FRANZ ROSENZWEIG E LA METAFORA.
1. Franz Rosenzweig: un ebreo tedesco.
Rosenzweig nasce il 25 dicembre a Kassel da una famiglia borghese ebrea pienamente assimilata nell’ambiente sociale e culturale tedesco, tanto che lo stesso Rosenzweig in una lettera ai genitori definisce l’ebraismo dell’epoca un “guscio vuoto”64, che rispettava ormai solo esteriormente le feste più significative del calendario ebraico.
La sua formazione intellettuale, primariamente influenzata dalla madre e rivolta essenzialmente ai classici del romanticismo tedesco, si nutrì di un clima culturale vivissimo: figure titaniche quali Hegel e Goethe orientavano il pensiero verso forme ed interprerazioni ottimistiche del reale.
E Rosenzweig, accanto a poliedrici interessi che spaziavano dalla musica, alla medicina (la quale fu inizialmente scelta dal filosofo nei primi tre semestri, uno a Göttingen e due a München), alla storia (si iscrisse infatti nel 1908 allo Historisches Seminar di Freiburg), cominciò a dedicarsi allo studio della filosofia divorando i testi di Nietzsche. Si avvicina ad Hegel e con entusiasmo ne accetta la sua filosofia della storia. Ma il rapporto con Hegel sarà
destinato a divenire molto complesso, polo di attrazione e repulsione in tutto il percorso filosofico del Nostro: e così dopo una primaria accettazione65 successivamente se ne distacca criticamente66. Contro la visione totalizzante della storia di Hegel egli ribadisce l’idea di un relativismo degli eventi e dei valori storici. Ma se Hegel viene dal Nostro rifiutato per i suddetti motivi, non verranno altresì criticate le sue pretese di sistematicità.
Ben presto però anche la posizione relativistica, che sino a quel momento rappresenta il punto fermo del dialogo intellettuale con uno dei suoi primi maestri, il professor F. Meinecke67, viene messa in discussione da Rosenzweig in occasione di un ormai famigerato discorso notturno con Eugen Rosenstock, conosciuto qualche tempo prima nel gennaio 1910 a Baden Baden, in occasione di un convegno di giovani hegeliani. In una lettera a Rudolph Ehrenberg egli scrive di quella fatidica notte
Il fatto che un uomo come Rosenstock sia un cristiano convinto (nel mio caso queste cose sono ancora allo stadio liquido di problema) ha posto in crisi tuta la mia concezione del cristianesimo e della religione in generale. Pensavo di aver cristianizzato il mio punto di vista dell’ebraismo e invece avevo giudaizzato la mia visione del cristianesimo.68
Nel 1909 infatti egli scriveva ai genitori in occasione della conversione al cristianesimo evangelico di suo cugino Hans Ehrenberg:
65 Gli anni di profondo interesse nei confronti di Hegel (1908-1910) portano alla stesura della sua dissertazione poi pubblicata a Monaco e a Berlino nel 1920 col titolo Hegel und der Staat .Interessante a tal proposito lo studio di G. Petitdemange, Hegel et Rosenzweig, la diffèrence se faisant, in F.Rosenzweig, textes rassemblés par O.Mongin,
J.Rolland, A.Derczanski, in “ Les Cahiers de la Nuit surveillée”, Paris,1982,1, pag. 157-170.
66 Rosenzweig critica aspramente Hegel (in una lettera a Nahum Glatzer del 24 ottobre 1928 egli afferma in modo paradigmatico di non essere “un hegeliano” e di ritenere “ il sistema hegeliano errato nel suo insieme e nelle sue parti”), ma questo non gli impedirà di averlo sempre come costante termine di riferimento, mostrando una relazione estremamente più complessa con l’idealismo di quanto possa essere contenuta in una riduttiva definizione di contrapposizione.
67 Il tipo di storicismo influenzato da Meinecke interpretava le vicende politiche come concreta realizzazione di quelle forze operanti nell’individuo e dunque nella comunità. Meinecke influenzerà fortemente la ricezione rosenzweighiana di Hegel, ma Rosenzweig alla fine si distaccherà dal suo maestro e dalla carriera universitaria. Leggiamo infatti in una lettera di Rosenzweig a Meinecke del 30 agosto 1920: “ […] L’autore della Stella della Redenzione, che esce presso Kaufmann a Francoforte, è di altro calibro rispetto a quello di Hegel e lo Stato”, in
Gesammelte Schriften, op.cit, pag. 681. Per una riflessione puntuale dei rapporti tra Rosenzweig e Meinecke si
rimanda allo studio di E. D’Antuono, Franz Rosenzweig e Friedrich Meinecke, in “ Archivio di storia della cultura”, IV,1991, PAG.271-294..
Noi siamo cristiani in ogni cosa. Viviamo in uno stato cristiano, frequentiamo scuole cristiane, leggiamo libri cristiani, tutta intera la nostra cultura è fondamentalmente cristiana.69
Per Rosenzweig il cristianesimo rappresentava l’idea di perfetto inserimento nella Kultur, e dunque punto di vista privilegiato rispetto all’ebraismo, il quale la cultura tedesca collegava solo a forme rituali quali la circoncisione, le osservanze dietetiche ed il Bar-Mishva.
Dunque il suo interesse religioso, che inizialmente era semplicemente dettato da ragioni intellettualistiche (egli legge Herder e Schleiermacher), dopo il dialogo con Rosenstock si apre, per così dire, a nuove questioni, seppur in questo momento ancora “ allo stadio liquido”.
Ich bleibe also Jude.
Questa asciutta espressione di Rosenzweig traduce per il Nostro un compito ben più arduo della apparente semplicità di questa conversione, e questo sottolinea in maniera molto pregnante il suo essere ebreo-tedesco. Come anche lo stesso Rosenzweig aveva sottolineato probabilmente la scelta più ovvia sarebbe stata quella della conversione al cristianesimo: essa rappresentava la strada più agevole nell’orizzonte culturale in cui egli era nato e cresciuto e in cui i suoi interlocutori già si trovavano.
La scelta di una posizione differente, volta al recupero della radice, lo orienta definitivamente dalla storia alla filosofia.70
E così il filosofo, “tornato a casa”, scommette sulle potenzialità di questo stato esistenziale, collocandosi in maniera originale all’interno del diversificato dibattito giudaico tedesco di quegli anni. Per Rosenzweig infatti, contrariamente a quanto farà G. Scholem71 la questione della
69Ibidem, pag 94-95.
70 Lettera a Meinecke in Briefe und Tagebucher, op.cit, pag 678-682.
71 Per le posizioni ed i contrasti tra G. Scholem e Rosenzweig vedi P.Ricci Sindoni, Prigioniero di Dio, op.cit., pag192-199). Per quanto riguarda il giudizio di Scholem su Rosenzweig e sul Deutschjudentum si veda G.Scholem
Deutschjudentum rappresenta una possibilità costruttiva soprattutto per l’ebraicità, che lungi dal tenere un atteggiamento passivo nei confronti della cultura dominante, detentrice del potere politico e culturale, ha produttive potenzialità: da una parte quella di giustificare la sua dimensione diasporica, dall’altra di partecipare attivamente inserendosi armonicamente nel paese ospite.
L’idea di un arricchimento reciproco e dunque non di un acritico “attenersi a”, permette, a nostro avviso, di considerare la posizione di Rosenzweig72 molto contemporanea.
Ma cosa voleva dire essere ebrei tedeschi?
E’ possibile trarre qualche utile indicazione dal saggio di G.Mosse, il quale sostiene che tutta la cultura di Weimar può essere “ definita, alquanto maliziosamente, un dialogo interno ebraico”.73 L’ottimistico concetto di Bildung e l’Illuminismo contribuirono infatti fortemente all’assimilazione ebraica, poiché trascendeva tutte le differenze di nazionalità e religione in favore del dispiegarsi dell’individualità personale. Il decadere di questo concetto, offuscato, a partire dalla fine della prima guerra mondiale, inesorabilmente da forme irrazionali di nazionalismo, corrispose via via con l’isolamento degli ebrei. Un dato molto interessante sottolineato da Mosse è che comunque, sino agli anni Venti, tutti quegli ebrei che, nutriti da Goethe74 ed Herder e raggiunta l’emancipazione, erano guidati da interessi intellettuali, furono largamente esclusi dal mondo dei baroni e spinti dunque al ruolo di outsiders e “ fu proprio il loro involontario ruolo di outsiders a lasciare alle future generazioni un retaggio molto più
Fidelitè et utopie. Essais sur le jüdaisme contemporain, Paris, 1978 ; G.Scholem, Von Berlin nach Jerusalem, 1977 ;
e anche An einem denkwürdigen Tage,in «Judaica», I, Frankfurt am Main 1963, pag.214.
72 Tale posizione, spesso in netto contrasto con altri intellettuali ebrei che dichiaravano una netta estraneità alla cultura in favore di un sionismo esistenziale e politico che preservasse il popolo ebraico da qualsiasi contaminazione, è inoltre modulata da un deciso rifiuto del sionismo. Per Rosenzweig la questione ebraica non doveva risolversi semplicisticamente in uno spostamento geografico seppur sorretto da un programma politico e sociale, bensì avrebbe dovuto far riferimento alla presenza nel mondo dell’ebreo diasporico. Tutto ciò non può non mettere in risalto la scelta esistenziale del Nostro che mai avrebbe potuto rinunciare tanto al suo essere ebreo che al suo essere tedesco. Si faccia riferimento a tal proposito alle lettere di Rosenzweig a Benno Jacob, a Buber e a Trüb degli anni 1927-28, in Briefe und Tagebücher,op.cit.
73 G.Mosse, Il dialogo ebraico-tedesco, da Goethe a Hitler, Ed.La Giuntina, Firenze,1988, pag.35.
74 “ A volte sembrò che a prescindere dalle loro convinzioni religiose o politiche avrebbero potuto unirsi al giovane W.Benjamin nell’elogio dell’affermazione del suo amico Ludwig Strass: “ Soprattutto nello studio di Goethe uno trova la propria essenza ebraica”.Tradotto nel modo di vita del Bildungbürgetum ebraico, ciò significava che le “ citazioni” da Goethe facevano parte di ogni pasto”.Ibidem, pag.27.
significativo di quello lasciato dagli integrati”.75 Il dialogo ebraico-tedesco conobbe dunque differenti scenari: se da una parte esso ebbe luogo all’interno dell’assimilazione borghese dell’ebreo, dall’altra fu altrettanto produttivo ai margini della società , in tutti quegli strati della collettività fuori dai giochi di potere e parecchio sensibili ad ogni forma di avanguardia. La specifica identità culturale dell’ebreo-tedesco era dunque molto composita, tutta giocata tra una volontà di abbandonare la propria specificità culturale e religiosa in favore dell’emancipazione livellatrice e all’opposto l’ affermazione di un sionismo interpretato come unica
salvezza. E Rosenzweig impegnato a svolgere un ruolo attivo tra queste due prospettive76 elabora una posizione originale nei confronti dell’ebraismo più ortodosso, di cui criticava l’idea di appello
alla Torah letterale, che assieme alle spinte sionistiche, rischiava di far ricadere l’ebreo in quello stato pre-Illuministico che avrebbe precluso ogni forma di apertura al mondo contemporaneo. L’ideale di Bildung così caratterizzato diviene altresì per Rosenzweig motivo ispiratore della fondazione del Freies Jüdisches Lehraus a Francoforte sul Meno nel 1920: la sua idea di un nuovo modo di filosofare si ripercuote necessariamente nel bisogno di un nuovo modo di insegnare: in un suo scritto precedente alla stesura della Stella, Zeit ist’s, egli rivendica l’urgenza dell’ideale della Bildung come determinazione dell’essenza dell’ebraismo, rintracciata nei concetti espressi dalle Sacre Scritture, e la necessità di un ritorno dell’ebraismo vivente allo studio e alla religiosità.
Dunque per Rosenzweig77 ( ma questo potrebbe naturalmente valere anche per Benjamin, che però appartenne in maniera più evidente alla dimensione dell’ outsider) tutto questo se da una parte si espresse nella scelta di non avviarsi alla carriera accademica per dare il suo contributo all’ebraismo, dall’altro mostra in tutta la sua forza il dissidio non armonizzabile
75Ibidem, pag.38-39.
76 La lettera a R.Ehrenberg del 1° novembre 1913, in Briefe und Tagebücher,op.cit, pag.134-135, ci mostra un Rosenzweig parimenti impegnato sia nell’approfondimento del versante culturale tedesco ( Schelling, Herder, Hegel, Goethe) sia nella lettura delle Sacre Scritture.
77 Sul tema del rapporto tra Rosenzweig e il concetto di Bildung si veda E.Simon, F.Rosenzweig und das jüdische
sinteticamente che pose l’uomo e il filosofo in una posizione privilegiata, che gli permise di mettere in discussione l’esclusività di un orizzonte attraverso tematiche e problemi che provengono da un altrove altrettanto valido e degno di ascolto filosofico (questa è d’altronde la tematica portata avanti anche da Levinas). Anche lo stesso Levinas d’altronde, nel suo scritto su Rosenzweig78, ribadisce l’importanza dell’inserimento di quest’ultimo in tale temperie culturale ed anzi la considera strumento ermeneutico privilegiato per cogliere nelle opere del filosofo di Kassel “ il riflesso di un mondo- dell’ebraismo emancipato, del XIX e dell’inizio del XX secolo, che ha creduto in una società interconfessionale”79, e che ha contribuito alla declinazione della vita di Rosenzweig verso la dimensione del “ presentimento” dei grandi sconvolgimenti che da lì a pochi anni avrebbero influito in modo determinante nella cultura europea e nella vita di milioni di ebrei. La rottura con quelle modalità di pensiero che sarebbero poi state responsabili di tante catastrofi si condensa così simbolicamente nella decisione del Nostro di rimanere ebreo, che Levinas così riassume:
Il fatto che, giunto sul limitare della conversione, in quell’Europa non ancora colpevole di guerre mondiali e di hitlerismo, e nella quale tanti liberali potevano pensare di trovarsi nell’epoca dei grandi successi, il fatto che, giunto sul limitare della conversione, un Ebreo assimilato, appartenente alla classe dei privilegiati, partecipe di tutti i valori di quell’Europa splendida, abbia potuto indietreggiare davanti all’estremo gesto dell’assimilazione, il fatto che abbia potuto cercare altrove, piuttosto che nel cristianesimo, compenetrato tuttavia, dopo duemila anni di storia, di tutti i valori- religiosi ed umani- dell’Occidente, il fatto che con tutte le esigenze di uno spirito sano ed aperto Rosenzweig abbia potuto risalire all’ebraismo per sollecitare una risposta alla crisi dell’umanità o per cercarvi un rifugio o una via d’uscita, tutto questo rivela ai cristiani- ma anche agli Ebrei dell’ Occidente- la potenza della spiritualità ebraica che, a detta dei cristiani, sopravviveva a se stessa svuotata della sua sostanza.80
Dunque Rosenzweig coglie costruttivamente un eredità apparentemente svuotata e ritualizzata in un originale movimento di accoglimento non esclusivo : il tratto caratteristico del suo pensiero consiste nel fatto che tale movimento che lo conduce all’ebraismo, lo conduce anche al riconoscimento del cristianesimo, “ compenetrato.. di tutti i valori dell’Occidente”. Il rifiuto di
78 E. Levinas, Hors Sujet, Fata Morgana, Montpellier, 1987; tr.it a cura di F.P. Ciglia, Fuori dal soggetto, Marietti, Genova, 1992.
79 Ibidem, pag. 53.
un certo tipo di filosofia si trasforma dunque nella ricerca di un altro ordine sì, ma che anche Levinas descrive con parole come “concetti nuovi che esprimono la protesta” e il “ λογος dei pensatori soggettivi”81, nel chiaro intento di non trasformare il nuovo pensiero in un mero rovesciamento che mantenga l’identico difetto di esclusività.