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Quale governance a livello regionale? Uno sguardo al contesto europeo

Nel documento Pianificazione regionale cooperativa (pagine 81-88)

L’intercomunalità in Francia

2.5 Quale governance a livello regionale? Uno sguardo al contesto europeo

Se il sistema federale tedesco è stato uno dei principali ispiratori dell’organizzazione comunitaria europea, senza dubbio gli stimoli alla cooperazione provenienti dall’Unione Europea hanno favorito prati- che cooperative in tutto il territorio europeo, coinvolgendo migliaia di istituzioni pubbliche e private (Dürh et al., 2007; Faludi, 2008; Nadin & Stead, 2008; Waterhout, 2009).

Si tratta di una cooperazione orientata allo sviluppo più che alla pia- nificazione territoriale, che non rientra tra i compiti istituzionali dell’UE.

È quindi inevitabile che le conseguenze di queste pratiche siano da ri- cercarsi per lo più nell’apprendimento e nella cooperazione stessa, che non negli esiti effettivi della cooperazione (ibidem, cfr. anche par. 1.4): la loro trasposizione nel fare istituzionale e urbanistico ordinario non è im- mediata, tanto che la situazione appare variegata ed omogenea sia nel più vasto ambito della diffusione di pratiche e culture improntate alla

governance territoriale (Espon, 2007a; Janin Rivolin, 2010), sia in merito

alla trasposizione dei principi dello SSSE e dell’Agenda territoriale nelle pratiche di pianificazione spaziale degli stati membri (Espon, 2007b).

In particolare, in riferimento alla governance territoriale di matrice europea, il recepimento dei principi veicolati dall’UE negli stati mem- bri implica necessariamente una connessione con i sistemi istituzionali e di pianificazione esistenti (Williams, 1996; Newman e Thornley, 1996; Balchin et al., 1999; Gualini, 2003; Dühr et al., 2007 e 2010).

Il tema della governance territoriale viene declinato a livello degli stati membri attraverso un ciclo istituzionale che instaura tra UE e stati membri rapporti di mutuo aggiustamento (Cotella e Janin Rivo- lin, 2010). Tra gli stati membri emergono atteggiamenti differenti nei confronti della governance territoriale, che sono imputabili non sola- mente all’ordinamento vigente (accentramento vs decentramento delle competenze, centralismo vs regionalismo ecc.) e ai differenti sistemi di pianificazione (conformativi vs performativi), ma anche a questioni di cultura politica (Ricci, 2007).

Dalla analisi di diversi modelli cooperativi nazionali, riportata nei paragrafi precedenti, sono riscontrabili alcune tendenze differenziate nel modo di affrontare il tema della cooperazione da parte degli stati membri, relative a:

– la promozione su base nazionale di programmi cooperativi simili a quelli dell’Unione Europea, attraverso l’allocazione di risorse su base concorsuale che favoriscano la cooperazione tra enti;

– l’attivazione di sedi di cooperazione istituzionale stabili, soprattut- to per la gestione associata di servizi e attività istituzionali diverse; – l’accorpamento di enti locali per una più efficiente gestione di que- stioni di area vasta o, più semplicemente, per far fronte alla fram- mentazione istituzionale;

– la promozione di forme di governance cooperativa tra enti locali, alla luce del principio di sussidiarietà, che vadano oltre alla sem- plice cooperazione funzionale.

Le forme di cooperazione funzionale legate alla gestione di servizi di interesse generale a rete (trasporti pubblici, acqua, energia, ecc) o di prossimità (salute, raccolta e smaltimento rifiuti, ecc.) sono diffuse ovunque, dalle Mancommunidades spagnole ai Syndicats de Communes francesi alle forme di cooperazione intercomunale tedesche per i tra- sporti, il turismo, i servizi scolastici e per l’infanzia. Queste forme di cooperazione nascono generalmente dal livello locale, e senza partico- lari impulsi dall’alto.

di comuni in istituzioni di scala vasta, messi in atto da diversi Stati e con differenti intenzionalità. In alcuni casi (Belgio, Paesi Bassi, Ger- mania) l’organizzazione di raggruppamenti di comuni è avvenuta in modo autoritario e con il fine dichiarato di ridurre il numero di enti territoriali locali. È il caso, ad esempio, del Belgio, che con una riforma del 1976 riduce drasticamente il numero dei comuni, così come tra gli anni Sessanta e Settanta in Germania il numero dei comuni è ridotto di un terzo, da 24.000 a 8.400 (Cour des Comptes, 2005).

Sono presenti inoltre forme di partenariato nelle politiche interne per lo sviluppo regionale, come l’attribuzione di maggiori poteri alle autonomie regionali nella negoziazione e attuazione dei Contrats de

Projets Etat-Région (CPER) in Francia: si tratta di Accordi formali tra

stato e regione su un programma pluriennale relativo a tematiche di interesse comune, che prevedono il conferimento di maggiori poteri di negoziazione ai prefetti regionali. Anche in Inghilterra, la devoluzione di responsabilità in materia di politica regionale alle Agenzie di sviluppo

regionale (RDA) ha avuto come conseguenza l’ intensificazione della

cooperazione tra autorità locali ed organismi a livello regionale.

Il focus sulle regioni, assunto in questo lavoro, permette di indagare il loro ruolo in questo quadro in divenire, in cui da un lato si tratta di perseguire la coesione territoriale promossa a livello europeo, dall’al- tro di adattarla agli specifici ordinamenti e sistemi di pianificazione nazionali e alle loro declinazioni regionali, laddove esistano.

A livello nazionale emergono diversi concetti di regione, general- mente basati sul livello istituzionale, ma con forme più o meno spinte di territorialità e con gradi di progettualità differente: mentre in Fran- cia le regioni assumono un nuovo ruolo nella concertazione con lo sta- to, e in Germania rappresentano il livello sub statale maggiormente in- novativo nell’ambito della cooperazione interregionale per il governo dle territorio, in Inghilterra sono defraudate di qualunque possibilità di occuparsi in modo strategico della pianificazione territoriale. Possi- bilità che è invece attribuita alle city-regions, assurte a nuovo livello di riferimento nella pianificazione strategica.

A fronte di queste differenziazioni nazionali, nel più ampio panora- ma della multilevel governance di stampo europeo le regioni rappresen- tano un punto di snodo nelle pratiche di europeizzazione: il concetto di «Multilevel governance […] describes the dispersion of authorita- tive decision making across multiple territorial levels. Two develop- ments have been decisive in creating multi-level governance in Europe over the past half century. European integration has shifted authority in several keys areas of policy making from national states up to Euro- pean-level institutions. Regionalisation in several European countries, including the most populous ones, has shifted political authority from the national level down to subnational levels of government» (Hooghe e Marks, 2001:XI).

In quest’ottica, le regioni diventano uno degli interlocutori subna- zionali nel dialogo con l’Unione europea, uno dei channels to Europe (Hooghe e Marks, 2001:81) privilegiato, sia per rappresentanza diret-

ta33, sia in quanto chiamate in causa in diversi modi nella implementa-

zione delle politiche di coesione34. Se le regioni costituiscono da sempre

l’unità minima per gli studi preparatori, sia nel caso della Strategia Eu-

ropa 202035, sia in quello delle relazioni relative alla politica di coesione

(CEC, 2010a), esse tuttavia non sembrano assumere un ruolo predomi- nante nell’ambito della nuova politica di coesione.

La Quinta relazione sulla coesione economica, sociale e territoriale indi- vidua infatti la «necessità di riconoscere le difficoltà create dalle diver- se situazioni regionali, come ad esempio quelle esistenti tra le regioni dell’UE15 e le regioni dell’UE12» (CEC, 2010:222). Risulta sicuramente assodata l’esigenza di introdurre la dimensione della coesione territo-

33 In quanto interlocutori subnazionali, le regioni assumono come punto di riferi-

mento la loro rappresentanza ufficiale, il Comitato delle Regioni (CoR), istituito con il trattato di Maastrich (1992). Il consiglio dei ministri, la Commissione e (dal 1999, con il trattato di Amsterdam) il Parlamento Europeo sono chiamati a consultare il CoR per tutte le questioni che hanno una componente regionale o locale. Al tempo stesso, il CoR assume un ruolo di portatore degli interessi regionali in seno all’UE. Da un lato, una interpretazione estesa del ruolo del CoR può portare a una consultazione in molte delle materie oggetto di politiche europee, che hanno necessariamente riflessi locali, dall’altro lato le diversità nazionali tra paesi federali e unitari, tra realtà sviluppate e non, così come l’eccessiva burocratizzazione, tendono a ridurre la portata delle opinio- ni espresse dal CoR (Hooghe e Marks, 2001:81-82).

34 Le regioni sono inoltre l’unità minima per l’attribuzione dei fondi europei di

sviluppo regionale (FESR) in base al pil pro-capite. La stessa politica di investimenti dell’UE prende il nome di Politica regionale, di competenza della Direzione Generale Politica Regionale – DG Regio) della Commissione, finalizzata principalmente a ridur- re le disparità tra regioni e stati membri. Questo concetto abbraccia una dimensione allargata di regione, con la quale si intendono sia le regioni istituzionali, sia entità territoriali diverse in relazione agli obiettivi della politica, che di volta in volta può prevedere partenariati tra enti territoriali a livelli diversi, dalle città alle aree rurali ai territori transfrontalieri. Tuttavia, nell’ambito del nuovo periodo di programmazio- ne, sono le regioni istituzionali ad essere chiamate in causa per l’implementazione della strategia Europa 2020, il programma elaborato dalla commissione per rilanciare l’economia dell’UE nel prossimo decennio, attraverso l’attivazione di un’economia in- telligente, sostenibile e solidale, finalizzata a conseguire elevati livelli di occupazione, produttività e coesione sociale.

35 La pubblicazione Regions 2020 (CEC, 2008) fornisce una prima analisi dell’impat-

to regionale di quattro principali sfide per l’Europa: la globalizzazione, il cambiamento demografico, il cambiamento climatico e l’approvvigionamento energetico. Facendo ricorso a una serie di indicatori, la relazione delinea un “indice di vulnerabilità” del- le regioni in seguito all’impatto della globalizzazione, della demografia, del cambia- mento climatico e delle esigenze energetiche e delinea le conseguenze potenziali nella prospettiva del 2020. Il successivo studio Regional Challenges in the Perspective of 2020 - Regional disparities and future challenges (CEC, 2009) amplia ed approfondisce l’anali- si presentata analizzando cinque grandi sfide che le regioni saranno chiamate ad af- frontare in prospettiva: rischi sociali, energia sostenibile, cambiamento demografico, globalizzazione, cambiamento climatico. Lo studio delinea due scenari globali sulle disparità regionali in previsione del 2020. Infine, il rapport Regional Challenges in the Perspective of 2020 – Phase 2: Deepening and Broadening the Analysis (ÖIR, 2011) traccia una mappa della vulneabilità integrata delle regioni europee, mettendo a sistema le diverse sfide, e indica le prospettive per la politica di coesione 2020 e per la coopera- zione interregionale.

riale insieme alla coesione economica e sociale, ma il riferimento ter- ritoriale della politica di coesione non è quello della regione istituzio- nale, quanto piuttosto quello delle regioni funzionali: «Con l’adozione del Trattato di Lisbona la coesione territoriale è divenuta uno degli obiettivi principali insieme alla coesione economica e sociale. Occorre pertanto affrontare questo obiettivo nei nuovi programmi, dando in particolare risalto al ruolo delle città, alle aree geografiche funzionali ed a quelle che affrontano specifici problemi geografici o demografici e infine alle strategie macroregionali» (CEC, 2010b:8).

Il focus sembra dunque essere posto sull’attivazione di pratiche di cooperazione tra territori che esulano dai confini istituzionali per pre- figurare specifiche aree problema: le aree urbane, intese come «motori di crescita e poli di creatività e innovazione», specifiche aree funzionali e macroregionali. Preso atto delle differenze regionali determinate dalle situazioni geografiche e demografiche, si prefigura la necessità di «una maggiore flessibilità nell’organizzazione dei programmi ope- rativi al fine di riflettere meglio la natura e la geografia dei processi di sviluppo. I programmi potrebbero essere studiati non solo a livello nazionale e regionale, ma anche – ad esempio – a livello di gruppi di città o bacini fluviali e marittimi» (Ibidem).

In questo quadro, quale ruolo possono assumere le istituzioni re- gionali?

Il principale tema di intervento delle regioni istituzionali sembra oggi essere quello della governance orizzontale nell’ambito delle Macro- regioni. Il tema è emerso in modo prepotente nell’ambito del dibattito europeo in seno al Comitato delle Regioni (CoR) per descrivere territori di cooperazione interregionali e transnazionali, riguardanti soprattutto nuovi stati membri, uniti da approcci cooperativi di scopo o di progetto finalizzati ad affrontare temi e problemi comuni (CoR, 2010).

Se la Macroregione rappresenta un nuovo approccio all’integra- zione territoriale europea, basato sulla cooperazione multilaterale e multilivello, tuttavia non è da considerarsi necessariamente come un nuovo concetto (Dangerfield, 2010; Stocchiero, 2010), in ragione di una consolidata tradizione di cooperazione che ha dato luogo a pratiche cooperative di tipo sub-nazionale (Cottey, 2009), alla costruzione di “working communities” legate a progetti di cooperazione territoria- le, nonché alla nascita delle Euroregioni (Fabbro, 2010). Queste ultime sono determinate da spazi di cooperazione transfrontaliera istituziona- li, che si avvalgono dello strumento del GECT come struttura di coope- razione con personalità e capacità giuridica per promuovere interessi che travalicano i confini amministrativi36. Esito delle politiche di allo-

36 L’Associazione delle Regioni di Confine Europee definisce i seguenti criteri per l’i-

dentificazione delle Euroregioni, che si configurano come:

– associazioni di autorità locali e regionali su ambo i lati del confine nazionale, talvolta con un’assemblea parlamentare;

– associazioni transfrontaliere con un segretariato permanente e una squadra tecnica e amministrativa dotata di risorse proprie;

cazione dei fondi strutturali (in particolare del programma Interreg), il panorama europeo risulta oggi ricco di Euroregioni (CoR, 2010), anche in considerazione della loro capacità di influire sulle politiche regionali dell’Unione (Perkmann, 2002).

In questo contesto, il termine Macroregione presenta quasi una ri- dondanza rispetto a quello di Euroregione (Stocchiero, 2010). Tuttavia, la definizione di “un’area che include territori di diversi paesi o regioni as-

sociati da una o più sfide e caratteristiche comuni (…) geografiche, culturali, economiche o altro” (CEC, 2009:1) delinea strutture cooperative funzio-

nali, definite in ragione di sfide e opportunità comuni che richiedono un’azione collettiva transnazionale, dando luogo ad alleanze coopera- tive a geometria variabile che portano alla definizione di una strategia comune (Sameky, 2009).

Rispetto alle Euroregioni, le Macroregioni non sono dotate di una struttura istituzionale, ma prefigurano la necessità di utilizzare le strutture di cooperazione esistenti: basandosi «su un’esauriente pro- cedura di revisione delle strategie esistenti e sulla disponibilità di ri- sorse» (CEC, 2010b:8), esse sono chiamate a innalzare l’ambizione del- la cooperazione ad una scala territoriale superiore. L’aspirazione è di andare oltre la stretta prossimità transfrontaliera per proiettarsi in una dimensione macroregionale “funzionale”, cioè definita dal basso sulla base di esigenze comuni, di un patrimonio culturale, di beni ambienta- li ed infrastrutturali comuni e di convergenze nei processi decisionali di prossimità. In questo senso, la macroregione implica una partecipa- zione trasversale di diversi livelli di cooperazione: regionale, nazionale ed europeo. La Macroregione prefigura, dunque, un notevole salto di scala verso un livello territoriale superiore37: il riferimento sono ambiti

territoriali sovraregionali e transnazionali, in cui problemi e interessi comuni attivano processi cooperativi di scopo e di progetto, con un ap- proccio place based finalizzato ad assumere un peso specifico importan- te (Macro) nel sistema della competitività e della convergenza Europeo nella nuova programmazione 2014-2020.

– di diritto privato, basate su associazioni o fondazioni no-profit, su ambo i lati del confine, in accordo con le rispettive leggi nazionali vigenti;

– di diritto pubblico, basate su accordi interstatali, che hanno a che fare, tra le altre cose, con la partecipazione delle autorità territoriali.

37 Medeiros (2011) osserva che, mentre le euroregioni hanno una estensione media

di 200.000 kmq, le macroregioni esistenti (Mar Baltico e Danubio) hanno estensioni superiori ai 700.000 kmq. Lo stesso autore propone la definizione di “mesoregioni” per accordi cooperativi che implicano una dimensione territoriale intermedia tra euro e macro regione.

Governo del territorio

Nel documento Pianificazione regionale cooperativa (pagine 81-88)

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