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Natura e forma del piano regionale di fine Novecento I principi di sussidiarietà e copianificazione diffusi ormai a tutti

Nel documento Pianificazione regionale cooperativa (pagine 127-132)

Gli esiti dell’interazione: natura e forma del Piano Regionale

VERIFICA RISPETTO AL PIANO REGIONALE

4.3 Natura e forma del piano regionale di fine Novecento I principi di sussidiarietà e copianificazione diffusi ormai a tutti

livelli istituzionali, insieme alla considerazione sempre più estesa di forme di governance multilivello, configurano un approccio alla pia- nificazione attraverso forme di interazione sempre più negoziali e concertative, finalizzate a costruire un piano regionale di natura ten- denzialmente strategica. Questo passaggio non è immediato, ma pas- sa attraverso una profonda revisione disciplinare, che si svolge negli ultimi due decenni: se gli strumenti realizzati a fine anni Novanta evi- denziano una netta contrapposizione tra le differenti nature del piano regionale (conformativa, strutturale, strategica), nel nuovo millennio, anche alla luce di importanti modifiche del quadro normativo naziona- le (cfr. par. 4.5), si tende verso una ricomposizione di tali nature in una forma-piano mista e flessibile.

Nella esperienze di pianificazione regionale che giungono a com- pimento a cavallo tra la fine degli anni Novanta e il nuovo millennio, sono individuabili tre principali linee di tendenza:

– la prima, espressa principalmente dai Piani territoriali regionali della Valle d’Aosta e dell’Umbria, propone uno strumento ancora fortemente ancorato al modello prefigurato dalla legge 1150/42: un piano unitario di coordinamento e indirizzo, che dia una visione di insieme delle questioni di governo del territorio, attraverso una suddivisione del territorio per ambiti e una esplicitazione delle li-

nee programmatiche della regione, in stretta connessione con il pro-

gramma regionale di sviluppo;

– la seconda tendenza si pone in antitesi rispetto al piano confor- mativo legato alla pianificazione di sistema prefigurata dalla Lun, attraverso esperienze che vanno sempre più verso una concezione

strategica della pianificazione regionale, esplicitata attraverso la

costruzione di vision condivise e la concertazione degli scenari di prospettiva (come nel caso del PIT della regione Marche o nel PTR del Piemonte);

– una terza tendenza prende atto della necessità impellente di un approccio alla pianificazione regionale di tipo negoziale, ma effet- tua una mediazione tra i due approcci precedenti. Essa attribuisce infatti al piano regionale una natura strutturale, volta a sottrarre alla contrattazione negoziale una serie di elementi, considerati pri- oritari per il governo del territorio, del paesaggio e dell’ambiente (e quindi non negoziabili) per i quali è necessario individuare in modo congiunto le prestazioni e i criteri per garantire qualità delle

Tab. 5 - Pratiche di cooperazione inter

comunali e ruolo degli enti sovra locali

Regione

Denominazione pianificazione intercomunale

Stimolo alla pianificazione intercomunale da parte della Regione Stimolo alla pianificazione intercomunale da parte della Provincia

Dotata di strumento

Generica (pianificazione intercomuna

-

le/ in forma associata)

Enunciazione

Individuazione ambiti nel PTR Obbligo in alcuni casi

Concessio

-

ne /priorità contributi finanziari

Enunciazione

Individuazione ambiti nel PTCP Definizione criteri

Obbligo

Abruzzo

Piani Territoriali di ambiti sub-provinciali

x

Basilicata

x

x

Calabria

Piano Strutturale in forma Associata (P.S.A.)

Campania x x x x Emilia-Ro- magna Piano Strutturale intercomunale (PSC intercomunale)

x

x

x

FVG

Pianificazione sovra comunale

x

x

Lazio

Piano urbanistico comunale in forma associata (PUCG in forma associata)

x x Liguria Lombardia x x Marche x x Molise Piemonte Piano Territoriale Metropolitano (PTM) Piani Regolatori intercomunali di Comuni consorziati e di Comunità Montane

x

x

Prov. Bolzano

Piani urbanistici intercomunali

x

x

Prov. Trento

Piano territoriale della comunità (PTC)

Puglia

Piano urbanistico generale intercomu

-

nale (PUG intercomunale)

x

x

Sardegna

Piano Urbanistico della Comunità Montana Piano Urbanistico intercomunale

Sicilia x x x Toscana x Umbria x x VdA Veneto

Piano di assetto del territorio interco

-

munale (PATI)

risorse e resilienza del sistema di riferimento. Mesollela (2006a) attribuisce a questa tendenza le esperienze della Toscana, cui può essere assimilato il redigendo piano della Liguria.

Queste tre tendenze danno adito a differenti forme-piano e a di- verse modalità di interazione, che presentano ciascuna opportunità e limiti intrinseci6.

Il Piano Urbanistico Territoriale (PUT) dell’Umbria7 presenta una

natura di tipo analitico-normativo, che si esplicita nella zonizzazione e classificazione degli ambiti urbani, dello spazio rurale e dell’ambiente, nonché attraverso il rilievo dei caratteri storici: questi elementi assu- mono rilevanza ai fini della regolamentazione degli usi dei suoli, che può avvenire in modo diretto o mediato dalla pianificazione sottor- dinata (Sartore 2003, Camicia 2003). Nel piano è ancora evidente la tendenza ad assicurare efficacia ai contenuti prescrittivi, soprattutto in merito alle questioni ambientali, attraverso l’introduzione di due ele- menti: la “territorializzazione” della politica ambientale, attraverso la perimetrazione di aree e zone sottoposte a differenti regimi di tutela; il controllo e la vigilanza sulla pianificazione locale, da affidare al Siste- ma informativo territoriale regionale (SITER). Il PUT assume quindi una doppia valenza, di strumento informativo per la conoscenza dei limiti e delle potenzialità regionali e di atto prescrittivo per i temi pro- priamente ambientali.

Il piano territoriale paesistico della Valle d’Aosta8 presenta caratte-

ristiche simili: per costruire una visione d’insieme dei problemi della salvaguardia paesistica e ambientale, strettamente collegati all’assetto del territorio, agli sviluppi urbanistici, alla tutela e valorizzazione del patrimonio naturale, culturale e artistico, suddivide il territorio regio- nale in sistemi ambientali e unità locali, cui vengono attribuite appo- site schede normative contenenti una rigida distinzione tra indirizzi, prescrizioni mediate e prescrizioni operative9. Le linee programmatiche della regione sono definite in base al programma di sviluppo regionale

e contengono una serie di indicazioni volte a orientare le attività di programmazione e le decisioni di spesa del governo regionale, delle Comunità montane e dei Comuni.

6 Per un approfondimento delle esperienze citate, si rimanda a Fabbro (2003), Me-

solella (2006a), De Luca e Lingua (2008).

7 Approvato con Lr. n. 27 del 24 marzo 2000. 8 Approvato con Lr. n. 11 del 6 aprile 1998. 9 L’apparato normativo prevede infatti:

- indirizzi non vincolanti da interpretare e recepire nella pianificazione comunale e di settore, nonché nei programmi e progetti di iniziativa pubblica;

- prescrizioni “mediate” da applicare nella formazione dei piani comunali e di settore ai quali spetta di tradurle in norme operanti anche nei confronti dei privati (in realtà ridotte a pochissimi casi);

- prescrizioni immediatamente operanti, anche nei confronti dei privati, prevalenti sulle prescrizioni locali o settoriali eventualmente difformi, a tutela di specifici e indiscutibili interessi naturalistici, paesaggistici e storico-culturali.

Si tratta di una visione al futuro ben diversa da quella prospettata nel Piano di inquadramento territoriale (PIT) della Regione Marche10,

dove il focus non è tanto sulla univoca ricomposizione degli interessi, quanto piuttosto sulla costruzione di consenso intorno a specifici pro- getti e programmi di territorio, ricomposti in una visione strategica (Properzi, 2003).

Il piano regionale, infatti, rinuncia ad applicarsi all’ordinamento normativo dell’uso dei suoli o alla regolazione degli assetti complessi- vi dello spazio regionale, e si impegna invece a promuovere un insie- me di strategie intersettoriali localizzate e di progetti territoriali fon- dati su una visione d’insieme dello spazio regionale e del suo futuro. Ne emerge uno strumento che non ambisce ad essere comprensivo e totalizzante, ma che invece seleziona in forma aperta temi ed azioni veramente rilevanti per le loro implicazioni sugli assetti fisici e fun- zionali della regione, proiettandoli su un’immagine di sfondo priva di cogenza normativa e tuttavia efficace nell’orientare i comportamenti di tutti i soggetti di governo del territorio. In questo senso, il PIT si inter- faccia con il PRS e diventa non soltanto il quadro delle condizioni per la tutela e valorizzazione dell’ambiente naturale e storico, ma anche il telaio di coerenza dei progetti e programmi di sviluppo di valenza regionale, rinviando contestualmente ad intese di programma tra re- gione, province, comuni e soggetti titolari di competenze per la realiz- zazione delle opere. In definitiva, un piano costruito selettivamente su una visione d’insieme, che enuclea i temi realmente trattabili da parte della Regione per i quali propone soluzioni immediatamente operabili, mentre per i temi che non appaiono ancora trattabili individua modi e procedure per riportarli all’interno della pianificazione. In questo senso, il piano assume operatività diretta e potenzialità negoziale sui “cantieri progettuali”, intesi come ambiti prioritari di concertazione tra Regione, Province ed Enti locali. Per tali ambiti il PIT enuncia gli obiettivi di fondo ed i criteri di riferimento da assumere attraverso il metodo della copianificazione (Talia 2003, Pavone 2003).

Anche il Piano territoriale regionale del Piemonte assume come tema principale quello della copianificazione. Approvato con DCR n. 388-9126 del 19 giugno 1997, il PTR si enuncia come un piano strategico e di coordinamento degli interventi sul territorio, attraverso la defini- zione di un quadro di riferimento per tutte le politiche che interferisco- no con il territorio, soprattutto per i piani provinciali. In questo senso, esso è inteso come primo sforzo di sistematizzazione della conoscenza esistente nella materia e di definizione del quadro di riferimento per le principali politiche, di rilevanza regionale, aventi ricadute sull’as- setto del territorio, nonché come uno strumento con connotazioni non gerarchiche, momento di dialogo tra i diversi enti competenti per per- venire alla attivazione di un sistema delle Autonomie Locali che, in forma cooperativa, sia in grado di svolgere un’effettiva azione di tutela

e di uso del territorio. A questo scopo, il piano definisce gli indirizzi di governo per le trasformazioni dell’attuale sistema regionale.

Negli strumenti considerati indicativi della terza tendenza, emer- gono termini e apparati conoscitivi indicativi dell’importanza degli elementi strutturali del territorio, considerati prioritari e pertanto eludibili dalla negoziazione. Il PIT della regione Toscana11, riporta al

suo interno il concetto (non sempre chiaro ed evidente) di “invariante strutturale” derivato dalla legge 5/1995; le invarianti e le relative regole di tutela sono contenute in un apposito elaborato normativo, lo “Statu- to del Territorio”, che richiama gli statuti medioevali quali documenti depositari delle regole di convivenza della comunità locale (Poggiali e Chiarantini, 2003). Nelle prime fasi di elaborazione dello strumento, la visione strategica del piano sembra esprimersi principalmente nella procedura concertativa che accompagna il piano (attraverso una serie di conferenze interistituzionali); tuttavia, la forma del piano richiama un atto normativo e il carattere prescrittivo finale del piano sembrano contrastare con il percorso della formalizzazione della concertazione istituzionale e non tenere conto della cosiddetta «area della società ci- vile» (De Luca, 2003b). Questo problema verrà affrontato solo dopo la nuova legge regionale di governo del territorio (Lr. 1/2005) che porterà alla stesura definitiva di un documento che mantiene la natura strut- turale ma la coniuga con una agenda strategica organizzata in meta- obiettivi (cfr. par. successivo e cap. 6).

Il Quadro Descrittivo del Piano territoriale regionale (PTR) della Li- guria12 contiene «la lettura critica del territorio regionale [...] al fine di

coglierne l’identità ed il ruolo» (Lr. 36/1997, art. 9). Il quadro descritti- vo propone una riflessione sulle linee di tendenza riconoscibili all’in- terno della progettualità e delle azioni che la collettività ligure esprime. Su questa base, il Progetto di Piano illustra la struttura complessiva del Piano e indica gli Obiettivi generali e quelli per ciascun Ambito, apre una fase di consultazione con gli Enti Locali in vista della formazione dei progetti integrati d’ambito e presenta i contenuti e gli obiettivi delle linee guida e dei progetti di iniziativa regionale.

Tutte le tendenze prevedono forme di interazione notevoli: la prima, attraverso una chiara distinzione dell’apparato normativo in forme più o meno cogenti, presuppone di consentire ai soggetti pubblici e priva- ti di conoscere con chiarezza le proprie responsabilità e l’ambito della propria autonomia. La seconda implica di costruire una visione del ter- ritorio regionale che metta in coerenza diverse concezioni del territorio,

11 Il Piano di Indirizzo Territoriale 2005-2010 (PIT) della Toscana è stato approvato

con DCR. n. 72 del 24 luglio 2007. Il piano territoriale regionale (PTR) della Liguria è stato presentato alla giunta regionale per l’adozione con DCR. n. 33 del 6 agosto 2003, ma l’iter risulta tuttora incompiuto.

12 Il Piano Territoriale Regionale (PTR) della Liguria è stato presentato alla giunta

regionale per l’adozione con DCR. n. 33 del 6 agosto 2003, ma l’iter risulta tuttora in- compiuto.

ricomponendole in una visione strategica univoca, la terza richiede di individuare gli elementi territoriali da considerare come elementi di struttura dell’identità territoriale (siano essi risorse fisiche o immateria- li, capitale sociale e culturale) e, come tali, da sottoporre a regole e crite- ri prestazionali per consentirne la tutela e la riproducibilità nel tempo.

In tutti i casi, proprio l’interazione necessaria per arrivare alla forma- piano finale comporta delle criticità: l’articolazione normativa del PTP valdostano e del PUT umbro presuppongono che i soggetti coinvolti nella gestione del territorio siano collaborativi e disposti a interagire tra loro, in vista di obiettivi non strettamente localistici ma di interesse generale. Si presuppone altresì che la Regione e gli enti locali assumano un ruolo attivo e propositivo nel processo di trasformazione e sviluppo.

Nel caso della pianificazione strategica, i probabili limiti sono legati al fatto di considerare solo gli interessi che si presentano sul mercato politico hic et nunc, senza prendere in considerazione possibili interessi futuri. Pur discostandosi maggiormente dal piano di coordinamento territoriale tradizionale, di fatto, si rischia di considerare come inte- resse collettivo solo quello dei cosiddetti interessi “forti”, organizzati e strutturati.

Al contrario il piano regionale di natura prettamente strutturale, pur cercando di considerare anche gli interessi deboli, dà adito alla forma- zione di uno strumento formato da un «insieme di elementi caratteriz- zati da natura, dinamiche e gradi di incertezza diversi e incoerenti, che penalizzano a volte le aspirazioni progettuali, riducendosi a strumenti di definizione di invarianti strutturali» (Mesolella, 2006b:16).

Tuttavia, gli strumenti più recenti, appena approvati o di prossima adozione o approvazione, sembrano evidenziare un deciso movimen- to verso la conciliazione di queste tendenze nell’ambito dello stesso strumento di piano, che può preludere alla auspicata formazione di un sistema misto di pianificazione che contenga al suo interno sia elemen- ti strutturali che strategici (Fabbro, 2004).

4.4 Strategico + Strutturale + Operativo: il piano regionale

Nel documento Pianificazione regionale cooperativa (pagine 127-132)

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