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Governance e pianificazione regionale

Nel documento Pianificazione regionale cooperativa (pagine 46-51)

2.

2.1 Quale regione? Il territorio istituzionale e il suo governo Negli ultimi decenni, come abbiamo prima letto, le politiche dell’UE, oltre al naturale dialogo tra gli Stati membri, hanno perseguito sempre più un rapporto diretto con le Regioni: non essendo tuttavia possibile defraudare gli Stati delle loro potestà l’UE lascia libero il dialogo e la possibilità di organizzarsi sotto forma di accordi cooperativi, prima con programmi specifici, ora nell’ambito dell’obiettivo della coopera- zione territoriale.

Da più di due decenni, sia le politiche di sostegno europeo (che ob- bligano a definire strategie cooperative tra enti per accedere a canali finanziari comunitari), sia il continuo restringimento delle risorse pub- bliche locali (velocizzato dalla crisi finanziaria internazionale) tendono ad attivare forme cooperative volontaristiche che tendono ad identifi- care il “giusto ambito” territoriale di riferimento entro cui inscrivere politiche di sviluppo economico-sociale e di governo del territorio. La nuova stagione sembra nascere dalla presa di coscienza che la coope- razione tra territori può anche essere non istituzionale, e può non es- sere solo di gestione associata di servizi comuni; e che esiste una terza modalità di cooperazione più libera ed aperta, quella legabile alla co- operazione volontaria per definire atti di pianificazione e di program- mazione. Cioè una cooperazione di scopo.

Interrogarsi sul principio di intervento dei fondi UE significa inter- rogarsi sul livello più adeguato e più capace per “accomodare” inte- ressi territoriali diversi con gli attori portatori di interessi diversificati e, sovente, anche divergenti. Nella immagine più recente questo livello è stato da alcuni indicato in quello regionale, essendo questo «il luo- go istituzionale abbastanza vicino al territorio per riuscire a coglierne le suggestioni e le proposte, e abbastanza lontano per non appiattirsi su ogni singola, specifica increspatura della domanda di territorio e quindi capace di concorrere allo sviluppo locale, ma con un’opportuna mediazione» (Barca, 2006:104).

Il dibattito è, tuttavia, ancora aperto e le pratiche, cui fare riferi- mento per discernere alcune utili indicazioni sulle quali misurare una possibile proposta operativa, non numerose; mentre diffusa è la con- vinzione che nell’assetto giuridico e normativo italiano, almeno fino alle recenti modifiche costituzionali del 2001, la Regione e lo stesso spazio regionale erano considerati come soggetti politici deboli, sia nei

confronti del governo centrale, sia nei confronti di quelli locali. Oggi le regioni rappresentano uno spazio che ha il respiro e l’autorevolezza di legiferare autonomamente, seppur in cornici normative europee e nazionali, e di interconnettere le politiche spaziali con le politiche della programmazione dello sviluppo.

Nella forma organizzativa italiana, lo spazio regionale tende a coin- cidere con quello delle Regioni istituzionali, per una serie di motivi storici e contingenti, che nell’economia di questo contributo non è il caso di trattare, ma (forse sarebbe il caso di dire due parole di sintesi) che certamente pongono dei problemi vista l’attuale articolazione ter- ritoriale del sistema regionale italiano (Ruffolo, 2009). Tuttavia, il ruolo di questo ente intermedio è stato rivalutato sia in ambito europeo, sia nel dibattito e nelle più recenti esperienze: ad oggi si può affermare che lo spazio regionale sia quello meglio attrezzato e meglio posizionato a sostenere forme esplicite di cooperazione territoriale nella complessa articolazione del sistema istituzionale italiano e della scala dei proble- mi del territorio contemporaneo.

L’affermazione poggia su tre assunti:

i.   la regionalizzazione delle politiche europee, specialmente nel- la stagione della programmazione dei Fondi strutturali 2000-06 e con più evidenza in quelli del periodo 2007-2013, che vede le Regioni istituzionali assolvere un ruolo di “attivatori di proces- si” di territorializzazione delle politiche con forme esplicite di indirizzo e coordinamento sia per gli attori istituzionali che per i portatori di interessi non istituzionali;

ii.  la modifica dell’assetto istituzionale italiano nel 2001, che ha consolidato un processo di neoregionalismo ridefinendo il ruolo delle Regioni istituzionali, affidando loro competenze legislative concorrenti in molte materie tra cui – per quanto qui interessa – quella del governo del territorio, ma al contempo disegnando un diverso assetto nelle relazioni intergovernative tra governo centrale e governi locali fondato sulla filiera della “leale collabo- razione”;

iii. l’“europeizzazione” della programmazione economica e conse- guentemente della parte strategica della pianificazione territo- riale e, o meglio l’assoluta necessità, per chiunque tracci politi- che spaziali di medio periodo (che non siano “semplicemente” politiche regolative), di dover far conto o di dover intercettare gli input e i canali finanziari originati nell’UE e veicolati non solo attraverso i Fondi strutturali, ma in diverse politiche, strategie e direttive comunitarie.

Quest’ultimo punto è un passo cruciale, non tanto perché nessuna politica spaziale circoscritta ad un ambito territoriale può attualmen- te fare a meno dell’influenza delle politiche europee, quanto perché intercettare politiche e relativi flussi finanziari provenienti dall’UE in- nesta, nei modelli di costruzione delle politiche locali, una propensio- ne d’azione orientata al progetto. Si allenta, quindi, la classica impo-

stazione regolativa della pianificazione di sistema, fatta per livelli di competenza e attuata tramite forme di conformità a cascata in territori istituzionali dati, in favore di una pianificazione sistemica dove diversi attori sono obbligati a collaborare, elaborando veri e propri progetti di spazio in territori i cui confini sono “a geometria variabile”, cioè legati a problemi da risolvere o a potenzialità locali da attivare, anche in forma competitiva, in più ampie reti globali di competizione e, in maniera quantomeno concertata, predisporre dei crono-programmi d’azione che recuperano la cognizione del tempo, in genere assente nella classica pianificazione di sistema.

Qui sorge il nodo più significativo nell’attuale stagione della pia- nificazione. Chi meglio può sostenere un impianto d’azione fatto di concorrenzialità e di “adattamento” veloce agli input della program- mazione economico-finanziaria che trova le sue origini nell’UE? O me- glio chi può sostenere l’europeizzazione delle politiche spaziali in un approccio di coesione territoriale?

A nostro avviso lo può fare solo il livello spaziale regionale, pur- ché “deistituzionalizzi” il tradizionale strumento regionale della pia- nificazione di sistema, favorendone la sua evoluzione in strumento di regia aperto all’incrocio sia delle istanze che provengono dal territorio, sia agli input europei. In Italia solo questo livello istituzionale, dopo le modifiche costituzionali del 2001, ha la forza (ma probabilmente non ancora l’autorevolezza) di attivare e sviluppare ogni possibile pratica di coordinamento intergovernativo e multilaterale sia verticale tra i li- velli istituzionali, da quello europeo a quello locale, cui compete (per il principio della sussidiarietà) la formulazione e la messa in opera delle decisioni attraverso gli strumenti della pianificazione urbanistica; sia orizzontale infra-territoriale e infra-attoriale. Solo così, infatti, è possi- bile generare una nuova governance territoriale, da più parti reclamata.

Questa evoluzione è oramai necessaria, si pensi solo a due temi cen- trali per lo spazio regionale contemporaneo: la questione paesaggistica inerente la Convenzione Europea del Paesaggio, cui sono coinvolti diret- tamente le comunità locali e quelle istituzionali, a qualsivoglia livello esse appartengano; e il tema delle grandi infrastrutture, le cosiddette

Trans European Network, che vedono anch’esse l’interconnessione de-

gli interessi locali diffusi con quelli globali e di assetto del territorio europeo. Entrambi richiedono una visione strategica spaziale intorno alla quale dovrebbe essere costruito, in forme negoziali e pattizie e con modalità aperte di partecipazione per tutti gli interessi (anche quelli diffusi), un comune progetto di spazio territoriale o meglio un comune progetto di territorio (De Luca e Clementi, 2008).

Rispetto al ruolo delle regioni come snodo nell’ambito della appli- cazione dei principi della governance cooperativa, risulta di un certo interesse verificare la trasposizione dei principi di governance territo- riale e di sussidiarietà in alcuni stati europei che manifestano culture e modelli diversi di cooperazione. Si tratta di evidenziare le modifiche e gli aggiustamenti che intercorsi negli ultimi anni sia a livello ammini- strativo che nell’ambito dei sistemi di pianificazione, con uno specifico

riferimento al ruolo assunto dalle regioni e dai rispettivi strumenti di pianificazione e programmazione.

Nei paragrafi successivi saranno dunque presi in considerazione gli ordinamenti e i sistemi di pianificazione di alcuni stati europei, con uno sguardo ai diversi modelli cooperativi che li improntano, per ve- rificare le modalità di cooperazione attive e le prospettive di coopera- zione sia nell’ambito del proprio contesto nazionale, sia nel più ampio panorma della cooperazione territoriale europea.

2.2 Il sistema della cooperazione interistituzionale francese e il ruolo delle regioni

Le forme di interazione nel sistema istituzionale

L’organizzazione istituzionale francese, strutturata in forme di as- sociazione a geometria variabile, determina pratiche di aménagement

du territoriore che si intersecano e si sovrappongono a quelle della pia-

nificazione istituzionale di stampo comunale e regionale. Alla luce delle difficoltà emerse in vent’anni di pianificazione sovracomunale e regionale, risultano di un certo interesse le riforme prefigurate dalla commissione Balladour (2009) e le proposte di legge derivate, che in- tendono razionalizzare il sistema dell’intercomunalità e potenziare il ruolo dell’ente regionale.

In un sistema fortemente centralizzato come quello francese, lo Sta- to si è fatto propulsore di pratiche cooperative fin dalla seconda metà del secolo scorso, mosso dalla difficoltà di avere un gran numero di comuni. Tuttavia, con l’avanzare del tempo e delle esperienze, sono maturate forme di intercomunalità di diversa natura, che hanno por- tato alla formazione di regioni funzionali rispondenti non solo alle esi- genze di gestione associata dei servizi, ma soprattutto alla necessità di affrontare in modo integrato e ad una scala pertinente le questioni legate al governo del territorio e allo sviluppo locale

Le forme istituzionali della cooperazione, definite come Enti pub- blici di cooperazione intercomunale volontaria (EPCI), sono distinte a seconda delle modalità del loro finanziamento in EPCI senza fiscalità propria e a fiscalità propria1. A queste forme di cooperazione “di ge-

stione”, legate per lo più ai servizi e che vantano una storia di più di un secolo, si affiancano gli EPCI a fiscalità propria, che recepiscono parte degli introiti fiscali dei comuni membri (Communautés de Commu-

1 Tale divisione comporta anche una differenziazione delle competenze. Gli EPCI

senza fiscalità propria comprendono i Syndicats de Communes a vocazione unica o mul- tipla (SIVU, SIVOM), raggruppamenti di comuni anche non limitrofi finalizzati a gesti- re in forma associata un servizio d’interesse comunale (energia, acque, rifiuti, attività scolastiche ed extra-scolastiche) e i Syndicat Mixtes, che prevedono forme di concer- tazione con enti di carattere sovralocale (Départment, Regione) simili all’Accordo di Programma italiano.

nes, Communautés d’Agglomération, Communautés Urbaines). Tali forme

di intercomunalità a fiscalità propria si diffondo alla fine degli anni Novanta, promosse sia attraverso leggi relative all’ordinamento degli enti locali, sia attraverso provvedimenti relativi agli strumenti di go- verno del territorio, che mettono profondamente in discussione l’orga- nizzazione dei poteri territoriali e il ruolo stesso dello stato. Attraverso diversi dispositivi legislativi, lo stato si propone infatti di (Cour des Comptes, 2005):

– sviluppare quadri di cooperazione che sopperiscano alla eccessiva frammentazione in piccoli comuni, soprattutto nelle aree urbane, attraverso la definizione dell’interesse comunitario e delle reci- proche competenze2;

– sviluppare progetti di territorio attraverso orientato allo svilup- po sostenibile e destinati a potenziare le qualità del territorio e a rafforzare le reciproche interdipendenze tra città e aree rurali, attraverso gli strumenti dei Pays e delle Agglomeration3;

– disporre di strumenti di pianificazione territoriale maggiormente complessi, gli Schémas de Cohérence Territoriale (SCOT), legati alla formazione di quadri di coerenza e di visioni condivise che esuli- no dai confini comunali4.

La realizzazione di questi obiettivi, e dunque il successo dell’inter- comunalità, è dovuto fondamentalmente alle forme di incentivazione propugnate a livello centrale, in particolare agli incentivi finanziari e legati alle competenze.

La principale misura finanziaria fa capo alla legge 22 luglio 1999, che prevede per le associazioni intercomunali il raddoppio della do-

tation globale de fonctionnement (DGF), contributo per abitante versato

sulla base del coefficiente d’integrazione fiscale (coefficient d’intégration

fiscale - CIF)5. attraverso questi strumenti lo Stato promuove la creazio-

ne e il potenziamento delle strutture intercomunali con trasferimenti specifici loro rivolti (Dotazione di Intercomunalità), più elevati più au- menta il livello di integrazione fiscale e di competenze attribuite. Que- sta “carota” fiscale è stata talvolta indicata come ragione principale del successo dell’intercomunalità in Francia (Ricci, 2007; Negrier, 2005).

Inoltre, la legge Chevènement introduce la possibilità per l’associa- zione intercomunale di optare per il regime fiscale della Taxe Profes-

2 Legge 22 luglio 1999 relativa al renforcement de la coopération intercommunale, com-

pletata dalle leggi del 22 febbraio 2002 del 12 luglio 2004 relative rispettivamente a la démocratie de proximité e aux libertés et responsabilités locales.

3 Loi d’orientation pour l’aménagement et le développement durable du territoire

- LOADDT del 25 giugno 1999.

4 Loi relative à la solidarité et au renouvellement urbain - SRU del 13 dicembre

2000, e successiva legge urbanisme et habitat del 2 luglio 2003.

5 La DGF è calcolata in funzione del rapporto tra il CIF della agglomerazione e il

CIF medio delle agglomerazioni francesi. Di conseguenza, più una comunità è integra- ta rispetto alle altre, più la sua dotazione aumenta.

Nel documento Pianificazione regionale cooperativa (pagine 46-51)

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