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Ursprung e motivi dell’allegoria nella riflessione benjaminiana.

BENJAMIN E L’ALLEGORIA

2. Ursprung e motivi dell’allegoria nella riflessione benjaminiana.

L’allegoria, una delle cifre più significative del pensiero di W. Benjamin, si declina come vero e proprio strumento di conoscenza che continuamente traduce la trascendenza in immanenza e che rende disponibile, come altrove negli autori di questo studio, tutta quella capacità trasgressiva della relazione logica-analogia.

Il percorso che ci proponiamo tenterà di cogliere, nella vasta e poliedrica produzione benjaminiana, quell’elemento allegorico, che continuamente si propone nella sua riflessione e che orienta la ricerca verso una costellazione semantica che declina una vera e propria gnoseologia.

Allegoria come chiave di lettura non esclusiva, ma certamente significativa dunque, che trae origine da molteplici stimoli, a partire da alcuni motivi della filosofia romantica- affrontati nella sua tesi di laurea Der Begriff der Kunstkritik der deutschen Romantik497, passando per le

496 L. Fittko, Mein Weg über die Pyrenäen. Erinnerungen an 1940-1941, Hauser, München-Wien, 1985, tr.it. La via

dei Pirenei, manifestolibri, Roma, 2000, pag. 146.

497 W. Benjamin, Der Begriff der Kunstkritik der deutschen Romantik,op.cit. Il valore, ai fini di questo studio, che tra l’altro riveste questo lavoro sta nell’anticipazione di alcuni nodi teoretici significativi alla comprensione della gnoseologia benjaminiana, e dunque nel suo rapporto logica-verità. Tale teoria, qui esposta, sarà poi ripresa e sviluppata nella Premessa gnoseologica dell’Ursprung. La novità che Benjamin cerca di sottolineare nella critica

suggestioni nietzscheane (per il loro “prospettivismo”, per l’atteggiamento critico nonché per l’attenzione nei confronti della relazione tra pensiero e linguaggio) fino a giungere alle istanze trasgressive delle avanguardie e soprattutto, come è stato già ribadito, agli stimoli offerti dall’ebraismo e dal suo rimandare ad una dimensione “altra”, che stimoli la ricerca di una critica nei confronti delle pretese totalizzanti di qualsivoglia tradizione (che si ponga aggressivamente) e che invece si declini come minuziosa ricerca di frammenti, tracce, rovine che attivino la memoria verso un oltre non garantito, ma pro-messo.

Queste ed altre le suggestioni che concorrono alla composita sedimentazione della teoria benjaminiana dell’allegoria, che si affaccia in contesti diversi con la sua capacità “figurativa”, dal libro sul Trauerspiel sino alle Tesi.

La sua naturale propensione per il linguaggio ed i suoi nuclei tematici lo legano strettamente e coscientemente, come abbiamo potuto apprezzare anche dalle pagine precedenti, all’universo ebraico. Ancora Scholem ci riporta a tal proposito, ed emblematicamente, il contenuto di una loro discussione: “[…] Da qui passammo a parlare a lungo del rapporto esistente fra gli ebrei ed il linguaggio. […] Partendo da punti di vista assai diversi, discutemmo la tesi secondo cui il particolare vincolo esistente tra gli ebrei e la sfera linguistica sarebbe da ricondurre al loro millenario studio dei testi sacri, alla rivelazione come fatto linguistico fondamentale, con i suoi riflessi in tutti gli ambiti del linguaggio(c.n.)” ed aggiunge: “ […] Informò Magnes dei suoi studi sugli scrittori romantici, Hölderlin e Goethe (della cui opera si era occupato solo in parte, ma con grande intensità), del fascino che esercitarono su di lui Baudelaire e Proust, nonché dei lavori di traduzione che aveva svolto su tali autori. Era stata proprio questa attività a condurlo ad una problematica di ordine filosofico e teologico che egli si prefiggeva di risolvere facendo ricorso allo studio dell’ebraismo: e proprio in virtù di tutto ciò disse di essere

romantica rispetto all’universo kantiano è nell’idea di conoscenza come esperienza: la conoscenza dell’oggetto, in un rapporto di interscambiabilità neutra tra soggetto ed oggetto, avviene nel suo farsi contenuto. L’oggetto diviene ciò che si dà, nella conoscenza, come contenuto ad una forma che è l’idea. L’unico metodo che permette

l’afferrabilità concettuale è qui per Benjamin il “reciproco trapasso”. Tale tipo di conoscenza non è tradizionalmente intesa come conoscenza di un oggetto nell’intuizione, bensì “ l’autoconoscenza di un metodo, di un’essenza

formale”. E, conclude, l’incompiutezza dell’oggetto ( “ […] Solo l’incompiuto può essere inteso.[…] Se vogliamo intendere la natura dobbiamo porla come incompiuta”, ibi, pag. 65 )che si dà come contenuto all’idea e dunque alla conoscenza diviene, nella lingua, pienezza dell’esperienza di vita.

giunto ad una sempre più cara consapevolezza della sua natura ebraica (c.n.)”498. Tutto ciò deve orientarci verso l’acquisizione di un punto di vista molto particolare ed inedito nell’ interpretazione dell’allegoria: la posizione benjaminiana è giocata infatti in una dimensione che attinge sia all’universo più propriamente filologico- e dunque “tradizionale”- sia all’universo filosofico, contribuendo ad avvicinare linguaggio e filosofia, procedere critico e portata linguistica, logica ed analogia. L’eventuale rimpianto nei confronti della storica divisione, in campo estetico, tra letteratura e filosofia non potrebbe di certo venire in nostro soccorso al fine di cogliere l’unità contenutistica sancita da questa differenza. Benjamin, attraverso un occhio filosofico applicato al linguaggio e all’uso esclusivamente linguistico-retorico dell’allegoria, coglie questa divisione e allo stesso tempo trova nella differenza il punto di vista più adeguato all’accoglienza della problematica499.

E se da una parte Naeher sostiene giustamente che qualunque dibattito odierno sull’allegoria non può e non deve prescindere dall’approccio benjaminiano nei confronti di quest’ultima500, dall’altra il filosofo si pone in linea, seppur in maniera del tutto originale e sotto alcuni significativi aspetti in maniera addirittura contrastante, con quella grande metamorfosi del concetto di allegoria già messo in atto nel romanticismo: è infatti noto come l’approccio romantico abbia da subito mostrato vivo interesse per quelle strategie comunicative fondate sul rapporto analogico; riconoscere le somiglianze profonde che sono base e stimolo del linguaggio artistico e del suo carattere fondamentalmente analogico è per il romanticismo prerogativa di qualsivoglia espressione artistica ed umana. Nella visione romantica infatti l’utilizzo di vie mediate ed indirette per raggiungere il vero (che si dialettizza simmetricamente con l’idea di bellezza artistica) ha il merito di permettere di dire qualcosa suggerendo qualcos’altro ed indica

498 G. Scholem, Die Geschichte einer Freundschaft, Suhrkamp Verlag, Frankfurt, 1975, tr.it. W. Benjamin. Storia di

un’amicizia, Adelphi, Milano, 1992, pag. 213-214.

499 Si veda a tal proposito J. Naeher, Walter Benjamins Allegorie-Begriff als Modell, E. Klett, Stuttgart, 1977, pag. 18- 19. Egli sostiene che l’allegoria sia stata indiscutibilmente garantita, dalla storia della letteratura, esclusivamente come concetto letterario per di più svalutato nel collegamento-come contro-concetto- a quello di simbolo, il quale era altresì degno di considerazione filosofica. Benjamin mette profondamente in discussione questa dicotomia cercando di garantire all’allegoria dignità filosofica, “ per una descrizione della dignità artistica dell’allegoria come forma”, pag. 19.

un produttivo coglimento della realtà nel suo scarto imprescindibile. La ricerca di conseguenze al limite del paradossale sperimenta quelle possibilità nascoste che descrivono la realtà e tenta di annullare pian piano la differenza tra signum e signatum sino a giungere alla possibilità della presenza del referente nel segno. Tale percorso, calcato da Rosenweig- nelle sue più-che- metafore- e da Levinas- nella problematica presenza nell’intrigo dell’altro nello stesso-, verrà dunque attraversato anche dall’allegoria benjaminiana, allegoria che mostra da subito una fondamentale distanza dalla sua interpretazione medievale. L’interpretazione che ne da Quintiliano, il quale considerava l’allegoria come una “metafora continuata”, ovvero come narrazione che si sviluppa per mezzo di numerose immagini metaforiche in successione, il cui senso letterale era assolutamente altro dalle vere intenzioni di senso, risulta naturalmente non più significativa alla sensibilità moderna. L’allegoria non dev’essere più considerata una metafora continuata finalizzata all’interpretazione (vedi Sacre Scritture501), bensì una metafora creativa in grado di sperimentare nuovi rapporti: l’idea di cui Benjamin si fa convinto portatore è quella di non poter più far affidamento sui vari tipi di allegoria codificati dalla tradizione poiché, non potendo più far riferimento a quella griglia di valori imperituri medievali, nella perdita ( e nostalgia) del significato metafisico, l’artista carica la propria espressione di sovra-sensi metaforici ed allegorici tesi non all’orientamento univoco (il lettore non ne conosce i riferimenti), quanto piuttosto alla possibilità trasgressivo-creativa. La sfiducia manifestata dall’allegoria nei confronti del paragone esplicito, facendole di gran lunga preferire la creazione di dissomiglianze paradossali, ci indica inoltre una strada ben precisa da seguire: la differenza che si pone,

501 “ Autore della Sacra Scrittura è Dio, nel cui potere è l’accomodare non solo le parole, in modo che significhino, cosa questa che anche l’uomo può fare, ma anche le cose. Invero come in ogni scienza le parole esprimono un significato, codesta scienza (la Scrittura) ha questo di proprio, che le stesse cose significate mediante le parole hanno anche una loro significazione. Dunque la prima significazione, mediante la quale le parole significano delle cose, riguarda il primo significato, che è il significato storico o letterale. L’altra significazione, mediante la quale le cose significate dalle parole a loro volta significano altre cose, è detta significato spirituale. Esso si fonda sulla lettera e la presuppone. Questo significato spirituale, poi, si divide in tre. Come dice, infatti, l’Apostolo Paolo, la vecchia legge è figura della nuova, e questa è figura della futura gloria celeste; e inoltre i fatti capitali della nuova sono segni che indicano ciò che dobbiamo fare. Dunque: secondo che fatti e cose del Vecchio Testamento significano quelli del Nuovo, il loro senso è allegorico; secondo che gli eventi che riguardano Cristo o lo prefigurano sono il modello di ciò che dobbiamo fare, si ha il senso morale; secondo che i testi sacri significano le cose che appartengono all’eterna gloria celeste, si ha il senso anagogico. […] Il senso letterale è quello che l’autore propone; ma poiché l’autore della Sacra Scrittura è Dio, che comprende contemporaneamente tutte le cose nella sua intelligenza, non è sconveniente se, anche secondo il senso letterale, in una sola espressione della Sacra Scrittura vi siano più significati”. Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, Marietti, Genova, 1952.

l’identificazione che contemporaneamente conclude la sua parabola in una sua nullificazione, depone evidentemente per una sorta di potenziamento della polisemia insita nel linguaggio. Benjamin chiamerà questa autonomia da qualsivoglia teleologia esterna dell’allegoria la “profonda cognizione dell’essenza dell’allegoria”502. Ma allora quale logica troverà spazio all’interno di questa dimensione? Il paragone esplicito lascia il posto alla arbitraria associazione, i segni codificati così come la certezza nella trasparenza della riproduzione dei rapporti tra le cose vengono accantonati in favore di un andamento paradossale ed arbitrariamente combinatorio. L’interezza, la struttura integrale è definitivamente andata perduta. Come Rosenzweig, Benjamin è pienamente e dolorosamente cosciente del limite del sistema ontologico-metafisico: l’unica possibilità rimasta è cercare il senso dell’intero nel dettaglio, nel frammento. Tutto questo significa, per il Nostro, abbandonare il percorso logico-sistematico e trasformarsi in un “commentatore” che veda nell’ “allegoria l’indice dell’umano”503.

Le allegorie sono, nel regno del pensiero, quello che sono le rovine nel regno delle cose.504

Benjamin tenterà nella stesura dell’ Ursprung di accordare nuova dignità all’espressione allegorica che il classicismo e proprio quel romanticismo, che comunque le aveva accordato quella metamorfosi nel Moderno, avevano totalmente svalutato in favore del concetto di simbolo. Il Nostro dunque troverà nell’epoca barocca- epoca di decadenza- ed in particolare nel barocco tedesco la prova della pari dignità dei due concetti e soprattutto inaugurerà una gnoseologia basata sulla Darstellung della verità, che si allontana da ogni pretesa logico- sistematica esclusiva.

502 W. Benjamin, Ursprung, op.cit., pag. 363.

503 G. Dietrich, Jüdisch- Prophetisches in der modernen deutschen Philosophie und Sociologie, in Horizonte, VI, Frankfurt am Main, pag. 380.

Se la filosofia vuol conservare la legge della sua forma non come propedeutica alla conoscenza ma come rappresentazione (Darstellung) della verità, allora ciò che importa sarà la pratica di questa forma, e non la sua anticipazione sistematica.505

Dunque anche per Benjamin vale l’idea, o meglio l’esigenza, di un nuovo approccio critico e di un nuovo metodo ed è proprio l’appello alla “rovina” ad indicarci la via: trovare la verità nella caducità è il compito di ogni epoca di decadenza e cogliere le rovine significa cogliere l’eco di ciò che non sparisce. Se l’idea è per il Nostro Darstellung della verità nel medium del fenomeno, in una dimensione tuttavia di incompatibilità tra idea e concetto e dunque tra il presentarsi della verità e l’intenzionalità, lo sforzo benjaminiano è teso all’opporsi della riduzione dell’idea al concetto e dunque alla tirannia di una logica convenzionalmente ed esclusivamente intesa come επιστήμη. La gnoseologia messa in atto dal filosofo Benjamin trova i suoi contorni nell’idea della verità nel/del frammento proprio nel suo essere rovina, cioè incapace di rapportarsi im- mediatamente a qualsivoglia totalità ma in grado di lasciare essere la verità stessa. Solo nella trasgressione del fenomeno- genitivo soggettivo- attraverso la tensione della struttura logico- concettuale comunque operante, l’idea in quanto totalmente altro dal concetto e dal fenomeno può mostrarsi in esso, per di più salvandolo. La logica che Benjamin utilizza è proprio una logica in grado di spezzare continuamente i suoi legami strutturali e la sua identità a-priorizzata grazie all’istanza analogico-allegorica.506 La volontà di salvare il frammento deve allora declinarsi come scrupoloso metodo analitico che si impegni alla costruzione di un complicato mosaico507, in cui determinante appare la sapiente combinazione dei tasselli che, lungi dall’operare la tipica reductio ad unum della sintesi concettuale, riesca a darstellen filosoficamente dei contenuti di realtà. Echi platonici e messianici concorrono alla

505 W. Benjamin, Ursprung, op.cit., Premessa gnoseologica, pag 4.

506 Come anche sottolinea L. Perrone Capano in Alle origini dell’allegoria moderna. Testi narrativi di Jean Paul,

Novalis e Goethe, Ist. Universitario Orientale, Napoli, 1993, parlando proprio di Jean Paul, definito dallo stesso

Benjamin come “il massimo allegorico tra i poeti tedeschi” ( W.Benjamin, Ursprung, op.cit., pag. 364). Dice infatti: “ Lo scrittore utilizza tutte le possibilità combinatorie della lingua per stabilire inedite connessioni che

contraddicono la logica comune il cui fine, come per il poeta barocco, è la meraviglia da suscitare nel lettore di fronte ad audacie figurative che non devono mai smettere di stupire[…]”, pag. 27-28.

507 “ Come nei mosaici la capricciosa varietà delle singole tessere non lede la maestà dell’insieme, così la considerazione filosofica non teme il frammentarsi dello slancio”. W. Benjamin, Ursprung, op.cit., Premessa

chiarificazione di ciò che Benjamin chiamerà proprio “visione” della Verità, che si mostra ma che sempre sfugge al begreifen della coscienza intenzionale.

Anche la “logica” di Benjamin è dunque quella struttura critica ed analitica che indugia nell’indiziario, trovando in esso la chiave di una svolta e di un distacco da un paradigma ipertrofico. La via indiretta508 del “trattato” e del “commento” permetterà al Nostro quel metodo a-sistematico di ap-prondimento più che di chiarificazione, in grado di analizzare il particolare nascosto e dimenticato che arricchisca la trama testuale di diversi sensi509. Naturalmente questo percorso non può separarsi da una contemporanea “presa sul serio” del linguaggio che miri a ricostituire quel legame tra quest’ultimo e la verità nella sua Darstellung. La riflessione come medium individua la possibilità della conoscenza come lingua, come discorso e scrittura.

Benjamin si avvicina molto in questo senso alla pratica esegetica, di cui coglie l’elemento metodico e raffinatamente teso al particolare della sapienza midrashica510, in cui appunto l’approccio micrologico non equivale alla rinuncia di una comprensione razionale, ma piuttosto alla possibilità di indagare la ricchezza in una prospettiva.

In un celebre passo delle Affinità elettive di Goethe Benjamin è molto chiaro e significativo:

Si può paragonare il critico al paleografo davanti ad una pergamena il cui testo sbiadito è ricoperto dai segni di una scrittura più forte che si riferisce ad esso. Come il paleografo deve cominciare dalla lettura di quest’ultima, così il primo atto del critico ha da essere il commento. Di qui gli viene subito un criterio prezioso di giudizio: poiché solo ora e solo così potrà porre il problema critico fondamentale, se la parvenza di un contenuto di verità sia dovuto al contenuto reale, o se la vita del contenuto reale sia dovuta al contenuto di verità.[…] Se si vuole concepire, con una metafora, l’opera in sviluppo nella storia come un rogo, il commentatore gli sta davanti come il chimico, il critico come l’alchimista. Se per il primo il legno e cenere sono i soli oggetti della sua analisi, per l’altro solo la fiamma custodisce un segreto: quello della vita. Così il

508 “ La rappresentazione come via indiretta: è questo dunque il carattere metodico del trattato. Il suo primo segno caratteristico è la rinuncia a un percorso lineare e senza interruzioni”. W. Benjamin, Ursprung, op.cit., Premessa

gnoseologica, pag. 4.

509 “ I trattati possono essere dottrinari quanto al tono, ma la loro indole profonda esclude quel rigore didattico che consente ad un sistema dottrinale di affermarsi per autorità propria. Del pari, essi rinunciano al mezzo coercitivo della dimostrazione matematica”. Ibidem.

510 “ Il pensiero riprende continuamente da capo, ritorna con minuziosità alla cosa stessa. Questo movimento metodico del respiro è il modo di essere specifico della contemplazione. Essa infatti, seguendo i diversi gradi di senso nell’osservazione di un unico e medesimo oggetto, trae l’impulso a un sempre rinnovato avvio e giustifica nello stesso tempo la propria ritmica intermittente”.Ibi, pag. 4.

critico cerca la verità la cui fiamma vivente continua ad ardere sui ceppi pesanti del passato e sulla cenere lieve del vissuto.511

L’opera si incammina verso il suo destino di rovina, si consuma e “rimane” come legno e cenere mostrando la sua verità. Ma limitarsi al suo solo contenuto reale significherebbe non cogliere tale contenuto di realtà, rosenzweighianamente inteso come fiamma che custodisce il segreto della “vita”. Il decadimento, già presente ne Il concetto di critica nel romanticismo tedesco512, della distinzione tra universo teorico ed universo empirico ci indica chiaramente il dovere indagare dei contorni, una prospettiva i cui particolari si dinamizzano in una relazione. Ciò è importante per due motivi: da una parte perché tale gnoseologia ci mostra un’accesso inedito alla realtà, e da qui si comprende il motivo dell’adesione benjaminiana al materialismo storico513, dall’altra è interessante altresì notare come questa relazione sia stata espressa e figurata da Benjamin dall’allegoria. Tale relazione-allegoria si declina come richiamo dell’empirico alla teoria: ciò che si dà nell’esperienza è richiamato all’attenzione dell’osservazione e dunque della conoscenza, che a sua volta diviene conoscenza in quanto divenire di quello stesso oggetto. Nella premessa gnoseologica all’Ursprung infatti Benjamin chiamerà l’idea “essere nel divenire dei fenomeni”514.

Quanto detto finora ci permette di comprendere l’orientamento della relazione logica- analogia operante in Benjamin: ciò che abbiamo acquisito è rispettivamente che la filosofia, lungi dall’applicare il suo metodo riduzionistico e sistematico, deve esercitare le sue forme verso una rappresentazione della verità. Il suo metodo deve avere l’andamento indiretto del trattato e concorrere all’annullamento della rigida divisione teorico/empirico attraverso un’attenzione micrologica nei confronti della rovina, del frammento e del suo contenuto di verità nella valutazione della separazione tra conoscenza e verità, ottenuta dalla pratica metodologica che è

511 W. Benjamin, Le affinità elettive, op.cit., pag. 164. 512 Vedi in questo paragrafo la nota n. 45.

513 “ Decifrare questo geroglifico è indicare alla radice la genesi storico-dialettica di un senso oscurato, obliterato o trasceso: è spiegare la letteratura con ciò che non è letteratura. Ma proprio questo significa rompere l’assolutezza di una mediazione significante che significa solo se stessa e si esclude dal significato. Questo significato è un

significato reale”. Ferruccio Masini, Brecht e Benjamin, op.cit., pag. 125. 514 W. Benjamin, Ursprung, op.cit., pag. 8.

un “ininterrotto riprender fiato”. Tale relazione troverà espressione nell’allegoria: l’approccio filosofico del Nostro nei confronti di una diversa logica viene modulata nell’appello alla trasgressione allegorica. Ma procediamo in maniera particolareggiata all’analisi di quella Premessa gnoseologica dell’Ursprung, che Scholem dice essere “ davanti al libro come l’angelo