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Temi e questioni emergenti dalle esperienze in corso I piani regionali del nuovo millennio hanno ormai perso la loro carat-

Nel documento Pianificazione regionale cooperativa (pagine 136-139)

Pratiche di pianificazione regionale: quale cooperazione?

5.1 Temi e questioni emergenti dalle esperienze in corso I piani regionali del nuovo millennio hanno ormai perso la loro carat-

terizzazione di strumenti esclusivamente strategici o strutturali, per as- sumere una valenza mista in cui predomina la tensione verso un equili- brio tra le differenti nature. Equilibrio che deriva da processi “eclettici” (Fabbro, 2003) di formazione dello strumento regionale, che prevedono forme di cooperazione istituzionale, partecipazione e inclusione degli interessi molto differenziate, esito non solo della legislazione regionale, ma anche dell’impronta politica e tecnica conferita al piano stesso.

Rispetto a questa formulazione teorica della natura del nuovo piano, che emerge dal dibattito (Fabbro, 2003 e 2004; Properzi, 2003; Mesolella 2006a; Belli e Mesolella, 2008) e si riflette nei provvedimenti legislativi regionali (De Luca, 2008b), il quadro sperimentale delineato dalle più recenti esperienze di pianificazione regionale, in continua evoluzione, risulta caratterizzato da approcci “plurali” alla pianificazione regio- nale (Belli e Mesolella, 2008) in cui, a fronte di un ampio utilizzo della retorica dell’orientamento “strategico”, sembra prevalere ora l’uno ora l’altro aspetto: strategico, strutturale, operativo.

Alcuni episodi di pianificazione territoriale recentemente formaliz- zati (Veneto, Emilia-Romagna, Lombardia, Toscana), o in fase avanzata di realizzazione (Friuli Venezia Giulia, Piemonte) forniscono un qua- dro di tali riflessioni. In relazione alla ricerca di un equilibrio tra le tre dimensioni del piano regionale (strategica, strutturale, operativa), si evidenziano alcune questioni comuni ed emergenti nelle esperienze di pianificazione regionale in corso, tutte convergenti verso l’individua- zione di idonee forme di cooperazione:

– la costruzione di vision strategiche con strumenti e metodi multi- mediali, si riflette in una forma piano tesa ad esplicitare la visione, con obiettivi e azioni che ruotano intorno alle strategie delineate in forma di slogan intriganti (come nel caso dei piani dell’Emilia- Romagna e del Veneto) e implicano forme di inclusione degli in- teressi sempre più improntate a sperimentare, oltre agli strumenti tradizionali (Lombardia), modalità di partecipazione che coinvol- gano i cittadini intesi in senso lato (Veneto, Puglia, Toscana); – il rapporto col piano paesaggistico e con la valutazione resta in

sospeso: entrambi gli elementi hanno una notevole influenza sull’equilibrio tra le tre dimensioni, in quanto la loro integrazio- ne col piano regionale piuttosto che la redazione di strumenti e

procedure ad hoc, configura un apporto più o meno pregnante alla dimensione strutturale del piano. In questo senso, le pratiche di coinvolgimento degli interessi territoriali volgono verso forme di partecipazione diffusa (Puglia, Toscana), tese a individuare gli elementi identitari e le strategie implicite per la loro conservazio- ne e valorizzazione;

– l’operatività del piano si traduce sia nell’identificazione di ambiti progettuali di livello regionale (Lombardia, Marche, Campania, Li- guria) capaci di sollecitare interessi pubblici e privati locali, sia nel- lo stimolare gli enti locali a pratiche di pianificazione di area vasta (intercomunalità, unioni, ecc.) attraverso l’individuazione di possi- bili ambiti di cooperazione interistituzionale (Friuli e Piemonte); – infine, la fattibilità finanziaria del piano: gli strumenti operativi

del piano, per avere gambe, necessitano di una stretta connessione con la programmazione economica regionale. Da un lato, si deter- mina dunque la necessità di un rapporto di interdipendenza tra pianificazione territoriale e programmazione dello sviluppo, non solo portando a sistema la strumentazione (PTR e PRS), anche at- traverso una riorganizzazione della macchina amministrativa per obiettivi e non per assessorati (Archibugi, 2005). Dall’altro lato, in una situazione di scarsità di risorse, la cooperazione interregio- nale sembra rappresentare il punto di partenza per inserirsi nel sistema della competitività europea con strategie di area vasta. 5.2 Approcci cooperativi per la costruzione

di vision strategiche

I piani del Veneto e dell’Emilia-Romagna rappresentano sicura- mente i due episodi maggiormente strategici nel panorama della pia- nificazione regionale di ultima generazione. Lo scenario delineato per la predisposizione del PTR dell’Emilia-Romagna illustra tre principali prospettive, relative alle reti di città e territori, all’economia della cono- scenza e alle reti ecologiche, cui è riferita una serie di obiettivi. Il PTR è dunque inteso come il luogo degli obiettivi e degli indirizzi per tendere allo scenario prefigurato, mentre spetta alle Province, nell’ambito dei loro Piani territoriali di coordinamento, il compito di sedimentare e mettere a sistema una serie di norme già esistenti e proprie della piani- ficazione settoriale, delineando un vademecum complessivo delle di- sposizioni che sovrintendono l’area vasta e definendo la coerenza delle regole con lo scenario regionale. Per dare forma e concretezza allo sce- nario strategico, con il PTR si intende proporre un nuovo “patto socia- le” con gli enti locali, che nasca da una visione partecipata del futuro. Anche il PTRC Veneto1 è inteso come patto sociale e lo slogan che lo

accompagna, “un piano che traguarda il futuro attraverso lo sguardo

1 Il Piano Territoriale Regionale di Coordinamento ai sensi della legge regionale

degli uomini”, evoca uno strumento inteso non tanto a mettere ordi- ne attraverso regole prescrittive, quanto piuttosto come operazione di costruzione di senso intorno ad una vision condivisa. Questa nuova concezione della natura del piano deriva da un ampio dibattito inter- no a tutte le componenti amministrative, politiche e socio-economiche della Regione, che ha portato a scartare l’idea, ormai obsoleta, di un “piano regolatore del Veneto”, ma anche a non considerare il PTRC come semplice trasposizione territoriale delle previsioni del Program- ma regionale di sviluppo (PRS), quanto piuttosto come disegno di una

vision. In particolare, l’intento è quello della costruzione di una com- munity vision, ovvero di immaginare un futuro desiderabile e costruire

un piano finalizzato a conseguirlo insieme alla comunità locale, sulla base di una visione-guida delineata da un gruppo di “testimoni pri- vilegiati”2. Il loro contributo è inteso come una base di partenza per

il confronto con la comunità sui fondamenti di un buon governo del territorio. Contributo che, a scapito delle premesse, è venuto per lo più da incontri istituzionali di presentazione dello strumento (Confe- renze istituzionali e consultazioni a base territoriale), piuttosto che da un vero e proprio percorso partecipativo finalizzato alla costruzione della vision comunitaria. In ogni caso, dalle consultazioni e dal pro- cesso di elaborazione dello strumento emerge un piano improntato al “pragmatismo visionario”, definizione che, pur suonando come un os- simoro, permette di comprendere la forma piano finale: uno strumento leggero, tecnologico e suggestivo, capace di essere compreso anche dai non addetti ai lavori attraverso un linguaggio fatto di tavole schema- tiche degli obiettivi e delle direzioni di sviluppo, filmati e descrizioni multimediali, indirizzi finalizzati non a vincolare ma ad orientare la pianificazione sotto-ordinata (Regione Veneto, 2009).

Le modalità di rappresentazione diventano preponderanti in que- sti piani di ultima generazione, anche come supporto alle modalità di comunicazione del piano, generalmente improntate alla realizzazione di tavoli interistituzionali e incontri pubblici più o meno allargati e all’utilizzo di mezzi multimediali: in tutti i casi il sito internet della regione, nel caso del Veneto anche filmati e interviste, oltre a docu- n. 372 del 17/02/09. Attualmente il processo di approvazione è in corso ed è legato alla contestuale elaborazione del Piano Paesaggistico Regionale, inteso come parte inte- grante del PTRC con specifica considerazione dei valori paesaggistici, conformemente a quanto dettato dal Codice. Il 15 luglio 2009 è stato sottoscritto a Roma, dal Ministro per i beni e le attività culturali e dal Presidente della Regione del Veneto, un Protocollo d’Intesa per l’elaborazione congiunta del Piano Paesaggistico Regionale. Nel suddetto Protocollo le parti prendono atto di quanto finora elaborato dalla Regione con il PTRC adottato dalla Giunta Regionale il 17 febbraio 2009 – in particolare con la predisposi- zione dell’Atlante Ricognitivo degli Ambiti di Paesaggio – e si impegnano alla comple- ta definizione della parte paesaggistica del PTRC.

2 La visione guida, delineata nel documento della “Carta di Asiago”, consiste in

un documento di sintesi di un insieme di interviste a cinque dei principali intellettuali che hanno vivono e operano in Veneto: lo scrittore Mario Rigoni Stern, il sociologo Ul- derico Bernardi, l’economista Ferruccio Bresolin, il politologo Paolo Feltrin, il geografo naturalista Eugenio Turri.

menti di presentazione e sintesi del piano stesso. È il caso, ad esempio, del Piano Territoriale Regionale (PTR) della Lombardia, recentemente approvato3, condiviso in una serie di “incontri col territorio” a base

Provinciale che si sono svolti lungo tutto il 2009 sulla base di un docu- mento di Presentazione del Piano Territoriale Regionale. Inteso come ela- borato propedeutico e introduttivo alle diverse sezioni del PTR, non secondario rispetto alle altre componenti, questo documento definisce le principali logiche sottese al Piano: ne illustra i presupposti normati- vi, il percorso di costruzione, la struttura e l’approccio adottato, attra- verso uno schema di lettura (Mappa del PTR) che consente di identifi- care facilmente gli elementi di interesse e delinea altresì alcuni canali di lettura (normativo, tematico e per soggetti).

Il processo di revisione del Piano di Indirizzo Territoriale toscano ha portato una prima importante riviszioneit dello strumento verso una natura maggiormente strategica, a seguito della nuova Lr. 1/2005 di re- visione e adeguamento della legge di governo del territorio n. 1/1995. Nel nuovo strumento, approvato nel 2007, la parte statutaria è declinata in una agenda strategica fondata su tre meta obiettivi finalizzati a 1) Integrare e qualificare la Toscana come “città policentrica”; 2) Sviluppa- re e consolidare la presenza “industriale” in Toscana; 3) Conservare il valore del patrimonio territoriale della Toscana. Ciascun meta-obiettivo è ulteriormente sviluppato in una serie di obiettivi conseguenti, svilup- pati e discussi in una serie di “tavoli di concertazione istituzionale”, te- matici o generali, che hanno portato alla formalizzazione del PIT come “Patto per il Governo del territorio”, ovvero come protocollo d’Intesa sottoscritto tra Regione Toscana e ANCI, UNCEM e UPI.

In generale, il ricorso a conferenze e tavoli di concertazione interi- stituzionale è la metodologia prevalente utilizzata per la costruzione dei piani regionali di ultima generazione. A fronte di queste forme di inclusione degli enti territoriali, sempre in bilico tra adempimenti nor- mativi e reale necessità di cooperazione, sembrano più interessanti le sperimentazioni volte alla costruzione dei piani paesaggistici regionali, siano essi parte integrante o esterni al piano regionale. La natura strut- turale dell’elemento paesaggio, inteso come prodotto della comunità (come definito nell’ambito della Convenzione Europea del Paesaggio del 2000), richiede necessariamente un apparato idoneo non solo a re- cepirne le istanze di tutela e conservazione, ma a individuare elementi identitari e azioni di tutela e valorizzazione condivise.

5.3 Pianificazione del paesaggio e valutazione

Nel documento Pianificazione regionale cooperativa (pagine 136-139)

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