Parte Prima: Logica-Analogia.
3. Totalità e trasgressione tanatologica.
Der stern der Erlösung inaugura il suo cammino affrontando di petto uno dei rimossi della tradizione occidentale, coerentemente con il suo programma di denuncia e critica dell’impostazione tradizionale: la morte, ovvero i piedi di argilla dell’autocoscienza. Risulterà necessario, a questo punto, affrontare in maniera preliminare i nodi teoretici fondamentali indicati da Rosenzweig, al fine di chiarire la sua posizione.Un’approccio testuale ci sembra il miglior modo per poter entrare nel linguaggio e nella complessità e ricchezza di quest’opera. Il libro si apre in modo significativo
Dalla morte, dal timore della morte prende inizio e si eleva ogni conoscenza circa il Tutto.87
La filosofia ha creduto di doversi assumere l’arduo compito di “ strappare alla morte il suo aculeo velenoso”88, e così ha rimosso la morte dalle sue attenzioni, costringendosi a credere nella realtà
della dicotomia corpo-anima e a puntare su di una Totalità che non può morire. Abbandonando le esigenze e le paure del singolo, che solo rimane nell’attesa della morte, la filosofia si è rifugiata nell’idealismo.
Poiché certo un Tutto non morrebbe e nel Tutto nulla morrebbe. Soltanto ciò che è singolo può morire, e tutto ciò che è mortale è solo. Questo, il fatto che la filosofia debba escludere dal mondo il singolo, codesta esclusione/ de-costruzione ( Ab-schaffung) del qualcosa è anche il motivo che la costringe ad essere idealistica. Infatti l’ “idealismo”, con la sua negazione di tutto quanto separa ciò ch’è singolo dal Tutto, è lo strumento artigianale con cui la filosofia rielabora la materia indocile fino a che essa non oppone più resistenza alcuna alla confusione nebulosa entro il concetto di Uno-Tutto.89
Volgersi al Tutto e dimenticare il singolo, che morente e terrorizzato di essere trasformato in illud90, deve però volgersi al Nulla in un atto di volontà coincidente con il rifiuto del suicidio “raccapricciante capacità” che situa l’uomo “ fuori dalla natura”91: ecco la menzogna della filosofia, che la genealogia rosenzweighiana tenta di smascherare.
Ma la filosofia, con tutti i suoi sforzi, non è tuttavia riuscita ad annichilire il singolo “ (…) e la paura dell’uomo che trema davanti alla trafittura di quell’aculeo sconfessa ogni volta senza remissione la compassionevole menzogna della filosofia”92. Il destino della filosofia e quello del singolo sembrano irrimediabilmente costretti a separarsi e a pecorrere tracciati paralleli e non
intersecanti: la filosofia librandosi sempre più nella dimensione slegata da presupposti, il singolo vivendo profondamente il qualcosa93( e non il nulla) della morte.
88Ibidem.
89F. Rosenzweig, La stella, op.cit., pag. 4. 90 Ibidem, pag. 3
91Ibi, pag. 4. 92Ibi, pag. 5.
93 “ (..) e la morte davvero non è ciò che pare essere, non è nulla, bensì un inesorabile, ineliminabile qualcosa” e continua “ Se la filosofia non volesse essere sorda al grido dell’umanita impaurita, allora dovrebbe, e coscientemente dovrebbe, partire da qui, dal fatto che il nulla della morte è un qualcosa, e ogni nuovo nulla della
La filosofia si rifugia nell’idealismo di epicuree rassicurazioni e nello stesso tempo si garantisce una Totalità tanto esclusiva quanto esclusivo risulta il Nulla del suo presupposto. Infatti al fine di enunciare l’unità e la totalità dell’essere la filosofia si è vista costretta a decretare unità e totalità del nulla che si trasforma nel concetto raffinato quanto astrattissimo di non-essere: e così la filosofia ha raggiunto il proprio obiettivo di stagliarsi in tutta la sua potenza e ab-solutezza sullo sfondo di un nulla che è privazione di presupposto.
Ma in realtà questo Nulla che la filosofia interpreta come unico ed abissale, così come specularmente considera unico e superno il Tutto di cui lei si pone osservatrice94 privilegiata, sono mille nulla, è una molteplicità di singoli individui che rumorosamente ribadiscono il loro ineliminabile essere qualcosa.
Se la filosofia non volesse essere sorda al grido dell’umanità impaurita, allora dovrebbe, e coscientemente dovrebbe, partire di qui, dal fatto che il nulla della morte è un qualcosa, e ogni nuovo nulla della morte è un nuovo qualcosa, sempre nuovamente tremendo, che non si può esorcizzare né con le parole né con il silenzio. Ed in luogo di volere che, a procedere la conoscenza unica ed universale, sia solo quell’unico ed universale nulla che nasconde il capo sotto la sabbia all’udire il grido della paura della morte, la filosofia dovrebbe avere il coraggio di stare ad ascoltare quel grido e di non chiudere gli occhi davanti all’orribile realtà. Il nulla non è nulla, è qualcosa.95
Rosenzweig ribadisce nietzcheanamente che il grido delle vittime della morte trasforma in menzogna il pensiero totalizzante della filosofia prima ancora che esso possa essere pensato. La negazione filosofica non si traduce in annientamento: se è certamente vero che tale rimosso abbia contribuito in modo determinante alla costruzione del secolare edificio ontologico- filosofico, dove ontologia viene qui a significare per il Nostro un ampliamento semantico ed “essenziale” dell’essere sino a giungere ad una sua divinizzazione, è altrettanto interessante osservare che tale negazione abbia inaugurato la dissoluzione di tale sapere così costituito. La
morte è un nuovo qualcosa, sempre nuovamente tremendo, che non si può esorcizzare né con le parole né con il silenzio” ibi, pag. 5.
94 “εις τό παν αεί οραν” recita un pensiero di Marco Aurelio, in Pensieri, XII, 17-18, Torino, 1984, sulla scorta del primato visivo aristotelico che si volge al vero “καθολου”, che è l’intero.cfr Aristotele, Metafisica, Bompiani, Milano, 2000.
morte si lascia negare solo apparentemente, ed esclusivamente dal θεορειν, poiche permane inesorabile, impassibile di ogni “contenimento” nella vita di tutti gli uomini, anche di quelli che hanno contribuito all’altezza priva di presupposti del θεορειν stesso.
Ed ecco infatti che l’analisi rosenzweighiana procede e si arricchisce di personali contributi filosofici. E il nome di Schopenauer96 fa capo al tentativo di smascheramento:
Vecchio di due millenni e mezzo, il segreto della filosofia ( davanti alla cui bara Schopenauer l’ha divulgato) che cioè la morte era stata sempre il suo musagete, perde ora il suo potere sopra di noi. Noi non vogliamo una filosofia che si collochi al seguito della morte e che c’inganni sulla perdurante signoria di questa mediante l’armonia di Tutto-ed-Uno della sua danza.97
Schopenauer, dice il filosofo di Kassel, è il primo tra i grandi pensatori ad interrogarsi sul valore del mondo, e sul valore per l’uomo-filosofo Arthur Schopenauer. Per lo meno nelle intenzioni, aggiunge. Di fatto tale intenzione fu in gran parte neutralizzata dalla risposta sistematica possa in essere dal filosofo: Schopenauer trasformò il suo inaudito interrogare in “ un sistema del mondo”98, spezzando di nuovo a questa domanda i suoi “ denti velenosi”99. Eppure, grande merito di Schopenauer, a chiudere il sistema ecco stagliarsi la figura del santo, fatto inaudito, giacchè un tipo d’uomo si sostituisce al concetto, a conferma di quell’originaria intenzione dell’uomo- filosofo Schopenauer di riflettere sulla vita. Finalmente l’uomo, il singolo si contrapponeva al Tutto, ponendo il significato come prevalente sull’essenza, in un’impostazione “non scientifica”100 della filosofia. Schopenauer dunque, seppur in modo non completo, ha dato l’impulso per il radicale cambiamento della filosofia. Se prima di Schopenauer l’uomo aveva trovato posto nella filosofia mono-interessata al Tutto come oggetto “ solo nel suo rapporto con questo Tutto”101
96 Sul rapporto Schopenauer- Rosenzweig si rimanda al saggio di H.Dagan, Philosophizing in the face of Death-
Schopenauer and Rosenzweig,in “ Jewish Studies Quarterly”, VIII, 2001, n.1, pag.66-79.
97F. Rosenzweig, La stella, pag. 5. 98Ibi, pag. 8.
99Ibidem. 100Ibidem. 101Ibi, pag.9.
[…]ora a questo mondo conoscibile se ne contrapponeva un altro, indipendente: l’uomo vivo; al Tutto si contrapponeva l’uno che si beffa di ogni totalità ed universalità.102
Grazie al tema della “beffa”, forza dissolutrice che non ammette ricomposizioni di sorta, Rosenzweig riesce a presentare il pensiero di un altro uomo-filosofo che è risultato insostituibile per il definitivo tramonto del “ vecchio pensiero” ontologico-totalizzante: Friedrich Nietzsche. Rosenzweig ne dà un’immagine intensa:
Poi venne un uomo che sapeva la propria vita e la propria anima come un poeta, alla loro voce ubbidiva come un santo ed era però un filosofo.[….] Ma lui, che nel mutare delle immagini del suo pensiero mutava se stesso, lui, la cui anima non temeva alcuna altezza e s’arrampicava seguendo il temerario spirito scalatore su su fino alla scoscesa vetta della follia, dove non c’è più alcun “oltre”, proprio lui è quegli da cui nessuno di quanti devono filosofare può ormai prescindere.103
Nietzsche si pone dunque come figura paradigmatica per delimitare il “vecchio” dal “nuovo” filosofare. Egli ha sfidato la filosofia con tutta la forza della sua individualità, ma questa individualità è caratterizzata dal fatto che “ filosofa” e si pone in assetto da battaglia per il suo riconoscimento. Con la tragedia della sua vita egli ha infatti costretto la filosofia a riconoscerlo ed è divenuto imprescindibile pietra di confine in cui “ il nuovo venne confitto in maniera inestirpabile nell’alveo dello sviluppo dello spirito cosciente”.104
La filosofia muta assetto. L’orientamento del suo interrogare non si collega più al Tutto, identificante essere e pensiero, ma alla vita dell’umano nella sua irripetibile singolarità-uomo intero non totale- apre una breccia nella presunta necessità della reductio ad unum, consentendo anche alla sostanza mondo e alla sostanza Dio di liberarsi dal giogo.
L’analisi, declinata secondo un metodo nietzcheanamente genealogico, mostra ora più chiaramente i punti focali della critica di un pensiero che vuole porsi e contrapporsi come “nuovo” e che dunque ha come obiettivo la demarcazione del confine: innanzitutto dunque l’idea
102Ibidem.
103F. Rosenzweig, La stella, pag. 9. 104Ibidem.
di un’ontologia a cui da sempre è spettato il primato conoscitivo e che non è riuscita a render ragione dell’opposizione essere-nulla di fronte alle reali esigenze degli uomini; non di secondaria importanza poi, sintomo e indizio di questa impostazione è proprio quella reductio ad unum di cui il pensiero investe l’essere, che è assolutamente discordante dalla viva esperienza degli uomini che invece consta originariamente di tre sostanze: uomo, mondo , Dio. Ma queste tre sostanze, note alla tradizione come rispettivamente antropologia, cosmologia e teologia, erano finora costrette entro una rigida ed esclusiva definizione di unicità e dissolventesi nella luce senz’ombra dell’Uno-Tutto.
Uno sguardo alla storia del pensiero permette di osservare in modo ampliato ed esasperato quest’unità, che si è realizzata nella produzione di un universo presentato come atemporale, in cui la parola Tutto è divenuta alfa e omega del filosofare dalla “ Ionia fino a Jena”105, da “ Parmenide fino ad Hegel”106, dice Rosenzweig esprimendosi con metaforica pregnanza. La storia del pensiero ontologico si chiude a cerchio su se stessa, la fine si ripiega sull’inizio come sua piena realizzazione: Talete e Parmenide hanno fondato la “dinastia”107 millenaria che ha avuto il suo ultimo e forse più insigne rappresentante in Hegel108, il quale ha portato a piena realizzazione fino al suo più estremo consumo il lascito affidatogli dalla storia del pensiero. Tutto ciò trova la sua più emblematica esteriorizzazione nel movimento hegeliano dell’inclusione della storia della filosofia all’interno del sistema. Con Hegel dunque
La filosofia esaurisce le sue estreme possibilità formali e raggiunge i limiti a lei posti dalla sua stessa natura.109
105F. Rosenzweig, La stella, pag. 12. 106Ibi, pag. 15.
107Ibi, pag. 100.
108 Il rapporto Rosenzweig- Hegel è stato variamente e profondamente studiato. Rimandiamo in questa sede solo agli studi più significativi in proposito: O. Pöggeler, Rosenzweig und Hegel, in AA.VV.Der Philosoph Franz
Rosenzweig 1886-1986, 2 voll., Freiburg/ München, 1988; G. Petitdemange, Hegel et Rosenzweig. La difference se faisant, op.cit., P.J. Labarrière, Le tout, le linéaire et l’impersonnel. Formes figées d’un hégélianisme haïssable, in
AA.VV.La pensée de Franz Rosenzweig, Paris 1994 ; H.- J. Görtz, Tod und Erfahrung. Rosenzweigs « erfahrende
Philosophie » und Hegels « Wissenschafts des Bewussteins », Düsseldorf, 1984; S.Mosés, Systéme et révélation. La philosophie de Franz Rosenzweig, Seui, Paris, 1982 ; J. Rivelaygue, Franz Rosenzweig et l’idealisme allemand, in
AA.VV., F.Rosenzweig, in « Les Cahiers de la nuit surveillée », 1, 1982, pag.149-156 ; ed infine U. Bierberich,
Wenn die Geschichte göttlich wäre. Rosenzweigs Auseinandersetzung mit Hegel, Erzabtei St.Ottlien, 1990.
Il pensiero sembra non riesca a procedere oltre l’autoevidenziazione riflessiva: il Tutto di cui Dio, uomo e mondo sono semplicemente delle parti occupa tutta la scena della storia del pensiero, non consentendo ulteriori spazi. Secondo una tripartizione descritta dal Nostro nel Nuovo Pensiero, l’ “ antichità cosmologica”, il “ Medioevo teologico” e l’ “ epoca moderna cosmologica”110 , seppur di volta in volta certamente privilegiati nella storia del pensiero, non sono mai riusciti a liberarsi dalla loro sovra-dimensione di riferimento e sono scaduti a meri sinonimi dell εν και παν: Dio, uomo e mondo viventi non hanno mai potuto far emergere il loro vero essere, così ovvio, a giudizio di Rosenzweig, per il sano intelletto umano.
L’irreversibilità di questo processo, che si declina come duplice compimento del pensiero, giunge a consapevolezza a ridosso dell’epoca immediatamente successiva al filosofo di Jena. Rosenzweig parla infatti di una diffusa inquietudine che pian piano assume i connotati di una vera e
propria corrosione dell’intero sistema hegeliano, in nome di una irrevocabile necessità di uscire dal Tutto. Rosenzweig definirà questa urgenza come frattura111, e Scholem ne sottolinea echi cabalistici riecheggianti la celebre “ rottura dei vasi”112, e tale frattura è stata resa possibile dall’accettazione del rimosso della morte e dalla presa sul serio del singolo non più occultato dalla totalità. Il riferimento a Kierkegaard ha qui una necessità teoretica.
Fu a partire da un tale punto d’Archimede che Kierkegaard, e non lui soltanto, contestò l’inserimento hegeliano della rivelazione nel Tutto.
Tale punto era la coscienza individuale propria di un Sören Kierkegaard ( oppure una contrassegnata da un qualunque altro nome e cognome), coscienza del proprio peccato e della propria redenzione, non bisognosa, né suscettibile di una dissoluzione nel cosmo.113
110Das neue Denken, in Kleinere Schriften,op.cit, tr. it. Il nuovo pensiero, Arsenale, Venezia, 1983, pag. 46.
111 Tale idea sarà ripresa anche da K. Löwith che la definirà “rivoluzione post-hegeliana della filosofia” in K. Löwith Von Hegel zu Nietzsche, Europa Verlag, Zürich 1941, pag. 17, tr.it. di G. Colli, Da Hegel a Nietzsche. La
frattura rivoluzionaria nel pensiero del secolo XIX, Einaudi, Torino, 1971.
112 In G. Scholem Franz Rosenzweig, in « Le Cahiers de la nuit surveilée », cit., pag.17-37. 113 W. Benjamin, La stella, op.cit., pag. 7.
“Il punto di Archimede” è dunque il singolo, indissolubile e impermeabile alla totalità. Kierkegaard, seppur non ascoltato dalla filosofia, poiché la voce dell’uomo Kierkegaard non è omogenea alla filosofia ( a differenza dell’uomo-filosofo Nietzsche), dunque segna assieme a Schopenauer e Nietzsche la svolta del “ nuovo pensiero”. Dunque al di là delle specifiche differenze, che comunque a Rosenzweig in tal sede interessano poco, ciò che è suo interesse cogliere è la loro comune “cifra” declinata in una volontà, realizzata, di uscire dal Tutto dell’idealismo “ sulle proprie gambe”114 partendo dalla loro schlechtinnige Einzelheit, dalla loro semplice singolarità, di nome e cognome, di cenere e polvere.
Queste analisi risultano dunque utilissime al fine di comprendere le coordinate di fondo di quello che appunto Rosenzweig definisce nuovo pensiero115, e nella sua definizione abbiamo trovato fondamentali indicazioni per l’idea di vecchio pensiero con cui Rosenzweig designa la storia dell’ontologia. E dunque nella Stella della Redenzione i filosofi, che divengono figure emblematiche della svolta, metafore del nuovo pensiero, sono Kierkegaard, Schopenauer e Nietzsche e si contrappongono all’univoco percorso dalla Ionia a Jena, altra calzante metafora indicante la storia del pensiero. Il vecchio pensiero viene descritto dal Nostro come malato di “ monismo filosofico”116, ove la metafora della malattia, utilizzata estesamente anche nello scritto postumo Das Büchlein vom gesunden und kranken Menschenverstand117, è ricchissima di significati.
114“Urzelle” des Stern der Erlosung, in Gesammelte Schriften, op.cit., pag.126.
115 Fondamentali nell’analisi del nuovo pensiero sono senz’altro B. Casper Das dialogische Denken. Eine
Untersuchung der religionphilosophischen Bedeutung F.Rosenzweigs, F. Ebners und M. Buber, Herder Verlag,
Freiburg/Wien/Basel, 1967; H.Herringel Das neue Denken, Lambert Schneider, Berlin, 1928, nonchè M.Buber Zur
Geschichte des dialogischen Prinzips, in Werke, Kösel und Lambert Schneider, München und Heidelberg, 1962,
tr.it. a cura di A.Poma Il principio dialogico e altri saggi, Ed.S.Paolo, Cinisello Balsamo, 1993.
116 Da una lettera a Eugen Rosenstock del 24 agosto 1918. Riguardo alla riflessione di Rosenzweig nei confronti degli –ismi nel Nuovo Pensiero egli scrive: “ […] l’opera in cui ho cercato di far decantare il nuovo pensiero (si
riferisce naturalmente alla Stella della Redenzione, n.d.a.) è rivolta contro alcune etichette con un’animosità
particolare, che oltrepassa di molto l’avversione generale contro tutti gli –ismi”, in F.Rosenzweig, Das neue Denken, pag.160.
117 Rosenzweig, Das Büchlein vom gesunden und kranken Menschenverstand, op.cit. Ironicamente Rosenzweig afferma che a chiunque capiti malauguratamente di occuparsi di filosofia, poi corra il rischio di cadere preda di una terribile malattia “ l’ apoplexia philosophica acuta”, cfr. ibidem, pag. 57.
L’uomo nella sua pura e semplice singolarità della sua essenza individuale, “ uscì dal mondo che si sapeva accessibile al pensiero, uscì dal Tutto della filosofia”118.
La potenza del metodo rosenzweighiano, che si è cercato di portare alla luce in queste pagine, ci ha mostrato la possibilità di un atteggiamento critico nei confronti delle fondamenta della totalità, non più esclusivamente caratterizzato dall’idea di una passiva accettazione, consentendo altresì una dislocazione differente da quella tracciata dal percorso circolare, che ormai manifesta se stesso come qualcosa di compiuto e garantisce la disposizione dell’intera rappresentazione da un punto di vista esterno.
Le figure che Rosenzweig utilizza, gli elementi del presente minuziosamente riflettuti, ovvero le premesse al Nuovo pensiero, sono per il Nostro indizi di nuove possibilità per il pensiero.
Le analisi fin qui sottolineate hanno il merito infatti di mostrare quest’ulteriore sfumatura ermeneutica, che fa riferimento a tutta una dimensione paradigmatica: nello sforzo di Rosenzweig di inaugurare il Nuovo pensiero ci troviamo di fronte a due principali difficoltà, che concorrono vicendevolmente al rafforzamento dello stereotipo dell’insuperabilità della contemporanea impasse della filosofia. La prima concerne la possibilità o meno di utilizzare modalità che esulino dalle strutturate e vigenti forme ontologiche del pensare, la seconda la conseguente necessità di rigore di un sapere in via di costituzione.
Le premesse di Rosenzweig debbono quindi figurare come credenziali metodologicamente e contenutisticamente rigorose, giacchè egli teme più di ogni altra cosa l’assimilazione del nuovo pensiero a forme di irrazionalismo. Uscire dalla storia del λογος per Rosenzweig non vuol dire abbandonare la possibilità del razionale, ma ricominciare attraverso la possibilità di nuovi spazi teorici. E tali spazi teorici, e qui arriviamo alla prima delle difficoltà contemplate, vengono guadagnati attraverso l’utilizzo di un principio indiziario. Sulla scorta di un tentativo di “ smascheramento” e di ricominciamento, il Nuovo pensiero fa dell’indizio la
possibilità di cambiamento di paradigma. La ricerca dei luoghi del pensare tradizionale dove la morte non è stata annichilita, l’individuazione dei meccanismi di rimozione della morte e conseguentemente di quei nodi teoretici di rottura nella storia della filosofia, l’appello a figure di uomini-filosofi in grado di realizzare tale rottura, si pongono per Rosenzweig come indizi che pongono le basi per il superamento della rigida contrapposizione tra razionalismo ed irrazionalismo, nonché per un ripensamento delle categorie di conoscenza sistematica e idea di totalità.
Le riflessioni fatte in apertura del presente studio sul significato e la pregnanza del paradigma indiziario, ci invitano a considerare che di fronte infatti ad una siffatta totalità , la quale non è mai esclusa ma casomai presupposta da un il paradigma indiziario, l’uomo pùo solo decifrarne delle tracce.
L’insistenza sulla dimensione qualitativa, che ha per oggetto casi, situazioni individuali, in quanto individuali mostra l’impossibilità di assimilazione in una dimensione sperimentale, di reiterabilità e quantificazione dei fenomeni. Ed è dunque chiaro che tutte quelle discipline che