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Critica del sistema comunitario confessionale in quanto sistema dell’egemonia borghese

1.3 La ṭā’ifiyya secondo l’analisi del materialismo storico

1.3.2 Critica del sistema comunitario confessionale in quanto sistema dell’egemonia borghese

L’analisi del confessionalismo in Amil è strettamente legata all’analisi del sistema capitalistico vigente in Libano e di ciò che lui considera l’egemonia borghese in questo sistema. Il suo obiettivo è di dare una visione del fenomeno confessionale attinta dal pensiero materialista e confutare quindi punto per punto quelle concezioni che ritiene proprie alla forma di pensiero borghese dominante.

47 La speranza di ‘Amil nei suoi ultimi anni di vita che sono poi gli anni dell’inasprimento del conflitto

libanese era quella di poter un giorno affermare che ciò che la guerra stava distruggendo fosse il sistema confessionale borghese – allo smascheramento del quale aveva dedicato gran parte della sua opera teorica – e non la stessa entità statale libanese. Gli avvenimenti storici non gli avrebbero purtroppo dato ragione.

Per fare ciò Amil dialoga con alcuni intellettuali libanesi che intervengono sul tema del comunitarismo confessionale, facendo apparire di volta in volta come nel loro pensiero siano radicate concezioni legate all’ideologia borghese dominante, concezioni che risultano funzionali alla perpetuazione/riproduzione del sistema.

Prima fra tutte, quella della eccezionalità/singolarità del sistema libanese il quale sarebbe, secondo questa ideologia dominante, l’unico sistema possibile in una società pluralista come quella libanese.

Amil mette in discussione l’idea dell’unicità del Libano indagando anche in quale modo venga utilizzato il concetto di società pluralista. Entrambe queste concezioni vengono fatte risalire a colui che è considerato il primo teorico del sistema confessionale in Libano, Michel Chiha, per il quale il Libano è “il paese delle minoranze confessionali associate”48.

Esprime chiaramente questo concetto l’intellettuale libanese Nassar (Naṣār): “tutti gli scritti di Chiha sull’esperienza storica del Libano sono articolati sull’identificazione di quest’ultimo in quanto ‘paese delle comunità confessionali associate’. […] Tutti coloro che lo hanno seguito sul tema dell’ideologia della coesistenza confessionale, o che sono stati suoi esegeti, non hanno fatto che ripetere le sue tesi essenziali: sia insistendo sulla virtù della tolleranza che impone la coesistenza socio-politica, sia trasformando l’associazione delle minoranze confessionali in una unione immaginaria di tipo specifico” (Nassar cit. in ‘Amil, 1996: 68).

Antoine Messarra (Anṭūān Messarra) nella rivista al-Wāqa‘ intitola il suo articolo: Il sistema politico libanese è un sistema unico nel suo genere?49.

Per Amil vi è una referenza esplicita al pensiero di Chiha, dal quale tutti gli ideologi della borghesia libanese avrebbero quindi preso in prestito la tesi di un Libano unico nella singolarità della sua struttura confessionale (‘Āmil, 2003: 65).

Messarra comincia il suo testo definendo il Libano una società pluralista nella quale lo Stato assume il ruolo istituzionale di arbitro e di fattore di equilibrio (Messarra cit. in ‘Amil, 1996: 70). Amil quindi si domanda perché il pluralismo religioso sarebbe pluralismo confessionale solamente nel caso del Libano (nel senso politico e sociale e, in breve, confessionale, legato cioè allo Stato) e non lo sarebbe

48 Espressione di Chiha citata da Amil (‘Amil, 1996: 68 e successive). 49 Titolo originale: al-Niẓām al-Lubnānī niẓām farīd min naw‘hi?

invece in Francia o in America. La risposta è che in Libano il pluralismo esiste, come pluralismo confessionale, esclusivamente attraverso lo Stato. Preso in sé stesso, fuori da quest’ultimo, esso torna ad essere un pluralismo religioso semplice, come avviene in qualsiasi altra società ” (‘Amil, 1996: 84).

In Messarra, che postula il pluralismo della società libanese, la relazione tra individuo e Stato non può essere diretta, come sarebbe in quelle che lui definisce società omogenee50, ma deve necessariamente essere mediata dalla comunità, la

quale gioca appunto il ruolo di intermediario.

Il risultato a cui arriva questo pensiero è che nelle società pluricomunitarie l’individuo non esiste come cittadino e l’entità sociale primaria è la comunità. Lo Stato non riconosce l’esistenza dell’individuo se non attraverso la sua appartenenza comunitaria (Messarra cit. in ‘Āmil, 2003: 75-76).

Ciò che viene messo in discussione in questo dialogo è la nozione dell’eccezionalità del Libano in quanto società pluralista e la nozione stessa di società pluralista con la sua applicazione alla società libanese. Per Amil è necessario invertire i termini del pensiero borghese-confessionale: non è una presunta società pluralista a dar vita ad uno Stato confessionale, ma è proprio lo Stato confessionale a creare il pluralismo confessionale, istituzionalizzandolo.

In riferimento a questo stesso argomento, Amil cita e critica il pensiero di Nassif Nassar (Nāṣīf Naṣār) che nel testo Il Libano: tra esplosione e integrazione51

afferma: “il Libano vive una esperienza che lo distingue dai suoi vicini, quella della coesistenza, per la quale si pone fin dalla sua indipendenza la questione più antica del Vicino Oriente, quella della diversità e dell’unità” (Nassar cit. in Amil, 1996: 113).

Anche in questo autore traspare la concezione di un Libano come paese della convivenza tra minoranze e la concezione della sua singolarità rispetto agli altri paesi, anche quelli vicino orientali nei quali pure esisterebbe la questione della pluralità ma verrebbe trattata in maniera diversa52.

Infine sempre a questo proposito Amil cita lo scritto di Elia Harik: “Il pluralismo: fenomeno storico di alta ascendenza”, nel quale l’autore postula il

50 Da sottolineare che Messarra fornisce come esempio di società omogenee “le grandi democrazie

occidentali”.

51 Titolo originale: Lubnān bayn al-infijār wa al-inṣihār.

52 Secondo Amil, Nassar sostiene che nei restanti paesi arabi questa pluralità viene soffocata

pluralismo come qualcosa di essenziale all’entità libanese, concezione che secondo Amil estrae il Libano dalla sfera storica – quella del cambiamento e della mutazione – per introdurlo in quella dell’essenza e della ripetizione (‘Amil, 1996: 176-178).

È questo un punto che riteniamo uno dei contributi più importanti del pensiero di Amil, ossia la critica della concezione delle comunità e del sistema comunitario come qualcosa di a-storico e di essenziale nella struttura della società libanese. È una critica del concetto di comunità intese come entità primarie, come entità sociali autonome, immutabili, le cui radici si allungano lontano nel tempo al punto da essere considerate nel presente come qualcosa di inalterabile e sempre uguale a se stesse. Da questa idea la stessa società libanese risulta inalterabile nonché plurale a causa della pluralità delle sue comunità (‘Amil, 1996: 69).

Nelle parole di Amil : “l’alfa del sistema di Chiha è la definizione del Libano. Il Libano è un assoluto definitivo, situato al di fuori della sfera storica, nella sfera dell’Essenza, nel ripetitivo e al di fuori del cambiamento. Esso è per essenza ‘il paese delle minoranze confessionali associate’. Il destino del Libano è dunque di ripetersi tale e quale, paese di coesistenza tra confessioni il cui sistema si perpetuerà fintantoché il paese esisterà. Questo sistema è una entità, ecco ciò che fa la sua specificità tra tutti i paesi del mondo” (‘Amil, 1996: 121).

Da questa accezione della comunità confessionale come entità indipendente sui generis, coerente per le sue proprie solidarietà interne, deriva la concezione dello Stato come garante dei rapporti tra le comunità.

Messarra sostiene che: “in Libano i diritti delle minoranze in quanto gruppi, si trovano rispettati e garantiti grazie al ruolo istituzionale, arbitrale e equilibrato che gioca lo Stato. In una società plurale, dobbiamo riconoscere l’esistenza di gruppi secondari intermediari tra lo Stato e i cittadini. Nel caso contrario non potremmo parlare di pluralismo” (Messarra cit. in ‘Amil, 1996: 67).

Questa concezione è basata su una visione esterna dei rapporti tra le comunità, la cui sola unità sarebbe quella instaurata dallo Stato, concepito come il quadro della loro coesistenza pacifica.

In quella che per Amil è l’accezione borghese, il confessionalismo è il sistema di potere delle comunità confessionali. Sempre secondo l’accezione borghese, questo sistema di potere è un partenariato – assicurato dallo Stato – dagli

equilibri delicati, grazie ai quali il sistema si perpetua. Qualsiasi squilibrio porta alla disgregazione, o per lo meno alla minaccia di disgregazione, dello Stato e implica il blocco della sua funzione regolatrice degli interessi delle comunità confessionali e conseguentemente della perpetuazione del potere. La società entra allora in crisi, e questa crisi viene definita dalla borghesia come una crisi di coesistenza comunitaria.

Amil ci porta a vedere la contraddizione insita in questo pensiero. Il ruolo arbitrale e di equilibratura attribuito allo Stato piazza quest’ultimo in una posizione di neutralità in relazione alle comunità, alle quali sarebbe esteriore. Lo Stato sta al di sopra delle comunità, dedito a tutte, senza partito preso. Esso le concilia quando entrano in concorrenza, impedisce loro di trasformarsi in avversari, assicurando loro la perennità che è la sua stessa perennità. Ma Amil si chiede come può lo Stato realizzare l’equilibrio tra le comunità quando è esso stesso un campo di competizione tra di loro. Per giocare il suo ruolo arbitrale, lo Stato deve necessariamente staccarsi dal suo carattere confessionale, ma così facendo è la sua funzione di equilibratura che viene rimessa in causa.

Al contrario, se il carattere confessionale che è suo proprio si trova confermato, l’equilibrio in questione tra le comunità diventa di una natura meno illusoria: si tratta di un “equilibrio egemonico” (‘Amil, 1996: 73-74).

Nella contraddizione tra lo Stato nella sua funzione rappresentativa e dipendente dalle comunità e lo Stato nella sua funzione di esercizio del potere, Amil individua il meccanismo che permette il funzionamento del sistema borghese confessionale, il quale è velato dall’apparato ideologico della borghese dominate. Non è un partenariato il meccanismo che regge il sistema confessionale, bensì una relazione egemonica.

Lo stesso Chiha d’altronde è citato da Amil a conferma della sua teoria, a conferma del carattere egemonico dell’equilibrio confessionale. Le osservazioni di Chiha sul potere esecutivo e sul posto occupato dal presidente della Repubblica arrivano a definire il sistema politico libanese una dittatura camuffata nella quale il potere reale è detenuto dai Maroniti e dai Sunniti mentre per le altre comunità è impossibile accedere alle medesime funzioni e ricchezza.

“La realtà del potere in Libano si trova tra Maroniti e Sunniti […]. Il Libano è un paese di minoranze associate ma nei fatti, i diritti variano di molto tra una

minoranza e l’altra. Questo spiega una situazione che non ci è permesso di trattare vagamente: non si prende veramente il potere in Libano a meno di essere maroniti o sunniti [… ]. Il regime libanese attuale è un regime di dittatura velata” (Chiha cit. in ‘Amil, 1996: 124).

Il sistema politico in Libano è quindi una dittatura camuffata che maschera, secondo Amil, la relazione di egemonia che la borghesia ha instaurato nei confronti delle altre classi sociali. Questo camuffamento è d’altronde ritenuto dal nostro autore di una importanza fondamentale per il perpetuare del sistema poiché una volta smascherato, il sistema perde la sua legittimità e smette di funzionare (‘Amil, 1996: 125). L’egemonia borghese è il vero volto del sistema, la democrazia confessionale una maschera.

L’apparato ideologico messo in atto dalla borghesia mira a occultare la realtà di un equilibrio egemonico e il fatto che il rapporto di egemonia in seno alle diverse comunità sia essenziale alla strutturazione e alla riproduzione della società pluralista. È per questa occultazione che l’equilibrio egemonico in seno alla società comunitario-confessionale appare sotto la forma di uguaglianza e partecipazione (‘Amil, 1996: 107).

Tutta la storia del Libano moderno è percorsa da un’ambiguità di fondo del suo sistema comunitario confessionale. Venne stabilito in via transitoria, ma da allora non è mai stato abolito.

Allo scoppio della guerra abbiamo visto come i due fronti contrapposti si schierassero uno con l’abolizione del sistema e l’altro con la riforma. Anche questa problematica viene messa in luce da Amil come una contraddizione dell’ideologia borghese, dalla quale non vi sarebbe via d’uscita se non con l’abolizione del sistema.

Per il nostro autore, nella concezione borghese dello Stato confessionale, parlare di riforma vuol dire in realtà fare in modo che le cose rimangano tali e quali. Il problema sta nel ritenere lo Stato, come abbiamo visto sopra, l’unico garante della pluralità. Secondo questa concezione il Libano non potrebbe esistere se non in quanto sistema basato su questo tipo di pluralismo confessionale, sopprimendo il quale si andrebbe a distruggere l’essenza stessa del Libano. Amil ne deduce che questo pensiero è portato quindi a vedere nell’unità del tessuto sociale la

soppressione della diversità e a ritenere che il cambiamento del sistema implichi la fine, la distruzione dello Stato libanese.

“La logica del pensiero di Chiha – che spiega l’esigenza del sistema confessionale con l’esistenza delle comunità confessionali in quanto entità autonome, quest’ultime essendone la causa e il primo essendone l’effetto – è una logica che stipula la perennità di questo sistema, anche se viene qualificato di provvisorio” (‘Amil, 1996: 141) .

La contraddizione di chi sostiene la riforma del sistema piuttosto che la sua abolizione risiede per Amil nel fatto che è allo Stato confessionale esistente che si affida in Libano il ruolo di portare a compimento la transizione tra una società di coesistenza confessionale a una società d’unità nazionale. Come si potrà fare l’unificazione della società con questo Stato nazionale? Si chiede Amil: “questo Stato confessionale non è il principale ostacolo all’unificazione? Come può essere lo Stato confessionale lo strumento di superamento del confessionalismo? Come può realizzare l’opera di uno Stato non confessionale?” (‘Amil, 1996: 131-135).

Egli ritiene che la riforma ipotizzata da alcune fazioni condurrebbe a un rinforzamento e a un radicamento del sistema politico confessionale e non al suo cambiamento. Più che una soluzione, la riforma appare ai suoi occhi come un aggravamento della crisi del sistema.

Inoltre, questa opposizione violenta alla richiesta di abolizione del sistema confessionale viene ritenuta un indicazione evidente di quanto la forma confessionale di questo Stato sia essenziale alla sua esistenza in quanto Stato borghese. Questa forma permetterebbe infatti alla borghesia di conservare la presa sul corso della lotta di classe mantenendo le classi lavoratrici prigioniere di un rapporto di dipendenza nei suoi riguardi. Questo rapporto, che è precisamente un rapporto di rappresentanza comunitario-confessionale, fa in modo che le classi lavoratrici siano subordinate ai loro rappresentanti comunitari in seno alla borghesia e siano quindi privati di una esistenza politica indipendente. La forma confessionale dello Stato borghese libanese è essenziale alla sua esistenza in quanto Stato di classe borghese (‘Amil, 1996: 37).