabilmente il dramma barocco ad essere considerato un impoverimento e dunque una caricatura dell’antica tragedia, poiché - si concludeva frettolosamente - i drammaturghi dell’epoca si erano limitati ad applicare senza comprensione “ i venerandi precetti di Aristotele”564. L’appesantimento di un tale giudizio veniva poi ulteriormente aggravato dall’assimilazione di tale dramma all’universo rinascimentale, così da risultare addirittura obbrobrioso.

“Ma i vecchi giudizi sono ormai alla fine” – afferma il Nostro – “ Le analogie sorprendenti con lo stato attuale della letteratura tedesca hanno dato luogo a un sempre maggiore approfondimento […]”565. La profonda affinità d’intenti è valutata infatti da Benjamin non tanto nell’idea di un terreno comunitario, quanto piuttosto nell’idea di “decadenza”, tanto da poter affermare sia del barocco quanto dell’espressionismo che non si tratta di epoche d’arte in senso proprio, quanto di epoche “ dalla volontà artistica [ Kunstwollen] ostinata”566. Ciò per Benjamin significa che se il culmine dell’arte è l’opera isolata, conclusa, nelle epoche di decadenza la ricerca è quella piuttosto della “forma” tout court: in tale volontà artistica si fonda l’attualità del barocco dopo il crollo della cultura classicista tedesca. Altra grande caratteristica di questa affinità, e dunque dell’estrema attualità del Barocco, viene da Benjamin indagata nel linguaggio.

Gli scrittori cercavano di impadronirsi in modo personale della forza più intima dell’immagine, quella da cui procede la precisa eppure delicata metaforicità del linguaggio. Non era tanto il

563W. Benjamin, Ursprung, op.cit., pag. 23. 564Ibi, pag. 22.

565Ibi, pag. 29. Benjamin riporta, a tal proposito, le premonitrici parole del 1904 di A. Hübscher in Barock als

Gestaltung antithetischen Lebensgefühls. Grundlegung einer Phaseologie der Geistesgeschichte ( in “Euphorion”,

XXVIV, 1922), pag. 517-62 e pag 759-805: “ Ho […] l’impressione che in nessun periodo, da due secoli in qua, il sentimento artistico sia stato tanto vicino alla letteratura barocca del XVII secolo, tutta intenta alla ricerca di un suo stile, quanto il sentimento artistico dei nostri giorni. Interiormente vuoti o sconvolti nel più profondo, esteriormente assorbiti da problemi tecnici e formali che sulle prime sembravano concernere ben poco le questioni esistenziali dell’epoca – tali erano quasi tutti i poeti barocchi, e simili sono, per quel tanto che se ne può vedere, perlomeno i poeti del nostro tempo, quelli che danno l’impronta alla sua produzione letteraria”.

discorso figurato, quanto la singola metafora verbale a fare la gloria del poeta, come se l’elaborazione linguistica comportasse di per sé il momento dell’invenzione poetica della parola. Ed aggiunge

I traduttori barocchi amavano le formule ardite, quelle che negli scrittori odierni si chiamerebbero “arcaismi”, e in cui si pensa di attingere alle fonti stesse della vita della lingua.567

Il linguaggio, nella sua metaforicità - metaforicità che fa la gloria del poeta barocco – e nella sua capacità creativa ( “dappertutto si trovano neologismi”, nota il filosofo), garantisce la possibilità di coglimento dell’immagine, della forma che indichi il senso dell’epoca accompagnata da quella “vertigine, suscitata dalla vista della sua spiritualità tortuosa e contraddittoria”568.

Procedendo nell’analisi, sorretti dalla caratteristica metodologia benjaminiana che trova nella necessaria tensione verso gli estremi la possibilità della formazione dei concetti e dunque della conoscenza, Benjamin dichiara la sua ipotesi di lavoro: “che quanto appare diffuso ed eterogeneo può offrire, alla luce dei concetti adeguati, gli elementi per una sintesi”569. Questo spiegherà il motivo dell’attenzione benjaminiana nei confronti degli autori minori di questo genere i quali “plasmano” e non incarnano – come i poeti eletti – la forma; le opere di scrittori quali Gryphius, Lohenstein, Hallmann e Opitz erano state messe da parte e dimenticate dai pregiudizi della classificazione stilistica e della valutazione estetica e divengono dunque per il Nostro addirittura irrinunciabili per una comprensione dell’epoca.

La forma stessa, la cui vita si identifica con quella delle opere che essa determina, e la cui visibilità è anzi a volte inversamente proporzionale alla perfezione dell’opera letteraria, risulta spesso più evidente nel gracile corpo dell’opera mediocre, come fosse il suo scheletro.570

567 W. Benjamin, Ursprung, op.cit., Premessa gnoseologica, pag. 30. 568Ibi, pag. 31.

569Ibi, pag. 32. 570Ibi, pag. 33.

L’estrema novità dell’analisi di Benjamin sul Barocco tedesco, date queste premesse, si orienterà essenzialmente su due fronti: da una parte sottolineando e mettendo in discussione il rapporto tra tragedia ed il genere drammatico tipico del Barocco, il Trauerspiel, dall’altra riservando un’estrema attenzione nei confronti della struttura allegorica della produzione barocca. Se l’opera infatti si dà esclusivamente come frammento che nella sua totalità mai compiuta esprime tuttavia la forma, l’allegoria barocca riuscirà ad incarnare questa tensionalità: nell’allegoria la storia si offre all’osservatore come volto, mostrando tutta la sua significatività nella sua stessa decadenza, contratta in immagine. E lo studio del dramma barocco tedesco permette una chiara individuazione del significato, che qui Benjamin ricerca, dell’allegoria. L’analisi e l’approfondimento della prima parte del Trauerspiel benjaminiano, Dramma e tragedia, ci permetterà di giungere, con la necessaria consapevolezza, all’approfondimento dell’allegoria barocca.

Il primo passaggio significativo da sottolineare è la parentela, ravvisata dal Nostro, tra il dramma barocco e quello martirologico-medievale571, dove assistiamo per la prima volta al passaggio dalla tragedia al dramma: la tragedia, che aveva come contenuto il mito, lascia il posto al dramma ed al suo contenuto storico. La distinzione tra i due termini è fondamentale per comprendere l’interpretazione benjaminiana: bisogna rendersi conto – afferma Benjamin sulla scorta esplicita delle considerazioni nietzscheane contenute in Geburt der Tragödie – “ che il teatro moderno non ha più prodotto alcuna tragedia in senso greco”572 e che qualsiasi filosofia della tragedia, che basi i suoi presupposti su sentimenti universali di “colpa” ed “espiazione” nel tentativo di attualizzare il tragico come contenuto universalmente umano, si è in realtà

571 “ Il tiranno e il martire sono, nel Barocco, i due volti di Giano della testa coronata. Sono le due modalità estreme, e necessarie, dell’essenza regale”. E ancora: “ Che le teorie medievali rivivano nell’epoca delle guerre di religione, che il Medioevo continui a regnare incontrastato nello “stato dell’economia, nell’arte e nella scienza”, che il suo superamento (e quindi la sua stessa nascita come categoria storiografica) avvenga solo nel corso del XVII secolo, tutto ciò è stato detto da tempo. Se si rivolge lo sguardo a certi particolari, si è sorpresi dell’abbondanza delle controprove. Già un lavoro puramente statistico e compilativi sulla poetica barocca è in grado di concludere che le definizioni barocche della tragedia sono nel loro nucleo “identiche a quelle che troviamo nelle grammatiche e nei lessici del Medioevo”. E contro la clamorosa parentela tra la definizione di Opitz e quelle, usuali nel Medioevo, di un Boezio o di un Placido, non è certo un valido argomento il fatto che Scaligero[…] porti degli esempi contro la loro distinzione tra poesia tragica e poesia comica, una distinzione che trascende com’è noto l’ambito drammatico”, W. Benjamin, Ursprung, op.cit., pag. 46, 52.

sviluppata senza alcun rapporto con i fatti storici concreti, soprattutto in relazione al dramma barocco. La tragedia, invece, perde la propria legittimità, se estrapolata dal suo contesto. Essa affonda le sue radici nel mito e rappresenta il sacrificio dell’eroe, che con la sua sofferenza allontana dalla comunità l’ira degli e dei e con la sua morte esprime il primo e l’ultimo sacrificio, “è l’ultimo dei sacrifici espiatori previsti dall’antico diritto divino; ed il primo come azione sostitutiva, in cui si annunciano nuovi contenuti della vita del popolo” 573; il trionfo sull’ordinamento mitico viene garantito attraverso il silenzio dell’eroe, che Benjamin dice essere una delle grandi intuizioni di F. Rosenzweig574 sul tragico, e la cui morte tragica ha appunto la doppia valenza di rovesciare “l’antico diritto degli dèi olimpi” e offrire l’eroe al Dio ignoto “come primizia di una nuova messe umana”575. Se infatti l’interpretazione nietzscheana, “con la sua metafisica schopenaueriana e wagneriana”576, seppur abbia posto le basi per una revisione interpretativa nell’emancipazione dallo stereotipo morale, si è irretita nell’ “abisso dell’estetismo”577, la posizione di Rosenzweig e Lukàcs578 hanno aperto degli spunti davvero significativi. Soprattutto nei confronti di Rosenzweig il Nostro destina una serie di riconoscimenti: una lunga citazione dalla Stella è introdotta da un’entusiastica valutazione dell’ “uomo metaetico”: “ L’immaturità dell’eroe tragico, che distingue nettamente il protagonista della tragedia greca da tutti i tipi successivi, fa sì che l’analisi dell’ “uomo metaetico” svolta da Franz Rosenzweig appaia come una pietra miliare della teoria della tragedia”579. In un altro passo, contro la posizione schopenaueriana, Benjamin contrappone “ alcuni frasi di Rosenzweig, per riconoscere i progressi compiuti dalla storia filosofica del dramma grazie alle scoperte di questo pensatore”580. E così, sulla scorta dell’autore della Stella, l’intima differenza tra tragedia moderna ed antica viene uteriormente declinata da una parte nell’idea di unicità assoluta

573W. Benjamin, Ursprung, op.cit, pag. 82. 574Ibi, pag. 83.

575Ibi, pag. 82-83. 576Ibi, pag. 78. 577Ibi, pag. 79.

578 György Lukàcs, Die Seele und die Formen. Essays, E. Fleischel, Berlin, 1911, tr.it. L’anima e le forme, Sugarco, Milano, 1963. Benjamin cita: “ Invano la nostra età democratica ha tentato di adeguarsi al tragico; vani sono stati i tentativi di aprire ai poveri di spirito questo regno celeste”. Ibi, 77.

579Ibi, pag. 83. 580Ibi, pag. 88.

dell’eroe contrapposta alla diversità dei caratteri dei personaggi di quella moderna, dall’altra nell’idea, assente nel dramma moderno, dell’agonismo che permeava tutte le strutture della tragedia.

Il passaggio da una forma all’altra, che trova un fecondo exemplum nel platonico ciclo di Socrate, in cui è possibile assistere, nella figura di Socrate morente, al dramma martirologico in quanto parodia della tragedia (che a sua volta annuncia in ciò il suo definitivo tramonto, proprio come Nietzsche aveva teorizzato), sarà infine sancito dal Nostro nel Trauerspiel. Esso si presenta come una sorta di “rappresentazione per malinconici” sulla scorta della sua accezione strettamente terminologica, che indica il Trauer, lutto, tristezza, e lo Spiel, ovvero gioco o rappresentazione, e si appella al Mistero, in quanto dramma martirologico, il quale tuttavia perde qualsiasi aggancio alla trascendenza per essere secolarizzato e divenire storia, da interrogare. Al sacrificio della tragedia si sostituisce il martirio, che sancisce quell’immanenza che diviene una delle caratteristiche peculiari del dramma barocco. Il piano degli eventi si sposta su di una dimensione di perenne immanenza, dove anche il senso stesso di trascendenza appare come un proiettare all’infinito la situazione della creatura. Benjamin infatti osserva un lato estremamente interessante del dramma barocco: “ la sua conclusione [del dramma barocco, n.d.A.] non stabilisce alcuna epochè, come accadeva invece in senso storico ed individuale, con la morte dell’eroe tragico.[…] Mentre l’eroe tragico nella sua “immortalità” non salva la vita ma soltanto il nome, i personaggi del dramma barocco perdono con la morte la loro individualità nominale ma non la forza del ruolo581, che rivive intatta nel mondo degli spiriti”582. La morte non sancisce il passaggio verso la trascendenza, ma conduce ad un altrettanto immanente mondo degli spiriti. Il Trauerspiel è assolutamente inconciliabile con qualsiasi prospettiva religiosa, rispecchiando altresì la visione barocca della storia come inesorabile ruota degli eventi dove i personaggi nei loro abiti trionfali rappresentano tale vuoto avvicendarsi. “La storia si secolarizza sulla scena, si

581 Benjamin porta a conferma di ciò un dialogo di Stranitzky, Wiener Haupt- und Staatsaktionen, : “ Ohimè, io muoio sì, sì, maledetto, muoio, ma tu dovrai temere la mia vendetta: anche sotto terra resterò il tuo acerrimo nemico, la furia vendicatrice del regno di Messina. Io scuoterò il tuo trono, il talamo nuziale e con la mia ira provocherò al re e al regno ogni danno possibile”. W. Benjamin, Ursprung, op.cit., pag. 110.

esprime in ciò la stessa tendenza metafisica che nelle scienze esatte portò, contemporaneamente, al calcolo infinitesimale”583. Natura, profanità: tutto indica, nel dramma barocco, un’assenza dell’altrove ed un’esasperazione della dimensione creaturale per cui la storia si dipana come melanconico meccanismo ciclico attuato da un peccato originario in cui non vi è via di uscita. A parere di Benjamin, il luteranesimo contribuì in maniera determinante a radicare nel popolo la malinconia, il taedium vitae, dovuti alla consapevolezza della inesorabile scissione tra fede e opere - “le azioni umane erano private di ogni valore. Nasceva un nuovo mondo: un mondo vuoto”584- , e nemmeno il tentativo calvinista di opporsi a questa visione riuscì a sradicare la sensazione da parte dei drammaturghi barocchi di essere “gettati nell’esistenza come in un campo di macerie”585. Eppure “la vita si ribellava”586: l’uomo non poteva rassegnarsi all’orrore dell’idea che l’intera vita potesse svolgersi in tal modo, nel profondo egli ha paura della morte. Nessuna giustificazione, direbbe Rosenzweig, né religiosa né filosofica, può togliere alla morte “il suo aculeo velenoso”587. Si sviluppò così la necessità del lutto come descrizione di quel mondo che si apre allo sguardo del melanconico.

Il lutto è quello stato d’animo per cui il sentimento rianima il mondo svuotato gettandovi una maschera, per provare un piacere enigmatico alla sua vista.588

La maschera sul mondo svuotato assume dunque la precisa funzione di suscitare un sentimento “enigmatico” che, nella via verso l’oggetto, sia suscettibile di intensità intenzionale sempre maggiore - come si addice alla gravità di un pensiero malinconico – che paradossalmente indaghi con profondità la spersonalizzazione più estrema, dove “ l’idea di questo stato patologico”, che si separa solo di un passo “cristiano” dallo stoicismo, “ in cui anche la cosa meno appariscente,

583W. Benjamin, Ursprung, op.cit., pag. 67. 584Ibi, pag. 115.

585Ibi, pag. 115. 586Ibidem.

587 F. Rosenzweig, La stella, op.cit., pag. 3. 588 W. Benjamin, Ursprung, op.cit., pag. 115.

poiché manca ogni rapporto vitale e creativo con essa, diventa la cifra di un’enigmatica saggezza”.589

Nel dramma barocco dunque si coniuga dunque tutta la portata del Trauer con quella di Spiel, di cui Benjamin ci offre una veloce panoramica. Egli sostiene infatti che il concetto di “gioco” abbia conosciuto in Germania tre Periodi, quello Barocco, che pensa prevalentemente al “prodotto”, il Classicismo, che si concentra sulla “produzione”, ed infine il Romanticismo, che è attento ad entrambe le istanze. Per questo motivo nel Barocco (così come seppur diversamente nel Romanticismo, ma non nel Classicismo) le opere possono essere “serene” anche quando la vita è “grave” solo se la struttura giocosa venga a presentarsi là dove la vita, messa a confronto con “un’intensità senza limiti”590, avrà perso la sua gravità. Il momento del gioco trova dunque in questo contesto la sua massima enfasi nel dramma e la trascendenza interviene a dire la sua ultima parola sotto un travestimento mondano, giocando ad una sorta di “spettacolo nello spettacolo”.

Quella che Benjamin chiama “istanza salvifica”591 sta dunque “nel paradossale riflettersi di gioco e apparenza”592, in cui l’elemento gnoseologico deve declinarsi come riflessione; essa, come in un gioco di specchi, ripete su di un piano senza vera trascendenza le sue due caratteristiche: “la riduzione giocosa del reale e l’introduzione nella chiusa finitezza del dramma profano di un’infinità riflessiva del pensiero”593, nella algida chiusurà in sé dei “drammi del destino”594. Il destino infatti è un elemento da prendere in grande considerazione per una giusta comprensione del dramma barocco: esso appartiene al piano della trascendenza come il Mistero, nella sua versione mondana e secolarizzata. Esso gioca – spielen, nella doppia accezione del termine - , nel dramma barocco, con questo infinito specchiarsi della riflessione, aprendolo ad un’altra dimensione. Esso esprime altresì questo gioco individuando il piano creaturale, che a sua

589 W. Benjamin, Ursprung, op.cit., pag. 116. 590Ibi, pag. 56.

591Ibi, pag. 57. 592Ibidem. 593Ibi, pag. 58. 594Ibidem.