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La CTU come sede preferibile per la presentazione del set di rivendicazioni

Nel documento LA LIMITAZIONE DEL BREVETTO (pagine 150-153)

7. Questioni di ordine processuale

7.3. La sottopozione della riformulazione «in un giudizio di nullità»

7.4.3. La CTU come sede preferibile per la presentazione del set di rivendicazioni

Si auspica tuttavia che l’istanza di riformulazione venga proposta il prima possibile dal titolare, magari già con la comparsa di risposta nel caso in cui sia stata avanzato un giudizio di nullità in via principale, cosi che già all’udienza di comparizione tutte le carte in gioco saranno scoperte. Ma verosimilmente è dubitabile che il titolare vada a limitare la propria privativa già costituendosi in giudizio, essendo più probabile che questa scelta venga effettuata in sede di consulenza tecnica. Nelle controversie in materia di proprietà industriale la CTU riveste una funzione probatoria fondamentale, in particolare nelle cause brevettuali si può affermare che il documento rappresenta spesso l’unico strumento per accertare lo stato della tecnica e rispondere all’interrogativo circa la sussistenza dei requisiti della novità e altezza inventiva. Proprio l’alto tasso di tecnicismo e l’eterogeneità dei settori scientifici ai quali attengono le svariate fattispecie oggetto di brevetto sembrano imporre l’impiego di conoscenze specialistiche al fine di effettuare verifiche indispensabili per la risoluzione delle relative controversie281.

Proprio per questo motivo, e considerando inoltre che il processo industrialistico mal si sposava con scadenze precostituite, il legislatore aveva introdotto l’art. 77 l.i., oggi art. 121,5 CPI, per cui «consulente tecnico d'ufficio può ricevere i documenti inerenti

ai quesiti posti dal giudice anche se non ancora prodotti in causa, rendendoli noti a tutte le parti282». Questa norma è da porsi in rapporto di specialità, quale deroga, al regime

delle preclusioni sancito dagli artt. 183 e 184 c.p.c., poiché consente di depositare

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V.ANSANELLI, La C.T.U. nelle liti IP, in A.GIUSSANI, Il processo industriale, Torino, GIAPPICHELLI, 2012, p. 267.

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Norma introdotta con il d.l.gs 198/1996; in merito la Relazione redatta da G.Floridia, pubblicata in Il dir. ind., 1996, 5, p.431, osservava come la disposizione si giustificasse «in

considerazione del fatto che nel nostro ordinamento i brevetti vengono concessi senza esame preventivo dei requisiti di validità, sicché tale esame viene postergato in sede giudiziaria ed attuato con l’unico mezzo a disposizione del giudice che è quello della consulenza tecnica. Occorreva pertanto che la consulenza tecnica si potesse svolgere senza gli ostacoli delle preclusioni processuali che avrebbero potuto falsare il suo risultato, con la gravissima conseguenza di un giudizio di validità del brevetto non conforme ad una valutazione rapportata alla sua reale collocazione nel contesto della tecnica nota».

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documenti nuovi direttamente a mani del consulente nel corso della consulenza stessa, anziché produrli in giudizio nei termini perentori fissati dal giudice. Come si evince dalla lettera della norma il rispetto del principio del contraddittorio resta comunque garantito, infatti il consulente tecnico deve rendere noti i nuovi documenti a tutte le parti processuali affinché queste possano esprimersi prima del deposito della relazione peritale. Questa deroga non va intesa nel senso di permettere alle parti di agire «ad libitum» e «sine die», in primo luogo infatti i documenti devono essere inerenti ai quesiti formulati dal giudice e dunque correlati alle domande ed eccezioni sulle quali questi ultimi si innestano, non essendo consentita una mutatio libelli; in secondo luogo deve essere sempre garantita la ragionevole durata del giudizio, per cui sarà necessario che il CTU fissi egli stesso uno o più termini finali per le produzioni documentali in corso di consulenza, oppure proponga la questione al giudice perché stabilisca un termine perentorio. In ogni caso, in qualsiasi momento venga proposta l’istanza di limitazione prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni, questa dovrà essere trattata all’interno della consulenza tecnica. Di regola infatti questa viene disposta quando viene richiesto di valutare la validità di un trovato o la contraffazione, e la presentazione di un diverso testo del brevetto può ben cambiare gli esiti peritali. La CTU appare dunque la sede più congeniale affinché il titolare possa “trattare” con il consulente affinché i suoi emendamenti vengano approvati, comportamento che non potrebbe aver luogo dinanzi al giudice, il quale non può intervenire nella fase di formazione del titolo potendo solamente accogliere o rigettare il set di rivendicazioni riformulato.

Non si vedono in tal proposito particolari obiezioni nell’ammettere che l’istante presenti uno o più set di rivendicazioni riformulate tra loro subordinati, per due tipi di ragioni: in primo luogo è bene che sia il titolare a redigere le nuove rivendicazioni e non lasci l’intero compito nelle mani del consulente tecnico, questo è previsto dello

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stesso art. 79,3 per cui «il titolare ha facoltà di sottoporre…» 283proponendosi di evitare nello stesso tempo un aggravio del lavoro del CTU e lungaggini peritali; in secondo luogo, affinché sia sempre garantito il contraddittorio ex art 101 c.p.c., la controparte potrà, avendo davanti agli occhi le possibili limitazioni che il consulente tecnico potrebbe approvare, reperire ulteriori anteriorità da controbattere. Sarebbe meglio che la presentazione del set di rivendicazioni da parte del titolare, il deposito dei documenti di arte anteriore ad opera della controparte e le relative repliche abbiano luogo appena prima dell’inizio della vera e propria CTU, così che nel corso di quest’ultima il consulente d’ufficio abbia a sua disposizione tutta la documentazione necessaria e possa effettuare la propria perizia senza che le parti producano ulteriori modifiche o anteriorità284.

È bene poi dunque distinguere il ruolo del CTU e quello del giudice: il primo ha il compito di verificare che la riformulazione proposta dal titolare sia in primo luogo ammissibile, assicurandosi che si tratti di una limitazione e che rispetti i requisiti previsti dagli artt. 76 e 79 CPI, in secondo luogo deve accertare che il nuovo set di

283In ogni caso sembra preclusa ogni possibilità per il consulente tecnico di proporre una riformulazione del testo brevettuale senza previa istanza del titolare, si veda in merito la decisione presa da Trib. Roma, 18 luglio 2011, inapp.darts-ip.com, per cui «il c.t.u ha esteso la sua relazione oltre i limiti del quesito, spingendosi ad accertare la validità delle rivendicazioni più limitate» mentre «il convenuto non ha nemmeno formulato una domanda in tal senso, sicché una riformulazione delle rivendicazioni eseguita d’ufficio risulta inammissibile anche sotto il profilo meramente processuale»;

diversamente di recente è stato ammesso un suo intervento autonomo nel caso di mero accorpamento di rivendicazioni, si veda in proposito Trib. Milano, 17 maggio 2012, in

app.darts-ip.com.

284 Soluzione proposta da S.ERCOLANI, Criticità dell’applicazione dell’art. 79.3 CPI, in Notiziario

dell’Ordine dei Consulenti in P.I., ottobre 2013, p. 29; nello stesso senso anche R.FRUSCALZO,op.cit.,

p. 326; diversamente è stato deciso da Trib. Milano, 15 novembre 2012, in Riv. dir. ind., 2014, II, p. 87, con nota di F.BOSCARIOL DE ROBERTO,Limitazione del brevetto in corso di causa: il foro milanese ha

statuito infatti che la facoltà del titolare di sottoporre una limitazione in corso di causa «si deve

risolvere in una istanza contenente una riformulazione precisa in ogni suo punto e non in una proposta di alternative diverse che varrebbero a rimettere al giudice (o al CTU), anziché alla parte, la scelta della formulazione corretta delle rivendicazioni, fino a raggiungere l’effetto della validità della brevettazione». La nota in commento alla sentenza appoggia quanto disposto nella massima,

individuando come da una parte sia lo stesso dato letterale a prevedere la sottoposizione di «”una”

riformulazione» e che inoltre tale lettura restrittiva sia controbilanciata dalla facoltà di sottoporre al

giudicante un nuovo set in ogni grado del giudizio, per cui sarebbe possibile la presentazione di un set per la prima volta anche in appello. Una diversa interpretazione della norma, intesa come lettura estensiva della stessa, potrebbe portare secondo l’autore ad un “abuso del processo”, consistente in un vizio di sviamento della funzione della funzione che si realizza quando un diritto o una facoltà processuale vengono esercitate per scopi diversi da quelli per i quali l’ordinamento processuale astrattamente li riconosce.

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rivendicazioni possegga i requisiti di validità e non confligga con le anteriorità presentate dalla controparte, potendo eventualmente proporre correzioni. Solo dopo aver svolto questi passaggi il consulente tecnico potrà presentarsi al giudice, avendo in mano un testo definitivo. Il giudicante ha infatti il solo compito di accogliere o meno il testo definitivo, come formulato dal titolare ed eventualmente corretto dal consulente d’ufficio, non potendo partecipare alla formazione del titolo: qualora decida di conformarsi al risultato peritale pronuncerà sentenza di nullità parziale, con la quale andrà inoltre a stabilire le nuove rivendicazioni, così come statuisce l’art. 76,2 CPI; qualora invece ritenga di non accogliere il nuovo testo brevettuale emetterà, dopo aver adeguatamente motivato la sua discordanza con i risultati della CTU, sentenza di nullità integrale.

Nel documento LA LIMITAZIONE DEL BREVETTO (pagine 150-153)