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Gnoseologia e costellazione: il metodo benjaminiano.

BENJAMIN E L’ALLEGORIA

3. Gnoseologia e costellazione: il metodo benjaminiano.

La premessa gnoseologica che introduce la molteplicità dei piani di lettura ed interpretazione dell’ Ursprung des deutschen Trauerspiels mostra subito l’esasperazione di questa poliedricità, ma soprattutto l’estrema complessità del problema trattato, ovvero il problema di un metodo e di una gnoseologia, che mostrano subito la propria estremizzazione e trasgressività.

Il problema della filosofia, esordisce Benjamin, è stato sempre un problema di rappresentazione, di cui essa ha sempre tentato, ma senza risultato, una sistematizzazione. A meno che, more geometrico, non rinunci alla verità, come hanno eloquentemente dimostrato le teorie matematiche. “ E ciò significa: ai sistemi filosofici inerisce un esoterismo di cui non possono liberarsi, che è loro proibito dissimulare, e che tuttavia li condannerebbe se mai lo portassero in piena luce”516. L’unico modo possibile, come abbiamo potuto vedere dalle

515 G. Scholem, Walter Benjamin, op. cit., pag. 90. E continua scherzosamente: “ Certo bisogna dire che Benjamin non ha reso facile il compito ai suoi lettori. Egli ha premesso al suo libro un capitolo gnoseologico, in cui sembra voglia piuttosto drizzare davanti al lettore come monito, anziché spiegargliele, le idee filosofiche conduttrici su cui avrebbe poggiato la sua interpretazione. Egli soleva dire che il suo motto segreto era: “ Procedi a rompicollo, ma non romperti il collo”. Da sempre, tale introduzione ha scoraggiato molti lettori.” Ibidem.

considerazioni precedenti è dunque quello che conferisca valore al frammento di pensiero dove “il rapporto fra l’elaborazione micrologica e la forma globale esprime quella legge per cui il contenuto di verità di una teoria si lascia cogliere solo nella più precisa penetrazione dei singoli dettagli di un concetto”517.

La sobrietà prosaica deve sostituirsi al gesto imperioso del discorso dottrinale: questa rimane l’unica forma di scrittura che si addica alla ricerca filosofica, il cui oggetto debbono essere le idee. La rappresentazione delle idee deve imporsi come autentico metodo del trattato filosofico, affrontando però subito un problema: la verità, che si attualizza appunto nella rappresentazione delle idee, “sfugge a qualunque proiezione nell’ambito della conoscenza”518. Verità e conoscenza infatti, come dicevamo poc’anzi, non coincidono, e Benjamin fa risalire questa posizione ad una delle intenzioni più profonde della filosofia delle origini, in particolare riferimento alla dottrina platonica delle idee. La conoscenza è un “avere”, la verità invece si riferisce sempre ad un “essere” dell’idea. Se oggetto della conoscenza è qualcosa che in qualche modo, seppur in forma trascendentale, va posseduto nella coscienza ed il cui metodo si riferisce sempre ad una declinazione intenzionale, ad un rapporto nella coscienza, giacchè esso “ è per la verità la rappresentazione di se stesso e perciò è dato come forma insieme alla verità stessa”519, la verità è al contrario qualcosa-che-si-rappresenta, un’ “unità di essere” e non di “concetto”, “essere inintenzionale formato di idee”520. Essa non è interrogabile ed attraverso le idee si offre im-mediatamente all’osservazione. L’unità della conoscenza, se sussistesse (“ la conoscenza è orientata alla cosa singola, ma non immediatamente all’unità”521), sarebbe indirettamente acquisibile a partire dalle singole conoscenze; l’unità della verità invece è una determinazione assolutamente immediata e diretta. Così comprendiamo come la distinzione tra verità e conoscenza “ definisce l’idea in quanto essere”522.

517 W. Benjamin, Ursprung, op.cit., Premessa gnoseologica, pag. 4-5. 518Ibi, pag. 5.

519Ibi, pag. 5. 520Ibi, pag. 11. 521Ibi, pag. 5. 522Ibi, pag. 6.

In quanto essere, e non avere, l’idea è immediata produzione di diverso essere e Benjamin ci indica un ottimo esempio di ciò nel Simposio platonico, in particolare nelle due asserzioni per cui la verità - il regno delle idee – è il contenuto della bellezza e per cui la verità è bella. Approcciarsi a queste asserzioni in modo logico-sistematico, ci avverte il Nostro, significherebbe separarsi ipso facto dall’ambito di pensiero della dottrina delle idee, mentre “il modo di essere delle idee non risulta mai, forse, con tanta chiarezza come delle due asserzioni citate”523. Il rapporto tra verità e bellezza infatti si declina come espressione di essere, che non ha bisogno dell’intelletto per autorappresentarsi come pura percezione, facendosi così sensibile. Essendo l’idea contenuto del bello deve esserne allo stesso tempo rappresentazione, ma “ questo contenuto tuttavia non viene alla luce nello svelamento: esso si mostra piuttosto in un processo che, con espressione analogica, si potrebbe definire come l’infiammarsi dell’involucro che penetra nel regno delle idee, come la combustione dell’opera, nella quale la sua forma raggiunge il suo massimo di luminosità.”524

Il chiaro riferimento alla rappresentazione come possibilità di espressione analogica e nello stesso tempo fermo rifiuto dell’intervento logico-deduttivo portano Benjamin a preferire nettamente l’accostamento filosofo-artista a quello filosofo-scienziato: “ una simile compiutezza sistematica non si avvicina alla verità più di quanto le si avvicini qualsiasi altra rappresentazione che cerchi di assicurarsela per mezzo di pure nozioni e concatenamenti di nozioni”525. Il bersaglio polemico di Benjamin assume qui i suoi contorni: l’incoerenza metodica526 dell’epistemologia moderna, che essa si rifiuta di considerare se non accidentale nel presupposto di garantirsi la verità attraverso un panorama enciclopedico di conoscenze considerato come “unità senza salti”527, potrebbe assumere il suo senso e la sua validità se fosse considerata, semplicemente, in questa sua discontinuità e se appunto si giungesse alla convinzione che “ il

523W. Benjamin, Ursprung, op.cit., Premessa gnoseologica, pag. 6. 524Ibi, pag. 7.

525Ibi, pag. 8.

526 “ Ogni singolo campo di ricerca introduce nuovi presupposti indimostrabili; in ciascuno di essi vengono dati per risolti problemi con la stessa decisione con la quale viene affermata in altri ambiti la loro insolubilità”.Ibidem. 527Ibi, pag. 9.

sistema ha la sua validità soltanto là dove la sua struttura è ispirata dalla costituzione stessa del mondo delle idee”528.

Ritroviamo qui una profonda affinità di vedute tra Benjamin Rosenzweig529 e Levinas, che concedono validità ad una logica, ad una struttura che rinunci al suo primato fondante in base a “presunti postulati filosofici”530 ( che le vieta applicazione, vietando addirittura validità al campo applicativo in sé, all’ambito non intenzionale) e riacquisti la sua necessaria e formidabile capacità strumentale in collaborazione con altre forme di razionalità, come quella analogico- linguistica.

Ciò che Benjamin coglie nell’universo platonico è l’eco di quella Weltanschauung precedente alla nascita del paradigma ontologico-metafisico, che manifestava la sua convinzione nell’impossibilità intenzionale del coglimento della totalità – e dunque come incommensurabilità tra vero e conoscenza - in favore di una ricerca del frammento e che è possibile osservare in una dimensione di convivenza col nascente paradigma epistemico nel pensiero platonico.531

Il rapporto infatti che l’idea istaura tra mondo concettuale ed esperienzale, ovvero tra i fenomeni – che appartengono al regno dei concetti – ed il mondo delle idee si delinea come necessità per i fenomeni di frammentarsi, perdendo quella che Benjamin chiama falsa unità, e divenire elementi del concetto e partecipare allora a quell’unità nell’idea che si esprime nella verità.

La verità è la morte dell’intenzione.532

528 W. Benjamin, Ursprung, op.cit., Premessa gnoseologica, pag. 9.

529 In particolare qui l’affinità con Rosenzweig è ribadita soprattutto qualche battuta dopo: “ Le grandi articolazioni che determinano non solo i sistemi ma anche la terminologia filosofica - la logica, l’etica, l’estetica – hanno un significato non come nomi di discipline specialistiche, ma in quanto monumenti della struttura discontinua del mondo ideale. I fenomeni però non entrano nel regno delle idee così, nella loro grezza configurazione empirica – a cui si mescola anche l’apparenza -, bensì soltanto, salvati, nei loro elementi ( c.n. )”. Ibi, pag. 9.

530 Ibi, pag. 8.

531 Si veda a tal proposito il cap. I del presente lavoro. 532Ursprung, op.cit., Premessa gnoseologica, pag. 11.

La verità è una messa in relazione analogica e questa relazione è ciò che si dà nell’idea. A questo punto però sorge una domanda: di che natura è la datità dell’idea e la “famosa intuizione intellettuale”533 può davvero giustificare la struttura del mondo delle idee? La risposta di Benjamin è chiara: questa relazione non ha affatto a che fare né con intuizioni intellettuali né tantomeno con l’intellectus archetypus, ma deve essere considerata come “un darsi che rimane sottratto ad ogni genere di intenzione”534. Dobbiamo dunque comprendere il darsi delle idee “ come le costellazioni si rapportano alle stelle”535 in una “produzione di visibilità” che si compone di due elementi: un’estrapolazione operata dai concetti ed una salvazione ( proprio quell’ Erlösung di rosenzweighiana declinazione) operata dall’idea. Le idee “salvano” i fenomeni dandoli alla visibilità in una costellazione, che è relazione di elementi, e la verità dunque, ora comprendiamo meglio, non entra a far parte di questa relazione: essa è questa stessa costellazione.

L’identità essere-pensiero-linguaggio in una dimensione di luminosità e trasparenza si frammenta in una relazione in cui verità ed essere dell’idea si staccano dall’intenzionale, la cui ipertrofia e ambizione di cogliere la verità ha mostrato, nella storia della filosofia, il suo profondo limite. Ciò che definiamo contenuto è ciò che viene “esposto”, per così dire, di una sedimentazione di essere, proprio in quel luogo che “ è la “visione”, prescritta come atteggiamento filosofico agli adepti del paganesimo neoplatonico in tutte le sue forme”536, la cui struttura però, a differenza del genere d’essere delle apparizioni, esige un’essere “superiore per consistenza” a quello puro e semplice delle cose: esso è “potenza che plasma l’essenza di quell’empiria”537. Tale relazione che è potenza plasmatrice è dunque forza che produce espressione ed infatti l’essere sottratto ad ogni fenomenicità, l’unico a cui perviene questa potenza, è quello del nome. Ecco dunque che la relazione verità-essere si arricchisce del polo linguistico e mette definitivamente in discussione quell’identità triadica - essere-pensiero-

533 W. Benjamin, Ursprung, op.cit., Premessa gnoseologica, pag. 10. 534Ibi, pag. 11.

535Ibi, pag. 10. 536Ibi, pag. 11. 537Ibidem..

linguaggio – della logica tradizionale, in favore di un netto primato del linguaggio, in grado di “mettere in relazione” verità-essere e conoscenza, nel fatto stesso della natura essenzialmente linguistica dell’idea.

La teoria linguistica benjaminiana, affrontata con dovizia di particolari nelle suggestive pagine del saggio Über Sprache überhaupt und über die Sprache des Menschen538, ritrova qui il senso del nome che determina il darsi delle idee ed “esse si danno non tanto in una lingua originaria, quanto in una percezione originaria, nella quale le parole non avrebbero ancora perduto la loro aura denotativa a vantaggio del suo significato conoscitivo”539. Queste infatti le parole di Güntert riportate dallo stesso Benjamin:

[…] Le idee di Platone sono in fondo, se per una volta è lecito valutarle da questo punto di vista unilaterale, nient’altro che parole e concetti verbali divinizzati.540

E prosegue:

[…] la lingua non è mai soltanto comunicazione del comunicabile, ma anche simbolo del non comunicabile. Questo lato simbolico della lingua è collegato al suo rapporto al segno, ma si estende ad esempio, per certi aspetti, anche al nome e al giudizio. Questi hanno non solo una funzione comunicante, ma anche con ogni probabilità, una funzione simbolica in stretto rapporto con essa.541

Se nella percezione empirica alla parola attiene una forte dimensione profano-strumentale, è compito del filosofo restituire invece alla sua dimensione simbolica il primato, ovvero quel carattere nel quale l’idea giunge all’autotrasparenza542; nel nome, la “natura linguistica dell’idea” connette conoscenza e verità, poiché dare il nome alle cose significa conoscerle, e conoscerle nel

538 W. Benjamin, Über Sprache überhaupt und über die Sprache des Menschen,op.cit. 539 W. Benjamin, Ursprung, op.cit., Premessa gnoseologica, pag. 11.

540Ibidem.

541W. Benjamin, Über Sprache überhaupt und über die Sprache des Menschen, op.cit, pag. 64.

542 “ Pensare che cosa sarebbero una comunità umana e una lingua umana che non rimandassero più ad alcun fondamento indicibile e non si destinassero più a un tra mandamento infinito, e in cui le parole non si distinguessero più da ogni altra prassi umana, è certamente un compito arduo. Ma questo, e nulla meno di questo, è quanto resta da pensare a un pensiero che voglia veramente essere all’altezza del problema.” G. Agamben, Lingua e storia.

Categorie linguistiche e categorie storiche nel pensiero di Benjamin, in AA.VV. Walter Benjamin. Tempo storia linguaggio, a cura L. Belloi e L. Lotti, Editori Riuniti, Roma, 1983, pag. 65-82.

loro essere vere; nel nome l’idea è chiamata ad essere. Poiché però la filosofia non può pretendere di parlare in tono rivelativi - ricadremmo nella limitazione del paradigma logico- ontologico - , l’autotrasparenza dell’idea nel nome potrà avvenire solo attraverso un “rammemorare”, a cui potrebbe avvicinarsi l’anamnesi platonica, ma in un senso del tutto diverso. Non si tratta infatti qui “di richiamare delle immagini all’intuizione; piuttosto, nella contemplazione filosofica l’idea si libera come parola dal nucleo più intimo della realtà, e come una parola che rivendica di nuovo il suo diritto a nominare”.543

Dunque non proprio un conoscere come ricordare, quanto piuttosto l’idea come parola: a far questo non fu infatti Platone, ma Adamo, il vero padre della filosofia, uomo definito nella Bibbia “parlante” e “datore di nomi”.544 Il nominare adamitico non ancora impegnato a lottare col significato informativo delle parole “conferma […] lo stato paradisiaco in quanto tale”545. Il primato del denotativo sullo strumentale risponde inoltre ad una domanda implicita: a chi si comunica l’uomo?

Bisogna porre una differenza profonda, un’alternativa di fronte a cui si smascheri senza fallo la concezione essenzialmente falsa della lingua.[…] Chi ritiene che l’uomo comunichi il suo essere spirituale attraverso i nomi, non può per contro ritenere che sia il suo essere spirituale che egli comunica, - poiché ciò non accade attraverso nomi di cose, attraverso parole con cui designa una cosa. E può invece ritenere soltanto che egli comunichi un oggetto ad altri uomini, poiché ciò accade mediante la parola con cui designo una cosa. Questa opinione è la concezione borghese della lingua […]. Essa dice che il mezzo di comunicazione è la parola, il suo oggetto la cosa, il suo destinatario un uomo. Mentre l’altra teoria non conosce alcun mezzo, alcun oggetto, alcun destinatario della comunicazione. Essa dice: nel nome l’essere spirituale dell’uomo si comunica con Dio.546

La creazione di Dio si completa quando le cose ricevono il loro nome (dall’uomo).

Quando le idee nominano si ricrea quella “pura lingua”547, quell’ “interrogazione originaria” che esprime quella forza relazionale che avviene tra le idee: “ Ogni idea è un sole, e il

543W. Benjamin, Ursprung, op.cit., Premessa gnoseologica, pag. 12.

544 W. Benjamin, Über Sprache überhaupt und über die Sprache des Menschen,op.cit., pag. 58. 545 W. Benjamin, Ursprung, op.cit., Premessa gnoseologica, pag. 12.

546W. Benjamin, Über Sprache überhaupt und über die Sprache des Menschen,op.cit., pag. 57.

547 Tale idea viene approndita in particolar modo anche nel saggio Die Aufgabe des Übersetzer, in Gesammelte

suo rapporto con le altre idee è come un rapporto tra altrettanti soli”548. Il rapporto armonioso fra queste essenze è la verità, in cui è possibile vedere il “volto” dell’idea, che è il “senso” che irrompe nel pensiero e che Benjamin condenserà nella figura allegorica.

Divengono più chiari i contorni ed i contenuti della gnoseologia benjaminiana, che la metafora della costellazione, come abbiamo avuto modo di valutare, esprime in modo estremamente significativo. Tale idea, che riesce ad esprimere “quel lavorìo di nessi, di Zusammenhänge, con tecnica connettivo-associativa, secondo una “dialettica del possibile” rigorosamente basata sui facta”549, inerisce alla necessità del rinvio non basato su un metodi esclusivamente induttivistici o deduttivistici attraverso una tensione dinamica che invece “colleghi” il molteplice in quanto tale in un orizzonte.

Mentre l’induzione degrada le idee a concetti rinunciando alla loro articolazione e coordinazione, la deduzione ottiene lo stesso risultato proiettandoli in un continuum pseudologico. Il regno del pensiero filosofico non si dipana lungo una linea ininterrotta di deduzioni concettuali, bensì attraverso la descrizione del mondo delle idee. Tale attuazione ricomincia da capo con ogni idea in quanto ogni idea è originaria (c.n) . Poiché le idee costituiscono una molteplicità non riducibile550.

Un fecondo scetticismo, “paragonabile al profondo riprender fiato del pensiero, che può abbandonarsi con tutto agio, e senza la minima traccia di affanno, all’esame minuzioso del dettaglio” 551 può allora indicarci il metodo da seguire nella delineazione di una nuova teoria della conoscenza, in cui l’apparenza del fenomeno sia salvata e tale salvezza divenga garanzia del suo accedere al singolo. Perciò la tensione dinamica, che è il movimento delle idee come costellazione verrà dal Nostro approfondita nel concetto di Ursprung, origine. Il problema

di liberare la lingua dall’aggravemento e dalla decadenza babelica delle lingue, “fare del simboleggiante il simboleggiato stesso, riottenere – nel movimento linguistico – foggiata la pura lingua, è il grande ed unico potere della traduzione. In questa pura lingua, che più nulla intende e più nulla esprime, ma come parola priva di espressione e creativa è l’inteso in tutte le lingue, ogni comunicazione, ogni significato e ogni intenzione pervengono ad una sfera in cui sono destinati ad estinguersi”. Ibi, pag. 50.

548 W. Benjamin, Ursprung, op.cit., Premessa gnoseologica, pag. 12.

549 F. Desideri, Walter Benjamin. Il tempo e le forme, Ed.riuniti, Roma, 1980, pag. 153. 550 W. Benjamin, Ursprung, op.cit., Premessa gnoseologica, pag. 18.

dell’origine diviene allora un tema centrale di riflessione, nonché chiave di volta dell’intera gnoseologia benjaminiana, che declina il rapporto logica-analogia.

L’origine, pur essendo una categoria pienamente storica, non ha nulla in comune con la genesi è Entstehung]. Per “origine” non si intende il divenire di ciò che scaturisce, bensì al contrario ciò che scaturisce dal divenire e dal trapassare.552

Il termine Ursprung non deve rinviare dunque a “genesi”, quanto piuttosto a quel salto originario nell’ “essere” che allo stesso tempo rivela la dinamica dell’idea che si fa fenomeno.

Nel comporsi di volta in volta - visto il dinamismo che le contraddistingue – delle idee che si mostrano al concetto, questo Ursprung si rinnova continuamente: lungi dal considerarlo nella sua fissità di termine riferentesi ad un evento passato e cristallizzato, esso deve essere considerato come divenire che irrompe in ciò che appare. L’origine, sottolinea Benjamin, sta nel flusso del divenire come un vortice, e trascina dentro il suo ritmo il materiale della propria nascita, è divenire e trapassare di ciò che nasce in cui natura e storia si incontrano. L’origine non si dà mai a conoscere se non in una duplice visione: “ essa vuol essere intesa come restaurazione, come ripristino da un lato, e dall’altro, e proprio per questo, come qualcosa di imperfetto e di in concluso”553. Ciò vuol dire che essa significa allo stesso tempo un depositarsi come passato e l’aprire continuamente passato ad un incompiuto, ad un nuovo percorso. L’idea si confronta con la storia:

In ogni fenomeno originario si determina la forma sotto la quale un’idea continua a confrontarsi col mondo storico, finchè essa non sta lì, compiuta, nella totalità della sua storia. L’origine dunque non emerge dai dati di fatto, bensì riguarda la loro preistoria e la storia successiva.554

552 W. Benjamin, Ursprung, op.cit., pag. 20. 553Ibidem.

In ogni origine è possibile osservare una forma nella quale l’idea si confronta col corso della storia e dunque Ursprung, diversamente da quanto affermato da Cohen nel suo Logik der reinen Erkenntnis555, non è una categoria puramente logica, bensì storica. Conoscere, in questa dimensione arricchita dell’elemento storico, significa vedere in modo nuovo qualcosa di passato e l’autentico – “ il marchio d’origine dei fenomeni”556 è oggetto di scoperta volta non alla costruzione di un’unità senza scarto, bensì di una totalità dialettizzata dal divenire: e questa è la sua “salvazione” platonica.

Storia e natura (come ciò che nasce) esprimono nella loro relazione l’ “autentico” divenendo appunto espressione per la conoscenza. Questa espressione si dà inoltre come