Oltre ai temi della sussidiarietà e della governance territoriale coo- perativa, mutuati dall’UE e ormai recepiti a livello nazionale, pur con differenti declinazioni, in tutti gli stati membri (cfr. par. 2.2), in tem- po di crisi si affacciano sul panorama nazionale e internazionale due nuovi temi: semplificazione e riduzione della spesa pubblica. In alcune realtà questo ha comportato veri e propri tagli della spesa pubblica, che gravano su dipendenti e cittadini. Basti pensare alla situazione più paradigmatica, quella della Grecia, dove gli stipendi dei dipendenti pubblici, ad esempio, hanno subito tagli fino al 45%. Anche in Italia, dove la crisi non è ancora a questi livelli ma vi è prossima, l’ultima finanziaria approvata dal Governo Monti a dicembre 2011 è stata so- prannominata “lacrime e sangue”16.
In questo panorama a tinte fosche, la cooperazione tra enti pubblici non è più un vezzo, non può affidarsi ad amministrazioni particolar- mente illuminate che riconoscano la dimensione sovralocale come per- tinente alla soluzione dei problemi, ma diventa una necessità, dettata dall’esigenza di ridurre le spese attraverso opportune economie di scala.
La riformulazione dell’assetto istituzionale diventa dunque una possibile soluzione in quegli stati non federati dove sono già presenti forme di cooperazione strutturata, anche se con modalità differenti: in Italia, l’unione dei comuni, già prevista dalla legge 142/90, non aveva trovato applicazione diffusa fino ad oggi, quando è assurta a soluzione ideale verso la semplificazione (anche in modo coercitivo, obbligando i comuni più piccoli all’unione di competenze); ma anche in Francia, dove le esperienze di cooperazione sono certamente più avanzate, ma le diverse forme di agglomerazione nate negli ultimi vent’anni han- no determinato la necessità di una razionalizzazione degli enti e delle competenze, che dopo un ampio dibattito ha portato alla della legge del 16 dicembre 2010 di riforma delle Collectivités territoriales.
Diventa dunque di un certo interesse verificare le diverse forme di cooperazione interistituzionale o intergovernativa (orizzontale o tra più livelli amministrativi) codificate e gli obiettivi e finalità ad esse sottese. Se ad oggi hanno permesso l’attivazione di esperienze spontanee di collaborazione tra enti, da domani diventeranno la base istituzionale su cui fondare forme di cooperazione spinta, volte anche all’unione di enti pubblici, in particolare di quelli comunali.
Tra le modalità di cooperazione interistituzionale esistenti, l’orga- nizzazione in strutture associative e agenzie e la sottoscrizione di patti o contratti sembrano le più diffuse (Bobbio, 2000).
Le forme pattizie implicano la sottoscrizione, da parte di più soggetti
16 Si tratta del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (in Supplemento ordinario n.
251 alla Gazzetta Ufficiale - Serie generale, n. 284 del 6 dicembre 2011), convertito con la legge 22 dicembre 2011, n. 214 recante: «Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità’ e il consolidamento dei conti pubblici».
pubblici, semipubblici o privati di atti di natura contrattuale in cui si definiscono la volontà, i tempi e l’impegno finanziario per persegui- re un progetto comune. Le scelte pubbliche che si basano su questo approccio sono fondate sul consenso formalizzato, per cui traggono la loro legittimità dal consenso delle parti contraenti piuttosto che dall’autorità, e tale consenso risulta sottoscritto pubblicamente attra- verso un patto o un contratto (Bobbio, 2000).
I contratti possono essere di due tipi: verticale, se coinvolgono auto- rità di livello territoriale differente (Regione, Provincia, Comune); oriz- zontale, se coinvolgono istituzioni territoriali o funzionali allo stesso livello. Più spesso sono contemporaneamente orizzontali e verticali, perché coinvolgono governi di livello diverso e istituzioni dello stesso rango territoriale (stato, regioni, autorità di bacino, province insieme a diversi comuni e diverse comunità montane, cfr. Bobbio, 2006). In Francia è la forma di cooperazione interistituzionale più diffusa, decli- nata in diverse forme a seconda dell’oggetto di riferimento: Contrat de
Plan Etat-Region (CPER), Contrat d’agglomération, Contrat de pays, Con- trat de ville (cfr. par. 2.3).
Gli accordi hanno un campo di applicazione privilegiato a livello lo- cale e regionale, dove assumono un carattere innovativo. In Inghilterra sono gli strumenti privilegiati per l’attivazione di pratiche cooperative: in particolare, i Multi Area Agreements (MAA) intervengono su temi di interesse sovralocale, mentre i Local Area Agreements (LAA) sono accor- di triennali in cui i partner, ovvero le autorità locali responsabili (county
councils o unitary districts councils in genere), i rappresentanti locali del
governo centrale (Government Officies o GO) e diverse agenzie pubbli- che e private operanti su un territorio stabiliscono una serie di obiet- tivi da raggiungere sul territorio e possono accedere a finanziamenti statali specifici. In Italia si sono sviluppati nella forma dell’Accordo di programma e hanno portato a diverse forme di collaborazione, dalla formazione di agenzie di sviluppo alla partnership pubblico-privato, dagli accordi economici in settori particolari alla gestione associata di servizi (acque, rifiuti, ecc.).
A livello di quartiere o di regione urbana si riscontrano numerosi esempi di contratti innovativi e sperimentali con altri livelli territoriali e/o di governo, generalmente finalizzati allo sviluppo economico e alla rigenerazione urbana.
Lo scopo della cooperazione diventa dunque la principale determi- nate del tipo di accordo da intraprendere tra amministrazioni. In rela- zione agli obiettivi perseguiti, Cogno (1999) identifica cinque diverse categorie di cooperazione:
a) cooperazione per l’utilizzo congiunto di personale e mezzi, at- traverso accordi tra due o più enti per l’utilizzo di addetti o beni immobili;
b) cooperazione strutturata e specializzata attraverso il ricorso a strutture esterne specializzate, dotate di autonomia gestionale, per lo svolgimento congiunto di determinati servizi (es. servizi socio-assistenziali o smaltimento RSU);
c) cooperazione su singoli progetti e iniziative, senza creare nuove strutture ma attraverso accordi per il perseguimento di determi- nati progetti: in questo caso la cooperazione è limitata a un ogget- to definito (promozione turistica, realizzazione opere pubbliche di interesse sovracomunale, ecc.);
d) cooperazione per rafforzare l’azione amministrativa, attraverso modifiche drastiche delle strutture amministrative stesse (unioni o fusioni di comuni, intercomunalità) che preludono alla costitu- zione di modelli federali tra gli enti coinvolti;
e) cooperazione per lo sviluppo locale, che avviene attraverso la messa a sistema di iniziative e progetti di sviluppo dell’economia locale, finalizzata sia ad una sistematizzazione delle progettualità a scala vasta, sia all’ottenimento di finanziamenti in ambiti diversi. Queste categorie sono individuate in ordine di complessità crescen- te, per cui le prime tre richiedono per lo più forme di cooperazione di carattere tecnico. La cooperazione per rafforzare l’azione amministra- tiva e la cooperazione per lo sviluppo locale implicano invece capacità molto più ampie e strutturate, in cui la leadership politica ha un ruolo determinante. In particolare, si richiede una progettualità politica mol- to forte, attraverso la partecipazione attiva dei vari livelli di governo del territorio e dei diversi attori e interessi coinvolti (pubblici e privati), oltre al coinvolgimento della cittadinanza.
Bobbio (2000, 2002) riconduce queste cinque categorie a due princi- pali forme di cooperazione:
– cooperazione funzionale, riguardante processi innescati intorno a una tematica specifica, a un obiettivo piuttosto che a un ambito territoriale specifico;
– cooperazione strutturale, quando i processi di governance assumo- no un carattere stabile ed implicano la creazione di organi istitu- zionali con ampie competenze.
A livello europeo e nazionale, è ormai diffuso un ampio ricorso alla cooperazione funzionale, di carattere transnazionale, interregionale e tra città, dovuta alle modalità di allocazione dei fondi strutturali e ad un processo di maturazione progressiva del concetto di cooperazione, da semplice partnership a effettivo coordinamento, fino all’assunzione della cooperazione territoriale come obiettivo dell’attuale periodo di programmazione (2007-2013). In particolare, si registra una notevole innovazione nell’ambito degli strumenti a servizio della governance comunitaria, sia attraverso l’utilizzo di metodi sperimentali come l’O-
pen Method of Coordination (OMC)17, sia attraverso l’istituzione di un or-
17 L’OMC, come già indicato nelle pagine precedenti, si usa al di fuori dei me-
todi comunitari ordinari di allocazione delle risorse dei Fesr, fa parte dei metodi di soft-governance e consiste nel fissare obiettivi, azioni e indicatori per la valutazione e il monitoraggio, che vengono utilizzati dagli Stati membri per il benchmarching e la valutazione dell’efficacia delle politiche. Per un approfondimento, cfr. Faludi (2004).
gano specificatamente preposto alla cooperazione tra soggetti di stati membri differenti, il Gruppo europeo di cooperazione territoriale (GECT). La nuova stagione delle Macro-regioni (Samecky, 2009; CoR, 2010), apre invece a modelli cooperativi di carattere strutturale, tesi ad atti- vare forme di cooperazione stabili e finalizzate ad attivare politiche di sviluppo condivise e ad ampio raggio.
A livello nazionale si riscontra un’ampia diffusione di modalità di cooperazione funzionale, tra cui la più diffusa è quella dell’accordo sancito attraverso forme pattizie. I patti sono generalmente definiti come integrativi, in quanto sottintendono un accordo tra diversi inte- ressi per creare beni collettivi e porre le basi per lo sviluppo locale. Tut- tavia, esiste la possibilità che i patti assumano una deriva opportunista nel momento in cui rappresentano l’occasione, per le parti convenute, di dividersi i vantaggi della cooperazione per soddisfare le proprie esi- genze senza apportare un effettivo beneficio collettivo. A scala territo- riale, una deriva di questo genere si è riscontrata nell’ambito dei patti territoriali ex L. 662/1996, che spesso hanno rappresentato insiemi di progetti poco integrati, messi insieme all’insegna di idee guida poco strutturate, al solo scopo di ottenere il finanziamento (Colaizzo e Deid- da, 2003 e 2004, Magnatti et al., 2005).
La cooperazione funzionale è avvenuta inoltre nell’ambito dei pro- grammi complessi (dai Programmi integrati ai Prusst) attraverso ac- cordi di programma quadro o intese istituzionali di programma (che riguardano, per l’appunto, un determinato programma di intervento), mentre la cooperazione strutturale o istituzionalizzata è avvenuta attra- verso la formazione di sedi di concertazione fisse, tra cui le principali sono la Conferenza stato-regioni e la Conferenza stato-città o di asso- ciazioni nazionali finalizzate a svolgere attività di lobby presso il par- lamento e il governo nazionale o regionale18.
Per evitare gestioni associate di tipo “condominiale” (De Luca, 2007; Lingua, 2009), se non vere e proprie derive opportunistiche di patti, accordi e contratti, è necessaria la richiamata lealtà tra gli sta- keholders coinvolti nel processo cooperativo, che si esplica attraverso alcuni elementi chiave:
– l’integrazione tra saperi, competenze, interessi;
– il confronto diretto tra tutti gli stakeholders interessati dal processo per definire una scelta condivisa;
– l’accordo tra gli stakeholders sulle soluzioni/politiche/progetti pre- scelti.
Sulla base di questi presupposti, nella congiuntura attuale si ren-
18 Tra queste svolgono un ruolo decisivo nella difesa di determinati interessi terri-
toriali l’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCE), l’Associazione nazionale dei piccoli comuni italiani (ANPCI), l’Unione delle province italiane (UPI), l’Unione nazionale comuni comunità enti montani (UNCEM) che si fanno portatori rispettiva- mente degli interessi dei comuni, dei piccoli comuni (inferiori a 5.000 abitanti), delle province, delle comunità montane (cfr. Bobbio, 2002, p. 154).
de più che mai necessaria l’evoluzione da modalità di cooperazione funzionale, legate alla gestione di determinate competenze, a forme di cooperazione strutturale, in cui soluzioni, politiche e progetti volgano verso un quadro di coerenza di carattere sovralocale e condiviso.
Se gli strumenti a disposizione sono diversi e possono portare a for- me più o meno strutturate di collaborazione, dalla semplice sottoscri- zione di accordi, patti, contratti alla vera e propria unione di competen- ze, il cammino verso forme di cooperazione strutturale tese al governo coordinato del territorio non è facile né scontato: difficile da superare lo scoglio dei campanilismi, per cui le competenze di maggior peso (in particolare l’urbanistica e i lavori pubblici) diventano oggetto di este- nuanti braccio di ferro tra le amministrazioni coinvolte nei processi di unione obbligatoria delle competenze al 2013 per i comuni tra 3.000 e 5.000 abitanti.
Di conseguenza, le numerose esperienze di pianificazione strate- gica, anche laddove siano state formalizzate da accordi e intese, pre- sentano ancora loro luci e ombre (Fedeli e Gastaldi, 2004; Rur-Censis, 2007; Gastaldi, 2007; Calace, 2007; Sampaolo 2009), legati fondamen- talmente alla difficoltà di apportare effettivi e importanti cambiamenti nel governo del territorio, comunque gestito a livello comunale. «Pur in presenza di un decentramento di funzioni e di responsabilità ammi- nistrative e decisionali, sembra mancare nelle nostre città la capacità di costruire una visione e un progetto collettivo. Il decentramento di funzioni alla periferia è divenuto un fine in sé e non il mezzo per realiz- zare obiettivi di competitività e di vivibilità; la pianificazione strategica urbana giunge da noi con quasi venti anni di ritardo sulle prime espe- rienze internazionali e, dopo un quinquennio o poco più di sperimen- tazioni importanti, a partire da quella di Torino, sembra quasi esaurirsi in retoriche scontate e in iniziative realizzate solo al fine di ottenere provvidenze pubbliche; il necessario adeguamento istituzionale alle nuove realtà territoriali e ai processi spontanei di metropolizzazione non decolla, nonostante l’ampia flessibilità legislativa e l’indicazione costituzionale per le tre aree metropolitane maggiori» (Camagni, 2012).
Se a livello metropolitano la pianificazione strategica non decolla, alcune significative esperienze di pianificazione intercomunale stanno maturando nel Veneto (Piani di Assetto del Territorio Intercomunale – PATI), in Emilia-Romagna e in Toscana (Piani strutturali coordinati). Si tratta, tuttavia, di esperienze anora lontane da vere e proprie unioni di comuni in cui i comuni deleghino tutte le funzioni (in particolare il governo del territorio) all’organismo intercomunale. Più numerosi sono, piuttosto, i percorsi “altri”, che nascono da condizioni territoriali specifiche (domande di sviluppo o istanze di conservazione, esistenza di interazioni tra reti di attori o stimolo da parte delle amministrazioni sovra locali) e portano verso forme associative differenziate e con di- versi livelli di formalizzazione (Marangoni e Marchigiani, 2006).
Esperienze che, in tempo di crisi, rappresentano oggi il bagaglio di buone pratiche per esplorare, in Italia, forme di cooperazione struttu-
ganismo intercomunale. Modalità che sono invece di uso corrente in altri paesi: governo del territorio e gestione finanziaria, infatti, sono le uniche due competenze obbligatorie attribuite a tutte le forme di ag- glomerazione previste dall’ordinamento francese.
Alla luce delle definizioni e del quadro delineato, diventa di un cer- to interesse comprendere le modalità con cui la governance – intesa come cooperazione tra enti e tra soggetti portatori di interessi – si è tradotta in rapporti istituzionali di governo del territorio, in Italia e in realtà contermini.
In particolare, in un sistema di pianificazione territoriale, interessa la trasposizione dei risultati della governance cooperativa in atti di go- verno del territorio, ovvero come si formalizzano gli accordi, a livello regionale, per una efficace rispondenza alle esigenze del territorio.