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Stato ed enti locali tra cooperazione e liberismo

Nel documento Pianificazione regionale cooperativa (pagine 109-114)

Governo del territorio e cooperazione in Italia

3.5 Stato ed enti locali tra cooperazione e liberismo

La stagione di riforme amministrative che ha interessato tutti gli anni Novanta si chiude con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante modifiche al Titolo V della Costituzione, che porta a una sintesi le riforme Bersani attraverso la definizione esplicita delle materie di competenza statale e di quelle attribuibili agli enti locali, individuan- do le materie di competenza esclusiva rispetto a quelle di competenza concorrente. L’art. 117 c. 2 definisce dunque diciassette materie di in- teresse nazionale per le quali lo stato è chiamato a emanare apposite norme e regolamenti.

Il tema del governo del territorio è indicato come materia di legi- slazione concorrente, attraverso un doppio regime (Pizzetti, 2001): le regioni hanno la facoltà di emanare proprie leggi di governo del ter- ritorio, mentre lo Stato ha la facoltà di emanare leggi di soli principi (art. 117 c. 3) e di destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi speciali in favore di determinati enti locali, per promuoverne lo svilup- po economico, la coesione e la solidarietà sociale e per rimuovere gli squilibri economici e sociali (art. 119, c. 5).

Nel processo di ridefinizione dei ruoli tra Stato e Regioni, dunque, lo Stato mantiene l’esercizio di funzioni centrali su alcuni temi ritenuti irrinunciabili (Mantini, 2005), come i grandi interventi strutturali, i pro- grammi di opere pubbliche statali, la tutela e valorizzazione dei beni storici, culturali e ambientali, la difesa del suolo, nonché programmi

innovativi in ambito urbano12 che, insieme alle diverse leggi-obiettivo

in tema di infrastrutture o di città, configurano un intervento sempre più teso all’ambito territoriale e alle grandi opere (Lingua, 2007).

Il testo riformato della costituzione esprime appieno la tensione tra separazione delle competenze e condivisione delle scelte ai diversi li- velli, e trova nel federalismo e nel decentramento due possibili anelli di congiunzione, anche se imperfetta (Forlenza e Terracciano, 2002). Tuttavia, nel testo non sono contemplate forme di cooperazione inter- governativa: tale gap è colmato dalla corte costituzionale italiana, che ha assurto la cooperazione a principio giuridico per dirimere i conflitti tra Stato e Regioni. Nell’ambito di un contenzioso, generalmente, la corte costituzionale parte dal presupposto che i rapporti tra i due li- velli di governo si fondino sul principio della “leale collaborazione”, obbligandoli dunque alla cooperazione per la soluzione di problemi comuni e impedendo che ciascuno si limiti a chiudersi nell’ambito del- le proprie competenze (Bobbio, 2002:141).

In questo senso, le riflessioni sui limiti del sistema gerarchico e uni- laterale di pianificazione tradizionale e sulla necessità di ricercare il consenso preventivo sulle scelte di piano prefigurano un cambiamento notevole del ruolo della pubblica amministrazione a tutti i livelli. L’atto stesso di sedersi attorno a un tavolo con i diversi soggetti interessati, infatti, non richiede più una aprioristica difesa di un imprecisato inte- resse pubblico, quanto piuttosto l’assunzione di un atteggiamento co- operativo nell’ambito di un gioco di mediazione e ricomposizione tra interessi diversi, da quello dell’ente sovra-ordinato a quello dei singoli cittadini.

Nelle pratiche che si sviluppano durante il nuovo secolo e nel di- battito che le accompagna, emergono tuttavia questioni, paradossi e contraddizioni della pianificazione contrattata, o consensuale che dir si voglia, in merito a tre temi principali: lo snellimento procedurale nell’ambito di forme di interazione di tipo cooperativo, l’influenza del- la cooperazione sulla competitività territoriale e l’intervento sempre più importante del privato nella definizione delle politiche pubbliche.

Fin dalla loro nascita, gli strumenti che consentono forme di inte- razione di tipo consensuale (conferenze, accordi, contratti e le diverse forme della pianificazione negoziale) sono stati tacciati di derive auto- ritarie e decisioniste (Torchia, 1997; D’Auria, 1998). Le leggi che intro- ducono tali istituti prevedono infatti meccanismi di esclusione dalla decisione delle amministrazioni che non partecipano al tavolo, o di rimando della decisione al livello più alto in caso di stallo dei lavori della conferenza. Di conseguenza «il fatto di mettere tutte le ammini- strazioni competenti intorno a un tavolo, non ha avuto solo lo scopo di

12 Il Programma innovativo in ambito urbano – Porti e Stazioni (D.M.II.TT. n.

2522/01) e il programma Sviluppo Integrato – Sistemi Territoriali - Multi Azione (Si- stema, D.M.II.TT. n. 988/03) implicano un ripensamento delle scale territoriali che - soprattutto nel caso di Sistema- è di tipo coercitivo, viene dall’alto e non sempre corri- sponde alle specificità territoriali locali (De Luca, 2006).

costringere i partecipanti ad esprimersi in tempi certi, ma anche quello di esercitare una forte pressione (quasi un ricatto) sulle amministra- zioni dissenzienti» (Bobbio, 2000:131). In questo senso, l’istituto della contrattazione non configura un modello decisionale di tipo pluralisti- co, adatto a decidere in situazioni complesse, ma si presenta piuttosto come strumento per arrivare ad una decisione a qualunque costo, che può giovare soprattutto al livello centrale in quanto dotato di maggiori risorse (Torchia, 1997).

Durante il primo lustro del nuovo secolo, i timori delle derive del modello decisionista sembrano lasciare il passo a una maggiore consa- pevolezza dell’importanza della contrattazione, intesa come strumen- to per la cooperazione tra enti e tra questi e il privato. L’esperienza ma- turata via via dalle pubbliche amministrazioni ha determinato processi di apprendimento da parte delle unità coinvolte, definendo modelli organizzativi e modalità di coordinamento maggiormente integrati- ve. La decisione presa «a più voci» risulta sicuramente più complessa di quelle prefigurate nell’ambito di procedure gerarchiche, e in alcuni casi può richiedere anche tempi più lunghi, ma il valore aggiunto della contrattazione sembra risiedere proprio nell’insorgere di forme di col- laborazione e, dunque, nel miglioramento della qualità della decisione (Bobbio, 2004).

Questo concetto sembra ormai consolidato sia nelle pratiche, sia nei testi legislativi regionali. Dal punto di vista delle pratiche, non c’è amministratore o tecnico che, al momento della presentazione dello strumento di pianificazione di propria competenza, non richiami l’av- venuta cooperazione tra enti, la partecipazione dei cittadini, la presa in considerazione di tutti i possibili interessi. Si tratta di una retorica ricorrente che, se da un lato dovrebbe essere verificata nella sua veridi- cità, dall’altro lato deriva inevitabilmente dalla necessità di adempiere alle modalità di interazione prefigurate dalle leggi regionali in merito alle procedure di redazione, adozione e approvazione degli strumenti di governo del territorio e delle loro modifiche. Infatti, tutte le leggi regionali di ultima generazione che hanno recepito le modifiche co- stituzionali, così come quelle che ne hanno anticipato i tratti fonda- mentali, prevedono forme più o meno strutturate di cooperazione e co-pianificazione, dalla possibilità di redazione di piani intercomunali alla introduzione di tutta la cassetta degli attrezzi della pianificazione negoziale (accordi, conferenze, ecc.) anche se con forme e procedure differenziate (cfr. cap. 5).

Una seconda importante riflessione matura, in questi anni, in me- rito al valore aggiunto delle forme di cooperazione nei termini di svi- luppo e di competitività territoriale. È infatti indubbio che, a parità di strumenti, i risultati della cooperazione tra territori variano in funzio- ne degli attori che se ne fanno carico, in particolare della diverse am- ministrazioni locali che insistono su un territorio, della loro capacità di riconoscersi come entità interdipendente e di portare avanti processi decisionali all’insegna della cooperazione e dell’interdipendenza.

urbanistica, pur all’interno di regole generali da osservare, costituisca uno degli elementi di forte differenziazione tra aree, tra territori, in rapporto alle possibilità di sviluppo, di modernizzazione e di ricon- versione urbana. In altre parole, in un sistema di forte federalismo am- ministrativo, alla capacità delle amministrazioni di utilizzare tutti gli strumenti messi a disposizione dall’ordinamento – concertazione con gli “altri” poteri pubblici, codeterminazione pubblico-privato degli assetti urbanistici, partecipazione popolare – potranno corrisponde- re una maggiore flessibilità e un più rapido adeguamento delle scelte strategiche alle esigenze del mercato e dell’occupazione, mentre, nel caso di inerzia politica e amministrativa dei poteri locali, i territori e le collettività da questi governati sono destinati a uno sviluppo recessivo, imponendosi, così, un rapido ricambio della classe politica di gover- no» (Urbani, 2000:149).

Le implicazioni della cooperazione sono dunque notevoli e coin- volgono questioni sia di sviluppo locale sia di rappresentanza politica: esse sono emerse con evidenza negli anni Novanta in relazione ai mec- canismi concorsuali di allocazione delle risorse maturati sia in ambito europeo, attraverso i programmi di interesse comunitario, sia in Italia, durante tutta la stagione della programmazione complessa.

Nel nuovo secolo, l’assimilazione della programmazione complessa nella cassetta degli attrezzi della pianificazione urbanistica di tutte le regioni indica la graduale perdita di innovatività di questi strumenti a favore di una progressiva acquisizione dei meccanismi e delle modali- tà di interazione che li caratterizzano (Lingua, 2005). Anche in merito alle modalità di redistribuzione dei fondi strutturali europei, il concet- to di cooperazione territoriale lascia lo status di programma speciale per diventare uno degli obiettivi della politica di coesione 2007-2013. Dopo le sperimentazioni dei periodi di programmazione precedenti, è ormai acquisita l’importanza della cooperazione tra territori e tra enti per lo sviluppo territoriale e il superamento delle disparità regionali (cfr. cap. 3).

Infine, la riflessione sui rapporti collaborativi non può prescindere dal considerare con sempre maggiore importanza i rapporti tra pubblico e privato. La crisi economico-finanziaria in cui versa la pubblica ammi- nistrazione, acuita nell’ultimo periodo, ha indotto le amministrazioni a un ampio ricorso alla contrattazione preventiva col privato, che è stata istituzionalizzata con modalità differenti in tutte le leggi urbanistiche regionali. Nel dibattito sono emerse due posizioni divergenti, espres- sioni di due modi molto differenti di considerare l’apporto del privato e le forme di espressione dei poteri della pubblica amministrazione: il modello classico della concertazione preventiva e quello del liberalismo.

Da un lato, infatti, viene ribadita la possibilità di una concertazione preventiva tra pubblico e privato, sollecitata dalla pubblica ammini- strazione anche attraverso bandi e avvisi, per la definizione degli as- setti territoriali e urbani, che perviene a un accordo per definire le con- dizioni di fattibilità dell’intervento e le dovute garanzie di esecuzione delle opere di utilità pubblica.

Dall’altro lato, la legge della regione Lombardia (Lr. 11 marzo 2005, n. 12), prevede la possibilità di definire a priori solo le strategie di mas- sima, per rimandare poi alla concertazione col privato la definizione di quantità e destinazioni e delle opere di interesse pubblico da rea- lizzare, in funzione delle esigenze di mercato e nell’ambito del piano dei servizi. A partire da questa legge e dall’esperienza del Documento Direttore di Milano, si apre un ampio dibattito sulla necessità di aprire il sistema di pianificazione a forme di auto-organizzazione all’insegna del liberalismo attivo (Moroni, 2007), attraverso una rigida definizione delle competenze dell’ente pubblico e la liberalizzazione degli usi dei suoli, che diventa oggetto di contrattazione con la pubblica ammini- strazione. Tuttavia, dal punto di vista amministrativo, tale tendenza richiede capacità e competenze nuove, se non un diverso modo di fare urbanistica, cui le pubbliche amministrazioni non sono ancora avvez- ze; in particolare, richiede ai tecnici e agli amministratori la capacità di comprendere e valutare l’effettiva convenienza pubblica nelle analisi costi/benefici presentate dai privati.

A scapito delle diverse posizioni in merito (De Luca, 2008a), resta certo il cambiamento del ruolo della pubblica amministrazione, che non si basa più sul presupposto dell’autorità per far valere un generico interesse comune, ma assume un valore di stimolo, di sollecitazione, di regia o di coordinamento delle pratiche di cooperazione sia tra diversi livelli amministrativi, sia con il privato e con i cittadini: una ammini- strazione che funge da catalizzatrice di processi inclusivi di formazio- ne delle scelte (Osborne e Gaebler, 1992, cit. in Bobbio, 2004).

Tale ruolo è ribadito dalla maggior parte delle leggi regionali di governo del territorio, che configurano processi cooperativi sulla base di conferenze e accordi tra amministrazioni e con i diversi soggetti, attribuendo dunque all’amministrazione una attività di ricerca e di sollecitazione dei diversi stakeholders alla partecipazione ai processi decisionali e, in particolare, a quelli relativi al governo del territorio.

Gli esiti dell’interazione: natura

Nel documento Pianificazione regionale cooperativa (pagine 109-114)

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