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Logica e metafore dell’archetipico: il dio mitico, il cosmo plastico, l’uomo tragico.

Parte Prima: Logica-Analogia.

5. Logica e metafore dell’archetipico: il dio mitico, il cosmo plastico, l’uomo tragico.

Il viaggio nell’abisso, nella sotterranea terra delle Madri, ci conduce ora alla “messa in luce” di un corrispettivo metaforico di quelle pietre concettuali di costruzione degli schemi proposte dal “sì” e dal “no”: l’integrazione di nuovo di questi due momenti appare ora a Rosenzweig più che mai necessaria al conseguimento dell’obiettivo proposto: dire la Rivelazione. Se la matematica ci mostra il percorso logico, riabilitante la filosofia nel suo ruolo euristico, l’appello alla metafora inerisce direttamente alla possibilità del linguaggio vivente di porre reali termini di riferimento dell’esperire del divino, dell’umano e del mondano, così come sono apparsi nella storia.

Le metafore dell’archetipico si delineano così come immagine visibile di ciò che prima era avvolto nell’oscurità dell’abisso delle Madri e che ora dall’immemorabile entra a pieno titolo nella storia con tutta la sua plastica oggettivazione. E questa struttura triadica che caratterizza le figure del pre-mondo è inoltre espressa mediante tre equivalenze matematiche, caratterizzate da una stringente logica interna che fa uso di segni autonomi, a-temporali, ed in grado di fornire adeguata delineazione dell’in sé per sé delle tre sostanze, sfuggendo il rischio di trasformare e svilire il compito della filosofia in Weltanschauung soggettiva.181

181 Ci dice giustamente A. Fabris nel suo Linguaggio della rivelazione, op. cit.: “ Il pericolo di una filosofia del punto di vista è di perdere ancora di più il contatto, che pure proprio per questa via viene cercato, con la realtà e con la vita (…)”, pag. 98; e continua: “ Proprio partendo da qui, inoltre diviene possibile ripensare nella nuova prospettiva ( la prospettiva del Nuovo Pensiero, n.d.A.) la funzione della filosofia, una disciplina che, nonostante il

Risulterà interessante a questo punto l’analisi puntuale di queste metafore, che mostrano in modo precipuo la cifra dell’intenzione rosenzweighiana.

In questa dimensione del pre-mondo l’ipotesi Dio affiora dal nulla della teologia negativa che colloca nell’insondabile per il θεωρειν l’essere proprio di Dio. Le motivazioni di questa prospettiva sono ricercate da Rosenzweig nella modalità in cui tale sapere ha percorso i secoli, ovvero una modalità tesa alla determinazione del concetto, non della fattualità di Dio. E se Kant aveva sancito tale impossibilità nell’inconoscibilità del noumeno, Hegel percorre un ulteriore passo indietro vanificando tale nulla del pensiero attraverso la riproposizione del concetto inclusivo dell’essere rifiutato da Kant. Per Rosenzweig il nulla kantiano va invece accolto come unica possibilità di mettersi sulle tracce dell’essere e che sia dunque l’inizio positivo di un nuovo sapere. Nella delineazione di questo positivo sapere di Dio ci vengono in aiuto le parole originarie che delineano così la dinamica interna della φυσις divina. La natura divina infatti, sancita dal “sì”, mette in atto un movimento che giunge attraverso il “no” alla considerazione della libertà divina sino a giungere, attraverso l’ “e”, al concetto di vitalità divina.

La natura divina, affermata dal “sì”, e che Rosenzweig fa corrispondere nel linguaggio matematico ad A, scaturisce dal non nulla, infinità indefinita, “ tranquillo mare della natura intima di Dio”182, “ che riposa nel silenzio infinito del puro esserci”183. L’autonegazione originaria del nulla particolare divino, attraverso il “no” invece, afferma la libertà di Dio, espressa altresì attraverso la formula algebrica A=. Il suo libero “no”, che scaturisce dalla negazione del suo nulla, non è un “così”, bensì un “ non altrimenti”, sempre diretto ad altro; esso “è sempre e solo l’ “uno”. E certo l’ “uno”, in quanto l’ “uno” in Dio, davanti al quale tutto il resto in lui diviene puro “altro””.184 La libertà di Dio dunque si articola semplicemente come un “no” potente. Essa è infinita nelle sue possibilità, per quanto sia qualcosa di finito, scaturita

carattere di astrazione isolante che Rosenzweig le attribuisce, è pur sempre in grado di approfondire e custodire gli aspetti concettuali, logici e linguistici dei rapporti espressi in teologia”, pag. 96.

182F. Rosenzweig, La stella, op.cit., pag. 30. 183Ibi, pag. 33.

dall’autonegazione del nulla che si svuota dell’essenza infinita di Dio. E’ A= in quanto rivolta sempre ad un infinito.

Dunque la libertà divina, che anela costituzionalmente ad un infinito, trova di fronte a sé l’infinita essenza di Dio. E solo nell’autentica correlazione di essenza e libertà divine, si coglie la vitalità di Dio, simboleggiata allora dall’equazione A=A. Nel dar vita a questa equazione A e A=, natura e libertà, necessità/destino e arbitrio/potenza185, divengono non più discernibili “ pura originarietà e l’appagamento in sé propri del Dio”186.

Dopo aver costruito lo schema logico di Dio, così come farà anche con il mondo e con l’uomo, Rosenzweig introduce il tema del paganesimo come μορφή originaria, fuori da ogni dimensione diveniente. Tale forma originaria si configura per Rosenzweig come “ metafora storica del pre-mondo”187, giacchè per il nuovo pensiero la classicità del mondo classico ha offerto senza contaminazioni o inquinamenti da parte del pensiero le figure di Dio, uomo e mondo.. Sono le spengleriane “ figure euclidee” riflettute come il rinvio luminoso del volto oscuro delle tre sostanze. Il paganesimo, metafora del pre-mondo, è il luogo di fanerizzazione dei risultati del percorso logico-matematico, che sprofondano nella luminosità della metafora.

Ci dice giustamente a tal proposito E. D’Antuono

Così l’arcano corrispondersi di schemi logici, trascrivibili con “prestate” formule matematiche, di archetipi intuibili in forza di deduzioni “metafisiche” come grigie Madri e delle iridescenti “forme storiche” della grecità, trova la sua ragion d’essere nel fatto che per Rosenzweig il paganesimo, collocato storicamente e concettualmente al di qua della Rivelazione, è regno della forza formatrice del θεωρειν, è l’universo del figurale, paese di ombre proiettate sull’incolore schermo della mente e delle parvenze disegnate dall’arte, che tutte alludono a qualcosa che non sono in grado di “rivelare” ma che ineludibilmente “è”.188

185 “ Questo punto, in cui l’infinita potenza dell’atto divino entra in qualche modo nel campo di forze dell’essenza divina, ancora possente sopra la sua inerzia, ma già ostacolato da essa, questo punto, in contrapposizione al punto della potenza e dell’arbitrio divini, lo designiamo come il punto delle necessità e del destino divini. E come la libertà divina si configura in arbitrio e potenza, così l’essenza divina si configura in necessità e destino. Dal movimento infinito, che partendo dalla libertà giunge a straripare nel dominio dell’essenza, sorge allora, in infinita autoconfigurazione, il volto divino che con un battito delle sue ciglia scuote il vasto olimpo, e la cui fronte è tuttavia corrucciata perché conosce il verdetto della Norna. Entrambe, la potenza infinita nella libera effusione del pathos e l’infinito esser vincolato entro la costrizione della Moira, danno insieme forma alla vitalità di Dio.”. F. Rosenzweig,

La stella, op.cit., pag. 33-34.

186Ibi, pag. 35. 187Ibi, pag. 157.

Una verità nascosta è manifestata nella sfera del θεωρειν , ma il suo nucleo rimane mistero; la metafora rende visibile e nello stesso tempo occulta, secondo la modalità analogica di correlazione delle differenze. E così il paganesimo viene affrontato dal Nostro “ a partire dalle forme storiche”189 affinché garantisca contenuto luminoso allo spettrale schema logico appena guadagnato, nella convinzione di riuscire a dar ragione delle tre sostanze al di qua della Rivelazione.

E dunque la vitalità del Dio, simboleggiata dall’equazione matematica A=A e dunque acquisita come schema e archetipo, si “illumina” nel Dio oggetto di fede dal pagano. Gli dèi dell’antichità infatti sono caratterizzati dalla vitalità, “ anzi essi sono persino, se si vuole, ben più vivi (del Dio vivente, n.d.A.). Infatti essi non sono altro che vivi. Sono immortali. La morte sta sotto di loro”.190 L’ Olimpo mitico è la metafora della pura vitalità del Dio, enigmatica relazione tra φύσις e libertà. Ignari della relazione con la morte, gli dèi dell’olimpo mitico rappresentano l’impossibilità di relazione con ogni forma di alterità, chiusi come sono nella propria pura vitalità, perfettamente armonica e beata. Essi sono degli dèi viventi, ma non signori del vivente, poiché l’esercizio di questa signoria prevederebbe un’ “ uscir-fuori-da-se-stessi e questo non si addice alla vitalità “spensierata” degli Olimpi”191. In tale dimensione infatti non esiste neppure il tradizionale concetto di “natura”, inteso come regno dotato di una propria legislazione contrapposto ad ogni “soprannaturale”, bensì un’idea di natura perfettamente coincidente con gli dèi. Quando per esempio, ci dice Rosenzweig, un Dio viene associato ad un astro, non diviene per questo il dio dell’astro (così come ci verrebbe naturale immaginare secondo quel concetto di natura che qui non esiste ancora), ma è l’astro che in qualche modo si innalza alla sfera divina, producendo così emblematicamente un particolare processo: anche se gli dèi inglobassero, innalzando alla propria sfera, il mondo intero, il loro mondo non entrerà mai in rapporto con qualcosa. Il mondo inglobato di per sé non è nulla, è solo un qualcosa di

189 F.Rosenzweig, Il nuovo pensiero, op.cit., pag. 51. 190 F. Rosenzweig, La stella, pag. 36.

inglobato dal dio. Il Dio qui è senza mondo, 2 o se al contrario si volesse caratterizzare questa concezione proprio come una concezione del mondo, allora questo mondo caratterizzato dalla vita di dèi che rimangono appartati tra di loro è un mondo senza dèi”192

Tutto ciò rende agevole la definizione di “essenza” e “legge” dell’olimpo mitico.

Infatti questa è l’essenza del mito: una vita che non conosce nulla al di sopra e nulla al di sotto di sé, una vita che, chiunque ne sia di volta in volta il protagonista, dèi uomoni o cose, è priva sia di cose governate che di dèi dominatori, una vita che si svolge puramente dentro di sé.

La legge di questa vita è l’interno accordo, che non risuona mai al di là e sempre a sé ritorna, di arbitrio e destino.193

Questo è il mondo del mito, caratterizzato da figure che non sono né semplici essenze né semplici potenze, poiché se fossero l’una o l’altra cosa non sarebbero vive, differenziandosi così da ogni altra forma religiosa diversa da quella greca. E se infatti in questa chiusura ed in questo fondamento “ non generativo, ma semmai produttivo” “ lo spirito mitico” tradisce la sua debolezza, questa stessa chiusura è allo stesso tempo simbolo della sua forza e della sua superiorità rispetto alle “religioni spirituali” dell’Oriente. Le divinità orientali194 si delineano come “ costruzioni immani formate da macigni del tempo primordiale”, sopravvivendo sino ad oggi nei culti dei “primitivi”, che nella loro astrattezza sono lontanissime da qualsiasi relazione tra essenza e libertà divina. Il brahman indiano, così come il cielo della Cina se da una parte possono essere positivamente declinati come affermazione del non-nulla e come negazione del nulla, alla fine sono destinati a disperdersi, rispettivamente nel nirvana e nel tao, “ luoghi inaccessibili ad ogni suono”, dove l’astrazione prende il posto della vita e dunque diviene intollerabile per il “sé” vivente dell’uomo e per i viventi mondi degli uomini. “ Nello spazio vuoto del non-pensiero in cui si rifugia il terrore di Dio, che non ha trovato il coraggio del timore

192Ibidem.

193 F. Rosenzweig, La stella, op. cit., pag. 37.

194 E non è un caso che Rosenzweig utilizzi ora il termine “divinità” e non “dèi”, giacchè “ divinità” egli afferma “ è il termine caro a tutti coloro che, alla vista del Dio vivente, fuggono nelle nebbie dell’astrazione”, ibi, pag. 38.

di Dio”195le smorte ombre orientali non appaiono come degne avversarie del Dio-che-si-rivela, che infatti preferì di gran lunga il confronto con i viventi “déi della Grecia”196.

E proprio “ questa contradditoria ricchezza di vita, resa possibile mediante la chiusura propria del mondo mitico, è rimasta in pieno vigore fino ad oggi al di fuori del suo ambito originario, e precisamente nell’arte”197. Comuni nella loro origine, religione ed arte assolvono allo stesso compito, quello di dar forma, di rendere plastico; ma l’arte, non soggetta a tramonto, intrisa di suggestioni nietzscheane, viene pensata da Rosenzweig come linguaggio immediatamente comprensibile che mostra la vivente realtà di Dio, uomo e mondo, sopra la quale “ deve aleggiare come un soffio di quella “ vita lieve e dolce” degli déi olimpi, per quanto l’esistenza che essa riproduce possa essere miseria e lacrime”198. Non importa cosa l’opera d’arte rappresenti, se gioia o dolore, essa deve comunque, per essere tale, possedere quella chiusura in se stessa, quell’indifferenza verso tutto ciò che può esserci al suo esterno, quell’ab-solutezza i cui contorni abbiam visto ben delineati nell’universo mitico.

Rosenzweig prosegue l’analisi giungendo ora ad affrontare la seconda tappa del suo percorso: l’ipotesi mondo. E dato che la filosofia ha da lungo tempo intaccato la sua ovvia comprensibilità, comprensibilità che risulta intuitiva per ogni intelletto sano, attraverso il medesimo metodo utilizzato per corrodere la realtà di Dio, anche qui punto di partenza deve essere una cosmologia negativa. La riduzione a nulla anche del mondo certo ha portato con sé delle conseguenze più paradossali di quelle riguardanti Dio, infatti “ se la scienza ha potuto

195 F. Rosenzweig, La stella, op. cit., pag. 40.

196 Cfr. ibidem, pag. 37 : “ Il mitico, nella forma con cui fino al suo tramonto, ha dominato ovunque, nelle religioni del Medio Oriente e d’Europa, almeno come uno stadio dell’evoluzione religiosa, rappresentava una forma di religione superiore, non inferiore rispetto alle “religioni spirituali” dell’Oriente. Non è un caso che la Rivelazione, quando si diffuse nel mondo, abbia intrapreso un cammino verso Occidente e non verso Oriente. I viventi “dèi della Grecia” erano per il Dio vivente avversari ben più degni che non le ombre dell’Oriente asiatico”.

197 F. Rosenzweig, La stella, op. cit., pag. 40. La relazione tra Rosenzweig e il ruolo dell’arte nel suo pensiero è stato differentemente ed approfonditamente riflettuto dalla critica; citiamo alcuni lavori tra cui F.P.Ciglia, Arte, profezia

della Rivelazione. Sulla meditazione estetica di F. Rosenzweig, in “ Archivio di filosofia”, LII,1-3, 1994, pag 501-

518; S. Mosès, L’estétique de Franz Rosenzweig, in AA.VV., Franz Rosenzweig, in “ Les Cahiers de la nuit surveillée, cit., pag. 119-135°. E. Mayer, Die Bedeutung der Kunst in Franz Rosenzweigs Werk, in W. Licharz, M. Keller ( a cura di), Franz Rosenzweig und Hans Ehrenberg. Bericht einer Beziehung, Frankfurt am Main, 1986, pag. 35-54; ID., Rosenzweigs Stellung zur Kunst, in AA.VV., Der Philosoph Franz Rosenzweig, op.cit, pag 951-964; ID., Le rapport de Franz Rosenzweig à l’art, in AA.VV. La pensèe de Franz Rosenzweig, op.cit., pag. 163-176; F. Dondolino, Le tracce dell’originario. Appunti sull’estetica di Franz Rosenzweig, in “ Rivista di Estetica”, 19-20, 1985, pag.133-142.

condurre a tale risultato allora essa ha condotto se stessa ad absurdum.”199 E dunque di nuovo ciò che la storia della filosofia ha valutato come risultato sarà preso dal Nostro come punto di partenza. Dunque ecco che questa cosmologia negativa, che ha condotto la filosofia e la scienza alla propria autonegazione lasciando tuttavia permanere un oscuro noumeno, viene da Rosenzweig trasformata in un nulla del sapere, “ trampolino dal quale si deve fare il salto verso il qualcosa del sapere, verso il “positivo” ”200. Il nulla così declinato, ovvero tramutato in oggetto dell’intelletto comune sano, deve avere carattere ipotetico, così da potersi capovolgere, in conclusione, nell’anipotetico: solo nell’ipotesi il carattere apparentemente non scientifico verrà giustificato. Urge però una precisazione: la dimensione ipotetica qui affrontata è qualitativamente diversa da un de omnibus dubitandum di cartesiana memoria, giacchè il rosenzweighiano dubbio ipotetico non ha le caratteristiche di un dubbio unico ed universale, e si pone non certo come “fine” dell’analisi, bensì come “ mezzo del pensiero”.

Dal nulla, anche qui scaturisce ancora una volta l’affermazione originaria, il “sì” del non nulla. Tale affermazione delinea l’ambito di un infinito essere. Ma tale infinito, essendo strettamente legato a ciò da cui proviene, è un infinito diverso a seconda che si tratti di Dio, del mondo o dell’uomo. E se l’infinito scaturente dal nulla di Dio è la φύσις divina, l’infinito affermato dal non nulla del mondo non ha quella caratteristica di quiete “infinita in sé e ad ogni istante” del puro essere di Dio. L’infinito del mondo, proprio per l’abbondanza inesauribile delle sue visioni, è “ un essente “ovunque” e “sempre” perdurante”201. Dunque l’essere dl mondo deve essere il suo sempre ed ovunque, ma l’essere del mondo è sempre ed ovunque soltanto nel pensiero, dunque il λογος è l’essenza del mondo. Le connotazioni di questo λογος “ effuso sul mondo come un sistema pluriramificato di singole determinazioni”202, indicano un “ ordine intramondano dell’universale”203. Tale ordine, conseguentemente alle riflessioni sul mondo

199Ibi, pag. 44.

200 F. Rosenzweig, La stella, op. cit., pag. 44. 201Ibi, pag. 45.

202Ibidem. 203 Ibi, pag. 47.

meta-logico, non ha un’unità teoretica dimostrata204, ma la sua unità è un’ “unità di applicazione”205, che aderisce al mondo infinitamente e con la validità universale delle sue forme logiche.

Solo questo λογος universalmente valido “ all’interno delle chiuse mura del mondo”206 in virtù esclusiva della sua applicabilità è l’ordine mondano, Weltgeist non connotato hegelianamente come divinità207, ma declinato piuttosto secondo l’accezione che questo termine ha assunto nella “filosofia romantica della natura”208, il principio ordinatore ed intramondano che il giovane Schelling ha mutuato dal Timeo platonico. L’ordine mondano è così caratterizzato da un’autonoma comprensibilità e guidato da un λογος impossibilitato ad un rinvio esterno alla propria applicabilità, se non a prezzo dell’indeterminazione, quanto meno per ora. Non che Rosenzweig escluda categoricamente un’unità ulteriore

Che l’unità infinita dell’essere divino, la quale esplicitamente è posta prima di ogni identità di pensiero ed essere, e quindi sia prima del pensiero valido per l’essere sia dell’essere pensabile, possa essere la sorgente dalla quale sgorga il ramificato sistema logico di irrigazione del campo del mondo, è cosa che qui non si può escludere del tutto, ma ancor meno può essere provata; resta una semplice supposizione.209

Il pensiero è “di casa” nel mondo, e dunque nessuna porta gli è sbarrata, “ ma sull’aldilà la vista gli è preclusa”210.

La formula matematica adatta a simboleggiare tale ordine è =A, ovvero “ applicabilità sempre ed ovunque”.

204 “Infatti il pensiero, proprio nel suo farsi pensiero totalmente applicato, nel suo divenire “ di casa” nel mondo, ha rinunciato alla possibilità di dimostrare l’unità della propria origine; poiché questa origine unitaria non era nel mondo, anche laa via che conduce da un pensiero da presupporsi “puro” al pensiero “applicato” è venuta a trovarsi al di fuori della sfera d’azione del pensiero applicato.”Ibi, pag. 45.

205Ibi, pag. 45.

206 F. Rosenzweig, La stella, op. cit., pag. 45.

207 “ Il λογος non è, come da Parmenide fino ad Hegel, creatore del mondo, bensì spirito del mondo, ancor meglio forse anima del mondo”. Ibi, pag. 49.

208Ibi, pag. 47. 209Ibi, pag. 46. 210Ibidem.

Il “no” riferito al nulla particolare del mondo mostra però che esso non è solo ordine, e che “ c’è altro ancora al suo interno, qualcosa di sempre nuovo, qualcosa che urge, che schiaccia”.211

L’abbondanza delle visioni è altrettanto originaria che i pensieri. Essa si presenta come infinita negazione del nulla particolare del mondo, come inesauribile sorgente del fenomeno, che scaturisce dal nulla come “ miracolo”, come “sorpresa”, non dato ma un dono sempre nuovo, anzi più esattamente come un regalo, poiché nel regalo la cosa regalata scompare dietro il gesto del regalare”212. Non vi è ragione all’apparire del fenomeno

Qui è infinita la forza di negazione del nulla, ma è finito ogni singolo effetto di quella forza; infinita abbondanza, finita la singola visione. I singoli fenomeni salgono dalla notte senza motivo e privi di direzione, sulla fronte non portano scritto né da dove vengono né dove vanno: sono. In quanto sono, essi sono uno, ciascuno per sé contro tutti gli altri, separato da tutti gli altri, “ particolare”, un “ non-altrimenti” ”.213

L’abbondanza mondana viene simboleggiata da B , nudo segno della singolarità, che